Ordinanza 14722/2018
Notificazione a mezzo posta art. 7 legge n. 890 del 1982 – Consegna dell’atto a persona diversa dal destinatario – Differenza rispetto ai procedimenti di cui agli artt. 140 cpc
è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 legge n. 890 del 1982, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non richiede, per il perfezionamento della notifica a mezzo posta effettuata mediante consegna dell’atto a persona diversa dal destinatario, la “ricezione” della raccomandata cd. informativa, come invece previsto nel caso di notifica a persone irreperibili ex artt. 140 c.p.c. ed 8, comma 2, legge n. 890 del 1982, atteso che la mancata estensione alla notifica, eseguita ai sensi del citato art. 7, degli interventi additivi richiesti dalla Corte costituzionale (sent. n. 3 del 2010), al fine di equiparare i procedimenti notificatori di cui agli artt. 140 c.p.c. ed 8, comma 2, legge n. 890 del 1982, trova ragione nella evidente diversità fenomenica contemplata dalle norme in comparazione – nell’un caso essendo stata eseguita la consegna dell’atto a persona abilitata e riceverlo, nell’altro difettando del tutto la materiale consegna dell’atto notificando – cui consegue la diversità degli adempimenti necessari al perfezionamento delle rispettive fattispecie notificatorie, nella prima ipotesi costituiti dalla sola “spedizione” della raccomandata, nell’altra occorrendo un “quid pluris” inteso a compensare il maggior deficit di conoscibilità, costituito dalla effettiva ricezione della raccomandata, ovvero, in assenza di ricezione, dal decorso di dieci giorni dalla data di spedizione della raccomandata con avviso di ricevimento.
Processo con pluralità di parti – Notifica della sentenza ad istanza di una sola parte – Decorrenza del termine breve anche nei confronti di tutte le altre parti
Nei processi con pluralità di parti, quando si configuri l’ipotesi di litisconsorzio necessario, ovvero di litisconsorzio processuale (cd. litisconsorzio “unitario o quasi necessario”), è applicabile la regola, propria delle cause inscindibili, dell’unitarietà del termine per proporre impugnazione, con la conseguenza che la notifica della sentenza eseguita da una delle parti segna, nei confronti della stessa e della parte destinataria della notificazione, l’inizio del termine breve per impugnare contro tutte le altre parti, sicché la decadenza dall’impugnazione per scadenza del termine esplica effetto nei confronti di tutte le parti.
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 7-6-2018, n. 14722 (CED Cassazione 2018)
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Parma con sentenza in data 6.12.2013 ha condannato il Comune di Parma a risarcire il danno subito da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ed ha rigettato la domanda di garanzia impropria proposta dall’ente locale nei confronti delle società assicuratrici chiamate in causa. L’appello principale proposto dal Comune è stato dichiarato inammissibile, con sentenza in data 13.12.2013, dalla Corte d’appello di Bologna, in quanto l’atto risultava consegnato per la notifica a mezzo posta all’Ufficiale giudiziario in data 19.4.2013 e quindi il giorno successivo alla scadenza del termine utile ex art. 325 c.p.c. per la proposizione dell’appello, decorrente dalla notifica della sentenza impugnata, ricevuta dal Comune in data 19.3.2013. La Corte territoriale dichiarava altresi’ inammissibile l’appello incidentale in quanto proposto da (OMISSIS) s.p.a. oltre il termine perentorio ex art. 166 c.p.c. cui rinviava l’art. 343 c.p.c..
Avverso la sentenza d’appello, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Parma deducendo quattro motivi.
Hanno resistito gli intimati notificando i rispettivi controricorsi.
Il Comune ricorrente principale ha depositato memoria illustrativa ex art. 380 bis.1 c.p.c.
Il Pubblico Ministero ha rassegnato conclusioni scritte, instando per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il Collegio ha raccomandato la redazione della motivazione in forma semplificata.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
Questa Corte ha statuito che “L’applicazione al giudizio di appello della disciplina di cui all’art. 281-sexies c.p.c., che prevede la decisione a seguito di trattazione orale, è stata espressamente prevista dall’art. 352 c.p.c., 6 ed u.c. come novellato dalla legge 12 novembre 2011, n. 183, art. 27, comma 1, con decorrenza dal 10 febbraio 2012, ossia decorsi 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge (come stabilito dal comma 2 dello stesso art. 27 citato), che è stata fissata, dalla medesima legge n. 183, art. 30 al 1 gennaio 2012. In difetto di ulteriori specificazioni da parte della norma novellatrice, l’introdotta disposizione di cui all’art. 352 codice di rito, comma 6 trova applicazione nel corso dei giudizi di appello alla data del 10 febbraio 2012 (avendo reso ormai superflua la valutazione di compatibilità dell’art. 281-sexies c.p.c. prevista dall’art. 359 stesso codice; cfr., in motivazione, Cass., 19 maggio 2015, n. 10198), cosi’ da facoltizzare il giudice di appello, dalla predetta data, a “pronunciare sentenza al termine della discussione, dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”. (Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 20124 del 07/10/2015, in motivazione).
Ne segue che l’applicabilità dell’art. 281 sexies c.p.c., cui rinvia l’art. 352 c.p.c., comma 6, esclude qualsiasi rilevanza alla “opposizione” ed alla istanza della parte volta ad ottenere l’assegnazione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, atteso che la “ratio legis” posta a fondamento della norma semplificativa della fase della decisione del processo, preordinata alla riduzione dei tempi del giudizio, è proprio quella di escludere tutte le ulteriori attività che, nella forma ordinaria del processo – o d’ufficio o su istanza di parte – conseguono alla precisazione delle conclusioni (scambio disposto dal Giudice degli scritti difensivi: art. 281 quinquies c.p.c., comma 1, ed art. 352 c.p.c., comma 1; discussione orale su istanza di parte previo scambio delle sole comparse conclusionali: art. 281 quinquies c.p.c., comma 2, ed art. 352 c.p.c., comma 5, in relazione all’appello proposto avanti il Tribunale; discussione orale su istanza di parte, previso degli scritti difensivi ex art. 190 c.p.c., nel caso di giudizio proposto avanti la Corte d’appello: art. 352 c.p.c., commi 2-4). l’art. 281 sexies c.p.c., infatti, rimette al Giudice la valutazione della opportunità della immediata discussione orale della causa alla medesima udienza rinviata per la precisazione delle conclusioni, ovvero alla udienza immediatamente successiva, se cosi’ richiesto da una delle parti.
Inconferente il precedente giurisprudenziale (Corte cass. 22190/2013) citato dal Comune ricorrente, in quanto concernente fattispecie cui non era applicabile “ratione temporis” la disposizione dell’art. 352 c.p.c., comma 6 introdotta dalla legge n. 183 del 2011.
Come emerge dal verbale di udienza in data 13.12.2013 il difensore del Comune aveva chiesto l’assegnazione dei termini ai sensi dell’art. 190 c.p.c., e correttamente la Corte d’appello non ha ritenuto di concedere i termini esercitando il potere discrezionale ad essa riservato dalla norma, essendo appena il caso di rilevare che, in difetto di alcuna istanza di rinvio di udienza formulata dalle parti, nessun rinvio di udienza doveva essere disposto.
Il secondo motivo (violazione artt. 325 e 326 c.p.c. in relazione alla legge n. 890 del 1982, art. 7) è palesemente inammissibile ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., n. 1), avendo la Corte d’appello pronunciato in conformità ai principi enunciati dalla Corte Suprema di cassazione.
Costituiscono fatti incontestati, rilevati dallo stesso ricorso e dalla sentenza impugnata, in quanto riferiti o non smentiti dallo stesso Comune ricorrente:
– che la sentenza del Tribunale è stata notificata a mezzo posta, a cura delle parti vittoriose nel merito, nel domicilio eletto dal Comune presso lo studio del proprio difensore avv. (OMISSIS);
– che l’agente postale, in assenza del difensore, ha provveduto in data 19.3.2013 alla consegna del piego al portiere dello stabile, e quindi a spedire la raccomandata “cd. informativa” prescritta dalla legge n. 890 del 1982, art. 7, comma 6, (introdotto dal Decreto Legge n. 248 del 2007, art. 36, comma 2 quater, conv. con modif. in legge n. 31 del 2008), secondo quanto risulta dalla cartolina AR depositata in atti – che l’atto di appello è stato consegnato dal Comune all’Ufficiale giudiziario per la notificazione in data 19.4.2013.
Orbene la notifica “a mezzo posta” effettuata al portiere dello stabile o ad altra persona tenuta ad effettuare il servizio di distribuzione della posta, in assenza del destinatario ed in mancanza delle altre persone abilitate a ricevere la consegna dell’atto (persona di famiglia che risulti convivente anche temporaneamente; persona addetta alla casa od al servizio del destinatario, in ogni caso non manifestamente incapace o minore di anni quattrodici), è disciplinata dalla legge n. 890 del 1982, art. 7, commi 3-6, e trova il corrispondente nella notifica eseguita dall’Ufficiale giudiziario, ai sensi dell’art. 139 c.p.c., commi 3 e 4, (che estende, peraltro, l’abilitazione alla consegna anche al “vicino di casa che accetti di riceverla”). In entrambi i casi il portiere (od il vicino di casa) sono tenuti a fornire ricevuta scritta della consegna dell’atto giudiziario, sottoscrivendo apposita dichiarazione rilasciata all’Ufficiale giudiziario (art. 139 c.p.c., comma 4), ovvero – il portiere – sottoscrivendo, con l’indicazione della qualità rivestita, “l’avviso di ricevimento” (cartolina AR) ed “il registro di consegna” esibitigli dall’agente postale (legge n. 890 del 1982, art. 7, comma 4).
In entrambi i casi la legge richiede, al fine di realizzare la conoscibilità dell’atto compensando in tal modo il progressivo allontanamento dell’atto recapitato dalla sfera di controllo del destinatario finale (sfera di controllo che secondo l'”id quod plerumque accidit” deve ritenersi tanto maggiore quanto è più intensa la relazione di vicinanza del destinatario con la persona abilitata a ricevere l’atto), che della effettuata consegna al portiere (od al vicino di casa) venga dato avviso con “lettera raccomandata” al “destinatario” (art. 139 c.p.c., comma 4; legge n. 890 del 1982, art. 7, comma 6), essendo stato evidenziato, in proposito, che l’estensione di tale ulteriore adempimento, prevista dalla legge n. 890 del 1982, art. 7 anche nel caso di consegna dell’atto “a persona di famiglia o addetta alla casa o al servizio”, dunque a soggetti che presentano ancor più stretti legami con il destinatario finale che non il portiere dello stabile (od al vicino di casa), trova unica giustificazione nella diversa competenza professionale dell’organo della notifica (Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 10554 del 22/05/2015).
Occorre rilevare come in entrambi i casi la legge non richiede che la notizia dell’avvenuto recapito dell’atto sia data con “raccomandata con avviso di ricevimento”, adempimento invece richiesto espressamente nel caso di notifica a “persone irreperibili” ex art. 140 c.p.c. ed legge n. 890 del 1982, art. 8, comma 2: la “ratio legis” va rinvenuta nel criterio, seguito dal Legislatore, volto ad integrare progressivamente gli elementi della fattispecie notificatoria, che viene ad arricchirsi di ulteriori adempimenti tanto più decresce la oggettiva possibilità che l’atto pervenga nella sfera di conoscibilità del destinatario. Evidente, pertanto, appare la diversità fenomenica contemplata dalle norme in comparazione (Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 10554 del 22/05/2015; id. Sez. L, Sentenza n. 12438 del 16/06/2016), nell’un caso essendo stata materialmente eseguita la consegna dell’atto a persona abilitata a riceverlo (art. 139 c.p.c., comma 3; legge n. 890 del 1982, art. 7, comma 3), nell’altro caso difettando del tutto la materiale consegna dell’atto notificando (art. 140 c.p.c.; legge n. 890 del 1982, art. 8, comma 2).
Ne segue che, nel primo caso, deve ritenersi elemento necessario al perfezionamento della fattispecie notificatoria – volto a realizzare la conoscenza legale – la “spedizione della raccomandata” cd. informativa, in assenza della quale la notifica è viziata da nullità (cfr. per quanto concerne l’art. 139 c.p.c., comma 4; Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 17915 del 30/06/2008; id. Sez. 2, Sentenza n. 7667 del 30/03/2009; id. Sez. U -, Ordinanza interlocutoria n. 18992 del 31/07/2017, in motivazione. Per quanto concerne la legge n. 890 del 1982, art. 7, comma 6: Corte cass. Sez. 5, Ordinanza interlocutoria n. 1366 del 25/01/2010; id. Sez. Lav., 21 agosto 2013, n. 19366; id. Sez. 2, Sentenza n. 19730 del 03/10/2016; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 24823 del 05/12/2016), mentre nella diversa ipotesi in cui l’atto non risulta materialmente consegnato al destinatario nè ad alcun’altra persona – per irreperibilità, incapacità o rifiuto opposto dalle persone abilitate -, la legge richiede appunto un “quid pluris” inteso a compensare il maggior deficit di conoscibilità, postergando il perfezionamento dell’attività notificatoria al momento della effettiva “ricezione” della raccomandata informativa ovvero – in assenza di ricezione – con il decorso di dieci giorni dalla data di spedizione della raccomandata con avviso di ricevimento, in tal senso essendo stata parificata dalla Corte costituzionale, con la sentenza 14 gennaio 2010 n. 3 (dichiarativa della illegittimità costituzionale dell’art. 140 c.p.c., nella parte in cui prevede che la notifica si perfeziona, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anzichè con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione), la disciplina normativa dell’art. 140 c.p.c. e della legge n. 890 del 1982, art. 8, commi 2 e 4.
Tale lo stato della giurisprudenza di legittimità, appare del tutto in contrasto con le soluzioni interpretative raggiunte, l’affermazione del ricorrente secondo cui il perfezionamento della notifica “a mezzo posta” eseguita al “portiere” dello stabile in cui è situato lo studio del difensore domiciliatario, ai sensi della legge n. 890 del 1982, art. 7, commi 3, 4 e 6 decorrerebbe dalla data di ricezione della raccomandata informativa anzichè dalla data di spedizione che, come visto, è invece considerata dalla legge idonea a completare la fattispecie legale, in base appunto alla diversa rilevanza che assume la raccomandata informativa nella legge n. 890 del 1982, artt. 7 e 8 in relazione alla avvenuta materiale consegna o meno dell’atto notificando, differenza specifica questa che non consente – attesa la diversità delle fattispecie notificatorie in comparazione – di estendere anche alla notifica eseguita ai sensi della legge n. 890 del 1982, art. 7 gli interventi additivi richiesti dalla Corte costituzionale (sentenza n. 3/2010) al fine di equiparare il risultato di conoscibilità legale degli analoghi procedimento notificatori di cui all’art. 140 c.p.c. ed alla legge n. 890 del 1982, art. 8.
Pertanto, essendo stata “spedita” la raccomandata informativa in data 19.3.2013 ed essendosi perfezionata a tal data la notifica della sentenza del Tribunale, il termine di decadenza, di cui agli artt. 325-326 c.p.c., per la proposizione dell’atto di appello veniva a scadere il giorno feriale 18 aprile 2013: conforme a diritto deve ritenersi, pertanto, la statuizione della sentenza della Corte d’appello di Bologna con la quale è stata dichiarata la inammissibilità per tardività della impugnazione proposta dal Comune di Parma con atto notificato in data 19.4.2013.
In relazione alle svolte considerazioni la questione di legittimità costituzionale della legge n. 890 del 1982, art. 7 prospettata dal Comune ricorrente in relazione alla asserita violazione degli artt. 3 e 24 Cost., deve ritenersi manifestamente infondata.
Il terzo motivo (violazione falsa applicazione art. 331 c.p.c.) è inammissibile.
Il Comune ricorrente sembra volere affermare che, essendo stato notificato l’atto di appello anche nei confronti di (OMISSIS) s.p.a., la ritualità di tale notifica avrebbe incardinato il giudizio di secondo grado, rendendosi irrilevante la intempestività dell’appello principale notificato ai danneggiati, che avrebbe dovuto qualificarsi come un “mero atto di integrazione” del contraddittorio in cause inscindibili.
Indipendentemente dalla evidente confusione nella ricostruzione dei diversi rapporti dedotti in giudizio, in un processo con pluralità di parti, osserva il Collegio che in via di astratta ipotesi potrebbe ravvisarsi la inscindibilità tra la causa principale avente ad oggetto la responsabilità per danni del Comune nei confronti dei danneggiati-attori, e la causa di garanzia, con la quale il Comune ha chiesto alla impresa con la quale aveva stipulato polizza assicurativa della responsabilità civile di essere manlevato dalle conseguenza patrimoniali derivanti dall’eventuale accoglimento della domanda attorea, soltanto nel caso in cui il terzo-chiamato in garanzia (l’assicuratore), costituendosi in giudizio, avesse contestato – nella qualità di interventore adesivo autonomo – anche i fatti costitutivi della pretesa attorea, circostanza che non risulta in alcun modo specificata nel ricorso (già per questo carente ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 4, non potendo come noto essere integrato il motivo di ricorso con elementi desunti dalla sentenza impugnata o dagli altri atti difensivi delle parti resistenti – nella specie il controricorso (OMISSIS) s.p.a.). In ogni caso, indipendentemente dal superiore rilievo, il motivo di ricorso si palesa privo del requisito minimo di specificità necessario a superare la verifica di ammissibilità, in quanto non fornisce la compiuta descrizione del “fatto processuale”, laddove l’ente locale ricorrente assume di avere notificato un autonomo atto di appello ad (OMISSIS) s.p.a. (circostanza che trova riscontro nel controricorso (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), pag. 5) ma non fornisce tuttavia alcuna dirimente indicazione in ordine all’elemento cronologico della tempestività della notifica, se non la sibillina allegazione che l’atto “è stato notificato nei termini di legge, in quanto quella società non aveva provveduto a ridurli come avevano fatto i (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)”, impedendo in tal modo alla Corte di compiere qualsiasi verifica circa la ritualità e tempestività della notifica della impugnazione ad (OMISSIS) s.p.a. rispetto al “dies a quo” costituito dalla notifica della sentenza del Tribunale perfezionatasi, come si è visto il 18.3.2013, verifica tanto più necessaria nel caso in cui – secondo l’assunto difensivo dello stesso ente ricorrente – si dovesse vertere in tema di cause inscindibili, atteso che nei processi con pluralità di parti, quando si configuri l’ipotesi di litisconsorzio necessario, ovvero, di litisconsorzio, come nella specie, processuale (c.d. “litisconsorzio unitario o quasi necessario”), è applicabile la regola, propria delle cause inscindibili, dell’unitarietà del termine per proporre impugnazione, con la conseguenza che la notifica della sentenza eseguita ad istanza di una sola delle parti segna, nei confronti della stessa e della parte destinataria della notificazione, l’inizio del termine breve per la proposizione dell’impugnazione contro tutte le altre parti, sicchè, ove a causa della scadenza del termine, sia intervenuta la decadenza dall’impugnazione, questa esplica i suoi effetti non solo nei confronti della parte che abbia assunto l’iniziativa di notificare la sentenza, ma anche nei confronti di tutte le altre parti (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 19869 del 29/09/2011; id. Sez. L, Sentenza n. 986 del 20/01/2016), senza considerare che la tardività anche di tale impugnazione (e cioè dell’atto di appello notificato dal Comune ad (OMISSIS) s.p.a), prospettata dalle parti resistenti (OMISSIS) – (OMISSIS) – (OMISSIS) nel controricorso – pag. 5 e 6 -, pare trovare conferma nella stessa ammissione del Comune laddove viene riconosciuto dall’ente locale che l’atto di appello è stato “notificato a tutte le parti (ndr e dunque anche ad (OMISSIS) s.p.a.) il 22.4.13 e consegnato all’Ufficiale giudiziario il 19.4.13” (ricorso pag. 5), quindi oltre il termine di decadenza ex art. 325 c.p.c..
Ed infatti, se è pur vero che, quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata – in quanto relativo al compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore -, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, tuttavia ciò non esonera la parte dal formulare la censura, relativa a vizi del processo non rilevabili di ufficio, in conformità alle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo della Corte, non venendo meno, con la denuncia del vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’onere per la parte di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso, da intendere come un corollario del requisito della specificità dei motivi d’impugnazione, ora tradotto nelle più definite e puntuali disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, disposizioni in cui si fa espressa menzione anche degli “atti processuali” (Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012).
Anche il quarto motivo (violazione e falsa applicazione artt. 112 e 334 c.p.c.) deve essere dichiarato inammissibile.
Il Comune ricorrente censura la sentenza di appello per avere dichiarato inammissibile l’appello incidentale proposto da (OMISSIS) s.p.a., mentre avrebbe dovuto qualificare detta impugnazione come appello principale autonomo.
La censura non fornisce gli elementi minimi argomentativi per suffragare la tesi.
A parte la considerazione che la censura attiene a vizio processuale che ridonda a pregiudizio di una parte diversa da quella soccombente (la società assicurativa), con la conseguenza che il Comune non dispone di legittimazione a ricorrere sul capo di sentenza impugnato, osserva il Collegio che, quando anche si volesse ipotizzare un interesse dell’ente locale a vedere esaminato l’appello di (OMISSIS) s.p.a. in prospettiva della estensione, a favore del Comune assicurato, degli effetti della pronuncia favorevole all’assicuratore appellante, occorrerebbe allora dimostrare che (OMISSIS) s.p.a.:
a) aveva impugnato – anche – i capi della sentenza di prime cure favorevoli ai danneggiati, vittoriosi nel merito;
b) aveva tempestivamente proposto detta impugnazione.
Orbene non soltanto la “comparsa di risposta” in grado di appello con la impugnazione di (OMISSIS) s.p.a. non viene debitamente trascritta nel motivo di ricorso (con conseguente inammissibilità del motivo stesso per omessa descrizione del “fatto processuale”), occorrendo rilevare al riguardo che non si riferisce all’appello incidentale della società assicurativa lo stralcio dell’atto, riportato a pag. 10 ricorso, peraltro erroneamente indicato come “atto di citazione”, atteso che trattasi della mera trascrizione dei motivi del gravame principale proposto dallo stesso Comune, mentre a quanto è dato evincere dal controricorso (OMISSIS) s.p.a. (pag. 3 e 9), la società assicurativa, costituendosi in grado di appello aveva soltanto controdedotto al rapporto di garanzia, “chiedendo di rigettare il 4 motivo di appello proposto dal Comune di Parma”, proponendo, evidentemente in caso di mancato rigetto della pretesa di garanzia, e dunque “soltanto in via condizionata” (in caso cioè di accoglimento dell’appello principale proposto dal Comune) “appello incidentale” volto a contestare la pretesa risarcitoria dei danneggiati, con la conseguenza che la impugnazione della società assicurativa era inidonea ad introdurre “autonomamente” il giudizio di appello.
In ogni caso non soltanto la comparsa di risposta con “appello incidentale condizionato” era stata depositata tardivamente (9.10.2013) rispetto alla data di udienza fissata nell’atto di appello principale del Comune (24.10.2013), non essendo stato rispettato – come rilevato dalla Corte d’appello nella pronuncia di inammissibilità – il termine di gg. 20 prescritto dall’art. 166 richiamato dall’art. 343 c.p.c., ma il deposito della comparsa di risposta contenente la impugnazione incidentale deve ritenersi evidentemente tardivo finanche fosse riguardato come atto di impugnazione autonoma, atteso che – come affermato dallo stesso Comune ricorrente – la notifica dell’appello principale era stata eseguita “a tutte le parti” il 22.4.2013 e pertanto, decorrendo da quella data il termine breve ex art. 325 c.p.c., anche per la società assicurativa (cfr. la giurisprudenza citata nell’esame del precedente terzo motivo: Corte cass. n. 19869/2011; n.15234/22014; n. 986/2016), la comparsa con l’atto incidentale di appello depositata dalla società assicurativa in data 9.10.2013 sarebbe da ritenere comunque tardiva, con le conseguenze previste dall’art. 334 c.p.c.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la parte ricorrente deve essere, pertanto, condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento in favore di ciascuna delle due parti controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del Dpr 30 maggio 2002 n. 115, inserito dall’art. 1 comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 07/11 /2017