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Cassazione Civile 14861/2019 – Responsabilità ex art. 2051 cc – Eventi atmosferici – Nozione di caso fortuito

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Ordinanza 14861/2019

Responsabilità ex art. 2051 cc – Eventi atmosferici – Nozione di caso fortuito

In tema di responsabilità ex art. 2051 c.c., la riconducibilità degli eventi atmosferici alla nozione di “caso fortuito” è condizionata alla presenza dei requisiti dell’eccezionalità e dell’imprevedibilità, i quali non possono ritenersi provati per il solo fatto che sia stato dichiarato lo stato di emergenza, ai sensi dell’art. 5 della l. n. 225 del 1992, poiché le leggi sulla protezione civile (prima la l. n. 996 del 1970 e poi la l. n. 225 del 1992), nel definire la tipologia degli eventi suscettibili di intervento, fanno riferimento al danno (o al pericolo di danno) ed alla straordinarietà dei mezzi destinati a farvi fronte ma non alle caratteristiche intrinseche degli eventi che di quel danno siano causa o concausa; sicché, la “calamità naturale”, che determina lo stato d’emergenza, non costituisce di per sé un evento eccezionale e imprevedibile, pur potendo essere determinata anche da eventi di tal natura, le cui caratteristiche devono essere accertate sulla base di elementi di prova concreti e specifici. (In applicazione del principio, la S.C., in fattispecie di danni riportati da un’imbarcazione ormeggiata in un porto turistico, ha cassato con rinvio la sentenza con la quale, nel ritenere sussistente il caso fortuito, era stata attribuita efficacia dirimente all’adozione di un decreto emergenziale, che aveva interessato un amplissimo territorio, senza verificare l’incidenza, nel luogo del sinistro, dell’evento atmosferico verificatosi).

Cassazione Civile, Sezione 3 , Ordinanza 31-5-2019, n. 14861   (CED Cassazione 2019)

Art. 2051 cc (Danno cagionato da cosa in custodia) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Ancona n. 708/16, dell’8 giugno 2016, che – accogliendo il gravame della società ” (OMISSIS)” S.p.a. (d’ora in poi, ” (OMISSIS)”) contro la sentenza del Tribunale di Ancona n. 699/09, del 1 giugno 2009 – ha rigettato la domanda risarcitoria proposta dall’odierno ricorrente in relazione ai danni riportati nel porto turistico di Ancona, il 24 settembre 2004, da un’imbarcazione di sua proprietà, a seguito di una mareggiata abbattutasi sulle coste marchigiane.

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente di avere convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale anconetano, la predetta società (OMISSIS), concessionaria del porto turistico del capoluogo marchigiano, per conseguire il risarcimento – a titolo di responsabilità extracontrattuale o contrattuale – dei danni subiti dalla propria imbarcazione, nelle circostanze di tempo e di luogo di cui sopra.

Accolta dal primo giudice la domanda attorea, e stimato in Euro 6.873,30, oltre interessi e rivalutazione, l’importo del risarcimento dovuto, il gravame esperito dalla soccombente veniva accolto dalla Corte marchigiana, sul presupposto che l’evento atmosferico verificatosi il 24 settembre del 2004, in ragione della sua eccezionalità, avesse integrato l’ipotesi del caso fortuito, idoneo ad esonerare da responsabilità la società convenuta.

3. Contro la sentenza della Corte di Appello di Ancona ricorre per cassazione il (OMISSIS), sulla base di quattro motivi.

3.1. Il primo motivo – proposto a norma dei nn. 4) e 5) del comma 1 dell’articolo 360 cod. proc. civ. – ipotizza nullità della sentenza, ex artt. 156 e 132, comma 2, n 4), cod. proc. civ., per “insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo”, oltre che “per motivazione inconciliabilmente contrastante e/o perplessa su un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

Si deduce che, accolto in motivazione il proposto gravame, lo stesso, nel dispositivo, risulta invece rigettato, essendosi, inoltre, condannato l’appellato vittorioso al pagamento del 50% delle spese di lite.

Quello reso dalla Corte marchigiana sarebbe, dunque, un giudizio intrinsecamente contraddittorio: e ciò, innanzitutto, all’interno della motivazione, la quale sembra inizialmente convenire con le conclusioni del CTU (che ha escluso l’eccezionalità dell’evento atmosferico in questione), salvo, poi, ritenere che le modifiche all’ormeggio – apportate dopo che sinistri analoghi si erano già verificati, in passato, nel porto turistico anconetano – abbiano avuto effetto risolutivo degli inconvenienti in precedenza riscontrati, addebitando, così, il danneggiamento dell’imbarcazione del (OMISSIS) alle sole eccezionali condizioni meteorologiche del 24 settembre 2004.

Ricorrerebbe, poi, un contrasto anche tra motivazione e dispositivo, visto che, nel primo, il giudice d’appello ha ritenuto il gravame fondato, mentre, nel secondo, lo ha rigettato.

Infine, risulterebbe un contrasto anche all’interno del dispositivo, giacchè la Corte territoriale, dopo aver rigettato l’appello, ha, tuttavia, condannato l’appellato vittorioso al pagamento delle spese di lite, nella misura del 50%.

3.2. Con il secondo motivo – proposto ai sensi dei nn. 3) 4) e 5) del comma 1 dell’art. 360 cod. proc. civ. – si ipotizza violazione o falsa applicazione degli artt. 2697, 2051 e 1218 cod. civ., oltre che
della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e ciò in relazione ai presupposti, alle finalità ed agli effetti della decretazione di emergenza da essa prevista; sarebbero, inoltre, violati pure gli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., ricorrendo, infine, un omesso e/o apparente esame della CTU, tale da rendere “perplessa” la motivazione della sentenza impugnata.

L’assunto di fondo dell’articolato motivo consiste nel negare che, il 24 settembre 2004, nel porto turistico di Ancona si sia abbattuta una tromba d’aria.

Siffatta evenienza, infatti, risulterebbe esclusa dalle consulenze tecniche d’ufficio espletate nelle diverse cause risarcitorie relative a quello stesso evento, nelle quali si è evidenziato come una tromba d’aria abbia un diametro massimo di 100/150 metri, con una velocità del vento pari a 200 km/h, muovendosi, normalmente, a velocità che supera i 30 km/h. Assume il ricorrente che, nel caso di specie, per contro, la velocità del vento, al suo apice, avrebbe raggiunto i 60/65 km/h, incompatibile con la formazione di una tromba d’aria. D’altra parte, la circostanza che le imbarcazioni ormeggiate lungo il pontile non siano affondate, nè abbiano subito danni (come sarebbe, invece, senz’altro accaduto in presenza di una tromba d’aria), costituirebbe la dimostrazione palese che quell’evento non era da ritenersi affatto eccezionale, di talchè l’unica spiegazione logica per i danni riportati dalla imbarcazione dell’odierno ricorrente consisterebbe nella inidoneità del posto barca del quale gli era stato concesso l’ormeggio.

Nè sii mancherebbe di osservare – nelle stesse consulenze tecniche d’ufficio – come l’Adriatico centrale sia soggetto al vento cosiddetto di “bora”, che può raggiungere velocità anche rilevanti, tanto che nella zona di Ancona si registrano spesso mareggiate con mare forza 7 o 8, anche con durata di qualche giorno.

Infine, si rileva che le già citate consulenze tecniche d’ufficio avrebbero evidenziato come l’ormeggio, presso cui era posta l’imbarcazione del ricorrente, costituisse “uno specchio d’acqua che non può definirsi o essere caratterizzato da acque tranquille”, sicchè esso, in relazione alle condizioni atmosferiche verificatesi il 24 settembre 2004, era “inidoneo a garantire la sicurezza dell’imbarcazione, a causa della sua esposizione ai venti e al mare provenienti dal I quadrante, cioè N/NE, che hanno sollecitato con il moto ondoso il natante fino a farlo rovesciare”.

Nè, infine, in senso contrario potrebbe invocarsi, come ha invece fatto la sentenza impugnata, la dichiarazione dello stato di emergenza, decretata ai sensi della L. n. 225 del 1992, giacchè essa ha solo attestato l’estensione del fenomeno atmosferico del 24 settembre 2004 (che ebbe ad investire due Regioni, ovvero l’Emilia Romagna e le Marche), ma non ha anche “certificato l’imprevedibilità e imprevenibilità di un catastrofico evento verificatosi nel porto turistico di Ancona”. Del resto, come avrebbe chiarito la giurisprudenza di questa Corte, “per escludere la responsabilità del custode, la distinzione tra “forte temporale”, “nubifragio” o “calamità naturale” non rientra nel novero delle nozioni di comune esperienza ma – in relazione alla intensità ed eccezionalità (in senso statistico) del fenomeno – presuppone un giudizio da formulare soltanto sulla base di elementi di prova concreti e specifici e con riguardo al luogo ove da tali eventi sia derivato un evento dannoso” (è citata, in particolare, Cass. Sez. 3, sent. 21 gennaio 1987, n. 522).

3.3. Il terzo motivo – proposto ai sensi dei nn. 3) e 5) del comma 1 dell’art. 360 cod. proc. civ. – ipotizza violazione o falsa applicazione degli artt. 1176, 1177, 1322, 1218, 1578 e 2697 cod. civ.

Si censura la sentenza impugnata laddove essa ha escluso che la responsabilità della società concessionaria potesse essere affermata a titolo contrattuale, è ciò sul presupposto che, nel caso di specie, sarebbe mancata la prova che tra gli obblighi assunti con il contratto di ormeggio rientrasse anche quello di custodia.

Per contro, la giurisprudenza di questa Corte avrebbe chiarito che, se anche il contratto di ormeggio – di natura atipica – si presenti nella sua forma “minimale”, ovvero abbia come solo contenuto quello della locazione delle strutture per consentire l’ormeggio al riparo dai venti e dalle burrasche, con esclusione di ogni obbligo di custodia del natante, egualmente sussisterebbe la responsabilità risarcitoria, a norma dell’art. 1578 c.c., comma 2, nell’ipotesi – quale sarebbe la presente – di omessa predisposizione di diga foranea idonea ad escluderne l’affondamento (è citata Cass. Sez. 3, sent. 1 giugno 2004, n. 10484).

3.4. Infine, il quarto motivo – proposto, al pari del precedente, ai sensi dei nn. 3) e 5) del comma 1 dell’art 360 cod. proc. civ. – deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., nonchè omesso esame di una circostanza di fatto discussa e decisiva ai fini del giudizio

Viene censurata la disposta compensazione parziale delle spese di lite a carico di quello che, in base al dispositivo, risulterebbe l’appellato vincitore, senza, oltretutto, che le ragioni di tale compensazione siano in alcun modo specificate.

4. Ha resistito alla avversaria impugnazione, con controricorso, la società (OMISSIS), chiedendone il rigetto.

In via preliminare, peraltro, viene eccepita la inammissibilità del ricorso per mancanza di specificità dei motivi, giacchè gli stessi tenderebbero ad un inammissibile riesame nel merito della vicenda giudiziaria, nonchè per violazione dell’art. 360-bis c.p.c., comma 1, n. 1) e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4).

In particolare, si assume che il giudice di seconde cure abbia deciso la controversia in conformità con ai principi enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte e, inoltre, che i motivi di censura fuoriescano dallo schema previsto dall’art. 360 c.p.c..

In ogni caso, si assume l’infondatezza del ricorso.

Quanto, in particolare, al primo motivo, si rileva come la divergenza tra parte motiva della sentenza e il suo dispositivo costituisca il frutto di un mero errore materiale, legittimante il ricorso al procedimento di correzione ex art. 287 c.p.c., non a caso già instaurato innanzi alla Corte marchigiana. D’altra parte, si sottolinea come, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, “nell’ordinario giudizio di cognizione, l’esatto contenuto della sentenza va individuato non alla stregua del solo dispositivo, bensì integrando questo con la motivazione, nella parte in cui la medesima riveli l’effettiva volontà del giudice” (è citata, in particolare, Cass. Sez. 1, sent. 10 settembre 2015, n. 17910). Nella specie, poi, la semplice lettura della motivazione della sentenza impugnata confermerebbe che essa ha inteso riformare integralmente la decisione del primo giudice, e non certo confermarla, disponendo anche la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Quanto al secondo motivo, premesso che lo stesso non sarebbe conforme al modello delineato dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), in quanto consiste nella mera riproposizione delle deduzioni già spiegate in secondo grado, del resto integralmente ritrascritte, se ne assume, comunque, la non fondatezza. L’affermazione secondo cui il 24 settembre 2004 non si sarebbe verificata alcuna tromba d’aria nel porto di Ancona è smentita documentalmente dal già citato D.P.C.M. 18 novembre 2004, ciò che vale ad escludere “a priori”, con carattere assorbente qualsiasi responsabilità sia extracontrattuale e contrattuale della società concessionaria del porto turistico di Ancona.

In relazione al terzo motivo, non senza previamente osservare che il (OMISSIS) non ha mai fornito prova dell’esistenza del contratto di ormeggio, nè delle condizioni che ne regolerebbero l’uso, si sottolinea come – proprio in virtu’ di quanto affermato nell’arresto di questa Corte citato nel ricorso – incombe i colui che invochi il contratto di ormeggio, quale fonte di responsabilità per danni all’imbarcazione, fornire prova che il rapporto contrattuale ha avuto ad oggetto non la semplice utilizzazione delle strutture portuali, ai fini dell’attracco e della sosta, ma anche la custodia dell’imbarcazione stessa. Inoltre, la pretesa del ricorrente di ipotizzare la responsabilità contrattuale di (OMISSIS) si fonderebbe su un presupposto erroneo, ovvero che la locazione intervenuta tra essa ed il (OMISSIS) abbia riguardato i pontili, mentre essa concerneva esclusivamente il posto barca, ossia lo specchio acqueo ove ubicare l’imbarcazione, di talchè, del tutto inconferente sarebbe la prospettazione di vizi relativi ai pontili. In ogni caso, infine, all’esito di ispezione subacquea effettuata il 30 settembre 2004, sarebbe emerso che le strutture di ormeggio della (OMISSIS) non ebbero a subire alcun cedimento nè modificazioni, visto che lo stato dei corpi morti è rimasto inalterato, così come quello di catenarie e di maestre per l’ormeggio.

Infine, in relazione all’ultimo motivo di ricorso se ne assume l’infondatezza alla stregua di quanto già osservato in ordine al primo motivo e, comunque, del principio secondo cui il giudice di appello, allorchè riformi in tutto in parte la sentenza impugnata, ha il potere di provvedere anche d’ufficio al nuovo regolamento delle spese quale conseguenza della pronuncia adottata.

5. Hanno presentato memoria entrambe le parti.

5.1. In particolare, il ricorrente – sul presupposto che la Corte di Appello di Ancona ha accolto l’istanza di correzione ex art. 287 c.p.c. – assume che i motivi primo e quarto debbono ritenersi “superati”.

Ribadita, per contro, la perdurante “attualità” degli altri due, il ricorrente si richiama, in particolare, a quanto di recente affermato da questa Corte in merito alla L. n. 225 del 1992 (è citata Cass. Sez. 3, ord. 1 febbraio 2018, n. 2482).

5.2. Per parte propria, invece, la controricorrente – nell’insistere nelle argomentazioni già sviluppate – richiama altro, ed opposto, arresto di questa Corte sul tema della dichiarazione dello stato di emergenza (si tratta di Cass. Sez. 6-3, ord. 13 aprile 2017, n. 9648).

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Il ricorso è fondato, sebbene per quanto di ragione.

6.1. Premesso, invero, che il ricorrente – ritenendoli “superati”, in virtu’ della correzione dell’errore materiale “medio tempore” disposta dalla Corte territoriale – mostra di voler rinunciare ai motivi di ricorso primo e quarto, deve rilevarsi come il secondo motivo di impugnazione risulti fondato, nei limiti di seguito meglio precisati.

Esso, infatti, articolato in piu’ censure, merita accoglimento laddove ipotizza falsa applicazione della L. 24 febbraio 1992, n. 225, art. 5 e dell’art. 2051 c.c. (come si dirà meglio piu’ avanti), sottraendosi all’eccezione della controricorrente secondo cui essa – come, peraltro, si assume anche le altre censure formulate tenderebbero a porre in discussione, inammissibilmente, l’apprezzamento delle risultanze istruttorie.

6.1.1. Il motivo, invece, è destinato al rigetto laddove – ai sensi, rispettivamente, dell’art. 360 c.p.c., nn. 3), 4 e 5) censura l’omesso o apparente esame delle risultanze della CTU “sub specie”: a) di violazione degli artt. 2697, 1218 e 2051 c.c.; b) di “error in procedendo” nell’applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.; c) di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione.

Orbene, le prima di tali censure risulta inammissibile, alla stregua del principio secondo cui la violazione dell’art. 2697 c.c. “è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti” (cfr. da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 29 maggio 2018, n. 13395, Rv. 649038-01), ovvero – ciò che vale, in particolare, per la supposta violazione degli artt. 1218 e 2051 c.c. – in base alla considerazione che “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa” (ovvero quanto, almeno “in parte qua”, si lamenta con la censura in esame) “è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (da ultimo, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03).

Quanto, invece, alla seconda censura, va qui ribadito che l’eventuale “cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4), disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4), – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01).

Infine, in relazione alla terza censura, premesso che “il mancato esame delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio integra un vizio della sentenza che può essere fatto valere, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 29 maggio 2018, n. 13399, Rv. 649039-01), non risultano, nella specie, soddisfatte le condizioni per l’ammissibilità di un simile scrutinio, previste dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

Difatti, il ricorrente non si doveva limitare a dedurre quale fosse il fatto “omesso” e la sua “decisività”, ed il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, ma anche il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale (cfr., Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8054, Rv. 629831-01; in senso conforme, tra le piu’ recenti, Cass. Sez. 3, sent. 11 aprile 2017, n. 9253, Rv. 643845-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 10 agosto 2017, n. 19987, Rv. 645359-01). Il tutto, peraltro, non senza tacere che piu’ che l’omesso esame di tali fatti evidenziati in consulenza, il ricorrente come reso evidente dalla circostanza che la censura è costruita come doglianza di “esame apparente” degli stessi – sembra investire, in realtà, il loro apprezzamento.

6.1.2. Il motivo è, invece, fondato laddove ipotizza falsa applicazione della L. n. 225 del 1991, art. 5 e dell’art. 2051 c.c..

6.1.2.1. Va accolta, infatti, la critica alla sentenza impugnata, laddove essa – dopo aver astrattamente ricondotto la presente vicenda entro la sfera applicativa dell’art. 2051 c.c. – ha fatto discendere, in modo automatico, dall’avvenuta emanazione del decreto emergenziale adottato in data 18 novembre 2004 dal Presidente del Consiglio dei Ministri, la ricorrenza del “caso fortuito”, idoneo ad esonerare il custode (OMISSIS) da responsabilità.

Sul punto, occorre muovere dalla constatazione che, come è stato recentissimamente ribadito, la “giurisprudenza di questa Corte in relazione agli eventi naturali – e, segnatamente, alle precipitazioni atmosferiche dotati di un’efficacia di tale intensità da costituire la causa da sola sufficiente a determinare l’evento dannoso – ha affermato, già in epoca ormai risalente e con orientamento stabile, che la loro riconducibilità all’ipotesi di “caso fortuito”, di cui (anche, ma non solo) alla fattispecie legale disciplinata dall’art. 2051 c.c., è condizionata dal possesso dei caratteri dell’eccezionalità e della imprevedibilità”, giacchè “quello della inevitabilità rimane intrinseco al fatto di essere evento atmosferico” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 1 febbraio 2018, n. 2482, Rv. 647936-01).

6.1.2.2. Si tratta di affermazione, peraltro, coerente con la nozione generale di caso fortuito, da “intendersi un avvenimento imprevedibile, un “quid” di imponderabile che si inserisce improvvisamente nella serie causale come fattore determinante in modo autonomo dell’evento”, sicchè il “carattere eccezionale di un fenomeno naturale, nel senso di una sua ricorrenza saltuaria anche se non frequente, non è, quindi sufficiente, di per sè solo, a configurare tale esimente, in quanto non ne esclude la prevedibilità in base alla comune esperienza”. Di talchè, in “tale contesto d’indagine e di valutazione circa la ricorrenza del “caso fortuito”, risulta, del pari, armonico il principio per cui, al fine di poter ascrivere le precipitazioni atmosferiche nell’anzidetta ipotesi di esclusione della responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., “la distinzione tra “forte temporale”, “nubifragio” o “calamità naturale” non rientra nel novero delle nozioni di comune esperienza ma – in relazione alla intensità ed eccezionalità (in senso statistico) del fenomeno – presuppone un giudizio da formulare soltanto sulla base di elementi di prova concreti e specifici e con riguardo al luogo ove da tali eventi sia derivato un evento dannoso”” (richiama, sul punto, Cass. Sez. 3, ord. n. 2482 del 2018, cit., la precedente Cass. Sez. 3, sent. 21 gennaio 1987, n. 522, Rv. 450251-01).

6.1.2.3. Siffatti rilievi, pertanto, danno conto dell’errore di sussunzione in cui è incorsa, nel presente caso, la Corte marchigiana, la quale, attribuendo efficacia dirimente ad un provvedimento che ha interessato un amplissimo territorio (quello di due Regioni, l’Emilia-Romagna e le Marche), ha trascurato di compiere una valutazione dell’incidenza che quell’evento atmosferico ha avuto rispetto al luogo di verificazione del sinistro per cui è causa. Un “modus operandi”, questo, non conforme al principio ricavabile dal già citato, recentissimo, arresto di questa Corte, che ha escluso la possibilità di istituire uno stretto automatismo tra dichiarazione dello stato di emergenza L. n. 225 del 1992, ex art. 5 e caso fortuito idoneo ad escludere l’applicazione dell’art. 2051 c.c. Infatti, la già citata sentenza ha precisato che “neppure a livello legislativo si rinvengono qualificazioni tali da far coincidere, di per sè, gli eventi naturali pregiudizievoli o le stesse calamità naturali con il “fortuito”, come in precedenza definito secondo i caratteri dell’eccezionalità e imprevedibilità”. Ed invero, in tal senso, “già la risalente L. 8 dicembre 1970, n. 996 (Norme sul soccorso e l’assistenza alle popolazioni colpite da calamità – Protezione civile) identificava, all’art. 1, la “calamità naturale” (o “catastrofe”) in quella situazione determinativa di “grave danno o pericolo di grave danno alla incolumità delle persone e ai beni e che per la loro natura o estensione debbano essere fronteggiate con interventi tecnici straordinari”; senza, dunque, interferire sul piano della connotazione dell’evento ivi riconducibile siccome eccezionale e, al tempo stesso, imprevedibile”. Del pari, anche “la attuale disciplina in tema di protezione civile, ossia la L. 24 febbraio 1992, n. 225 e successive modificazioni, istitutiva del “Servizio nazionale della protezione civile”, nel definire la tipologia degli eventi suscettibili di intervento e i relativi ambiti di competenze (con suddivisione dei vari livelli ispirata al principio di sussidiarietà, riservando allo Stato le situazioni emergenziali da fronteggiare con mezzi e poteri straordinari), fa riferimento ad “eventi naturali o connessi con l’attività dell’uomo” (art. 2, lettera a) e b)) o (in ragione della loro maggiore intensità ed estensione) a “calamità naturali o connesse con l’attività dell’uomo” (art. 2, lettera c),…), che non trovano ulteriore specificazione in termini di caratteristiche intrinseche agli stessi, ma sono declinati in funzione, eminentemente, delle conseguenze dannose provocate o determinabili (cfr. stessa L. n. 225 del 1992, art. 3 sui connotati dell’attività di previsione, prevenzione e soccorso). Del resto, e in modo assai significativo, la medesima L. n. 225 del 1992, art. 5 (che regola lo stato di emergenza e il potere di ordinanza, anche in deroga alle leggi vigenti, al verificarsi degli eventi di cui al citato art. 2, comma 1, lettera c, al suo comma 5-ter (…), “in relazione ad una dichiarazione dello stato di emergenza”), intesta il diritto alla sospensione o al differimento temporaneo dei termini per gli adempimenti fiscali e previdenziali “esclusivamente” in capo “ai soggetti interessati da eventi eccezionali e imprevedibili che subiscono danni riconducibili all’evento”. Ciò rende ancora una volta evidente come la “calamità naturale”, in forza della quale è dichiarato lo stato di emergenza, non costituisce di per sè evento eccezionale e imprevedibile, ma può, semmai, essere determinata anche da eventi, specifici, di tale natura” (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, ord. n. 2482 del 2018, cit.).

6.1.3. Entro questi limiti, dunque, il motivo va accolto, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione, perchè decida nel merito, la quale dovrà verificare – in forza del principio di cui sopra la concreta incidenza che l’evento atmosferico del 24 settembre 2004 ha avuto rispetto al sinistro oggetto di causa, a prescindere dall’intervenuta dichiarazione dello stato di emergenza, e dunque la sua concreta idoneità ad integrare il caso fortuito ex art. 2051 c.c..

6.2. Il terzo motivo di ricorso resta, invece, assorbito.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, per quanto di ragione, e, per l’effetto, cassa la sentenza impugnata in relazione, rinviando alla Corte di Appello di Ancona in diversa composizione per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio. Dichiara assorbito il terzo motivo.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 19 settembre 2018.