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Cassazione Civile 1391/2014 – Spese comunali fuori bilancio – Rapporto obbligatorio fra privato ed amministratore o funzionario

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Ordinanza 1391/2014

 

Spese comunali fuori bilancio – Rapporto obbligatorio fra privato ed amministratore o funzionario

In tema di spese fuori bilancio dei Comuni (e, più in generale, degli enti locali) agli effetti di quanto disposto dall’art. 23, quarto comma, del d.l. 2 marzo 1989, n. 66 (convertito, con modificazioni, in legge 24 aprile 1989, n. 144), l’insorgenza del rapporto obbligatorio direttamente con l’amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione – con conseguente impossibilità di esperire nei confronti del Comune l’azione di arricchimento senza causa, stante il difetto del necessario requisito della sussidiarietà – si ha in tutti i casi in cui manchi una valida ed impegnativa obbligazione dell’ente locale, con la conseguenza che, dopo l’introduzione di tale normativa, la questione del riconoscimento dell’utilità della prestazione si pone, di regola, solo allorché il funzionario o l’amministratore – responsabili verso il privato – propongano l’azione di cui all’art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A.

 

Ricorso per Cassazione – Sindacato sull’interpretazione, da parte del giudice del merito, di delibere e regolamenti comunali

Qualora con il ricorso per cassazione si sollevino censure che comportino l’esame di delibere comunali, decreti sindacali e regolamenti comunali, è necessario – in virtù del principio di autosufficienza del ricorso stesso – che il testo di tali atti sia interamente trascritto e che siano, inoltre, dedotti i criteri di ermeneutica asseritamente violati, con l’indicazione delle modalità attraverso le quali il giudice di merito se ne sia discostato, non potendo la relativa censura limitarsi ad una mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza.

Corte di Cassazione, Sezione 6 civile, Ordinanza 23 gennaio 2014, n. 1391   (CED Cassazione 2014)

Articolo 2041 c.c. annotato con la giurisprudenza

 

 

IN FATTO E IN DIRITTO

Nella causa indicata in premessa, è stata depositata la seguente relazione: “1. – La sentenza impugnata (App. Napoli, 02/05/2011) ha, per quanto qui rileva, rigettato l’appello proposto da (OMISSIS) avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Nola, confermando quanto da essa statuito circa il rigetto della domanda principale del (OMISSIS), avente ad oggetto il pagamento di canoni dovuti per l’utilizzo, da parte del Comune di Marigliano, di un’area scoperta di proprietà del (OMISSIS), il quale, in subordine, spiegava domanda di arricchimento senza causa ex articolo 2041 c.c., anch’essa rigettata. La Corte Territoriale riteneva, da un lato, priva di pregio la “costruzione” del (OMISSIS) che riteneva essersi perfezionato un contratto in forma scritta, consistito nella proposta da parte del Comune – costituita dalla Delib. della sua Giunta e dalla missiva del suo sindaco – e nella “accettazione” asseritamente consistita dalla missiva con cui il (OMISSIS) richiese il pagamento delle pigioni arretrate e mai pagate, in quanto i suddetti documenti costituiscono meri atti interni al Comune e che la delibera si limitò a prendere atto della disponibilità del (OMISSIS) rinviando ogni decisione (dovendone acquisire la dichiarazione di disponibilità all’affitto); mentre la nota del sindaco ha mero valore di ordine ai propri dipendenti ed è quindi priva di effetto giuridico in favore del (OMISSIS). Dall’altro lato, rigettava la domanda subordinata ex articolo 2041 c.c., ritenendo priva di pregio la tesi del (OMISSIS) secondo cui non sarebbe individuabile la figura del funzionario che ha stipulato il contratto nullo, perchè ben avrebbe potuto individuarlo mediante l’esercizio del diritto all’accesso agli atti e quindi agire contro di lui.

2. – Ricorre per Cassazione il (OMISSIS) con due motivi di ricorso; resiste con controricorso il Comune di Marigliano. Le censure lamentate dal ricorrente sono:

2.1 – Insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, in quanto la sentenza impugnata si sarebbe limitata a richiamare la motivazione espressa dal giudice di primo grado, non risultando che il giudice d’appello avesse esaminato e valutato l’infondatezza dei motivi di gravame, precisando che, se non vi era stata la regolarizzazione del contratto attraverso la redazione di un atto scritto, è indubbio che esisteva una Delib. comunale, che non costituirebbe mero atto interno alla P.A..

2.2 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 2041 c.c. e segg. – insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, ritenendo, contrariamente al giudice di secondo grado, sussistenti i presupposti e i requisiti per l’azione di indebito arricchimento, avendo il Comune goduto di un bene senza pagare i canoni dovuti, con un conseguente danno all’odierno ricorrente in termini della subita diminuzione patrimoniale.

3. – Il ricorso è manifestamente privo di pregio.

3.1 – Quanto al primo motivo di ricorso, l’odierno ricorrente non tiene conto dell’orientamento di questa S.C. secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione si sollevino censure che comportino l’esame di delibere comunali, decreti sindacali e regolamenti comunali, è necessario – in virtù del principio di autosufficienza del ricorso stesso – che il testo di tali atti sia interamente trascritto e che siano, inoltre, dedotti i criteri di ermeneutica asseritamente violati, con l’indicazione delle modalità attraverso le quali il giudice di merito se ne sia discostato, non potendo la relativa censura limitarsi ad una mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza, in quanto l’interpretazione dell’atto amministrativo costituisce un accertamento di fatto istituzionalmente riservato al giudice di merito (Cass. n. 1893/2009; n. 18661/2006; n. 3015/2006). Il controllo sull’interpretazione dei regolamenti comunali, delle delibere del sindaco e della giunta di un comune, nonchè delle conseguenti determinazioni dirigenziali e sindacali, rimesso alla Corte di cassazione presuppone che la Corte stessa, mediante la lettura del solo ricorso, possa effettuare un confronto tra il contenuto degli atti contestati e la lettura datane dal giudice del merito. Conseguentemente il ricorso, ove non riporti il contenuto degli atti contestati, è privo del requisito dell’autosufficienza e deve essere rigettato (Cass. n. 29322/2008; n. 13711/2007).

Inoltre, occorre considerare che la motivazione della sentenza di secondo grado per relationem concreta carenza di motivazione qualora consista in un mero rinvio alla precedente decisione, risolventesi in un’acritica approvazione della predetta. È invece legittima quando il giudice di appello, richiamando nella sua pronuncia punti essenziali della motivazione della sentenza di primo grado, non si limiti a farli propri, ma confuti le censure contro di questa formulate con il gravame, attraverso un itinerario argomentativo ricavabile dall’integrazione della parte motiva delle due sentenze di merito (Cass. n. 12625/2010; n. 15483/2008; n. 2268/2006; n. 3066/2002). Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati.

3.2 – Quanto al secondo motivo di impugnazione, non sussiste la lamentata violazione di legge, nè il prospettato vizio motivazionale. La decisione impugnata ha fatto buon governo del pacifico orientamento di questa S.C. che ha adattato all’introduzione della Legge n. 144 del 1989, i consolidati principi in tema di sussidiarietà dell’azione ex articolo 2041 c.c., affermando che “in tema di spese dei Comuni (e, più in generale, degli enti locali) in difetto dei necessari presupposti, agli effetti di quanto disposto dal Decreto Legge 2 marzo 1989, n. 66, articolo 23, comma 4 (convertito, con modificazioni, in Legge 24 aprile 1989, n. 144), l’insorgenza del rapporto obbligatorio, ai fini del corrispettivo, direttamente con l’amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione – con conseguente impossibilità di esperire nei confronti del Comune l’azione di arricchimento senza causa, stante il difetto del necessario requisito della sussidiarietà – si ha in tutti i casi in cui manchi – come nella specie – una valida ed impegnativa obbligazione dell’ente locale” (Cass. n. 10640/2007; v. anche Cass. n. 12880/2010; 11854/2007), con la conseguenza che, dopo l’introduzione di tale normativa, la questione del riconoscimento dell’utilità della prestazione si pone, di regola, solo allorchè sia il funzionario o l’amministratore che, responsabile verso il privato, intenti poi l’azione ex articolo 2041, nei confronti della P.A. (argomento desumibile, tra le altre, da Cass. n. 9447/2010).

Nel caso in esame, la Corte d’Appello ha ritenuto – con congrua e corretta motivazione relativa, in sostanza, proprio all’assenza del requisito della sussidiarietà in relazione alla domanda di cui all’articolo 2041 c.c. – di condividere pienamente le conclusioni del Tribunale e ha valutato come priva di pregio la tesi del (OMISSIS) che “nel caso di specie non è individuabile la figura del funzionario che ha stipulato il contratto nullo”, perchè l’odierno ricorrente avrebbe ben potuto individuarlo mediante l’esercizio all’accesso agli atti (o comunque identificarlo sulla base degli stessi atti del Comune, facilmente accessibili) e, quindi, agire contro di lui come per legge.

4. – Il relatore propone la trattazione del ricorso in Camera di consiglio ai sensi degli articoli 375, 376, 380 bis c.p.c. ed il rigetto dello stesso”.

La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti costituite.

Non sono state presentate memorie nè conclusioni scritte.

Ritenuto che:

a seguito della discussione sul ricorso in Camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che il ricorso deve perciò essere rigettato essendo manifestamente infondato;

le spese seguono la soccombenza nel rapporto con la parte costituita; visti gli articoli 380-bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 2500,00, di cui euro 2300,00, per compensi, oltre accessori di legge.

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