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Cassazione Civile 15140/2021 – Atti interruttivi della prescrizione – Condizioni

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Ordinanza 15140/2021

Atti interruttivi della prescrizione – Condizioni

Al fine di produrre effetti interruttivi della prescrizione un atto deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di fare valere il proprio diritto, con l’effetto sostanziale di costituire in mora il soggetto indicato (elemento oggettivo). La valutazione circa la ricorrenza di tali presupposti – il secondo dei quali, pur richiedendo la forma scritta, non postula l’uso di formule solenni, né l’osservanza di particolari adempimenti – è rimesso all’accertamento di fatto del giudice di merito ed è, pertanto, del tutto sottratto al sindacato di legittimità. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva riconosciuto efficacia interruttiva a due raccomandate inviate dal creditore e contenenti l’invito al debitore ad adempiere, cui questi aveva risposto riconoscendo la legittimità dell’altrui pretesa, manifestando, altresì, la propria volontà di pronto adempimento).

Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 31-5-2021, n. 15140   (CED Cassazione 2021)

Art. 2943 cc (Dell’interruzione della prescrizione – Interruzione da parte del titolare) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 53/2011 del 7.2.2011, il Tribunale di Catania, Sezione Distaccata di Acireale, in accoglimento della domanda proposta da MA. FI., VE. FI., GI. FI., VI. FI., FE. FI. e SI. FI., gli ultimi quattro quali eredi di Pl. Fi., condannava l’avv. FU. CA. a realizzare a sue cure e spese, come contrattualmente previsto nell’atto di compravendita e scrittura integrativa del 22.11.1990, un muretto a confine tra il terreno da lui acquistato dagli attori e quello, confinante, rimasto in proprietà di questi ultimi; rigettava l’ulteriore domanda di risarcimento avanzata dagli attori per i danni a loro derivati dal furto subito [a causa della mancanza di recinzione] per difetto di prova del nesso di causa; infine, rigettava la pretesa domanda di garanzia formulata dal convenuto nei confronti del proprio avente causa R.C. s.r.l.

Avverso detta sentenza proponeva appello il Ca. chiedendone l’integrale riforma. Si costituivano in giudizio gli appellati i quali insistevano per il rigetto del gravame. Con sentenza n. 522/2017, depositata in data 25.3.2017, la Corte d’Appello di Catania, in parziale accoglimento dell’appello, riduceva a € 6.825,40 la condanna del Ca. alle spese di lite del giudizio di primo grado, condannando l’appellante al pagamento dei 4/5 delle spese del grado di appello.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’avv. Fu. Ca. sulla base di cinque motivi, illustrati da memoria. Resistono i Fi. con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta ex «Art.360, comma 1, n. 3 c.p.c., [la] violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1219, 2943, comma 4 c.c.» poiché la sentenza impugnata sarebbe illegittima per violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1219 e 2943, comma 4 c.c., per avere rigettato l’eccezione di prescrizione del diritto vantato dai resistenti, ritenendo che le due raccomandate inviate da Pl. Fi. in data 13.6.2000 e 3.8.2000 avessero efficacia di atti interruttivi della prescrizione. Osserva il Ca. che la scrittura privata era stata sottoscritta dalle parti in data 22.11.1990 e il giudizio era stato introdotto in data 24.2.2006, ben oltre il termine decennale ordinario previsto dalla legge per la prescrizione dei diritti. Secondo il ricorrente alle suddette raccomandate non poteva attribuirsi efficacia di atti interruttivi, trattandosi di semplici inviti rivolti in toni pacati e cortesi, che non avevano il carattere di intimazione propria degli atti interruttivi della prescrizione. A detta del ricorrente la Corte territoriale avrebbe violato l’art.1362 c.c. per aver dato alle parole utilizzate dal Fi. nelle missive una portata diversa rispetto al significato letterale, non potendo riconoscersi alla “viva preghiera di comunicare in che data avranno inizio i lavori” la portata di una richiesta formale di adempimento a cui siano ricollegabili gli effetti interruttivi previsti dall’art. 2943, comma 4 c.c. Secondo la giurisprudenza di legittimità l’atto interruttivo della prescrizione deve consistere nell’esplicitazione di una pretesa e nell’intimazione di adempimento idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto (Cass. n. 5104 del 2006).

1.1. – Il motivo non è fondato.

1.2. – I Giudici del merito, hanno correttamente affermato che, in tema di interruzione della prescrizione, un atto, per avere efficacia interruttiva, deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora (elemento oggettivo). Quest’ultimo requisito non è soggetto a rigore di forme, all’infuori della scrittura, e, quindi, non richiede l’uso di formule solenni né l’osservanza di particolari adempimenti, essendo sufficiente che il creditore manifesti chiaramente, con un qualsiasi scritto diretto al debitore e portato comunque a sua conoscenza, la volontà di ottenere dal medesimo il soddisfacimento del proprio diritto [laddove non é ravvisabile tale requisito in semplici sollecitazioni prive di carattere di intimazione e di espressa richiesta di adempimento al debitore e che è priva di efficacia interruttiva la riserva, anche se contenuta in un atto scritto, di agire per il risarcimento di danni diversi e ulteriori rispetto a quelli effettivamente lamentati, trattandosi di espressione che, per genericità ed ipoteticità, non può in alcun modo equipararsi ad una intimazione o ad una richiesta di pagamento] (Cass. n. 3371 del 2010; conf. Cass. n. 18546 del 2020; Cass. n. 15714 del 2018; Cass. n. 24054 del 2015; Cass. n. 17123 del 2015; Cass. 24656 del 2010).

Peraltro, l’accertamento di fatto svolto dal giudice di merito [in ordine alla sussistenza dei predetti presupposti, onde identificare e qualificare l’atto interruttivo] è del tutto sottratto al sindacato di legittimità, non potendo le censure relative alla motivazione della sentenza (nella specie, peraltro, non formulate specificatamente ex art. 360, n. 5, c.p.c.) basarsi sulla difformità di apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice di merito rispetto a quello preteso dalla parte.

Particolare importanza riveste altresì la valutazione dell’atteggiamento e del contegno assunto dall’obbligato, il quale [nella specie] ha sempre riconosciuto nelle proprie missive la legittima pretesa del creditore e la propria volontà di pronto adempimento (Cass. n. 4324 del 2010; Cass. n. 3371 del 2010, cit.). Si è dunque in presenza di un vero e proprio riconoscimento del diritto, con interruzione del relativo termine prescrizionale, ove la condotta del debitore si sostanzi in un comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del creditore (Cass. n. 24555 del 2010; Cass. n. 7760 del 2009; Cass. n. 22347 del 2015).

  1. – Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta ex «Art.360, comma 1, n. 3 c.p.c., [la] violazione o falsa applicazione degli artt. 1310, 1316 e 1317 c.c.», per illegittimità della sentenza impugnata per aver rigettato l’eccezione di prescrizione avanzata con riferimento a Ma. e Ve. Fi., ai quali non si estendevano gli effetti eventualmente prodotti dalle raccomandate inviate da Pl. Fi. in data 13.6.2000 e 3.8.2000. Tale eccezione, sollevata in primo grado, era stata ribadita anche in appello, precisando il ricorrente che alla fattispecie non fosse applicabile l’art. 1810 c.c., poiché la solidarietà tra più creditori sussiste solo se espressamente prevista dalla legge o dal titolo. Secondo il ricorrente all’obbligazione per cui è causa non può riconoscersi carattere di indivisibilità; sicché la solidarietà attiva non sarebbe esistita, non essendo la stessa prevista né nell’atto pubblico di compravendita né nella scrittura privata del 22.11.1990.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – Per il ricorrente, nella fattispecie, si tratterebbe di obbligazione non solidale dal lato attivo, con gli effetti interruttivi della prescrizione nei confronti di uno solo dei creditori, Pl. Fi.; tuttavia tale argomento era stato introdotto per la prima volta in grado di appello, come prontamente eccepito dai resistenti [e come non contestato dai ricorrenti: v. pag. 6 memoria].

Il motivo è altresì infondato. Correttamente la Corte di merito aveva rigettato l’eccezione che riteneva trattarsi di obbligazione indivisibile di fare, per la quale erano applicate le norme sulla solidarietà, ivi compresa quella dell’efficacia interruttiva degli atti di messa in mora anche nei confronti degli altri concreditori. Va ritenuto che, in quanto l’obbligazione avente ad oggetto la costruzione di un’opera (muro di confine) sul fondo comune, essa abbia per sua stessa natura la caratteristica della solidarietà in capo ai creditori. Infatti, proprio l’insuscettibilità di una divisione della prestazione di fare rende inapplicabile la disciplina in tema di solidarietà stabilita dalla norma di cui all’art.1317 c.c. Inoltre, la volontà negoziale – nella fase di sottoscrizione dell’accordo – aveva considerato in maniera unitaria l’oggetto dell’obbligazione nei confronti di tutti i creditori.

  1. – Con il terzo motivo, il ricorrente eccepisce ex «Art.360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 1322 c.c.», là dove il Giudice di secondo grado rigettava l’eccezione per cui l’obbligazione contenuta nell’accordo integrava una obligatio propter rem, all’adempimento della quale era tenuta la R.C. s.r.l., cui il fondo era stato venduto e alla quale si sarebbe trasferita l’obbligazione. Il ricorrente deduceva che le parti, in virtù del principio dell’autonomia contrattuale sancito dall’art. 1322 c.c., sono libere di determinare il contenuto del contratto, nei limiti stabiliti dalla legge; con la conseguenza che l’obbligazione si trasferisce automaticamente con il trasferimento del diritto reale cui è connessa. Sicché, avendo tali obbligazioni, come connotato principale, l’indeterminatezza dei soggetti tenuti alla loro prestazione e l’individuazione di essi per il solo fatto di essere proprietari o titolari di un diritto reale, esse ricadono sugli aventi causa.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

3.2. – Le obbligazioni propter rem, al pari dei diritti reali, dei quali sono estrinsecazione, non sono una categoria di rapporti innominati, ma sono caratterizzate dal requisito della tipicità, con la conseguenza che possono sorgere per contratto solo nei casi e col contenuto espressamente previsti dalla legge (Cass. n. 25673 del 2018; Cass. n. 4572 del 2014). Dunque, nessuna violazione dell’art. 1322 cod. civ. può essere fatta discendere dall’interpretazione fornita dalla Corte d’Appello in merito alla corretta interpretazione della natura dell’obbligazione quale obbligazione personale (Cass. n. 5888 del 2010). Del resto, nel ricorso è assente un valido argomento capace di giustificare una rivisitazione di tale orientamento.

  1. – Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta ex «Art.360, comma 1, n. 3 c.p.c., [la] violazione o falsa applicazione dell’art. 477 c.p.c.», rilevando che la sentenza di condanna alla costruzione del muretto non è suscettibile di esecuzione, non avendo egli né possesso né detenzione del suddetto terreno. Secondo la Suprema Corte, nell’esecuzione per obblighi di fare, la sentenza non si limita all’accertamento o alla costituzione di una situazione di diritto sostanziale, ma contiene anche un comando di trasformazione forzata, che, in alcuni casi, si trasferisce in capo al successore a titolo particolare, come nell’ipotesi in cui il terzo si trovi nel possesso o detenzione della cosa su cui la trasformazione deve essere realizzata, per cui l’obbligo di attuazione del comando si trasferisce in capo al terzo, che è il solo soggetto attraverso il quale l’adeguamento imposto dalla sentenza può essere concretamente attuato (Cass. n. 601 del 2003).

4.1. – Il motivo va rigettato.

4.2. – La sentenza resa nei confronti del ricorrente non è suscettibile di esecuzione, giacché il muretto dovrebbe essere realizzato su terreno di proprietà di altro soggetto (nella specie la R.C. s.r.l. di cui il Ca. si presenta amministratore unico e legale rappresentante). Peraltro – a prescindere da eventuali rapporti interni di manleva, valevoli nei soli profili interni – va rilevato che il giudizio de quo riguardava solo l’accertamento dell’adempimento della obbligazione personale assunta dal Ca.; per cui, qualora il nuovo acquirente non avesse provveduto a realizzare quanto promesso dal dante causa, i creditori della prestazione avrebbero potuto anche optare per l’alternativa risarcitoria.

Ritiene questa Corte che, in tema di obblighi di facere, è ammissibile l’azione volta ad ottenere la pronuncia di condanna, dovendosi ritenere irrilevante il loro carattere infungibile, in quanto la relativa decisione non solo è potenzialmente idonea a produrre i suoi effetti tipici in conseguenza dell’eventuale esecuzione volontaria da parte del debitore, ma è altresì funzionale alla produzione di ulteriori conseguenze giuridiche, che il titolare del rapporto è autorizzato ad invocare in suo favore, prima fra tutte la possibile successiva domanda di risarcimento del danno, rispetto alla quale la condanna ad un facere infungibile assume valenza sostanziale di sentenza di accertamento (Cass. n. 18779 del 2014).

  1. – Con il quinto motivo, il ricorrente deduce ex «Art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. [1a]nullità della sentenza o del procedimento», sussistendo il difetto di legittimazione attiva di Ma. Fi. e Ve. Fi., in quanto non proprietari dell’immobile confinante con quello a lui venduto, e quindi non legittimati a promuovere il giudizio.

5.1. – Il motivo non è fondato.

5.2. – Il ricorrente ravvisa un error in procedendo nella mancata declaratoria del difetto di legittimazione passiva di Ma. e Ve., in quanto non più proprietari dell’immobile confinante con quello venduto al ricorrente. Del tutto correttamente, dunque, la Corte d’Appello riteneva che non sussistesse difetto di legittimazione attiva per la semplice ragione che si trattava di obbligazione personale, per cui, dal lato attivo, poteva essere esperita da chi ne era creditore.

  1. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa la dichiarazione ex art. 13, c. 1-quater, d.P.R. 115/2002.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi € 4.700,00 di cui € 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex art. 13, co. 1-quater, d.P.R. n. 115/2002 sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 12 febbraio 2021.