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Cassazione Civile 14601/2020 – Esecuzione forzata intrapresa in forza di un titolo esecutivo giudiziale non definitivo – Caducazione titolo esecutivo successiva alla conclusione dell’esecuzione

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Sentenza 14601/2020

 

Esecuzione forzata intrapresa in forza di un titolo esecutivo giudiziale non definitivo – Caducazione titolo esecutivo successiva alla conclusione dell’esecuzione – Rimedi in favore del debitore

Nel caso di azione esecutiva intrapresa in forza di un titolo giudiziale provvisoriamente esecutivo, la caducazione dello stesso in epoca successiva alla fruttuosa conclusione dell’esecuzione forzata legittima il debitore che l’abbia subita a promuovere nei confronti del creditore procedente un autonomo giudizio per la ripetizione dell’indebito che, avendo ad oggetto un credito fondato su prova scritta, può assumere le forme del procedimento d’ingiunzione.

Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 9-7-2020, n. 14601   (CED Cassazione 2020)

Art. 2033 cc (Indebito oggettivo) – Giurisprudenza

Art. 633 cpc (Condizioni ammissibilità decreto ingiuntivo) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

Gianni Persio chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Rieti, nei confronti del Condominio “Belvedere Tre Faggi” di Terminillo, un decreto ingiuntivo, dichiarato provvisoriamente esecutivo, per spettanze professionali per l’importo complessivo di lire 142.188.305,00 (oggi pari ad euro 73.434,13). Il Condominio proponeva opposizione.

Nel frattempo, il Persio portava ad esecuzione detto decreto, così conseguendo, mediante l’intervento in due procedure esecutive, la somma complessiva di euro 83.671,55.

All’esito del giudizio d’opposizione al decreto ingiuntivo, il Tribunale di Rieti riduceva il credito del Persio ad euro 40.000,00; statuizione poi confermata in grado d’appello.

Il Condominio, quindi, chiedeva ed otteneva a sua volta un decreto ingiuntivo nei confronti del Persio per conseguire la restituzione della differenza tra la somma corrisposta in sede esecutiva e quella rideterminata dal giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo. L’ingiunto proponeva opposizione, ma il Tribunale di Rieti confermava il provvedimento monitorio opposto.

Il Persio impugnava la decisione e la Corte d’Appello di Roma, dando atto dell’adempimento nel frattempo intervenuto, revocava il decreto ingiuntivo opposto, compensando le spese legali.

Avverso tale sentenza Gianni Persio ha proposto ricorso per cassazione per cinque motivi. Il Condominio “Belvedere Tre Faggi” ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è denunciata la nullità della sentenza per motivazione apparente, in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. Ad avviso del ricorrente la motivazione della sentenza impugnata sarebbe insufficiente a palesare l’iter logico seguito dalla Corte d’appello nell’adozione della propria decisione.

Il motivo è manifestamente infondato.

Il Persio aveva chiesto che fosse dichiarata l’inammissibilità della domanda restitutoria proposta dal Condominio, in quanto preclusa al debitore espropriato dopo la chiusura del procedimento di esecuzione forzata. La Corte d’Appello ha respinto l’eccezione, ritenendo che le ordinanze di assegnazione non potevano essere opposte, in quanto al tempo erano perfettamente congruenti con il titolo azionato in executivis e quindi legittime. Pertanto, il rimedio non poteva che essere costituito dall’azione di ripetizione (pag. 5-6).

Dunque, la sentenza della corte territoriale si sofferma ampiamente sull’eccezione di inamrnissibilità proposta dal Persio, con motivazione che non può dirsi afflitta dai vizi censurabili ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.

2.1 Con il secondo motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 cod. civ. e degli artt.327 e 346 cod. proc. civ.

Il ricorrente sostiene che la definitività dell’ordinanza di assegnazione, atto conclusivo del procedimento esecutivo, è incompatibile con la revocabilità della stessa nonché con qualsiasi azione autonoma di restituzione, unico rimedio dovendosi riconoscere nella tempestiva opposizione agli atti esecutivi. Ad avviso del ricorrente, infatti, il Condominio avrebbe dovuto procedere ad impugnare ai sensi dell’art. 617 cod. proc. civ. le ordinanze di assegnazione pronunciate nelle procedure esecutive del Tribunale di Rieti nn. 150/99 e 161/95, e non proporre successivo e separato giudizio di ripetizione dell’indebito.

Il motivo è infondato.

2.2 La Cassazione ha costantemente affermato il principio secondo cui il debitore espropriato non può esperire, dopo la chiusura del procedimento di esecuzione forzata, l’azione di ripetizione dell’indebito contro il creditore procedente per ottenere la restituzione di quanto costui abbia riscosso, sul presupposto dell’illegittimità per motivi sostanziali dell’esecuzione forzata, atteso che la legge, pur non attribuendo efficacia di giudicato al provvedimento conclusivo del procedimento esecutivo, tuttavia sancisce la irrevocabilità dei relativi provvedimenti una volta che essi abbiano avuto esecuzione (art. 487 cod. proc. civ.), sicché la proposizione dell’azione di ripetizione dopo la conclusione dell’esecuzione e la scadenza dei termini per le relative opposizioni sarebbe in contrasto con i principi ispiratori del sistema e con le regole specifiche sui modi e sui termini delle opposizioni esecutive, con la conseguenza che la eventuale restituzione, successivamente all’esecuzione forzata, è correlabile solo ad una perdita di validità della procedura esecutiva legalmente accertata (il principio può farsi risalire a: Sez. 3, Sentenza n. 2434 del 03/07/1969, Rv. 341927 – 01; più di recente: Sez. 3, Ordinanza n. 29347 del 13/11/2019, Rv. 655796 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4263 del 13/02/2019, Rv. 653008 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 26927 del 24/10/2018, Rv. 650910 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 20994 del 23/08/2018, Rv. 650324 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 17371 del 18/08/2011, Rv. 619121 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 26078 del 30/11/2005, Rv. 585545 – 01; Sez. L, Sentenza n. 7036 del 08/05/2003, Rv. 562782 – 01).

Tale principio va tenuto fermo, ma armonizzato con quelli in tema di esecuzione forzata in base a titolo giudiziale non definitivo. Occorre, quindi, considerare che il decreto ingiuntivo ottenuto dal Persio, azionato quale titolo, non era ancora definitivo e che, a seguito dell’opposizione interposta dal Condominio, è stato poi revocato dal Tribunale, che ha ridotto il credito del Persio dall’importo originario di euro 73.434,13 a quello di euro 40.000,00.

Orbene, così come è pacifico che la caducazione del titolo esecutivo di formazione giudiziale determina la nullità dell’azione esecutiva che su esso di fonda e la perdita di efficacia degli atti fino a quel momento compiuti, effetto corrispondente deve ritenersi prodotto nel caso in cui il titolo, solo provvisoriamente munito di forza esecutiva ed azionato a suo rischio dal creditore procedente, viene meno in un momento successivo alla conclusione del processo esecutivo.

Non viene in rilievo qui né il potere del giudice dell’esecuzione di revocare i propri provvedimenti non ancora eseguiti, ai sensi dell’art. 487, primo comma, cod. proc. civ.; né la necessità di opporre gli atti esecutivi nei termini, oramai scaduti, di cui all’art. 617 cod. proc. civ. La “neutralizzazione” degli effetti dell’ordinanza di assegnazione nel caso di successiva revoca del titolo esecutivo rappresenta una conseguenza naturale della facoltà di agire in base all’esecutività, anche soltanto provvisoria, dei provvedimenti giudiziari, di cui essi sono, di regola, muniti. Ma, proprio per l’intangibilità degli atti esecutivi dei processi già conclusi, la sopravvenuta revoca del titolo esecutivo giudiziale non definitivo non determina la cessazione degli effetti degli atti espropriativi, ma dà luogo ad un distinto obbligo restitutorio, per l’attuazione del quale colui che voglia recuperare quanto gli è stato espropriato deve munirsi, a sua volta, di un titolo esecutivo.

2.3 Dunque, il motivo è infondato, dovendosi applicare il seguente principio di diritto:

“Soltanto in caso di azione esecutiva intrapresa in forza di un titolo giudiziale provvisoriamente esecutivo la caducazione dello stesso in un momento successivo alla fruttuosa conclusione dell’espropriazione forzata legittima il debitore che l’abbia subita a promuovere nei confronti del creditore procedente un autonomo giudizio di ripetizione di indebito, che, essendo fondato su prova scritta, può avere inizio anche mediante la presentazione di ricorso per decreto ingiuntivo”.

3.1 Con il terzo motivo è censurata la violazione e falsa applicazione dell’art. 346 cod. proc. civ.: ritiene il ricorrente che il Condominio avrebbe dovuto chiedere la restituzione delle somme nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dal Persio; non avendo fatto cìò, l’azione di ripetizione dell’indebito sarebbe inammissibile in quanto coperta da preclusione.

Ad avviso del Persio, infatti, la domanda di restituzione doveva ritenersi implicita nella proposizione dell’opposizione al decreto ingiuntivo. Poiché il giudice dell’opposizione non si era pronunciato sul punto, la domanda di ripetizione, non accolta in primo grado, avrebbe dovuto essere riproposta dal Condominio ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ nel giudizio d’appello. Ciò non è avvenuto, con conseguente preclusione – ed inammissibilità – della domanda di ripetizione dell’indebito in un autonomo giudizio.

3.2 II motivo è infondato.

Infatti, il principio secondo cui il diritto alla restituzione delle somme pagate in esecuzione di una sentenza provvisoriamente esecutiva, successivamente riformata in appello, sorge, ai sensi dell’art. 336 cod. proc. civ., per il solo fatto della riforma della sentenza e può essere fatto valere immediatamente, se del caso anche con procedimento monitorio, trova applicazione in via estensiva nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, che si concludono con la revoca del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. In tali ipotesi, la domanda di restituzione può essere formulata davanti al giudice dell’opposizione, ovvero anche separatamente; in quest’ultima ipotesi il relativo giudizio non deve essere sospeso in attesa della definizione di quello di opposizione, perché la restituzione non è subordinata al passaggio in giudicato della revoca del decreto (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 30389 del 21/11/2019, Rv. 656254 – 01).

4.1 Con il quarto motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2033, 2697 e 2928 cod. civ.

La Corte d’appello ha accolto la domanda di ripetizione dell’indebito, rigettando le censure del Persio circa la mancata prova del credito del Condominio. A tal proposito ha affermato che l’ordinanza di assegnazione in favore del Persio «fa presumere la prova dell’effettivo incasso», in quanto atto dell’autorità gíudiziaria; in tale contesto, prosegue la corte di merito, «doveva essere l’appellante a dimostrare di non aver incassato le somme; a tal fine era sufficiente una certificazione della cancelleria attestante tale fatto» e «aggiungasi […] che era proprio l’appellante a poter conoscere tale circostanza».

Ritiene il ricorrente che tali argomenti siano errati, sia in quanto l’ordinanza di assegnazione non ha efficacia solutoria, sia poiché costituiscono un’illegittima sovversione dell’onere probatorio.

4.2 II motivo è fondato.

Nella ripetizione di indebito, infatti, opera il normale principio dell’onere della prova a carico dell’attore il quale, quindi, è tenuto a dimostrare tanto l’avvenuto pagamento, quanto la mancanza di una causa che lo giustifichi (Sez. 2, Sentenza n. 30713 del 27/11/2018, Rv. 651530 – 02).

Né la prova presuntiva può desumersi dalla natura giudiziale dell’ordinanza di assegnazione di crediti. Infatti, ai sensi dell’art.2928 cod. civ., se oggetto dell’assegnazione è un credito, il diritto dell’assegnatario verso il debitore che ha subito l’espropriazione non si estingue che con la riscossione del credito assegnato. Tale previsione trova riscontro nell’art. 553, primo comma, cod. proc. civ., secondo cui le somme vengono assegnate al creditore «salvo esazione». In sostanza, nell’espropriazione presso terzi l’ordinanza di assegnazione è pro solvendo e non genera alcuna presunzione di effettivo incasso.

Anche l’applicazione del principio della “vicinanza della prova” risulta erronea, in quanto conduce ad una sostanziale ingiustificata inversione dell’onere probatorio; peraltro, tale applicazione tradisce uno dei corollari dello stesso principio di vicinanza della prova, secondo il quale negativa non sunt probanda: nella prospettazione della Corte d’appello, infatti, spetterebbe al convenuto di provare di non aver ricevuto il pagamento.

5. Con il quinto motivo il Persio si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1210, 1297 e 2033 cod. civ. La questione riguarda il regime del decorso degli interessi sulle somme percepite in eccesso dal creditore.

Il motivo è fondato.

La Corte d’appello ha fatto applicazione della disciplina della mora credendi (art. 1206 e segg. cod. civ.) per dimostrare che le somme assegnate dal giudice dell’esecuzione costituissero a tutti gli effetti un pagamento; pagamento che deve ritenersi, quindi, provato, ai fini dell’azione ex 2033 cod. civ. Ma, come già detto, l’ordinanza di assegnazione non può costituire prova dell’incasso delle somme.

In secondo luogo, non risulta in alcun modo provata la «messa a disposizione delle somme» da parte del debitore, cui il giudice di merito fa riferimento.

Infine, la disciplina dell’art. 1207 e segg. (in particolare l’art. 1210) cod. civ. ricollega a precise formalità la liberazione del debitore dalla sua obbligazione; formalità che nel caso di specie non sono state allegate o provate.

6. Ne consegue l’accoglimento del quarto e del quinto motivo di ricorso, con rigetto nel resto e conseguente cassazione, in relazione alle censure accolte, della gravata sentenza; il giudice del rinvio, che si individua nella medesima corte territoriale, ma in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

7. Poiché il ricorso è stato parzialmente accolto, non sussistono i presupposti processuali per l’applicazione dell’art. 13, comma 1- quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.

P.Q.M.

accoglie il quarto e quinto motivo di ricorso; rigetta nel resto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2020.