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Cassazione Civile 13921/2002 – Usucapione da parte del coerede della quota degli altri coeredi

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Sentenza 13921/2002

Usucapione da parte del coerede della quota degli altri coeredi

Il coerede può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri coeredi, senza che sia necessaria una vera e propria interversione del titolo del possesso, esercitando il potere di fatto sul bene in termini di esclusività; a tal fine, peraltro, non è sufficiente che gli altri coeredi si siano astenuti dall’uso del bene in comune, occorrendo che quello fra i coeredi, il quale invochi l’usucapione, abbia goduto del bene stesso in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus”, senza opposizione per il tempo utile ad usucapire; ne’ tale comportamento può consistere solo in atti di gestione del bene comune o in atti tollerati dagli altri coeredi, ne’, infine, rilevano le variazioni catastali che egli abbia ottenuto, ove non provi d’averle portate a conoscenza degli altri compossessori o che questi l’abbiano altrimenti conseguita senza alcuna reazione. L’onere della prova di tale dominio esclusivo sulla “res” comune grava sull’usucapiente.

 

Continuità del possesso

In tema di usucapione, vige la presunzione, posta dall’art. 1142 cod. civ., della continuità del possesso e, pertanto, si determina un’inversione dell’onere della prova, non essendo il possessore, sia che agisca come attore o che resista come convenuto, tenuto a dimostrare la continuità del possesso, ma è onere della controparte che neghi essersi verificata l’usucapione, provare l’intervenuta interruzione. Peraltro, ove il difetto della continuità del possesso risulti “ex actis” dalla produzione della parte che quella continuità invochi, il giudice, anche se l’interruzione non sia stata dedotta dalla controparte ed pur in contumacia della stessa, deve rigettare la domanda o l’eccezione, giacché, in tal caso, non giudica “ultrapetita” in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. rilevando un fatto che avrebbe dovuto essere eccepito ad iniziativa della controparte, bensì si limita a constatare il difetto, risultante dagli atti del giudizio fornitigli dalla parte interessata, di una delle condizioni necessarie all’accoglimento della domanda o dell’eccezione.

Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 25-9-2002, n. 13921   (CED Cassazione 2002)

Art. 1158 cc (Usucapione dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari)

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione 26.10.95, Gi. Ri. – premesso che tra i beni facenti parte dell’asse ereditario relitto dal genitore Fr. Ri. era ricompresa in ragione della metà dell’intero una casa d’abitazione in Cervicati alla via (OMISSIS); che la sorella Vi. Ri., già proprietaria dell’altra metà della detta casa, per atto pubblico 28.12.88 aveva illegittimamente venduto l’intero immobile ad It. Ti. e Ca. Za. al dichiarato prezzo di L. 4.500.000; che tale vendita le era inopponibile in quanto non preceduta ex art. 534 CC dalla trascrizione dell’acquisto a titolo di erede da parte della venditrice – conveniva Vi. Ri. nonché It. Ti. e Ca. Za. innanzi al tribunale di Cosenza onde sentir dichiarare la propria qualità d’erede, l’appartenenza della metà dell’immobile all’asse ereditario, l’annullamento dell’atto pubblico di vendita con condanna degli acquirenti alla restituzione della quota di sua pertinenza dell’immobile, od, in subordine, alla corresponsione della quota spettantele del corrispettivo reale con rivalutazione ed interessi, ovvero ancora, in ulteriore subordine, dichiarare il proprio diritto al subentro nella proprietà del bene previa determinazione del rimborso dovuto ai retrattati sulla base del valore dichiarato. Costituendosi, Vi. Ri. chiedeva il rigetto delle avverse domande eccependo l’intervenuta usucapione in suo favore dell’immobile per cui era causa.
Il Ti. e la Za. rimanevano contumaci.
Con sentenza n. 981/97, l’adito tribunale disponeva la restituzione in favore di Gi. Ri. della quota parte dell’immobile facente parte dell’asse ereditario di Fr. Ri.. Avverso tale decisione Vi. Ri. ed i Ti.-Za. proponevano distinti gravami ai quali resisteva Gi. Ri.. Decidendo sulle cause riunite, la corte d’appello di Catanzaro – ritenuto che le risultanze istruttorie dimostrassero adeguatamente il possesso animo domini ultraventennale pieno ed indisturbato sull’immobile in discussione da parte di Vi. Ri. – accoglieva il gravame ed, in riforma dell’impugnata sentenza, rigettava le originarie domande di Gi. Ri. compensando integralmente le spese d’entrambi i gradi.
Avverso tale decisione Gi. Ri. proponeva ricorso per cassazione con tre motivi.
Resistevano con controricorso Vi. Ri. nonché It. Ti. e Ca. Za., costoro proponendo anche ricorso incidentale con un unico motivo al quale Gi. Ri. resisteva, a sua volta, con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente – denunziando violazione degli artt. 714, 1102, 2697 CC e vizio di motivazione si duole che la corte territoriale abbia desunto da elementi di giudizio che la prevalente giurisprudenza considera inidonei a tale scopo la prova dell’ex adverso pretesa usucapione e di avere mal interpretato le dichiarazioni ch’ella aveva rese in sede d’interrogatorio libero. Con il secondo motivo, la ricorrente – denunziando violazione dell’art. 1158 CC e vizio di motivazione – si duole che la corte territoriale abbia erroneamente interpretato la dichiarazione scritta e con firma autenticata resa nel 1971 dall’altra coerede Ma. Ri., comunque non considerando che da tale epoca a quella della vendita non erano trascorsi vent’anni.
Con il terzo motivo la ricorrente – denunziando violazione degli artt. 1165 e 2944 CC e vizio di motivazione – si duole che la corte territoriale non abbia adeguatamente valutato la scrittura 1.2.71 come prova della permanenza sin’allora del possesso pro quota in capo a ciascuna coerede e come valido atto interruttivo altresì dell’ex adverso vantata usucapione.
I riportati motivi – che, per connessione, possono essere trattati congiuntamente, meritano accoglimento per le ragioni che seguono.
Se è vero, infatti, che il coerede può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri coeredi, senza che sia necessaria una vera e propria interversione del titolo del possesso mediante comportamento oppositivo, esercitando il potere di fatto sul bene in termini di esclusività, è pur vero che, a tal fine, non è sufficiente che gli altri coeredi si siano astenuti dall’uso del bene comune, occorrendo, altresì, che quello tra i coeredi il quale invochi l’usucapione abbia goduto del bene stesso in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare un’inequivoca sua volontà di possedere, uti dominus e non più uti condominus senza opposizione per il tempo utile ad usucapiendum (Cass. 7.7.99 n.7075, 18.2.99 n. 1370, 20.6.96 n. 5687, 12.2.93 n. 1783, 26.11.88 n. 6384). A maggior ragione, qualora il coerede eserciti sul bene facente parte della comunione un possesso separato, utilizzandolo ed amministrandolo in forza del consenso degli altri coeredi, quale mera realizzazione del godimento della propria quota ereditaria, salvo conguaglio in sede di divisione, esercitando poteri inerenti alla sua qualità di comproprietario, tale comportamento è, di per sè solo, inidoneo ad escludere i concorrenti poteri spettanti agli altri coeredi ed a sostituire al compossesso di costoro un suo possesso esclusivo; ove detto coerede intenda, pertanto, invocare l’usucapione, ha l’onere di provare se non che si sia verificata un’interversione del possesso, come pure a volte richiesto (Cass. 31.7.89 n. 6383, 10.8.82 n. 4479) – d’aver quanto meno tenuto un  contegno atto a dimostrare inequivocabilmente l’intervenuto mutamento nell’animus possidendi, con palese manifestazione del volere, diretta tanto ad escludere qualsiasi possibilità per gli altri coeredi d’instaurare un analogo rapporto con il bene stesso, quanto ad esercitare il diritto in via esclusiva (Cass. 18.2.99 n. 1370, 28.4.93 n. 5006, 23.10.90 n. 10294, 26.11.88 n. 6383). A tal fine non possono essere considerati idonei ne’ il disbrigo delle pratiche inerenti alla successione – quali la redazione e presentazione della denunzia, il pagamento delle imposte, il ricorso alla Commissione tributaria, che rappresentano meri atti di natura fiscale ad efficacia conservativa – ne’ l’amministrazione e manutenzione del bene, tutte attività per le quali sussiste una presunzione iuris tantum che l’agente le abbia poste in essere nella sua qualità di coerede e ne abbia anticipate le spese anche relativamente alla quota degli altri coeredi; ne’ rileva ch’egli non abbia agito per il recupero di dette spese, in quanto, permanendo la comunione, può del pari presumersi, sino a prova contraria, che siasi riservato di far valere il relativo credito a conguaglio, in sede di divisione (Cass. 18.2.99 n. 1370); ne’, ancora, rilevano variazioni catastali ch’egli abbia ottenute, ove non provi altresì d’averle portate a conoscenza degli altri compossessori o che questi l’abbiano altrimenti conseguita senza reazione.
Nella specie, la corte territoriale, prendendo, di contro, in considerazione quali elementi d’idonea prova d’un possesso esercitato animo domini dalla Vi. Ri. sull’immobile in discussione deposizioni testimoniali e documenti riconducibili alle categorie d’elementi di giudizio sopra indicate e dimostrativi soltanto d’un’attività gestionale non significativa d’effettivo e rilevante mutamento dell’animus ed, in ogni caso, d’un’esteriorizzazione dello stesso idonea a determinare la possibile reazione dei compossessori ed, in difetto di questa, il decorso del termine utile ad usucapiendum, è indiscutibilmente incorsa nelle violazioni delle norme regolatrici della materia addebitatele dalla ricorrente. Nè le considerazioni apodittiche della corte territoriale sulle dichiarazioni rese da Ma. Ri. e da Gi. Ri. nel 1971 risultano idonee a suffragare la adottata decisione, dal momento che non solo la ritenuta loro valenza probatoria in ordine ad un possesso esercitato dalla Vi. Ri. ad escludendum alios nei confronti degli altri compossessori non è in alcun modo dimostrata in relazione ai rispettivi contenuti, ma, anzi, potendosene desumere la volontà delle dichiaranti di disporre dei beni considerati e della destinataria delle dichiarazioni stesse (o del suo procuratore) di giovarsi della disponibilità delle controparti al fine della regolazione dei rapporti inerenti ai detti beni, risultano, piuttosto, idonee a dimostrare la permanenza all’epoca d’una situazione di compossesso in universum ius esercitato in modo non esclusivo su cespiti separati dai singoli partecipanti alla comunione.
Per il che la motivazione dell’impugnata sentenza sul punto si rammostra non solo del tutto insufficiente ma anche illogica. Il riconoscimento, poi, da parte della Vi. Ri., del diritto delle coeredi di disporre delle quote di pertinenza di ciascuno in sede di divisione secondo il progetto concordato, rappresentava, per il combinato disposto degli artt. 1165 e 2944 CC, un fatto interruttivo della prescrizione acquisitiva che il giudice avrebbe dovuto rilevare d’ufficio riconsiderando, quindi, tutta la vicenda a partire solo dal 1971.
L’art. 1158 CC pone, infatti, tra gli elementi costitutivi dell’usucapione, il protrarsi continuativo del possesso per il previsto periodo, onde l’attore od il convenuto che intendano farsela riconoscere sono onerati della prova di tale continuità ed il giudice, a sua volta, tale continuità deve accertare in quanto condizione per l’accoglimento della domanda o dell’eccezione. Pertanto, se è vero che al possessore il quale deduca, così in agendo come in excipiendo, l’intervenuta usucapione giova la presunzione di possesso intermedio posta dall’art. 1142 CC – per la quale si determina un’inversione dell’onere della prova, non essendo l’attore od il convenuto tenuti a dimostrare la continuità del possesso ma la controparte, che neghi essersi verificata l’usucapione, tenuta a dimostrarne l’intervenuta interruzione – è pur vero che, ove il difetto della continuità del possesso risulti ex actis dalla produzione stessa della parte che quella continuità invoca, il giudice, pur ove l’interruzione non sia stata dedotta dalla controparte ed anche nella contumacia di questa, non può esimersi dal rilevare il difetto d’una condizione d’accoglibilità dell’azione risultante appunto ex actis, giacché, in tal caso, non esorbita dall’ambito della potestas iudicandi in violazione dell’art. 112 CPC rilevando un fatto che avrebbe dovuto formare oggetto
d’eccezione ad iniziativa della controparte interessata, bensì si limita a constatare il difetto, risultante appunto dagli stessi elementi di giudizio fornitigli dalla parte interessata, di una delle condizioni necessarie all’accoglimento della domanda o dell’eccezione: in altri termini, non pone a fondamento della decisione reiettiva della domanda o dell’eccezione d’usucapione la prova d’un fatto interruttivo della continuità del possesso ma l’originario difetto d’una valida allegazione di tale continuità (Cass. 26.10.01 n. 13277 in motivazione).

Il motivo di ricorso incidentale, prospettando questioni sulle quali la corte territoriale non si è pronunziata in quanto irrilevanti rispetto all’adottata decisone, resta assorbito dall’annullamento della decisione stessa.
L’impugnata sentenza va, dunque, annullata in relazione alle ragioni esposte e la causa, di conseguenza, va rimessa per nuovo esame ad altro giudice del merito di secondo grado, che s’indica in altra sezione della medesima corte d’appello di Catanzaro, cui è anche demandato, ex art. 385 CPC, di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
LA CORTE Accoglie il ricorso principale per quanto di ragione, dichiara assorbito il ricorso incidentale, cassa e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della corte d’appello di Catanzaro.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 maggio 2002.
Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2002