Roma, Via Valadier 44 (00193)
o6.6878241
avv.fabiocirulli@libero.it

Cassazione Civile 14014/2017 – Caparra confirmatoria – Risoluzione del contratto

Richiedi un preventivo

Ordinanza 14014/2017

Caparra confirmatoria – Risoluzione del contratto

La risoluzione del contratto di diritto per una delle cause previste dagli artt. 1454, 1455 e 1457 c.c., non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui sia stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l’esercizio della facoltà di recesso ai sensi dell’art. 1385 c.c. per ottenere, invece del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio, poiché dette domande hanno una minore ampiezza rispetto a quella di risoluzione e possono perciò essere proposte anche nel caso in cui si sia verificata di diritto la risoluzione stessa.

Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 6-6-2017, n. 14014   (CED Cassazione 2017)

Art. 1385 cc (Caparra confirmatoria) – Giurisprudenza 

Art. 1454 cc (Diffida ad adempiere) – Giurisprudenza

Art. 1457 cc (Termine essenziale per una delle parti) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1.La (OMISSIS) S.R.L. propone ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 1748/2013, depositata il 22/04/2013, che, accogliendo l’appello formulato da (OMISSIS) e (OMISSIS) contro la sentenza resa in data 10/04/2008 dal TRIBUNALE di MILANO, aveva condannato la (OMISSIS) s.r.l. al pagamento in favore di (OMISSIS) e di (OMISSIS) della somma di Euro 200,000,00, oltre interessi.

(OMISSIS) e di (OMISSIS) resistono con controricorso.

Il giudizio aveva avuto inizio con citazione del 06/04/2007, con la quale (OMISSIS) e (OMISSIS) (promissari acquirenti, in forza di preliminare del 16/07/2003, di immobile sito in (OMISSIS), da destinare a laboratorio, con accessori ad uso cantina ed autorimessa) convenivano davanti al Tribunale di Milano la (OMISSIS) s.r.l. (promittente venditrice, poi denominata (OMISSIS) s.r.l.), per sentir accertare l’inadempimento della controparte e condannare la convenuta a pagare il doppio della caparra confirmatoria versata, ovvero Euro 400.000,00, dedotti Euro 200,000,00 già percepiti grazie all’escussione delle fideiussioni.

Il Tribunale di Milano aveva rigettato la domanda di (OMISSIS) e di (OMISSIS), escludendo che la somma di Euro 200.000,00, indicata nella clausola n. 2 del contratto preliminare, fosse qualificabile come caparra penitenziaria ai sensi dell’art. 1385 c.c., trattandosi, piuttosto, di un acconto prezzo. La Corte d’Appello di Milano, al contrario, considerava come la somma di denaro che una parte corrisponda ad altra al momento della conclusione di un contratto di compravendita possa svolgere una funzione duplice ed alternativa di caparra confirmatoria e di parziale anticipato pagamento. I giudici d’appello consideravano poi la qualità professionale della parte venditrice (impresa costruttrice), l’ammontare della somma pari al 25% del corrispettivo integrale e la circostanza che solo le rate successive fossero state indicate in contratto come meri “acconto prezzo”. Ancora, la Corte d’Appello riteneva la clausola n. 13, che limitava la restituzione alle sole somme versate in acconto prezzo, come circoscritta ad una specifica ipotesi di inadempimento (cambio di destinazione d’uso dell’immobile da laboratorio a residenziale), e perciò tale da non privare di rilevanza la clausola n. 2, relativa alla caparra; nè a smentire la ravvisabilità di una caparra, secondo la Corte di Milano, aveva rilievo il dato che la fideiussione stabilita dai contraenti riguardasse soltanto la restituzione degli acconti prezzo. In definitiva, secondo la sentenza qui impugnata, la pattuizione dedotta in lite rivelava già quell’esigenza di tutela degli acquirenti di immobili da costruire poi disciplinata dal successivo Decreto Legislativo n. 122 del 2005. La Corte di Milano osservava, quindi, che la promittente acquirente aveva chiaramente espresso, sia ante causam che in giudizio, la propria intenzione di esercitare il diritto di recesso per grave inadempimento della controparte, essendo con essa compatibile l’escussione delle polizze fideiussorie a prima richiesta.

2. Il primo motivo di ricorso della (OMISSIS) s.r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c. e la “non corretta motivazione circa la disciplina applicata”. La ricorrente pone in evidenza come la clausola n. 2 del contratto preliminare del 16/07/2003 indicasse dapprima che la somma di Euro 200.000,00 veniva “versata a titolo di caparra confirmatoria e acconto prezzo”, aggiungendo poi qualche rigo sotto l’altra tranche di Euro 250.000,00 “quale ulteriore acconto sul prezzo pattuito”; così poi la clausola n. 13 accordava un diritto di risoluzione con “restituzione di tutte le somme versate in acconto prezzo”. In sostanza, solo nel primo passaggio testuale di parlava di tale duplice valenza come caparra confirmatoria e acconto prezzo, mentre poi in tutte le restanti parti della scrittura compariva il solo riferimento agli acconti. I ricorrenti, dunque, invocano a fini ermeneutici il criterio letterale e il comportamento delle parti e sostengono che, nel dubbio, dovesse intendersi il versamento come avvenuto unicamente a titolo di acconto prezzo.

Il secondo motivo denuncia l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa la previsione della prima corresponsione contrattuale some caparra confirmatoria e non come acconto, criticando gli argomenti al riguardo adoperati dalla Corte d’appello di Milano.

I primi due motivi vanno trattati congiuntamente, in quanto logicamente connessi, e si rivelano infondati.

Sono inammissibili, innanzitutto, le censure che in entrambi i motivi contestano la “non corretta”, “insufficiente” o “contraddittoria” motivazione della sentenza impugnata. Esse vanno invero riferite al parametro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il quale, come riformulato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012, e qui applicabile ratione temporis, contempla soltanto il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo. Ne consegue che tale vizio va denunciato nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, dovendo il ricorrente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”. Non integrano, pertanto, il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le censure di insufficienza o contraddittorietà della motivazione, contenute nei primi due motivi di ricorso. Neppure sono fondate le altre ragioni su cui poggia il primo motivo, giacchè esse si limitano a contrapporre una diversa interpretazione della clausola n. 2 del contratto preliminare rispetto a quella prescelta nel provvedimento gravato. Le prospettate violazioni degli artt. 1362 e ss. c.c., in realtà, sono dirette a suggerire una ricostruzione della volontà negoziale delle parti nel senso che il riferimento letterale da esse fatto alla “caparra confirmatoria” fosse da intendersi inconsapevole o irrilevante. Tuttavia, l’interpretazione accolta nella sentenza impugnata, per essere colpita dal sindacato di legittimità, non deve essere l’unica possibile, o la migliore in astratto, ma soltanto una delle plausibili interpretazioni della clausola in esame (Cass. Sez. 1, 17/03/2014, n. 6125; Cass. Sez. 3, 20/11/2009, n. 24539; Cass. Sez. 1, 02/05/2006, n. 10131).

Peraltro, la Corte d’Appello ha risolto la questione di diritto ad essa rimessa in senso conforme alla giurisprudenza di questa Corte, reputando come la somma di denaro che, all’atto della conclusione del contratto preliminare di compravendita, i promissari acquirenti avevano consegnato alla società promittente venditrice, indicata in contratto come dovuta “a titolo di caparra confirmatoria e acconto prezzo”, dovesse intendersi – alla stregua di un diretto procedimento ermeneutico della cennata espressione contrattuale – impiegata per assolvere alla duplice funzione alternativa della caparra confirmatoria, di preventiva liquidazione del danno, per il caso di inadempimento, ovvero di anticipato parziale pagamento, per l’ipotesi di adempimento, non rinvenendo elementi intrinseci ed estrinseci al contratto (oggetto dell’apprezzamento di fatto che è prerogativa del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità) idonei a far desumere che i contraenti avessero voluto limitare la somma versata, in senso contrario a quanto espressamente dichiarato, ad una funzione di mero acconto del prezzo dovuto (cfr. Cass. Sez. 2, 23/08/1997, n. 7935; Cass. Sez. 3, 30/01/1980, n. 727). Non ha dunque senso invocare il principio per cui nel dubbio se la somma di denaro sia stata versata a titolo di acconto sul prezzo o a titolo di caparra, si deve ritenere che il versamento sia avvenuto a titolo di acconto sul prezzo, in quanto la Corte d’Appello ha raggiunto con certezza la qualificazione dell’anticipato versamento della somma di Euro 200.000,00 come caparra confirmatoria, giacchè diretto a conseguire gli scopi pratici di cui all’art. 1385 c.c., senza fermarsi al mero elemento formale della denominazione in termini di “caparra” del detto versamento anticipato, ma indagando in ordine all’effettiva intenzione delle parti attraverso l’esame del complessivo regolamento contrattuale da esse divisato.

3. Il terzo motivo di ricorso censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 1456 e 1385 c.c. e l’insufficiente e contraddittoria motivazione quanto all’intervenuta risoluzione di diritto ed alla perdita della possibilità di recedere ex art. 1385 c.c., dovendosi reputare il contratto preliminare già risolto di diritto allorchè, nell’ottobre 2005, i promissari acquirenti escussero le due fideiussioni bancarie, attivando la facoltà loro riservata dalla clausola n. 13.

Anche questo motivo è privo di fondamento.

La caparra confirmatoria ha, invero, una funzione eclettica, in quanto è volta a garantire l’esecuzione del contratto, venendo incamerata in caso di inadempimento della controparte, consente, in via di autotutela, di recedere dal contratto senza la necessità di adire il giudice, ed indica la preventiva e forfettaria liquidazione del danno derivante dal recesso cui la parte è stata costretta a causa dell’avverso inadempimento. Solo qualora la parte non inadempiente non eserciti il recesso, e richieda in giudizio l’adempimento ovvero la risoluzione del contratto e l’integrale risarcimento del danno sofferto in base alle regole generali (art. 1385 c.c., comma 3), essa non può incamerare la caparra o esigerne il doppio.

La Corte d’Appello ha accertato in fatto che i promittenti acquirenti avessero inequivocamente esercitato il recesso previsto dall’art. 1385 cod. civ., comma 2 il quale, com’è noto, configura una forma di risoluzione stragiudiziale del contratto, che presuppone l’inadempimento della controparte ed è destinata a divenire operante con la semplice sua comunicazione a quest’ultima (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5095 del 13/03/2015). Neppure rileva il richiamo che i ricorrenti operano alla risoluzione di diritto che si vorrebbe stabilita dalla clausola n. 13 del preliminare, in quanto comunque il verificarsi di un’ipotesi di risoluzione del contratto di diritto (per una delle cause previste dagli artt. 1454, 1455 e 1457 c.c.) non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui sia stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l’esercizio della facoltà di recesso ai sensi dell’art. 1385 c.c. per ottenere, invece del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio, poichè dette domande hanno una minore ampiezza rispetto a quella di risoluzione e possono perciò essere proposte anche nel caso in cui si sia verificata di diritto la risoluzione stessa (Cass. Sez. 2, 25/10/2010, n. 21838; Cass. Sez. 3, 10/02/2003, n. 1952). Analogamente a quanto già affermato a proposito dei primi due motivi, sono poi inammissibili le censure di insufficiente e contraddittoria motivazione, alla luce dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012.

4. Conseguono il rigetto del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione in favore dei controricorrenti, nell’ammontare liquidato in dispositivo.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 aprile 2017.