Ordinanza 14195/2022
Clausola risolutiva espressa – Tolleranza del creditore – Rinuncia tacita ad avvalersene – Esclusione
In tema di clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice non comporta la eliminazione della clausola, né determina la tacita rinuncia ad avvalersene, qualora la stessa parte creditrice, contestualmente o successivamente all’atto di tolleranza, manifesti l’intenzione di volersene avvalere in caso di ulteriore protrazione dell’inadempimento, in quanto con tale manifestazione di volontà, che non richiede forme rituali e può desumersi per fatti concludenti, il creditore comunque richiama il debitore all’esatto adempimento delle proprie obbligazioni.
Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 5-5-2022, n. 14195 (CED Cassazione 2022)
Art. 1456 cc (Clausola risolutiva espressa) – Giurisprudenza
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO
1. Con ricorso ex art. 633 c.p.c., la “Invitalia – Agenzia Nazionale per l’Attrazione degli Investimenti e lo Sviluppo d’Impresa” adiva il Tribunale di Roma.
Esponeva che con contratto in data 15.2.2001 aveva erogato alla ” (OMISSIS)” s.r.l. un finanziamento per la realizzazione di un impianto di allevamento di anguille in acqua dolce.
Esponeva che in dipendenza della risoluzione del finanziamento, correlata alla mancata realizzazione dell’impianto entro il termine contrattualmente previsto, aveva diritto alla restituzione della somma oggetto dell’erogazione finanziaria.
Chiedeva ingiungersi alla ” (OMISSIS)” il pagamento della somma di Euro 628.767,74, oltre interessi convenzionali e spese.
2. Con decreto n. 10014/2006 veniva pronunciata l’ingiunzione.
3. L'” (OMISSIS)” s.r.l. proponeva opposizione.
Deduceva, tra l’altro, che la “Invitalia” aveva di fatto rinunciato ad avvalersi della clausola risolutiva espressa, siccome l’opposta aveva continuato ad erogare le tranches del finanziamento nell’anno successivo alla scadenza del termine previsto in contratto.
Instava per la revoca dell’ingiunzione; chiedeva in riconvenzionale accertarsi il suo diritto ad ottenere la completa erogazione del finanziamento pattuito.
4. Si costituiva la “Invitalia – Agenzia Nazionale per l’Attrazione degli Investimenti e lo Sviluppo d’Impresa”.
Instava per il rigetto dell’opposizione.
5. Con sentenza n. 18549/2011 il Tribunale di Roma rigettava l’opposizione, confermava l’ingiunzione e condannava l’opponente alle spese di lite.
6. Proponeva appello l'” (OMISSIS)” s.r.l..
Resisteva la “Invitalia – Agenzia Nazionale per l’Attrazione degli Investimenti e lo Sviluppo d’Impresa”.
7. Con sentenza n. 4755 del 13.7.2017 la Corte d’Appello di Roma accoglieva il gravame, revocava l’ingiunzione e, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale esperita dall’appellante-opponente, dichiarava che il contratto di finanziamento in data 15.2.2001 non si era risolto per effetto della clausola risolutiva espressa invocata dall’appellata-opposta; condannava l’appellata-opposta alle spese del doppio grado.
Premetteva la corte che, a norma di contratto, l’appellante avrebbe dovuto far luogo alla realizzazione dell’impianto di allevamento entro il mese di gennaio del 2002 e che il mancato rispetto di tale termine avrebbe comportato la risoluzione di diritto ai sensi dell’art. 1456 c.c..
Indi evidenziava che gli esiti di causa davano conto della volontà di “Invitalia”, sintomaticamente palesata dalla condotta tenuta dalla medesima appellata, di rinunciare alla clausola risolutiva espressa ed ancor prima al termine finale previsto in contratto, così prorogandolo sine die.
Evidenziava segnatamente che deponevano in tal senso la circostanza per cui il primo s.a.l. era stato liquidato in data 6.11.2001 a distanza di sette mesi dalla richiesta di ” (OMISSIS)”, la circostanza per cui i lavori relativi al secondo s.a.l. erano stati finanziati con nota di accredito del 3.5.2004, oltre un anno dopo la scadenza del termine previsto per il completamento dell’impianto di allevamento, la circostanza per cui nella corrispondenza intercorsa tra le parti in lite sino alla lettera del 14.7.2004 – per l’allegazione della documentazione attestante la conclusione dell’impianto – non era rinvenibile alcuna sollecitazione all'” (OMISSIS)” ai fini del rispetto del termine contrattuale.
Evidenziava inoltre che, contrariamente all’assunto di “Invitalia”, con la nota del 27.7.2004 la ” (OMISSIS)” si era limitata ad informare controparte della necessità di attendere la fine dell’anno 2004 per il completamento dell’investimento già realizzato al 70%.
8. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la “Invitalia – Agenzia Nazionale per l’Attrazione degli Investimenti e lo Sviluppo d’Impresa”; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.
La ” (OMISSIS)” s.r.l. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.
9. La ricorrente ha depositato memoria.
Del pari ha depositato memoria la controricorrente.
10. Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., comma 1 e art. 1456 c.c..
Deduce che la circostanza per cui il primo s.a.l. è stato liquidato in data 6.11.2001, è del tutto irrilevante, siccome comunque il termine per la realizzazione dell’impianto era stato fissato a gennaio 2002.
Deduce altresì che gli esiti di causa danno ragione univocamente della mancata realizzazione, in via esclusiva per l’incapacità economico/finanziaria della controparte, dell’impianto di allevamento entro il termine – gennaio 2002 – contrattualmente previsto, termine al cui inutile decorso è correlata la clausola risolutiva espressa prefigurata dell’art. 4, comma 3 del contratto.
Deduce dunque che la tolleranza del contraente non inadempiente non importa tacita rinuncia alla clausola risolutiva espressa e non pregiudica la possibilità che il medesimo contraente, qualora l’inadempimento di controparte oltre modo si protragga, se ne avvalga successivamente, così come nella fattispecie è avvenuto mercè l’inoltro della missiva in data 14.7.2004.
Deduce quindi che in chiave ermeneutica la Corte di Roma non ha tenuto in debito conto il comportamento complessivo delle parti.
11. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Deduce che la corte di merito non ha debitamente vagliato il letterale tenore della missiva di diffida del 14.7.2004, con cui ebbe a palesare univocamente la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa correlata al mancato rispetto del termine contrattuale del gennaio 2002.
Deduce altresì che l’effettivo tenore letterale della missiva di diffida del 14.7.2004 viepiù si manifesta alla luce della missiva in data 3.8.2004, con la quale la ” (OMISSIS)” ebbe a rappresentare la propria impossibilità a terminare l’impianto di allevamento, ed alla luce della successiva missiva in data 12.11.2004, con la quale essa ricorrente ebbe a comunicare a controparte la propria delibera, del 20.10.2004, di revoca delle agevolazioni finanziarie in dipendenza della mancata realizzazione del programma di investimenti entro il termine di cui alla Delib. di ammissione.
12. Si rileva, previamente e conformemente all’eccezione in tal senso formulata in memoria dalla ricorrente (cfr. pag. 1), che la ” (OMISSIS)” ha notificato il proprio controricorso in data 3.1.2022, dunque tardivamente, ben oltre il termine di cui dell’art. 370 c.p.c., comma 1 (il ricorso è stato notificato a mezzo p.e.c. in data lunedì 2.10.2017).
In tal guisa non si terrà conto del controricorso (cfr. Cass. sez. lav. 13.5.2010, n. 11619; Cass. 27.5.2005, n. 11275).
E, nel quadro della previsione della seconda parte dell’art. 370 c.p.c., comma 1, neppure si terrà conto della memoria che la ” (OMISSIS)” ha depositato (cfr. Cass. sez. un. 12.3.2003, n. 3602, secondo cui la parte alla quale il ricorso per cassazione è diretto, se intende contraddire deve farlo mediante controricorso da notificare al ricorrente nelle forme e nei termini di cui all’art. 370 c.p.c., comma 1. In mancanza, la detta parte non può presentare memorie ma solamente partecipare alla discussione orale).
13. I motivi di ricorso sono strettamente connessi; se ne giustifica perciò l’esame contestuale; i medesimi motivi comunque sono fondati e meritevoli di accoglimento.
14. Va debitamente premesso l’insegnamento di questa Corte.
Ovvero l’insegnamento secondo cui, in tema di clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice, che si può estrinsecare tanto in un comportamento negativo, quanto in uno positivo (accettazione di un pagamento parziale o tardivo), non determina l’eliminazione della clausola per modificazione della disciplina contrattuale, nè è sufficiente ad integrare una tacita rinuncia ad avvalersene, ove la parte creditrice contestualmente o successivamente all’atto di tolleranza manifesti l’intenzione di avvalersi della clausola in caso di ulteriore protrazione dell’inadempimento (cfr. Cass. 15.7.2005, n. 15026; Cass. 31.10.2013, n. 24564; Cass. (ord.) 6.6.2018, n. 14508, secondo cui la tolleranza del locatore nel ricevere il canone oltre il termine stabilito rende inoperante la clausola risolutiva espressa prevista in un contratto di locazione, la quale riprende la sua efficacia se il creditore, che non intende rinunciare ad avvalersene, provveda, con una nuova manifestazione di volontà, a richiamare il debitore all’esatto adempimento delle sue obbligazioni).
15. Su tale scorta non possono che formularsi i seguenti rilievi.
16. Per un verso – ed al di là dell’irrilevanza, del tutto condivisibilmente rimarcata dalla ricorrente, della prima delle circostanze menzionate nell’impugnato dictum (il riferimento è alla liquidazione del primo s.a.l. in data 6.11.2001 a distanza di sette mesi dalla richiesta di ” (OMISSIS) – è da ritenere che le ulteriori circostanze su cui ha fatto leva la Corte di Roma (cfr. sentenza d’appello, pag. 4), non hanno nè comportato tacita definitiva rinuncia da parte di “Invitalia” ad avvalersi della clausola risolutiva espressa nè pregiudicato o precluso la possibilità che la medesima ricorrente se ne avvalesse successivamente.
Per altro verso, è da riconoscere che la ricorrente si è senz’altro avvalsa della clausola risolutiva espressa con l’inoltro della missiva di diffida del 14.7.2004 e con l’inoltro della successiva missiva del 12.11.2004 (preceduta, quest’ultima, dalla comunicazione della ” (OMISSIS)” del 3.8.2004).
17. Si badi che l’idoneità delle missive del 14.7.2004 e del 12.11.2004 a dar ragione della volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa prefigurata dell’art. 4, comma 3, del contratto di finanziamento in correlazione con l’obbligo di cui al comma 1 – di realizzazione nei termini previsti del progetto approvato – del medesimo art. 4 viepiù si giustifica a fronte dell’insegnamento di questa Corte.
Ossia dell’insegnamento a tenor del quale la dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c., comma 2) può essere resa, senza necessità di formule rituali, anche in maniera implicita, purchè inequivocabile, pure nell’atto di citazione in giudizio per la risoluzione del contratto o in atti giudiziari equipollenti (cfr. Cass. 5.5.1995, n. 4911, ove si soggiunge che la dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva non può, in nessun caso, avere effetto se la controparte (il che non è nella specie) ha già adempiuto alle proprie obbligazioni contrattuali, anche se ciò è avvenuto oltre i termini previsti nel contratto per l’adempimento, atteso che fino a quando il creditore non dichiari di volersi avvalere della detta clausola il debitore può adempiere, seppure tardivamente, la sua obbligazione; Cass. 4.5.2005, n. 9275).
18. Alla stregua dei premessi rilievi sussistono sia il denunciato (con il primo mezzo) “error in iudicando”, sub specie di falsa applicazione dell’art. 1456 c.c., sia il denunciato (con il secondo mezzo) omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
19. In accoglimento, dunque, di ambedue i motivi di ricorso la sentenza n. 4755/2017 della Corte d’Appello di Roma va cassata con rinvio ad altra sezione della stessa corte d’appello anche ai fini della regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
20. In dipendenza specificamente dell’accoglimento del primo motivo a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, all’enunciazione, in ossequio alla previsione dell’art. 384 c.p.c., comma 1, del principio di diritto – al quale ci si dovrà uniformare in sede di rinvio – può farsi luogo per relationem, nei medesimi termini espressi dalle massime desunte dagli insegnamenti di questa Corte dapprima citati.
21. In dipendenza del buon esito del ricorso non sussistono i presupposti perché, ai sensi dell’art. 13, 1° co. quater, d.p.r. n. 115/2002, la ricorrente sia tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma del 10co. bis dell’art. 13 d.p.r. cit.
P.Q.M.
La Corte accoglie ambedue i motivi di ricorso, cassa la sentenza n. 4755 del 13.7.2017 della Corte d’Appello di Roma e rinvia ad altra sezione della stessa corte d’appello anche ai fini della regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 24 gennaio 2022.