Sentenza 16489/2009
Corrispettivo del patto di non concorrenza – Natura – Reddito da lavoro dipendente ai fini contributivi
Il corrispettivo del patto di non concorrenza di cui all’art. 2125 cod. civ., che non ha natura risarcitoria ma costituisce il corrispettivo di un’obbligazione di “non facere”, ancorché erogato in vista della cessazione del rapporto, non è finalizzato ad incentivare l’esodo del lavoratore, né costituisce una erogazione che “trae origine dalla predetta cessazione”, avendo piena autonomia causale rispetto alla fine del rapporto, che è mera occasione del patto; ne consegue che, non essendo applicabile alcuna delle ipotesi di esclusione dalle basi imponibili previste dal d.P.R. n. 917 del 1986, il corrispettivo del patto di non concorrenza è ricompreso nella nozione di reddito da lavoro dipendente ai fini contributivi di cui all’art. 12 della L. n. 153 del 1969, come sostituito dall’art. 6 del d.lgs. n. 314 del 1997.
Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 15-7-2009, n. 16489 (CED Cassazione 2009)
Art. 2125 cc (Patto di non concorrenza) – Giurisprudenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso notificato a mezzo del servizio postale in data 30 marzo 2006, l’INPS propone ricorso per la cassazione della sentenza depositata il 22 dicembre 2005 e notificatagli il successivo 8 febbraio 2006, con la quale la Corte d’appello di Bologna aveva respinto i suo appello avverso la sentenza 4 febbraio 2004 del locale Tribunale, di accoglimento delle domande svolte da LI. Cl. .
Quest’ultimo aveva chiesto la condanna dell’INPS a tener conto, in sede di liquidazione del proprio trattamento di pensione, della contribuzione, effettivamente versata, corrispondente alla somma di lire 30.071.000, pagatagli dalla datrice di lavoro (OMISSIS) s.p.a. all’atto della cessazione del rapporto di lavoro del 31 marzo 1999, a titolo di compenso per il patto di non concorrenza.
I giudici di merito hanno accolto le conseguenti domande del Li. di riliquidazione della sua pensione cat. (OMESSO), qualificando l’importo erogato per il titolo indicato come base imponibile ai fini contributivi, ai sensi della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12, nel testo sostituto dal D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, art. 6.
Alle domande dell’INPS resiste LI. Cl. con proprio rituale controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col ricorso, l’INPS denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2125 c.c. e della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12, nonchè il vizio di motivazione.
In proposito, l’Ente ricorrente sostiene che, data la struttura e la funzione autonome del patto di non concorrenza di cui all’art. 2125 c.c., rispetto al contratto di lavoro subordinato cui accede, il relativo compenso non potrebbe essere qualificato come retribuzione imponibile ai sensi dell’art. 12 della L. indicata.
Del resto, le uniche decisioni di questa Corte che tale lo qualificherebbero avrebbero ad oggetto la diversa ipotesi in cui il corrispettivo del patto di non concorrenza sia erogato in corso di rapporto, ipotesi che secondo il ricorrente non sarebbe peraltro correttamente riconducibile a quella disciplinata dall’art. 2125 c.c..
Il ricorso è infondato.
Questa Corte ha invero ripetutamente affermato che il patto di non concorrenza, anche se è stipulato contestualmente al contratto di lavoro subordinato, rimane autonomo da questo, sotto il profilo prettamente causale.
Conseguentemente, il corrispettivo con esso stabilito, essendo diverso e distinto dalla retribuzione (e non avendo natura risarcitoria, diversamente dalla tesi sostenuta dall’INPS in appello, ma abbandonata in questa sede), deve possedere soltanto i requisiti richiesti in generale per l’oggetto della prestazione dall’art. 1346 c.c., (Cass. 13 maggio 1975 n. 1846 e 4 aprile 1991 n. 3507).
Il collegio rileva peraltro che la nozione legale di base imponibile in materia di redditi di lavoro o di retribuzione imponibile ai fini contributivi coincide solo parzialmente con quella di retribuzione rilevante sul piano della stretta corrispettività rispetto alla prestazione lavorativa.
Già sulla base della definizione contenuta nell’originario testo della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12, (“Per la determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi… si considera retribuzione tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura, in dipendenza del rapporto di lavoro”) questa Corte aveva ritenuto che la nozione includesse non solo il semplice corrispettivo dell’opera prestata, ma tutto ciò che per L. o convenzione deve essere versato al lavoratore per le sue esigenze di vita personale e familiare in dipendenza o in occasione di lavoro (cfr., ad es., da ultimo, Cass. 19 giugno 2008 n. 16678).
Va altresì ricordato che nel tempo, nel contiguo settore della disciplina delle imposte sui redditi, si era andata determinando una evoluzione, in senso analogo, della nozione di base imponibile in tema di redditi da lavoro dipendente, nel passaggio dalla normativa di cui del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597, artt. 46 e 48, che poneva maggiormente l’accento sulla dipendenza dal lavoro prestato – e quindi sulla corrispettività di quanto erogato al prestatore – a quella delle corrispondenti norme del nuovo Testo Unico delle imposte dirette (Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917), secondo cui (art. 46, comma 1) “Sono redditi di lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro… alle dipendenze e sotto la direzione di altri…”.
La nuova formulazione, infatti, letta anche alla luce di quella precedente e ulteriormente evoluta nel senso indicato con la sostituzione del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, art. 48 Testo Unico ad opera del D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, art. 3, – in cui ancora più chiara è la correlazione tra reddito e rapporto di lavoro – è stata infatti letta nel senso che la base imponibile non è rappresentata unicamente dal corrispettivo della prestazione lavorativa, ma da ogni erogazione che derivi o sia comunque occasionata dal rapporto di lavoro dipendente (sull’argomento, cfr. Cass. 9 luglio 1999 n. 7188).
Deriva da tale situazione normativa la conseguenza che, quando l’art. 6 del citato D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, sostituendo il testo della L. n. 153 del 1969, art. 12, ha richiamato per la determinazione del reddito da lavoro dipendente a fini contributivi, la nozione di cui all’art. 46, comma 1 del Testo unico sulle imposte sui redditi, la relativa definizione di cui prima si è richiamato il significato – non è sostanzialmente mutata.
A tale nozione va pertanto anche oggi ricondotto, in quanto erogato in dipendenza della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato – ancorchè per una obbligazione di non facere da adempiere nel tempo successivo alla sua cessazione – e in funzione di compenso a fronte delle limitazioni lavorative per tale tempo convenute, anche il corrispettivo del patto di non concorrenza, non rilevando infine, ai fini indicati, se lo stesso venga erogato in costanza di rapporto di lavoro, quale quota o parte della retribuzione periodica (su cui cfr. Cass. 4 aprile 1991 n. 3507, cit. e 20 luglio 1983 n. 5014) oppure al termine o dopo la cessazione del rapporto di lavoro (ad es. periodicamente per la durata dell’obbligazione di non facere).
Ciò posto in linea di massima, è necessario verificare se tale corrispettivo rientri tra quelli tassativamente (cfr., in proposito, il 5 comma del nuovo testo della L. n. 153, art. 12) indicati dalla norma di L. come esclusi dalla nozione di base imponibile contributiva dettata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 314 del 1986, art. 46 Testo Unico.
L’argomento ha formato oggetto di ampia analisi nella sentenza impugnata, sostanzialmente non contestata dall’INPS, le cui difese si sono concentrate sulla definizione della nozione di retribuzione imponibile e sulla non riconducibilità ad essa del corrispettivo del patto, salvo il caso (considerato nelle due sentenze di questa Corte citate) in cui questo venga erogato in corso di rapporto sotto forma di una quota della retribuzione, in quanto in tale ipotesi l’erogazione perderebbe i connotati tipici originari.
Trattasi di interpretazione della norma di L. pienamente condivisibile, la quale, partendo dalla evidente irrilevanza, sul piano dell’indagine relativa ai casi esclusi dalla nozione di base imponibile contributiva, delle ipotesi di cui alle lettera a) (trattamento di fine rapporto), d) (somme erogate a titolo previdenziale o assistenziale), e) (specifici casi di possibili erogazioni previsti dalla contrattazione collettiva aziendale o di secondo livello), f) (somme accantonate o versate dal datore di lavoro a finanziamento di forme di previdenza complementare o di assistenza) e g) (trattamenti di famiglia di cui all’art. 3, comma 3 lettera d) del cit. Testo Unico sulle imposte sui redditi) del nuovo testo della L. n. 153 del 1969, art. 12, comma 4, si sofferma sul contenuto delle lettera b) e c) del medesimo art..
Quanto alla lettera c), è stato già rilevato che la tesi relativa alla natura risarcitoria dell’emolumento è stata abbandonata dall’INPS ed è contraddetta dalla uniforme giurisprudenza di questa Corte che qualifica esplicitamente tale erogazione come corrispettivo dell’obbligazione di non facere (cfr,, quanto alla completa definizione del patto, Cass. 2 marzo 1988 n. 2221; quanto poi all’uso corrente del termine “corrispettivo”, cfr, ad es., Cass. 4 aprile 2006 n. 7835).
Infine, come correttamente argomentato dalla Corte territoriale, tale corrispettivo non è neppure riconducibile all’ipotesi di cui dell’art. 12 cit., comma 4, lettera b), la quale esclude dalla base imponibile “le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro alfine di incentivare l’esodo dei lavoratori nonchè quelle la cui erogazione trae origine dalla predetta cessazione, fatta salva l’imponibilità dell’indennità sostitutiva del preavviso”.
Esclusa la possibilità di qualificare l’emolumento in parola come avente la finalità di incentivare l’esodo dei lavoratori, resta da esaminare l’ultima ipotesi di “erogazione che trae origine” da tale cessazione.
Già il fatto che subito dopo il legislatore senta il bisogno di specificare che rientra viceversa nella base imponibile l’indennità sostitutiva del preavviso appare indicativo del collegamento causale istituito dalla norma tra cessazione del rapporto di lavoro e l’erogazione ivi considerata.
Ma anche l’uso del termine “trae origine” evidenzia la necessità di un nesso di derivazione giuridica dell’emolumento dalla cessazione del rapporto di lavoro, rapporto che viceversa costituisce la mera occasione del patto di non concorrenza, il quale presenta piena autonomia causale rispetto ad esso e quindi alla sua cessazione.
Concludendo, sulla base delle considerazioni esposte, dovendosi ritenere che il corrispettivo del patto di non concorrenza di cui all’art. 2125 c.c. è incluso nella nozione di reddito da lavoro dipendente ai fini contributivi di cui alla L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12, come sostituito dal D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, art. 6, il ricorso dell’INPS va respinto, con le normali conseguenze in ordine al regolamento delle spese di questo giudizio, operato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al Li. le spese di questo giudizio, che liquida in euro 12,00, per spese ed euro 3.000,00, oltre accessori, per onorari.
Roma, il 10 giugno 2009.