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Cassazione Civile 1392/2020 – Ricorso per cassazione proposto dall’ex rappresentante di società estinta – Inammissibilità

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Ordinanza 1392/2020

Ricorso per cassazione proposto dall’ex rappresentante di società estinta – Inammissibilità

Il ricorso per cassazione proposto dall’ex rappresentante di società estinta è inammissibile, perché per la sua proposizione occorre la procura speciale, sicchè non può valere l’ultrattività di procure in precedenza rilasciate e nemmeno può esserne rilasciata una nuova, stante la necessità che il relativo conferimento provenga da un soggetto esistente e capace di stare in giudizio; ne consegue la condanna alle spese in proprio del detto rappresentante, in quanto, salvo che particolari condizioni o circostanze o elementi anche indiziari non lo richiedano, non corrisponde ad uno specifico dovere professionale dell’avvocato, che si limita ad autenticarne la sottoscrizione, verificare costantemente la persistenza della qualità di legale rappresentante della persona fisica che gli conferisce il mandato, che ha invece l’onere di conoscere la cessata persistenza dei propri poteri e di renderne preventivamente ed adeguatamente edotto il suo difensore.

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile, Ordinanza 22 gennaio 2020, n. 1392   (CED Cassazione 2020)

Inammissibilità e improcedibilità del ricorso per cassazione

 

 

RITENUTO IN FATTO

  1. Con sentenza del 19.1.2012 il Tribunale di Vallo della Lucania, in funzione di giudice del lavoro, rigettava la domanda di Fr. Ve. che, premesso di aver svolto mansioni di commessa addetta alla vendita alle dipendenze della società Ne. Ca. & C. s.r.l. in liquidazione, assumeva di essere rimasta creditrice della somma di euro 17.012,07 a titolo di differenze retributive, indennità sostitutiva delle ferie, ratei di 13a e 14a mensilità, compenso per lavoro straordinario, indennità sostitutiva del preavviso e TFR.
  2. Avverso la suddetta decisione Fr. Ve. proponeva impugnazione dinanzi alla Corte di appello di Salerno. La società Ne. Ca. in liquidazione si costituiva nel giudizio di secondo grado per resistere all’appello della lavoratrice.
  3. La Corte salernitana, integrata l’istruttoria espletata in prime cure, con sentenza pubblicata il 12.1.2015, accoglieva parzialmente l’appello e dichiarava tenuta la società appellata al pagamento, in favore della lavoratrice, della somma di euro 11.545, al lordo delle ritenute di legge, oltre accessori ai sensi dell’art. 429 cod.proc.civ., oltre alla rifusione, in favore dell’appellante, delle spese del doppio grado del giudizio, con attribuzione al procuratore antistatario.
  4. La Corte territoriale riteneva possibile, sulla base della giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Cass. n. 16661 del 2009), escutere testi diversi da quelli indicati nel giudizio di primo grado quando la parte interessata abbia con l’atto introduttivo del giudizio proposto capitoli di prova testimoniale specificamente indicando di volersi avvalere del relativo mezzo in ordine alle circostanze di fatto ivi allegate, ma omettendo l’enunciazione delle generalità delle persone da escutere. Tale omissione, secondo la Corte territoriale, non determinava decadenza dalla relativa istanza istruttoria, ma una mera irregolarità, che abilitava il giudice, in caso della reiterazione dell’istanza in appello, all’esercizio dei poteri officiosi di cui all’art. 421, primo comma, cod.proc.civ.
  5. Sulla base delle integrazioni istruttorie espletate in secondo grado la Corte salernitana riteneva provata l’esistenza del rapporto di lavoro dedotto in giudizio, la durata dello stesso e le mansioni espletate dalla lavoratrice.6. Relativamente al quantum debeatur, la Corte di appello determinava la somma da riconoscere alla lavoratrice, già indicata, sulla base dei conteggi elaborati da quest’ultima e non contestati dalla società datrice di lavoro, con detrazione delle voci che non avevano trovato conferma nell’istruttoria, cioè il compenso per lavoro straordinario e domenicale e l’indennità sostitutiva delle ferie e del preavviso, per complessivi curo 5.467,00.
  6. Contro quest’ultima sentenza la società “Ne. Ca. & C. s.r.l. in liquidazione” propone ricorso per cassazione affidato a otto motivi, illustrati da memoria. La lavoratrice resiste con controricorso, con il quale ella fa valere, tra l’altro, l’inammissibilità del ricorso per la mancanza in capo alla società, estinta per cancellazione dal Registro delle imprese già prima della firma della procura speciale ad litem per il giudizio di legittimità dall’ex liquidatore, Ne. Ca., della capacità di stare in giudizio e per carenza di potere di rappresentanza in capo a quest’ultimo, firmatario della stessa procura speciale nell’unica qualità di “liquidatore”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Con il primo motivo la ricorrente si duole della violazione e della falsa applicazione dell’art. 112 cod.proc.civ. e dell’art. 434, comma 1, n. 2stesso codice, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ.
  2. Con il secondo motivo la società datrice di lavoro lamenta la violazione ed errata applicazione dell’art. 414 cod.proc.civ. in materia di decadenze e preclusioni, nonché dell’art. 437, comma 2, cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ.
  3. Con il terzo motivo viene dedotta la violazione ed errata applicazione di norme di diritto di cui all’art. 115 e 116 cod.proc.civ. in relazione all’art. 360 cod.proc.civ.
  4. Con il quarto motivo si allega violazione ed errata applicazione di norme di diritto di cui agli art. 115 e 116 cod.proc.civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ.
  5. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 421, comma 1, cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ.
  6. Con il sesto motivo, si allega la violazione e l’errata applicazione dell’art. 416, comma 1, cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ. e la violazione dell’art. 2967 cod.civ., sempre in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ.
  7. Con il settimo motivo ci si duole di “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione” su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod.proc.civ.
  8. Con l’ottavo e ultimo motivo la ricorrente denuncia ugualmente “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione” su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod.proc.civ.
  9. Il ricorso è inammissibile.
  10. Preliminare è l’esame delle questioni in tema di capacità di stare in giudizio della ricorrente e del difetto di rappresentanza in capo al firmatario della procura speciale per il giudizio di cassazione, Ne. Ca..
  11. Dalle visure camerali depositate dalla controricorrente ai sensi dell’art. 372 cod.proc.civ., emerge che la società Ne. Ca. & C. s.r.l. risulta cancellata definitivamente dal Registro delle imprese, e quindi estinta, al 14.1.2015, due giorni dopo la pubblicazione della sentenza impugnata. La circostanza è comunque pacifica tra le parti.
  12. Come le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito con la sentenza n. 6070 del 2013, dopo la riforma del diritto societario, attuata dal d.lgs. n. 6 del 2003, che ha in particolare modificato l’art. 2495 cod.civ., qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo.
  13. La cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio (con l’eccezione della fictio iuris contemplata dall’art. 10 legge fall.); pertanto, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. cod. proc. civ., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ.; qualora l’evento non sia stato fatto constatare nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constatare in tali modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso.
  14. Alla fictio iuris indicata dalle Sezioni Unite va aggiunta la prosecuzione dell’esistenza della società estinta per un quinquennio, ma ai soli fini fiscali, per la liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione di tributi, contributi, sanzioni e interessi, ai sensi dell’art. 28, comma 4, d.lgs. 21.11.2014, n. 175 (Cass., Ordinanza n. 19142 del 2016).
  15. Una simile esegesi non è incisa, per gli effetti che ne derivano in questa controversia, da quanto ulteriormente affermato dalle Sezioni unite di questa Corte a proposito della c.d. ultrattività del mandato difensivo (S. U. n. 15295 del 2014) nei giudizi in cui sia parte la persona fisica. Non è incisa perché nella specie si discorre della legittimazione a proporre il ricorso per cassazione. E difatti dirimente la considerazione che il principio enunciato dalla richiamata sentenza delle Sez. un. n. 15295 del 2014, nel concludere che il procuratore della parte, ove munito di procura valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione in rappresentanza della parte estinta, trova limite proprio nel ricorso per cassazione. E dunque non interessa ai fini della proposizione del ricorso per cassazione per il quale è richiesta la procura speciale. Quella procura speciale che il liquidatore della società oramai definitivamente estinta (v. già Sez. un. n. 4060 del 2010, n. 4061 del 2010 e n. 4062 del 2010) non è legittimato a rilasciare per conto di questa, giacché la cancellazione della società ha come effetto il venir meno del potere di rappresentanza degli organi della liquidazione (v. Cass. 12040 del 2015; n. 22863 del 2011).
  16. Consequenziale è l’inammissibilità del ricorso per cassazione di cui trattasi. Il che dispensa la Corte dal soffermarsi sui singoli motivi di ricorso.
  17. Nella fattispecie la spendita da parte di Ne. Ca. della qualità di liquidatore e quindi di legale rappresentante si è avuta sia nell’intestazione del ricorso per cassazione sia nella formula di conferimento del mandato, come apposto in calce allo stesso, ma si tratta di qualità giuridicamente impossibile in dipendenza dell’avvenuta cancellazione. Ne segue che, essendosi limitato il difensore officiato ad autenticare la sottoscrizione del Ca., il mandato deve ritenersi essergli stato conferito da costui in proprio. L’intervenuta cancellazione non poteva dirsi oggetto di verifica preliminare da parte dell’avvocato che autenticava quella sottoscrizione. Infatti non deve reputarsi, almeno di norma e salvo che particolari condizioni o circostanze o elementi anche indiziaria — nella specie non rilevabili — non lo attivino, corrispondere ad uno specifico dovere professionale dell’avvocato una cautela tale da verificare costantemente o diuturnamente la persistenza della qualità di legale rappresentante di società rivestita da una persona fisica, mentre è onere di certo — al contrario — di chi conferisce il mandato ben conoscere la cessata persistenza dei propri poteri e di renderne preventivamente ed adeguatamente edotto il suo difensore.
  18. Di conseguenza, l’inammissibile attività processuale iniziata con il ricorso va riferita all’ex liquidatore della società cancellata e a lui va fatto esclusivo carico di ogni conseguenza di tale attività, tra cui la condanna alle spese in favore della controparte.
  19. In altri termini, è il soccombente ricorrente, in persona di chi ha firmato il ricorso inammissibile e cioè il Ca. in proprio, vista la cessazione dell’esistenza del soggetto che egli ha malamente dichiarato di rappresentare, a dover essere condannato alle spese del giudizio di legittimità, in applicazione del seguente principio di diritto: «nell’ipotesi di proposizione di ricorso per cassazione da parte dell’ex rappresentante della società cancellata dal registro delle imprese, la sua inammissibilità — derivante dalla non operatività di alcun mandato per la peculiarità del giudizio di legittimità e comunque per la necessità che quello sia conferito da un soggetto esistente e capace di stare in giudizio — comporta che sia condannato alle spese in proprio il soggetto che, spendendo la giuridicamente impossibile qualità di legale rappresentante del soggetto non più esistente, ha conferito il mandato, ove l’avvocato si sia limitato ad autenticare la relativa sottoscrizione» (v., mutatis mutandis, Cass. n. 12603 del 2018 (ord.).
  20. Le spese sono liquidate come in dispositivo.
  21. La complessiva considerazione delle circostanze di questo caso non consiglia l’applicazione dell’art. 96 cod.proc.civ. relativo alla responsabilità aggravata.
  22. Infine, va pure dare atto — senza possibilità di valutazioni discrezionali (tra le prime: Cass. 14 marzo 2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27 novembre 2015, n. 24245) — della sussistenza dei presupposti processuali per l’applicazione dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della I. 24 dicembre 2012, n. 228, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione, se dovuto: anche stavolta, in persona del Ca. in proprio, non potendosi fare carico di un pagamento ad un soggetto non più giuridicamente esistente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna Ne. Ca. in proprio al pagamento delle spese processuali in favore della parte resistente, spese liquidate in curo 200,00 per esborsi, euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese al 15% ed accessori di legge, da distrarsi in favore degli avvocati Mario e Antonio D’Urso, antistatari.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di usi ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2019

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