Ordinanza 14486/2019
Opposizione a decreto ingiuntivo – Ordinario giudizio di cognizione – Valutazione autonoma della fondatezza della domanda – Necessità – Specifica ed espressa domanda del ricorrente – Esclusione
L’opposizione al decreto ingiuntivo instaura un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice non deve limitarsi ad esaminare se l’ingiunzione sia stata legittimamente emessa, ma deve procedere ad una autonoma valutazione di tutti gli elementi offerti sia dal creditore per dimostrare la fondatezza della propria pretesa dedotta con il ricorso sia dall’opponente per contestarla e, a tal fine, non è necessario che la parte che ha chiesto l’ingiunzione formuli una specifica ed espressa domanda di pronuncia sul merito della pretesa creditoria, essendo sufficiente che resista all’opposizione e chieda conferma del decreto opposto. (Nella specie, la S. C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che si era limitata a revocare il decreto ingiuntivo, senza emettere sentenza di condanna al pagamento della minore somma risultata dovuta, in quanto l’opposto, nel costituirsi, aveva chiesto solo la conferma dell’ingiunzione e non anche l’accertamento del credito per un importo minore).
Cassazione Civile, Sezione 6-Lavoro, Ordinanza 28-5-2019, n. 14486 (CED Cassazione 2019)
Art. 653 cpc (Efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo opposto) – Giurisprudenza
Art. 645 cpc (Opposizione a decreto ingiuntivo) – Giurisprudenza
RILEVATO
che con sentenza del 12-27 maggio 2017 numero 560 la Corte d’ Appello di Campobasso riformava la sentenza del Tribunale della stessa sede e, per l’effetto, accoglieva l’opposizione proposta da (OMISSIS) avverso il decreto ingiuntivo emesso su ricorso dell’INPDAP, (poi INPS) già datore di lavoro della (OMISSIS), per la restituzione della somma di Euro 742,65, che era stata versata in esecuzione della sentenza del TAR MOUSE 39/1997 – riformata dal Consiglio di Stato per difetto di giurisdizione – per rivalutazione monetaria sulla indennità premio di servizio corrisposta in ritardo;
che a fondamento della decisione la Corte territoriale premetteva che la (OMISSIS) era tenuta a restituire la rivalutazione monetaria in forza della transazione intervenuta (in esito al giudizio amministrativo e dopo la proposizione della causa al giudice ordinario), che prevedeva il pagamento da parte dell’INPDAP per accessori sulla indennità premio di servizio pagata in ritardo dei soli interessi legali e non anche della rivalutazione.
Tuttavia, come accertato dal ctu nominato in appello, le somme pretese in restituzione con il decreto ingiuntivo (Euro 742,65) erano superiori a quelle effettivamente corrisposte alla (OMISSIS) per svalutazione monetaria (che ammontavano alla minor somma di Euro 390,28).
Doveva, pertanto, essere revocato il decreto ingiuntivo opposto; non poteva emettersi condanna per la minor somma, in quanto l’ente opposto nel costituirsi aveva chiesto la conferma del decreto ingiuntivo e non anche l’accertamento del credito per un minore importo; soltanto nel grado di appello aveva richiesto inammissibilmente l’eventuale rideterminazione del proprio credito.
Le spese del grado dovevano essere compensate e le spese della CTU poste a carico dell’INPS, che aveva dato causa al calcolo erroneo;
che avverso la sentenza ha proposto ricorso l’INPS, articolato in due motivi, cui ha opposto difese (OMISSIS) con controricorso;
che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti -unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;
che la parte controricorrente ha depositato memoria ed ha chiesto la riunione del presente giudizio al procedimento n. 2109/2015 RG.
CONSIDERATO
che l’Inps ha dedotto:
– con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione dell’art. 653 c.p.c., in relazione all’art. 111 Cost., comma 7, ed al CEDU, art. 6.
Ha impugnato la sentenza per aver fatto discendere l’accoglimento totale dell’opposizione dalla mancanza di una specifica richiesta, nella memoria difensiva del giudizio di opposizione, di accertamento della pretesa creditoria in un importo diverso da quello ingiunto.
con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione alla violazione dei principi di cui all’art. 111 Cost., comma 7, ed al CEDU, art. 6.
Con il motivo si impugna la pronuncia di condanna alla rifusione delle spese di consulenza tecnica evidenziandosi che l’Inps, creditore opposto, il cui credito era stato riconosciuto, seppur in parte, non era parte soccombente.
che preliminarmente deve darsi atto:
– che con il controricorso la (OMISSIS) ha contestato la correttezza delle valutazioni del c.t.u. sul quantum dovuto in restituzione, assumendo:
– da un canto, la erronea determinazione da parte del ctu delle somme ricevute in pagamento per rivalutazione monetaria con i due mandati dell’anno 1997 (n. 51 e n. 60);
– inoltre, la indebita considerazione da parte del ctu anche del successivo mandato di pagamento dell’anno 2001 (n. 11369), che riguardava l’esecuzione del giudicato (sentenza del Tribunale di Campobasso numero 531/2000, divenuta definitiva) relativo ad altro e diverso giudizio tra le stesse parti; tale contenzioso aveva ad oggetto il ricalcolo della indennità premio di servizio con inclusione nella base di computo della voce “premio di produttività”. La somma pagata nel 2001 costituiva pagamento della sorta capitale liquidata nel giudicato (sentenza n. 531/2000). La questione, oltre tutto, era pendente davanti a questa Corte (nel proc. n. 2109/2015) ed i due procedimenti dovevano essere trattati congiuntamente.
che ritiene la Corte debba essere disattesa la istanza della controricorrente di rinvio dell’odierno procedimento per la trattazione congiunta con il procedimento n. 2109/2015, proposto dalla stessa (OMISSIS) unitamente ai dipendenti (OMISSIS) e (OMISSIS);
che, invero, tale diverso procedimento ha ad oggetto la opposizione proposta dall’INPS avverso il precetto notificato dai tre dipendenti suddetti per la esecuzione del giudicato (sentenza del Tribunale di Campobasso n. 731/2000) di condanna dell’INPS al ricalcolo della indennità premio di servizio (con l’inclusione del premio di produttività) ed al pagamento delle differenze maturate, oltre accessori. In codesto procedimento si discute del carattere satisfattivo del pagamento compiuto dall’INPS in esecuzione del giudicato o piuttosto, come i dipendenti assumono con il precetto, della mancata esecuzione del giudicato quanto agli importi maturati per svalutazione ed interessi.
La premessa in fatto è utile a comprendere la diversità del petitum e della causa petendi della opposizione a precetto, per cui pende il proc. n. 2109/2015, rispetto all’attuale procedimento. è oggetto della causa odierna la quantificazione del credito dell’INPS per la restituzione della svalutazione monetaria corrisposta sulla indennità premio di servizio come inizialmente liquidata; detto obbligo di restituzione deriva dalla transazione pacificamente conclusa tra le parti.
Le ragioni di connessione tra i due giudizi addotte dalla controricorrente consistono:
– nella compensazione finale tra i due crediti contrapposti all’esito delle rispettive quantificazioni;
– nei motivi di contestazione della controricorrente in ordine al calcolo del ctu posto a base della sentenza impugnata: la controricorrente assume che il ctu avrebbe conteggiato in eccesso le somme corrisposte per svalutazione – e quindi dovute in restituzione – includendo pagamenti intervenuti per il diverso titolo del ricalcolo della indennità premio di servizio.
Sul punto si osserva rispettivamente:
– che i due giudizi sono rimasti distinti nelle fasi di merito sicchè non può recuperarsi in questa sede di legittimità la richiesta di un computo unico dei crediti contrapposti;
– che la eventuale erroneità del calcolo della svalutazione ricevuta indebitamente è questione di fatto, che potrà essere dedotta dalla (OMISSIS) al giudice del merito in sede di giudizio di rinvio;
che, venendo alle ragioni di censura, deve essere accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo;
che, per pacifica giurisprudenza di questa Corte (ex aliis: Cassazione civile sez. II 27/09/2013, n. 22281, Cass. n. 20613/2011; n. 9021/2005) l’opposizione a decreto ingiuntivo instaura un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice non deve limitarsi ad esaminare se l’ingiunzione sia stata legittimamente emessa ma deve procedere ad un’autonoma valutazione di tutti gli elementi offerti sia dal creditore, per dimostrare la fondatezza della pretesa fatta valere con il ricorso, sia dell’opponente per contestarla; a tal fine, non è necessario che la parte che chiede l’ingiunzione formuli una specifica ed espressa domanda per ottenere una pronuncia sul merito della propria pretesa creditoria, essendo, invece, sufficiente che resista alla proposta opposizione e chieda la conferma del decreto opposto. Invero, con la notificazione del ricorso per decreto ingiuntivo il creditore propone domanda di condanna per l’intero importo ingiunto (cfr. art. 643 c.p.c.); tale essendo l’oggetto del giudizio, il giudice della opposizione, ove ritenga il credito solo parzialmente fondato, deve revocare il decreto ingiuntivo ed emettere condanna per il minor importo, come si evince anche dall’art. 653 c.p.c., comma 2.
La Corte territoriale, ritenendo necessaria una domanda dell’opposto “di accertamento della pretesa creditoria di eventuale diverso importo”, non si è attenuta al principio sopra esposto;
che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, la sentenza impugnata deve essere cassata con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., in accoglimento del primo motivo del ricorso, restando assorbito il secondo, relativo alla attribuzione del carico delle spese;
che la causa va rinviata alla Corte d’Appello di Bari, che si atterrà nella decisione al principio qui ribadito e provvederà, altresì, alla disciplina delle spese del presente grado.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Bari.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale del 23 gennaio 2019.