Roma, Via Valadier 44 (00193)
o6.6878241
avv.fabiocirulli@libero.it

Cassazione Civile 1602/2023 – Licenziamento illegittimo – Mancata iscrizione della lavoratrice al centro per l’impiego – Detraibilità dell'”aliunde percipiendum” sulla base dell’art. 1227 cc

Richiedi un preventivo

Ordinanza 1602/2023

Licenziamento illegittimo – Mancata iscrizione della lavoratrice al centro per l’impiego – Detraibilità dell'”aliunde percipiendum” sulla base dell’art. 1227 cc – Esclusione 

Nell’ipotesi di licenziamento illegittimo cui consegua la tutela reintegratoria cd. “piena”, di cui all’art. 18, comma 1, st.lav. riformulato – che opera quale regime speciale concernente la materia dei licenziamenti individuali – non trova applicazione la detrazione dell'”aliunde percipiendum” in quanto il comma 2 dell’art. citato dispone che nella predetta ipotesi dal risarcimento vada dedotto esclusivamente quanto dal lavoratore percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative e non anche quanto il lavoratore “avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione”, come previsto, invece, dal successivo comma 4 in materia di tutela reintegratoria cd. “attenuata”. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il motivo di ricorso con il quale il datore di lavoro aveva lamentato, avuto riguardo alla dedotta mancata iscrizione della lavoratrice al centro per l’impiego, la omessa applicazione, in sede di gravame, del principio della detraibilità dell'”aliunde percipiendum” sulla base dell’art. 1227 c.c.).

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza 19-1-2023, n. 1602   (CED Cassazione 2023)

Art. 1227 cc (Concorso di colpa) – Giurisprudenza

 

 

RILEVATO CHE:

con la sentenza impugnata é stata confermata la pronunzia del Tribunale di Pesaro con la quale era stato dichiarato nullo il licenziamento irrogato dalla ” (OMISSIS) s.r.l.” ad (OMISSIS), in quanto intimato in costanza di matrimonio, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria cd. “piena” ex art. 18, comma 1, st. lav.;

per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la ” (OMISSIS) s.r.l.”, affidato a quattro motivi;

(OMISSIS) ha resistito con controricorso;

la ” (OMISSIS) s.r.l.” ha depositato memoria;

il P.G. non ha formulato richieste.

CONSIDERATO CHE:

con il primo motivo, la ricorrente – denunciando omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che é stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – si duole che il giudice del reclamo abbia ritenuto che l’aspettativa non retribuita fosse stata documentata e giustificata da certificazione di malattia con prognosi di inabilità al lavoro fino al 9 giugno 2017, omettendo di considerare il contenuto del certificato medico emesso in data 30 marzo 2017, dal quale emergeva, invece, una prognosi sino all’8 giugno 2017;

con il secondo motivo – denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto e segnatamente del Decreto Legislativo n. 198 del 2006, art. 35, comma 5, con riferimento all’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – lamenta che il predetto giudice abbia erroneamente escluso la colpa grave della lavoratrice costituente giusta causa di risoluzione del rapporto, malgrado non fosse stato contestato che la lavoratrice medesima fosse rimasta assente dal lavoro per il periodo dall’8 luglio 2017 al 18-20 luglio 2017 e successivamente, essendo anche stato provato che la domanda di congedo straordinario dal 3 luglio 2017 era stata annullata; evidezia, infine, che nel corso del rapporto la lavoratrice aveva tenuto condotte di insubordinazione oltre che contrarie ai doveri di fedeltà e correttezza;

con il terzo motivo – denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto e segnatamente dell’art. 1227 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – si duole che la Corte territoriale, avuto riguardo alla mancata iscrizione della lavoratrice al centro per l’impiego, non abbia applicato nel caso il principio della detraibilità dell’aliunde percipiendum”, derivante direttamente dalla previsione di cui al citato art. 1227 c.c.;

con il quarto motivo – denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto e segnatamente degli artt. 112 e 115 c.p.c., con riferimento all’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – lamenta che la predetta Corte abbia rigettato l’eccezione di “aliunde perceptum” sul presupposto della non detraibilità dell’indennità Naspi, mentre la predetta eccezione era stata formulata in relazione allo svolgimento di attività lavorativa retribuita, con richiesta di esibizione ai sensi degli artt. 210 c.p.c. e/o 213 c.p.c..

Ritenuto che:

il primo motivo é inammissibile, poiché esso non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, dalla quale emerge che il certificato di malattia considerato – ai fini della decisione – é quello telematico datato 10 aprile 2017 (peraltro riportato nel controricorso), trasmesso dall’Inps al datore di lavoro, con prognosi fino al 9 giugno 2017; né in ricorso vi é deduzione alcuna circa la eventuale non significatività del certificato in questione ovvero circa la ipotetica subvalenza dello stesso rispetto a quello con prognosi fino all’8 giugno (di cui peraltro non vi é trascrizione);

il secondo motivo é del pari inammissibile, perché non si confronta ancora con la “ratio decidendi” della sentenza impugnata, la quale ha negato la giusta causa di risoluzione del rapporto, “in difetto di contestazione preventiva dell’asserito addebito disciplinare, a mente della L. n. 300 del 1970, art. 7”; e, rispetto a detta specifica “ratio decidendi”, la ricorrente non ha articolato motivi di censura, sicché si appalesa irrilevante qualsiasi profilo incentrato sul mancato accertamento della colpa grave, peraltro integrante questione di merito sottratta al sindacato di questa Corte;

il terzo motivo é da rigettare, in quanto, nell’ambito della tutela reintegratoria cd. “piena” di cui all’art. 18, comma 1, st.lav., operante quale regime speciale concernente la materia dei licenziamenti individuali, raliunde percipiendum” non é detraibile prevedendo il comma 2 dell’art. citato che dal risarcimento vada in via esclusiva dedotto quanto dal lavoratore percepito, nel periodo di estromissione, “per lo svolgimento di altre attività lavorative” -, come del resto é linearmente desumibile dalla disposizione, dettata in materia di tutela reintegratoria cd. “attenuata”, di cui al successivo comma 4, ove é invece previsto che dalla posta risarcitoria debba essere dedotto anche quanto il lavoratore “avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione”;

il quarto motivo é inammissibile, in quanto esso, lungi dal denunziare una effettiva violazione di legge, si risolve in una censura di omissione di pronuncia e/o di mancato accoglimento dell’istanza di esibizione di documenti; sicché, quanto al primo profilo, mancando nel motivo il riferimento alla nullità della decisione, vale il principio secondo cui “Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non é indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge” (così Cass. 07/05/2018, n. 10862); e, quanto al secondo, é applicabile il principio – su cui v., tra le altre, Cass. 8/10/2021, n. 27412 – secondo cui “In tema di poteri istruttori del giudice, l’emanazione di ordine di esibizione é discrezionale e la valutazione di indispensabilità non deve essere neppure esplicitata; ne consegue che il relativo esercizio é svincolato da ogni onere di motivazione e il provvedimento di rigetto dell’istanza non é sindacabile in sede di legittimità, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, trattandosi di strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova dei fatti non possa in alcun modo essere acquisita con altri mezzi e l’iniziativa della parte istante non abbia finalità esplorativa”;

al rigetto del ricorso segue il pagamento delle spese di lite, liquidate come in dispositivo e da distrarsi in favore dell’avv. (OMISSIS);

ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge, da distrarsi in favore dell’avv. (OMISSIS).

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 2 dicembre 2022.