Sentenza 15476/2014
Polizza fideiussoria – Testo ambiguo della clausola contrattuale che delimita l’oggetto della garanzia
Quando in una polizza fideiussoria il testo della clausola contrattuale che delimita l’oggetto della garanzia sia ambiguo, facendo riferimento “alle inadempienze”, anzicchè, più propriamente, a una obbligazione, o a un debito, o a una prestazione, trova applicazione il principio della “interpretatio contra proferentem” di cui all’art. 1370 cod. civ. (Nella specie si è ritenuta adeguata l’interpretazione del giudice di merito, secondo cui l’assunzione della garanzia relativa “alle inadempienze” era riferibile alle obbligazioni scadute e non adempiute durante il periodo di vigenza della polizza, con conseguente inapplicabilità dell’art. 1957 cod. civ.).
Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 8-7-2014, n. 15476
Art. 1957 cc (Scadenza dell’obbligazione principale) – Giurisprudenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La società (OMISSIS) s.p.a. (che in prosieguo di tempo muterà la propria ragione sociale in (OMISSIS), s.p.a.; d’ora innanzi, per brevità, l’ (OMISSIS)”) nel 2003 convenne dinanzi al Tribunale di Torino la società (OMISSIS) s.p.a., esponendo che:
(-) aveva stipulato un contratto di somministrazione di gas con la società (OMISSIS) s.p.a.;
(-) l’esatto adempimento delle obbligazioni assunte dalla (OMISSIS) s.p.a. in virtù del contratto di somministrazione erano state garantite dalla (OMISSIS) s.p.a., in virtù di una polizza fideiussoria;
(-) la (OMISSIS) s.p.a., dichiarata fallita, si era resa morosa nel pagamento di varie forniture per un importo totale di oltre 60.000 euro;
(-) la (OMISSIS) aveva rifiutato di adempiere la propria obbligazione di garanzia.
Chiese pertanto la condanna di quest’ultima società al pagamento dell’importo suddetto, oltre accessori.
2. La (OMISSIS) si costituì e negò di essere tenuta al pagamento, per essere l’ (OMISSIS) decaduta sia ai sensi dell’art. 1956 c.c., per avere continuato a “fare credito” alla (OMISSIS) sebbene conoscesse le sue difficoltà economiche; sia ai sensi dell’art. 1957 c.c., per non avere coltivato le proprie pretese nei confronti della (OMISSIS) entro sei mesi dalla scadenza.
3. Il Tribunale di Torino con sentenza 3.10.2005 n. 6430 rigettò la domanda, ritenendo l’ (OMISSIS) decaduta dalla garanzia fideiussoria ai sensi dell’art. 1957 c.c..
4. La sentenza, impugnata dall’ (OMISSIS), venne riformata dalla Corte d’appello di Torino con sentenza 8.5.2007 n. 717, la quale ritenne che il contratto stipulato tra (OMISSIS) ed (OMISSIS) obbligava la prima a garantire alla seconda il pagamento non già delle obbligazioni sorte nella vigenza del contratto, bensì il pagamento di quelle obbligazioni scadute nel suddetto periodo e non adempiute dal debitore principale. Così qualificato il contratto, la Corte d’appello ritenne ad esso inapplicabile la decadenza prevista dall’art. 1957 c.c..
5. Tale decisione è stata impugnata per cassazione dalla società (OMISSIS), cessionaria del portafoglio del ramo cauzioni della (OMISSIS) s.p.a., sulla base di tre motivi.
Ha resistito l’ (OMISSIS) con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa nel vizio di violazione di legge di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nell’escludere l’applicabilità al caso di specie dell’art. 1957 c.c., perchè nel contratto di garanzia stipulato tra (OMISSIS) e (OMISSIS) non vi era alcuna clausola che espressamente prevedesse la perdurante efficacia della garanzia fideiussoria fino all’estinzione dell’obbligazione principale, vale a dire il presupposto logico-giuridico sul quale la Corte d’appello aveva fondato la propria decisione di inapplicabilità dell’art. 1957 c.c..
1.2. Il motivo è inammissibile.
Sebbene formalmente qualificato come “violazione di legge”, il motivo in esame lamenta nella sostanza un’erronea interpretazione del contratto stipulato tra (OMISSIS) e (OMISSIS). è, infatti, la stessa (OMISSIS) a sostenere che vi sarebbe stata violazione dell’art. 1957 c.c. (consistita nell’escluderne l’applicazione, là dove si sarebbe dovuto per contro applicare) per avere la Corte d’appello “erroneamente interpretato le condizioni generali di contratto” (così il ricorso, pag. 6, ultimo capoverso).
Tuttavia la ricorrente non deduce, nel motivo in esame, la violazione di alcuno dei canoni legali di ermeneutica di cui all’art. 1362 c.c. e segg., nè prospetta un vizio di motivazione.
Ne consegue che la censura si risolve nella mera prospettazione di una interpretazione del contratto diversa da quella adottata dal giudice di merito: doglianza inammissibile in questa sede.
2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo di ricorso la (OMISSIS) sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa nel vizio di violazione di legge di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Espone al riguardo che la Corte d’appello ha qualificato il contratto stipulato tra (OMISSIS) e (OMISSIS) come un contratto atipico nel quale era prevalente la causa della fideiussione. Nonostante tale qualificazione, però, la Corte d’appello ha applicato al negozio in esame non la disciplina della fideiussione, ma quella della assicurazione del credito, finendo così per ritenere garantite dalla (OMISSIS) anche obbligazioni sorte prima della stipula della garanzia, ma scadute nella vigenza di questa. In tal modo, conclude la ricorrente, la Corte d’appello avrebbe violato gli artt. 1362 e 1363 e art. 1936, comma 5.
2.2. Il motivo è inammissibile, per due ragioni.
La prima ragione è che la (OMISSIS), pur prospettando una questione di violazione delle norme sull’interpretazione dei contratti, nel proprio ricorso non ha trascritto il testo di tutte le clausole della cui interpretazione si duole, ad eccezione degli art. 2 (pag. 6 del ricorso) e art. 4 (pag. 7 del ricorso) delle condizioni generali di contratto. In tal modo, la ricorrente ha violato il principio di autosufficienza, in virtù del quale il ricorrente per cassazione è tenuto a trascrivere integralmente il contenuto delle clausole asseritamente male interpretate (ex multis, Sez. 2, Sentenza n. 3075 del 13/02/2006, Rv. 586462; Sez. 3, Sentenza n. 5444 del 14/03/2006, Rv. 587882). La suddetta omissione, inoltre, preclude a questa Corte la possibilità di verificare se il giudice di merito abbia fatto corretta applicazione del canone ermeneutico dell’interpretazione globale, sancito dall’art. 1363 c.c..
La seconda ragione è che anche col motivo in esame la (OMISSIS), pur lamentando formalmente una violazione delle norme sull’interpretazione dei contratti, nella sostanza chiede a questa Corte un interpretazione diversa da quella che, non implausibilmente, ha adottato il giudice di merito.
Questi, infatti, non ha affatto negato che il contratto debba essere interpretato secondo la sua lettera e l’intenzione delle parti (nel qual caso soltanto si sarebbe potuta predicare la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.): ha semplicemente ritenuto, nell’esercizio dei suoi poteri-doveri di accertamento del fatto, che l’accordo includesse tra le obbligazioni garantire anche quelle sorte prima della stipula della garanzia, ma scadute e rimaste inadempiute nella vigenza di questa. Si tratta dunque di un tipico accertamento di fatto, insuscettibile di sindacato in sede di legittimità, poichè logicamente motivato.
3. Il terzo motivo di ricorso.
3.1. Col terzo motivo di ricorso la (OMISSIS) lamenta che la sentenza impugnata sia affetta da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
Espone al riguardo come la Corte d’appello abbia ritenuto che il contratto prevedesse la vigenza della garanzia fino alla totale estinzione dell’obbligazione garantita. Questa valutazione è stata tuttavia fondata dalla Corte d’appello su una clausola contrattuale (l’art. 2) che si occupava di tutt’altro, avendo il solo scopo di circoscrivere la garanzia agli inadempimenti verificatisi dopo la stipulazione della polizza fideiussoria. Da ciò il vizio di motivazione, in quanto la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente spiegato perchè mai da una clausola che delimitava l’oggetto del contratto (art. 2 condizioni generali) abbia tratto una conclusione concernente la durata del contratto, e cioè che la garanzia restasse in vita fino al puntuale adempimento dell’obbligazione garantita.
3.2. Il motivo è infondato.
L’art. 2 delle condizioni generali di contratto, trascritto dalla (OMISSIS) a pag. 6 e 13 del ricorso, recita: “la garanzia prestata con la presente polizza si riferisce esclusivamente alle inadempienze verificatesi dopo la stipulazione ed il perfezionamento della polizza stessa (…) e denunciate alla Società (garante) entro il periodo di durata indicato sul retro”.
La clausola appena trascritta ha, oggettivamente, una sintassi ambigua ed atecnica.
Oggetto d’una garanzia, infatti, può essere una obbligazione, ovvero un debito, ovvero una prestazione contrattualmente dovuta, ma non certo un “inadempimento”. “Garantire un inadempimento”, secondo le regole della sintassi della lingua italiana, significa nè più nè meno che “fare in modo che qualcuno si renda inadempiente” ai suoi obblighi.
è dunque evidente che la clausola di cui si discorre, là dove afferma che “la garanzia si riferisce alle inadempienze” non poteva e non doveva essere interpretata dalla Corte d’appello ad litteram.
3.3. Da ciò discendono due conseguenze.
La prima, in iure, è che doverosamente la Corte d’appello, dinanzi ad un testo ambiguo, ha implicitamente adottato il criterio dell’interpretatio contra proferentem di cui all’art. 1370 c.c..
La seconda, in facto, è che la Corte d’appello, doverosamente travalicando l’ambiguo senso letterale del testo contrattuale, ha ritenuto che l’obbligo della (OMISSIS) di “garantire le inadempienze” della (OMISSIS) s.p.a. andasse inteso nel senso che oggetto della garanzia fossero le obbligazioni scadute e non adempiute durante il periodo di vigenza della polizza. Si tratta d’una interpretazione non illogica, non contraddittoria e non irrazionale, e dunque non sindacabile in questa sede.
4. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1.
P.q.m.
LA CORTE DI CASSAZIONE
-) rigetta il ricorso;
-) condanna (OMISSIS) alla rifusione in favore di (OMISSIS) delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di euro 6.200, di cui euro 200 per spese vive, oltre IVA ed accessori.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 18 marzo 2014.
Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2014