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Cassazione Civile 13666/2023 – Patrocinio a spese dello Stato – Gratuito patrocini – Condanna alle spese in favore della parte ammessa al beneficio in misura superiore rispetto agli importi erogabili dallo Stato – Contestazione di tale quantificazione

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Ordinanza 13666/2023

Patrocinio a spese dello Stato – Gratuito patrocini – Condanna alle spese in favore della parte ammessa al beneficio in misura superiore rispetto agli importi erogabili dallo Stato – Contestazione di tale quantificazione

La parte non ammessa al patrocinio spese dello Stato che sia stata condannata, all’esito del giudizio, al pagamento delle spese di lite direttamente in favore della parte ammessa al beneficio non può contestarne la quantificazione, sul presupposto che l’Erario erogherebbe alla parte beneficiata un importo inferiore a quello liquidato, giusta la disposizione degli artt. 82 e 130 del d.P.R. n. 115 del 2002, attesa l’indipendenza dei due rapporti rispettivamente esistenti, il primo, tra le parti del giudizio e regolato dalla sentenza che lo conclude, ed il secondo, tra la parte ammessa al beneficio e lo Stato, disciplinato dal citato decreto e caratterizzato dal diritto di rivalsa, esercitabile dall’Erario nelle forme e nei casi di cui ai successivi artt. 133 e 134.

Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 18-5-2023, n. 13666   (CED Cassazione 2023)

 

 

FATTI DI CAUSA

La (OMISSIS) s.n.c. propose opposizione allo sfratto per morosità intimatole da
(OMISSIS) e (OMISSIS), eccependo di condurre in locazione l’immobile in
Napoli, Via (OMISSIS), ang. Via (OMISSIS), quale avente causa, a
seguito di donazione d’azienda, dell’impresa individuale di (OMISSIS),
precedente conduttrice in forza di un contratto verbale stipulato anteriormente
al 1970 con il dante causa degli intimanti, (OMISSIS), con un canone iniziale
di attuali € 52,00. Dedusse che tale rapporto non era mai stato modificato, se
non sotto il profilo soggettivo, che non era stato pattuito nemmeno
l’aggiornamento ISTAT annuale e che ogni aumento del canone iniziale era da
ritenersi illegittimo; gli intimanti, costituitisi, dedussero che nel 1996 al locale
oggetto dell’originaria locazione ne era stato accorpato un altro, contiguo, e da
allora il canone era stato rideterminato in € 1.000,00 mensili. Frattanto, la
(OMISSIS) propose inoltre, in via d’azione, un giudizio di accertamento per la
determinazione del canone effettivamente dovuto. Disposto il mutamento di rito,
ai sensi dell’art. 447-bis c.p.c., e riuniti i due giudizi, il Tribunale di Napoli, con
sentenza del 14.10.2013, rigettò la domanda di risoluzione per morosità e, in
parziale accoglimento della domanda di accertamento, determinò il canone in €
793,00 mensili, a partire dal 1996, in luogo dell’importo di € 1.000,00 preteso
dai locatori. Per quanto qui ancora interessa, la (OMISSIS) propose appello
avverso detta decisione, insistendo per l’accoglimento integrale della domanda
di rideterminazione del canone o, in subordine, nella misura di lire 513.000, pari
ad € 264,94, a partire dal giugno 1986. La Corte d’appello di Napoli, con
sentenza n. 1882/2015, rigettò sia l’appello principale, sia quello incidentale
proposto dai proprietari, compensando le spese. Con sentenza n. 14624/2017,
la Corte di cassazione accolse però il ricorso della (OMISSIS), cassando la sentenza
d’appello per difetto di motivazione e rinviando dinanzi alla Corte campana per
un nuovo esame. Riassunto il giudizio dalla stessa (OMISSIS), nel contraddittorio
con (OMISSIS) e con (OMISSIS), in proprio e n.q., intervenuto
quale nuovo proprietario dell’immobile locato, nonché nella contumacia di
(OMISSIS), il giudice del rinvio accolse parzialmente l’appello della
(OMISSIS), accogliendo conseguentemente la domanda riconvenzionale di questa e
accertando che il canone di locazione, convenzionalmente pattuito dall’anno
1989, era pari ad € 264,94 mensili; dispose altresì la condanna dei germani
(OMISSIS) alla rifusione dei 3/4 delle spese giudiziali dell’intero giudizio in favore
della (OMISSIS), compensando nel resto, anche rispetto agli intervenuti. La Corte
d’appello, in particolare, ritenne effettivamente sussistente la novazione
oggettiva del contratto a far data almeno dal 1986 (epoca prossima alla
restituzione – dal precedente conduttore, tale (OMISSIS) – di quella parte
dell’immobile concesso in ampliamento), e ciò basandosi su un documento
(contratto di somministrazione idrica del 6.4.1987) prodotto da (OMISSIS) solo
nel giudizio d’appello, ritenuto decisivo, in quanto da detta data le due utenze
originarie a servizio dei corrispondenti due immobili erano confluite nell’unica
utenza suddetta; pertanto, il canone mensile venne ut supra determinato in
coerenza con le ricevute di pagamento a firma del locatore dell’epoca,
(OMISSIS), che le aveva rilasciate a marzo-aprile 1989, epoca quindi presa a
riferimento ai superiori fini.

Avverso detta sentenza, ricorre ora per cassazione (OMISSIS), sulla base
di cinque motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso la (OMISSIS)
s.n.c.; gli altri intimati non hanno resistito. La trattazione è stata fissata ai sensi
dell’art. 380-bis.1 c.p.c. Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha depositato
conclusioni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.
394, 345, comma 2, e 437 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4,
c.p.c., per aver la Corte territoriale ritenuto ammissibile, in quanto decisiva, la
produzione della copia del contratto di somministrazione idrica del 6.4.1987,
tardivamente effettuata dalla (OMISSIS), così valutando come dimostrata la
circostanza per cui l’unione dei due locali contigui era avvenuta già ad aprile
1987, e che da allora le due utenze erano confluite nell’unico contratto intestato
alla (OMISSIS). Sostiene la ricorrente che tale tardiva produzione non poteva
ammettersi, in quanto priva del requisito di certezza e decisività, tanto da averne
dovuto integrare la presunta efficacia probatoria con altri elementi.

1.2 – Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 394 c.p.c., in
relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per essersi limitata la Corte
partenopea – a fronte della cassazione della prima sentenza d’appello disposta
dalla S.C. con la sentenza n. 14624/2017 per motivazione apparente – a
riscontrare la contestazione nella memoria ex art. 426 c.p.c., da parte della Fer
Color, circa la data dell’avvenuta novazione oggettiva (indicata dalla ricorrente
nel 1996), senza però svolgere il compito assegnatole dal giudice di legittimità,
cioè verificare se detta novazione potesse comunque ritenersi provata in forza
di elementi diversi.

1.3 – Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 111
Cost., nonché dell’art. 394 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 4 e 5,
c.p.c., per aver la Corte territoriale basato il proprio convincimento su un
elemento di fatto errato, e perciò inesistente (ossia, l’indicazione della data della
novazione nel 1986 da parte di essa (OMISSIS)), con insanabile contraddittorietà
della motivazione.

1.4 – Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art.
2702 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma
1, n. 3, c.p.c., per aver la Corte territoriale attribuito efficacia probatoria di
scrittura privata ad un documento proveniente da terzi, ossia al contratto di
somministrazione idrica del 6.4.1987.

1.5 – Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.
113, 130 e 227-ter del d.P.R. n. 115/2002, in relazione all’art. 360, comma 1,
n. 3, c.p.c., per non aver la Corte d’appello tenuto conto che la parte vittoriosa
era stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato, sicché la liquidazione delle
spese avrebbe dovuto essere dimidiata, mentre la dichiarazione di anticipazione
fatta dal difensore avrebbe dovuto considerarsi senza effetto.

2.1 – Il primo motivo è infondato.

Va anzitutto rilevato che l’asserto dell’illustrazione del motivo si disinteressa
dell’espressa affermazione della sentenza a pag. 9 circa la decisività del
documento, eletto a perno della decisione per ancorare la novazione oggettiva
ad una certa epoca, stante il “panorama incerto” sul punto. In altre parole, la
Corte partenopea ha tratto dal documento in questione il convincimento che la
novazione stessa andasse collocata in epoca prossima al rilascio dell’immobile
contiguo, poi accorpato a quello originario, da parte del conduttore (OMISSIS), solo
esso documento essendo idoneo a dimostrare tanto, ed avendo dunque valenza
indubbiamente decisiva.

Al contrario di quanto genericamente ritenuto dalla ricorrente, dunque, gli altri
elementi probatori – alla p. 8 della sentenza – sono stati ritenuti privi di decisività
circa la data della novazione, anche se sono stati comunque valutati nell’ambito
del corredo istruttorio nella delibazione delle domande poi accolte, com’è perfino
ovvio.

3.1 – Il secondo motivo è infondato.

Invero, la prima decisione d’appello venne cassata da questa Corte con la
sentenza n. 14624/2017 per motivazione apparente, sicché – ai sensi dell’art.
394 c.p.c. – la Corte napoletana era tenuta ad esaminare nuovamente l’appello
della (OMISSIS), e tanto ha fatto, l’unico vincolo derivante dalla cassazione
essendo consistendo nel divieto di argomentare la decisione incorrendo nel
medesimo deficit motivazionale già stigmatizzato. Infatti, è ampiamente
consolidato l’orientamento secondo cui “Nell’ipotesi della cassazione con rinvio
per vizio di motivazione, il giudice di merito conserva tutti i poteri di indagine e
di valutazione della prova, potendo compiere anche ulteriori accertamenti
giustificati dalla sentenza di annullamento e dall’esigenza di colmare le carenze
da questa riscontrate, tranne che in ordine ai fatti che la sentenza medesima ha
considerato definitivamente accertati, per non essere investiti
dall’impugnazione, né in via principale né in via incidentale, e sui quali la
pronuncia di annullamento è stata fondata” (ex multis, Cass. n. 31901/2018).
Peraltro, il motivo in esame, come emergente dalle deduzioni delle pp. 11-12
del ricorso, si colloca del tutto al di fuori di quanto con esso vorrebbe denunciarsi,
risolvendosi solo nella prospettazione che, ai fini della novazione, la Corte del
rinvio avrebbe dovuto pervenire ad un diverso apprezzamento sulla base di altre
circostanze ed emergenze probatorie: per questo verso, dunque, la ricorrente si
colloca sul piano di una inammissibile manifestazione di dissenso rispetto
all’apprezzamento della Corte, in ordine alla ricostruzione della quaestio facti
rilevante per individuare il momento della novazione.

3.1 – Il terzo motivo è del pari infondato, giacché la Corte d’appello non è incorsa
in alcuna contraddizione.

Infatti, facendosi carico anche del rilievo che aveva provocato la cassazione per
mancanza di motivazione, essa ha dato atto (p. 8 della sentenza), che il
riferimento operato negli atti difensivi di (OMISSIS) all’anno 1986, anziché
al 1996 (come di poi sostenuto), ben poteva ascriversi a mero lapsus calami,
non potendo di per sé costituire una confessione; nondimeno, proprio facendo
governo del materiale istruttorio, il giudice d’appello è pervenuto alla datazione
della novazione oggettiva proprio a ridosso del 1986, senza minimamente far
cenno all’erronea indicazione in discorso e senza esserne, pertanto,
minimamente influenzato.

4.1 – Il quarto motivo è inammissibile.

Infatti, in alcun modo la Corte territoriale ha attribuito al documento contrattuale
in parola (ossia, al contratto di somministrazione idrica del 6.4.1987) valore ai
sensi dell’art. 2702 c.c. La censura si rivela dunque inammissibile perché non si
correla alla motivazione, come da consolidato principio affermato da Cass. n.
359/2005, ribadito da Cass., Sez. Un., n. 7074/2017 (non massimata, sul
punto).

Quanto poi alla pretesa violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116
c.p.c., oltre a non esplicare il preteso vizio nel corpo del mezzo, comunque ed in
ogni caso la ricorrente, nell’illustrazione, non rispetta i criteri indicati a suo
tempo da Cass. n. 11892/2016 e ribaditi, ex multis, da Cass., Sez. Un., n.
20867/2020, così risolvendosi in una non consentita sollecitazione alla
rivalutazione della quaestio facti.

5.1 – Il quinto motivo, infine, è del pari inammissibile, per violazione dell’art.
366, comma 1, n. 6, c.p.c.

Infatti, la ricorrente indica la produzione avversaria, che sarebbe avvenuta due
giorni prima della lettura del dispositivo, ma non documenta tale circostanza.

Ella avrebbe invece dovuto produrre documentazione comprovante l’avvenuto
deposito, del quale nemmeno vengono indicate le formalità. Non senza dire, in
ogni caso, che la Corte del merito ha affermato che il patrocinio a spese dello
Stato, in favore della (OMISSIS), era stato revocato, e sul punto la ricorrente non
argomenta alcunché.

In ogni caso, la censura non coglie comunque nel segno, giacché le norme
invocate rilevano esclusivamente in sede di procedimento di liquidazione. Sul
punto, basti qui richiamare l’insegnamento di Cass. n. 18223/2020, secondo cui
“La parte non ammessa al patrocinio spese dello Stato che sia stata condannata,
all’esito del giudizio, al pagamento delle spese di lite direttamente in favore della
parte ammessa al beneficio non può contestarne la quantificazione, sul
presupposto che l’Erario erogherebbe alla parte beneficiata un importo inferiore
a quello liquidato, giusta la disposizione degli artt. 82 e 130 del d.P.R. n. 115 del
2002, attesa l’indipendenza dei due rapporti rispettivamente esistenti, il primo,
tra le parti del giudizio e regolato dalla sentenza che lo conclude, ed il secondo,
tra la parte ammessa al beneficio e lo Stato, disciplinato dal citato decreto e
caratterizzato dal diritto di rivalsa, esercitabile dall’Erario nelle forme e nei casi
di cui ai successivi artt. 133 e 134”.

6.1 – In definitiva, il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di legittimità,
liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza in favore della
controricorrente, con distrazione in favore del procuratore antistatario, che ha
reso la prescritta dichiarazione; nulla va disposto in relazione ai restanti intimati,
che non hanno svolto difese.
In relazione alla data di proposizione del ricorso (successiva al 30 gennaio 2013),
può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n.115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24
dicembre 2012, n. 228).

P. Q. M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del
giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in € 5.000,00
per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali
in misura del 15%, oltre accessori di legge, con distrazione in favore del
procuratore antistatario.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto
della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della
ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se
dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il giorno
21.2.2023.