Ordinanza 15705/2020
Condominio minimo – Nozione – Disciplina applicabile – Conseguenze in ipotesi di mancanza di unanimità
Deve ravvisarsi un “condominio minimo” per il quale opera la disciplina dettata dal codice civile in tema di funzionamento dell’assemblea condominiale laddove i partecipanti siano, uno, proprietario esclusivo di un’unità immobiliare ed altri comproprietari “pro indiviso” delle restanti unità immobiliari comprese nell’edificio; non opera, tuttavia, il principio di maggioranza atteso che i medesimi comproprietari, con riguardo all’elemento personale supposto dall’art. 1136 c.c., sebbene abbiano designato distinti rappresentanti, esprimono comunque un solo voto con la conseguenza che, ove non si raggiunga l’unanimità, è necessario adire l’autorità giudiziaria, ai sensi degli artt. 1105 e 1139 c.c.
Cassazione Civile, Sezione 6-2, Ordinanza 23-7-2020, n. 15705 (CED Cassazione 2020)
Art. 1136 cc (Costituzione dell’assemblea e validità delle deliberazioni) – Giurisprudenza
Art. 1139 cc (Rinvio alle norme sulla comunione) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
(OMISSIS) e (OMISSIS) propongono ricorso articolato in due motivi motivo avverso la sentenza n. 2852/2018 pronunciata il 4 dicembre 2018 dalla Corte d’Appello di Ancona.
L’intimata (OMISSIS) resiste con controricorso.
La Corte di Ancona ha respinto il gravame proposto da (OMISSIS) e (OMISSIS) contro la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Urbino in data 5 dicembre 2012, che aveva accolto la domanda di (OMISSIS) e così dichiarato nulla la delibera assembleare del 2 ottobre 2011 adottata dal Condominio di via Circonvallazione 20, Apecchio. Ad avviso del Tribunale, come della Corte d’appello, essendo l’edificio di via Circonvallazione 20, Apecchio, suddiviso in tre unità immobiliari, di cui una in proprietà individuale di (OMISSIS) e le altre due entrambe in comproprietà pro indiviso di (OMISSIS) e (OMISSIS), dovevano trovare applicazione le norme in tema di comunione, e non quelle sulla maggioranza dettate in tema di condominio, trattandosi di “condominio minimo”, in quanto il numero di partecipanti era inferiore a tre. Per i giudici del merito, non induceva a diversa conclusione l’applicabilità dell’art. 67, comma 2, disp. att., c.c., circa la possibilità per i comproprietari della porzione di designare un rappresentante, in quanto la designazione di (OMISSIS) e (OMISSIS) per ciascuna delle loro unità immobiliari in comunione non modificava la composizione personale del condominio, portando a tre il numero dei partecipanti aventi diritto al voto.
Il primo motivo di ricorso di (OMISSIS) e (OMISSIS) deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 67 disp. att. c.c. e dell’art. 1 Protocollo addizionale CEDU, sostenendo che ciascuno dei rappresentanti delle due unità immobiliari in comunione dovesse avere diritto ad esprimere il proprio voto.
Il secondo motivo di ricorso di (OMISSIS) e (OMISSIS) deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 67 disp. att. c.c., vigente all’epoca dei fatti, e dell’art. 14 disp. prel. c.c., negandosi la ravvisabilità di un “condominio minimo” in ipotesi di sussistenza di tre unità immobiliari, di cui una di proprietà esclusiva di un condominio ed altre due in comproprietà tra gli stessi soggetti.
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente infondato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
I ricorrenti hanno presentato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.
Deve in premessa precisarsi come, essendo in discussione la validità di una deliberazione assembleare adottata in data 2 ottobre 2011, trova applicazione, nella specie, il testo dell’art. 67 disp. att. c.c., comma 2, antecedente alla riformulazione operatane dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220 (entrata in vigore il 18 giugno 2013), atteso che la validità, o meno, di qualsiasi negozio, in difetto di un’eventuale disposizione espressamente dichiarata retroattiva dal legislatore, va sempre riferita alle norme in vigore nel momento della sua conclusione. Tale norma stabiliva, dunque, che: “Qualora un piano o una porzione di piano appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell’assemblea, che è designato dai comproprietari interessati; in mancanza provvede per sorteggio il presidente”.
L’ad 67 disp. att. c.c., comma 2, pur riferendosi al condominio negli edifici e non alla comunione in generale, è stato spiegato in giurisprudenza come espressione di un principio generale, in forza del quale, se ad una comunione partecipano per una quota più proprietari pro indiviso, costoro devono nominare un rappresentante che esprima un voto e una volontà unica (Cass. Sez. 2, 04/10/1976, n. 3243). La necessità che il rappresentante dell’unità immobiliare in comproprietà esprima la volontà unica dei comproprietari comporta altresì che gli eventuali contrasti fra costoro sull’assemblea condominiale vanno risolti all’interno del gruppo (Cass. Sez. 2, 24/01/1980, n. 590; Cass. Sez. 2, 29/01/1974, n. 244).
Come chiarito da Cass. Sez. 2, 09/12/1988, n. 6671, l’art. 1136 c.c., il quale delinea la disciplina inderogabile (art. 1138 c.c., comma 4) concernente la composizione e il funzionamento dell’assemblea, facendo riferimento, per l’approvazione delle deliberazioni, ad un determinato numero di partecipanti al condominio ed ad un determinato valore dell’edificio rappresentato dalle rispettive quote, comporta che ogni condomino intervenuto possa esprimere un solo voto (ed analogamente va considerata la posizione degli astenuti e degli assenti), qualunque sia l’entità della quota che rappresenta ed indipendentemente dal fatto che questa sia costituita da una sola o da più unità immobiliari, stante l’autonoma rilevanza attribuita al voto personale rispetto al valore, sia pure minimo, della quota rappresentata dal singolo condomino. Se, pertanto, due o più persone siano tutte comproprietarie pro indiviso di due o più unità immobiliari nello stesso edificio, esse non hanno diritto ad esprimere tanti voti quanti siano i distinti rappresentanti che designano, come prospettano i ricorrenti, sicchè il diritto di intervento attribuito dall’art. 67 disp. att. c.c., comma 2, non altera il numero dei “partecipanti al condominio” con riguardo all’elemento personale supposto dall’art. 1136 c.c., nel senso che, ai fini delle maggioranze numeriche, i comproprietari delle medesime unità immobiliari “contano per uno”, e cioè esprimono un solo voto.
Non può avere rilievo l’invocazione fatta dai ricorrenti dell’art. 1 del Primo Protocollo addizionale della Convenzione Europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), in quanto tale disposizione contempla il diritto di ogni soggetto “al rispetto dei suoi beni”, fissando i presupposti imprescindibili per una legittima privazione della proprietà ed accordando la sua protezione contro le violazioni fondate su determinazioni discrezionali dell’autorità, e non può essere perciò invocata con riguardo a disposizioni di carattere generale che allochino diritti tra privati (cfr. CEDU 12 dicembre 1983, Bramelid e Malmstròm c. Svezia, ricc. 8588/79 e 8589/79).
Ne consegue che, ove, come nel caso in esame, i partecipanti al condominio siano l’uno (quale (OMISSIS)) proprietario esclusivo di una unità immobiliare ed altri due (o più) comproprietari pro indiviso di due (o più) unità immobiliari comprese nello stesso edificio (quali (OMISSIS) e (OMISSIS)), deve ravvisarsi, sotto il profilo dell’elemento personale, un “condominio minimo” (formato, cioè, da due partecipanti con diritti di comproprietà paritari sui beni comuni), per il quale operano le norme in tema di organizzazione (ad es., artt. 1120, 1121, 1129, 1130, 1131, 1132, 1133, 1135, 1136, 1137 e 1138 c.c.), e specialmente quelle procedimentali sul funzionamento dell’assemblea, pur essendo impedito il ricorso al principio di maggioranza. L’assemblea del condominio minimo, pertanto, si costituisce regolarmente con la partecipazione di entrambi i condomini e delibera validamente soltanto con decisione “unanime” di ambedue i comproprietari; ove, invece, non si raggiunga l’unanimità, o perchè l’assemblea, in presenza di entrambi i condomini, decida in modo contrastante, oppure perchè, alla riunione – benchè regolarmente convocata – si presenti uno solo dei partecipanti e l’altro resti assente, è necessario adire l’autorità giudiziaria, ai sensi degli artt. 1105 e 1139 c.c. (Cass. Sez. U, 31/01/2006, n. 2046; Cass. Sez. 2, 02/03/2017, n. 5329; Cass. Sez. 2, 19/07/2007, n. 16075).
In definitiva, va enunciato il seguente principio di diritto:
“Allorchè i partecipanti ad un condominio siano uno proprietario esclusivo di una unità immobiliare ed altri comproprietari pro indiviso delle restanti unità immobiliari comprese nell’edificio, atteso che i medesimi comproprietari, con riguardo all’elemento personale supposto dall’art. 1136 c.c., sebbene abbiano designato distinti rappresentanti, esprimono comunque un solo voto, deve ravvisarsi un “condominio minimo”, per il quale opera la disciplina dettata dal codice civile in tema di funzionamento dell’assemblea condominiale, pur essendo impedito il ricorso al principio di maggioranza; ne consegue che, ove non si raggiunga l’unanimità, è necessario adire l’autorità giudiziaria, ai sensi degli artt. 1105 e 1139 c.c.”
Quanto, infine, alle ulteriori considerazioni svolte dai ricorrenti nella memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2, in particolare con riguardo al punto 1. del paragrafo D, non sussistono i presupposti per il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione Europea, in quanto gli stessi ricorrenti si limitano a censurare l’incompatibilità con il diritto dell’Unione delle conseguenze applicative di fatto derivanti dall’avversata interpretazione dell’art. 1136 c.c. e art. 67 disp. att. c.c., profilo che è rimesso al giudice nazionale poichè non involge alcuna interpretazione generale ed astratta della normativa interna.
Circa, invece, le considerazioni svolte al punto 2. del paragrafo D della memoria dei ricorrenti, occorre ribadire che il principio di pubblicità dell’udienza, consacrato, oltre che nell’art. 6 CEDU, anche nell’art. 6 Trattato UE (il quale ha recepito l’art. 47 Carta di Nizza), pur avendo valore costituzionale, non è assoluto, essendo suscettibile di deroga, tra l’altro, quando il giudice possa adeguatamente risolvere le questioni di fatto o di diritto sottoposte al suo esame in base agli atti del fascicolo ed alle osservazioni delle parti, ciò che appunto avviene, a norma dell’art. 380-bis c.p.c., allorchè il relatore, nei casi previsti dall’art. 375 c.p.c., comma 1, nn. 1) e 5), propone al presidente di fissare l’adunanza della Corte, indicando se sia stata ravvisata un’ipotesi di inammissibilità, di manifesta infondatezza o di manifesta fondatezza del ricorso, favorendo comunque il procedimento, per effetto della notifica del decreto alle parti e della facoltà a queste riservata di presentare memorie, il pieno dispiegarsi del contraddittorio, oltre che la celerità della decisione.
Il ricorso va perciò rigettato e i ricorrenti vanno condannati in solido a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13,comma 1-bis, se dovuto.