Sentenza 16506/2019
Diritto di cronaca opera cinematografica di taglio documentaristico o giornalistico – Responsabilità ex art. 2043 cc – Esimente della verità putativa
Allorchè un’opera artistica riguardi vicende di cronaca ancora in evoluzione, utilizzi i nomi propri delle persone coinvolte ed adotti un taglio al contempo sia narrativo che giornalistico e documentaristico, dovendo darsi prevalenza agli aspetti di tipo informativo rispetto a quelli artistici e creativi, la valutazione dell’esimente della verità putativa deve attenersi ai più stringenti criteri richiesti in tema di esercizio del diritto di cronaca, non limitandosi all’esame dei soli elementi formali ed estrinseci ma estendendo l’analisi anche all’uso di eventuali espedienti stilistici che possono trasmettere agli spettatori, anche al di là di una formale ed apparente correttezza espositiva, connotazioni negative sulle persone e sul ruolo dalle stesse rivestito, sicchè ogni accostamento di notizie vere può considerarsi lecito solo se non produce un significato ulteriore che le trascenda e che abbia autonoma attitudine lesiva.
Giudizio di rinvio riassunto dall’appellato – Contumacia dell’appellante originario
Nel giudizio di rinvio ex art. 392 e ss. c.p.c. riassunto dall’appellato, la declaratoria di contumacia dell’originario appellante non comporta l’improcedibilità dell’appello originario, nè il passaggio in giudicato nei suoi confronti della sentenza di primo grado.
Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, Sentenza 19 giugno 2019, n. 16506 (CED Cassazione 2019)
Art. 2043 cc annotato con la giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
Il presente giudizio di legittimità segue la decisione della Corte di appello di Roma conseguente alla sentenza rescindente di questa Corte n. 2960 del 7/2/2011 che aveva cassato con rinvio la decisione della Corte di appello di Roma n. 4989/2008, nel giudizio originariamente promosso da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) SRL, produttrice del film “(OMISSIS)”, (OMISSIS), regista e coautore della sceneggiatura, (OMISSIS), coautrice della sceneggiatura, e (OMISSIS) (detto (OMISSIS)), autore della colonna sonora, per sentire accertare che alcune scene del film erano lesive dell’onere e della reputazione della propria persona, componente del CSM all’epoca dei fatti narrati – relativi alla nomina del capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo – con condanna solidale al risarcimento del danno.
La menzionata sentenza di questa Corte, accogliendo il solo settimo motivo di ricorso, aveva rilevato “che, nella pur ampia sentenza, non vi è alcuna specifica motivazione riguardo alla esclusione della verità putativa (pur affermata a pag. 21), cui il giudicante sembra pervenire in base a quegli elementi che conducono invece ad escludere la verità oggettiva dei fatti narrati, ma nulla dicono riguardo all’atteggiamento psicologico dei convenuti, in cui, in buona sostanza, la verità putativa si sostanzia. Tanto più che, nella ricostruzione della verità oggettiva, rilievo preminente è attribuito ad un elemento indiziario (la lettera di (OMISSIS) indirizzata a (OMISSIS)) di cui, per definizione, i convenuti non potevano essere a conoscenza”.
La Corte di appello di Roma, decidendo in sede di rinvio, dopo avere disposto l’acquisizione officiosa presso la Corte di cassazione dei fascicoli delle parti non costituitesi nel relativo giudizio, sulla premessa che quel nuovo giudizio concerneva il riesame della controversia, ha proceduto ad accertare se la allegata verità putativa relativa ai fatti narrati nell’opera cinematografica sussistesse o meno. Quindi – sulla preliminare considerazione che doveva ritenersi definitivamente accertata la natura oggettivamente offensiva delle singole scene del film “(OMISSIS)” delle quali (OMISSIS) si era doluto e nelle quali si ritraeva la descrizione di un uomo, amico e collega che prometteva di mantenere una condotta e poi, nascostamente, operava in maniera diametralmente opposta alla promessa, alla stregua del rinvio disposto dalla Cassazione -, ha ritenuto la sussistenza della verità putativa dei fatti esposti nel film con riferimento all’epoca anteriore alla proiezione del film, e cioè al novembre 1993, ed ha escluso l’illecito lamentato da (OMISSIS), dichiarando assorbiti tutti gli altri motivi.
(OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione con cinque mezzi; (OMISSIS) SRL in liquidazione (di seguito la società) ha replicato con controricorso e ricorso incidentale, con un mezzo, al quale ha replicato (OMISSIS) con controricorso; (OMISSIS) (detto (OMISSIS)) ha replicato con controricorso. (OMISSIS) e (OMISSIS) sono rimasti intimati.
La trattazione della causa è stata disposta con rito camerale per l’adunanza del 14 dicembre 2018 e tutte le parti costituite hanno depositato memoria ex articolo 380 bis 1 c.p.c..
In data 6/12/2018 la (OMISSIS) SRL in liquidazione ha depositato e notificato via pec il verbale dell’Assemblea societaria della (OMISSIS) SPA in data 3/5/2012 dal quale si rilevava l’avvenuta trasformazione della società da SPA in SRL.
La difesa del ricorrente principale ha eccepito l’irritualità di tale deposito chiedendone lo stralcio, oltre che la discussione della controversia in pubblica udienza in ragione del principio del contraddittorio.
Con ordinanza in data 26/2/2019 è stata disposta la trattazione della causa in pubblica udienza.
Fissata la pubblica udienza per il 9 maggio 2019, le parti costituite hanno depositato ulteriori memorie ex articolo 372 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
- Preliminarmente va respinta l’eccezione di violazione del principio del contraddittorio sollevata da (OMISSIS) in relazione alla comunicazione, a dire del ricorrente tardiva, della trasformazione della (OMISSIS) SPA in (OMISSIS) SRL, ora in liquidazione.
Va osservato che la questione risulta privo di rilievo, atteso che lo stesso ricorrente – con il ricorso notificato il 23/4/2015, con il quale ha evocato in giudizio la società, sia nella forma della SPA che in quella della SRL – ha dimostrato, anche se l’evento non era stato dichiarato dalla parte interessata, di avere avuto tempestiva cognizione dell’avvenuta trasformazione, i cui contenuti erano facilmente evincibili dalla consultazione del Registro delle imprese, di guisa che nessun pregiudizio al principio del contraddittorio appare ipotizzabile, non risultando peraltro nemmeno dedotto in concreto alla pubblica udienza.
2.1. Si deve quindi passare all’esame del ricorso principale.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 348 c.p.c., in relazione agli articoli 392 e ss., articolo 394 c.p.c., con riferimento all’articolo360 c.p.c., comma 1, n. 4; nonchè l’omessa motivazione su un punto controverso in relazione all’articolo 111 Cost., articoli 112 e 132 c.p.c. con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 e l’omesso esame di un fatto controverso.
Il motivo, sotto tutti i plurimi profili proposti, concerne (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) non comparsi nel giudizio di rinvio e dichiarati contumaci dalla Corte di appello.
Segnatamente, il ricorrente, dopo avere osservato che nell’originario giudizio di appello, i tre contumaci avevano rivestito la posizione di appellanti ed appellati incidentali e che in sede di giudizio di rinvio (riassunto da (OMISSIS)) non erano comparsi, sostiene che nel caso avrebbe dovuto trovare applicazione l’articolo 348 c.p.c., comma 2, di guisa che la Corte territoriale, in sede di rinvio, avrebbe dovuto dichiarare d’ufficio improcedibile l’appello proposto dagli stessi (fol. 10 del ricorso).
Infine, sostiene che alla pronuncia di improcedibilità sarebbe conseguito anche l’effetto di determinare il passaggio in giudicato nei loro confronti della sentenza del Tribunale di Roma n. 40596/2002.
A conforto di tale prospettazione osserva che la dedotta improcedibilità dell’appello ed il conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado nei confronti soltanto di alcune delle parti del giudizio, sarebbe configurabile trattandosi di ipotesi di obbligazione solidale.
2.2. Il motivo è infondato.
2.3. Osserva la Corte che il giudizio di rinvio è soggetto alla disciplina specifica prevista dagli articoli 392 e ss. c.p.c., che prevede due possibili esiti alternativi: la riassunzione (ad opera di qualunque parte) con la conseguente pronuncia del giudice del rinvio in attuazione del dictum della Cassazione o l’estinzione dell’intero processo: nessuna terza via è data.
Va pertanto escluso che possa determinarsi nei confronti della parte rimasta contumace nel giudizio di rinvio, la causa di improcedibilità invocata dal ricorrente e possa ricorrere il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, oramai travolta dalla pronuncia di legittimità; invero gli effetti della contumacia dichiarata nel giudizio di rinvio trovano un limite espresso costituito dalla previsione dell’articolo 394 c.p.c., comma 2, che stabilisce, proprio per il giudizio di rinvio, che “Le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui fu pronunciata la sentenza cassata” e cioè nel primo giudizio di appello.
La questione è già stata chiarita da questa Corte, che – al riguardo – ha affermato che “In caso di cassazione con rinvio, il giudice di merito, se è tenuto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla Corte per le questioni già decise, per gli altri aspetti della controversia rimasti impregiudicati o non definiti nelle precorse fasi del giudizio deve esaminare “ex novo” il fatto della lite e pronunciarsi su tutte le eccezioni sollevate e pretermesse nei precedenti stati processuali, indipendentemente dalla relativa riproposizione, senza che rilevi l’eventuale contumacia della parte interessata, che non può implicare rinuncia o abbandono delle richieste già specificamente rassegnate od acquisite al giudizio; ne consegue che dalla contumacia della parte nel giudizio di rinvio non può derivare la rinuncia alle domande riproposte nel grado di appello e, pertanto, non sussiste alcuna preclusione da giudicato interno” (Cass. n. 4070 del 12/02/2019; cfr. anche Cass. n. 24336 del 30/11/2015); e ciò nonostante il giudizio di rinvio non sia configurabile “quale continuazione di quello in esito al quale è stata emessa la decisione impugnata, ma come una nuova, autonoma fase del giudizio. Ne consegue la necessità di una nuova costituzione delle parti, con l’osservanza delle norme relative a tale atto. Pertanto, la mancata costituzione di una di esse ne comporta la contumacia, anche se la stessa parte si era costituita nelle precedenti fasi del giudizio” (Cass. n. 15489 del 06/12/2000).
Ne consegue che il richiamo alle obbligazioni solidali diviene privo di concreta rilevanza, attenendo la questione in esame al solo profilo processuale concernente lo svolgimento del giudizio di rinvio, che è processo chiuso.
Tale arresto è congruente con quanto disposto dalla Cassazione in sede rescindente, atteso che il dictum del rinvio ha riguardato la necessità di integrare la motivazione in merito “all’atteggiamento psicologico dei convenuti… in cui la verità putativa si sostanzia” e, quindi di tutti i convenuti, e cioè anche di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), parti costituite nel primo giudizio di appello: ciò trova conferma nelle disposizioni dettate dalla S.C. per l’esame delle questioni assorbite in caso di declaratoria di responsabilità dei convenuti (Cass. 2960/2011, fol. 7 e 8).
2.4. Si deve quindi affermare il seguente principio “Nel giudizio di rinvio ex articolo 392 e ss. c.p.c., riassunto dall’appellato, la declaratoria di contumacia dell’originario appellante non comporta l’improcedibilità dell’appello originario, nè il passaggio in giudicato nei suoi confronti della sentenza di primo grado”.
3.1. Con il secondo ed il terzo motivo il ricorrente censura la decisione della Corte di appello di richiedere d’ufficio alla Corte di cassazione la trasmissione dei fascicoli e dei documenti ivi contenuti delle parti rimaste contumaci nel giudizio di rinvio. Segnatamente, con il secondo motivo l’attenzione viene focalizza sulla inammissibilità della richiesta di acquisizione formulata dalla (OMISSIS) all’udienza di discussione; con il terzo, sulla decisione della Corte di appello di procedere a detta acquisizione d’ufficio e sulla qualificazione giuridica operata in merito dalla stessa Corte di appello.
3.2. Orbene, risultando indiscusso l’ambito del giudizio di rinvio, volto a colmare la ravvisata mancanza di una specifica motivazione riguardo alla esclusione della verità putativa, che si sostanzia nell'”atteggiamento psicologico dei convenuti” (fol.7 della sent. Cass. n. 2960/2011), atteso l’accertamento in via definitiva del carattere oggettivamente diffamatorio di alcune scene contestate del film, la Corte di appello si è pronunciata sulle questioni oggetto dei due motivi nei termini di seguito precisati.
La Corte territoriale, rimarcando che il giudizio di rinvio concerneva il riesame della controversia, al fine di accertare se la allegata verità putativa sussistesse o meno, ha affermato che l’attività rimessa al giudice del merito doveva poggiare sugli stessi elementi di giudizio che la Corte di legittimità aveva esaminato allorchè aveva ravvisato il vizio di motivazione ed ha ritenuto di dover acquisire presso la Cassazione i fascicoli di parte ed i documenti in essi contenuti, anche relativi alle parti rimaste contumaci nel giudizio di rinvio, sulla considerazione che, altrimenti, avrebbe potuto sottrarsi al dictum dei giudici di legittimità, “per mancanza di tutti i documenti che, sebbene esaminati dalla S.C. per descrivere il vizio di motivazione rilevato, tuttavia non sarebbero più in atti” (fol. 7 della sent. imp.).
A conferma della necessità di tale opzione la Corte di appello ha sottolineato le differenze intercorrenti tra l’originario giudizio di appello ed il giudizio di rinvio, richiamando gli effetti della mancata riassunzione e/o dell’estinzione del giudizio di rinvio a cui consegue, ex articolo 393 c.p.c., l’estinzione dell’intero processo, mentre solo la sentenza di legittimità conserva la sua efficacia vincolante nel nuovo processo instaurato con la riproposizione della domanda.
Su tale premessa, pur non escludendo l’applicabilità, nel caso del giudizio di rinvio, dell’articolo 76 disp. att. c.p.c., ha affermato che il giudice ad quem ha il potere officioso di acquisire tutti i fascicoli che si trovano presso la S.C. al fine di eseguire l’esame della controversia, anche se una parte non si sia avvalsa dell’articolo 76 cit., richiamando Cass. n. 3186 del 1/3/2012.
Ha considerato che l’articolo 394 c.p.c. non limita in alcun modo il potere officioso del giudice del rinvio, osservando che i limiti ai poteri istruttori delle parti non si estendono ai poteri del giudice (Cass. n. 341 del 9/1/2009).
Ha escluso che limiti a tale potere potessero essere desunti dall’articolo 169 c.p.c. e articoli 76 e 77 disp. att. c.p.c., invocando il principio secondo il quale un elemento probatorio una volta introdotto nel processo è definitivamente acquisito alla causa e non può più esserle sottratto, concorrendo alla formazione del convincimento del giudice (Cass. Sez. U. n. 28498/2005).
3.3. In merito a tale articolata statuizione, con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 392 e 394 c.p.c., articoli 77 e 126 disp. att. c.p.c., articolo 190 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e si sostiene, sulla premessa dell’applicabilità al giudizio del “vecchio rito”, che la richiesta di acquisizione formulata in merito dalla (OMISSIS), all’udienza di discussione, avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile per un triplice ordine di ragioni: a) la Corte di cassazione nel pronunciare la cassazione con rinvio non aveva proceduto alla valutazione di detta documentazione e nel giudizio di rinvio, una volta precisate le conclusioni, l’attività istruttoria doveva ritenersi chiusa; b) la richiesta di acquisizione, formulata per la prima volta in sede di rinvio era inammissibile ex articolo 345 c.p.c.; c) la richiesta costituiva riconoscimento di non avere adempiuto all’onere probatorio in merito alla sussistenza del requisito soggettivo dell’esimente della c.d. verità putativa da parte di (OMISSIS).
3.4. Quindi, con il terzo motivo, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 392 e ss., 342 e 345 e ss. c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Il ricorrente lamenta l’illegittimità dell’acquisizione e fa precedere l’esposizione delle ragioni da una serie di puntualizzazioni: 1) la circostanza che egli, pur avendo riassunto il giudizio, era “appellato” ed “appellante incidentale” solo in merito al quantum del risarcimento; 2) la circostanza che gli appellanti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) erano rimasti contumaci nel giudizio di rinvio, di guisa che doveva ritenersi che il giudice di appello – anche in sede di rinvio – non poteva legittimamente disporre ex officio, nè tantomeno su istanza tardiva di una parte, l’acquisizione o l’utilizzazione del fascicolo della parte contumace; e richiama all’uopo le decisioni rese da Cass. 3/3/2006, n. 4723 e Cass. Sez. U. 8/2/2013, n. 3033; 3) la circostanza che, essendosi formato il giudicato in merito alla illiceità delle scene del film delle quali era stata disposta l’eliminazione (confermata dalla Cassazione) e ritenuti improcedibili gli appelli originariamente proposti da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (in ragione degli argomenti svolti nel primo motivo di ricorso) l’indagine della Corte di merito in sede di rinvio avrebbe dovuto essere circoscritta alla sola questione se (OMISSIS), e soltanto (OMISSIS), potesse invocare l’esimente della cd. verità putativa, sulla base degli elementi di prova da essa stessa dedotti nella pregressa fase processuale, per la natura personale della scriminante in questione.
Poste tali premesse, si duole, quindi che la Corte di appello abbia operato al di fuori dei limiti fissati dalla sentenza di rinvio ed abbia ritenuto che “l’esame rimesso a questa Corte – giudice del merito deve pertanto poggiare sugli stessi elementi di giudizio che ha esaminato la Suprema Corte, allorchè ha ravvisato il predetto vizio di motivazione, cioè sugli stessi atti e documenti che hanno consentito alla Suprema Corte di concludere che il vizio di motivazione ci fosse” (fol. 6 della sent. imp.) laddove, a suo parere, la Corte di cassazione non aveva esaminato atti o documenti, ma aveva analizzato la motivazione della Corte di appello, senza far alcun riferimento ad atti o documenti.
Argomenta che il potere di acquisizione di ufficio attribuito al giudice di appello in ordine agli atti processuali è limitato al fascicolo di ufficio ex articolo 126 disp. att. c.p.c., e non al fascicolo di parte, richiamando Cass. n. 4759 del 27/02/2014.
Deduce che l’appellante (OMISSIS) avrebbe dovuto, avvalendosi delle facoltà ex articolo 76 disp. att. c.p.c., farsi rilasciare copia degli atti dei fascicoli delle parti da sottoporre all’esame del giudice dell’appello, subendo le conseguenze negative della mancata restituzione del fascicolo delle controparti rimaste contumaci, ove contenenti documenti ad essa favorevoli, richiamando Cass. Sez. U. 23/12/2005, n. 28498.
Infine, afferma che la ricorrenza dell’esimente doveva essere valutata sulla base delle risultanze istruttorie acquisite attraverso il fascicolo di (OMISSIS) poichè non è consentito trarre da elementi attinenti alla posizione soggettiva di altre parti la prova della propria condizione personale.
3.4.1. I motivi secondo e terzo possono essere trattati congiuntamente perchè intimamente connessi e vanno respinti perchè infondati.
3.4.2. Invero, detti motivi risultano in parte inficiati dall’erronea premessa relativa al passaggio in giudicato della decisione di primo grado nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), per improcedibilità degli appelli a seguito della mancata costituzione nel giudizio di rinvio, già sostenuta con il primo motivo, sulla scorta della quale il ricorrente tende a circoscrivere il contenzioso residuo alla sola (OMISSIS).
Tale assunto non è fondato per le ragioni processuali già espresse sub 2.3 e 2.4. e per il chiaro dictum formulato in proposito dalla Corte nel primo giudizio di legittimità.
Esso non può essere condiviso anche perchè, nel caso specifico, (OMISSIS) ha agito sin dall’inizio nei confronti di tutte e quattro le parti ricordate, chiamate a rispondere in solido per la medesima ragione, e cioè l’idoneità offensiva di alcune scene del film “(OMISSIS)”. Inoltre (OMISSIS), appellando la decisione di primo grado in relazione al quantum da pretesa diffamazione ivi liquidatogli, ha mirato “in ogni caso all’affermazione della responsabilità delle sue controparti”, come affermato dalla Corte di appello con statuizione non impugnata (fol. 5), anche se avrebbe potuto agire o proseguire il giudizio separatamente nei confronti di ciascuno di loro o rispetto ad uno soltanto (Cass. n. 11952 del 17/05/2010; Cass. n. 23650 del 20/12/2012): ciò non ha fatto, dando origine ad un litisconsorzio processuale che permane cristallizzato a seguito della cassazione con rinvio, secondo quanto già esposto sub 2.3 e 2.4., poichè la sentenza rescindente non ha definito alcuna posizione e, nel giudizio di rinvio, “Le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui fu pronunciata la sentenza cassata” (articolo 394 c.p.c., comma 2).
Ne consegue che, poichè l’originario appello incidentale di (OMISSIS) sul quantum – che ha riguardato tutte le controparti – afferiva alla domanda risarcitoria proposta nei confronti delle stesse – che ne costituiva l’ineludibile presupposto -, alcun giudicato si è formato, nè si poteva formare sulle responsabilità individuali a seguito della contumacia serbata nel giudizio di rinvio da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che sono rimaste parti sia del primo giudizio di cassazione che del giudizio di rinvio, pur rimanendo contumaci, di guisa che vanno disattesi tutti i profili delle anzidette doglianze che vorrebbero limitare l’attuale contenzioso alla sola controparte (OMISSIS).
3.4.3. Tanto chiarito in ordine alle parti processuali, per risolvere le altre questioni proposte, è opportuno ricordare i principi che regolano il giudizio di rinvio ed il giudizio di legittimità proposto avverso una sentenza di appello emessa a seguito di rinvio.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, “In caso di ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di rinvio fondato sulla deduzione della infedele esecuzione dei compiti affidatigli con la precedente pronuncia di annullamento, il sindacato della S.C. si risolve nel controllo dei poteri propri del suddetto giudice di rinvio, per effetto di tale affidamento e dell’osservanza dei relativi limiti, la cui estensione varia a seconda che l’annullamento stesso sia avvenuto per violazione di norme di diritto ovvero per vizi della motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, in quanto, (…) nel secondo caso, la sentenza rescindente – indicando i punti specifici di carenza o di contraddittorietà della motivazione – non limita il potere del giudice di rinvio all’esame dei soli punti indicati, da considerarsi come isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento. In quest’ultima ipotesi, poi, il giudice di rinvio, nel rinnovare il giudizio, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente od implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati.” (Cass. 2652 del 02/02/2018; n. 23335 del 16/11/2016, n. 13719 del 14/06/2006).
Invero, con la pronuncia di cassazione con rinvio, la sentenza rescindente fissa il dictum, a carattere vincolante per il giudice ad quem, cui demanda la quaestio facti, delegando il compimento delle attività consequenziali, precluse alla Corte di legittimità.
Come è stato efficacemente ribadito anche recentemente, però, non potrebbe il giudice del rinvio trarre indicazioni in fatto dalla stessa sentenza di annullamento pronunciata dal giudice di legittimità, la cui interpretazione incontra i limiti istituzionali propri del sindacato in questione, che escludono per la Suprema Corte ogni potere di valutazione delle prove. Pertanto, il giudice del rinvio non è vincolato ad eventuali indicazioni di quello di legittimità in ordine al significato da attribuire ad alcuni elementi di prova, le quali assumono “valore meramente orientativo”, perchè non è ad essa che compete l’apprezzamento dei fatti (Cass. n. 8971 del 29/03/2019; ex multis: Cass. 10 luglio 2018, n. 18199; Cass. 21 marzo 2018, n. 7081; Cass. 10 ottobre 2017, n. 23695; Cass. 14 febbraio 2017, n. 3896; Cass. 17 novembre 2016, n. 23418; Cass. 9 agosto 2016, n. 16793; Cass. 5 aprile 2016, n. 6552; Cass. 21 maggio 2015, n. 10465; Cass. 12 giugno 2014, n. 13358; v. pure Cass. 11 maggio 2010, n. 11404; Cass. 5 marzo 2009, n. 5316).
Ne consegue che, “Nell’ipotesi di cassazione della pronuncia impugnata per difetto di motivazione, ove in sede di rinvio sia richiesta l’indagine e l’esame dei fatti pretermessi nel provvedimento annullato, il giudice, pur godendo di ampia libertà di apprezzamento, non può dissentire sulla decisività dei fatti indicati dalla Corte di cassazione sia nel vecchio che del nuovo articolo 360 c.p.c., n. 5” (Cass. n. 8971 del 29/03/2019).
Tale principio non solo è evidentemente inconciliabile con l’assunto del ricorrente – che intenderebbe limitare i poteri di indagine e di valutazione della prova della Corte di appello sulla considerazione che la Corte di cassazione non aveva esaminato atti o documenti, ma aveva analizzato la motivazione della Corte di appello sul piano logico senza far alcun riferimento ad atti o documenti-, ma ne dimostra anche l’irrilevanza, a fronte degli effetti propri della sentenza rescindente.
Va osservato infatti – in disparte il fatto che la Corte di appello, laddove richiama il compendio probatorio esaminato dalla Corte di legittimità per affermare il potere di richiedere i fascicoli custoditi presso la S.C., lo fa in termini descrittivi, per individuare appunto il compendio probatorio, così come già cristallizzato agli atti al momento del giudizio di legittimità – che la cassazione con rinvio era avvenuta a seguito del rilievo di una omessa motivazione nei termini già in precedenza puntualizzati, con l’effetto che la sentenza rescindente – pur indicando il punto dell’omessa motivazione – non aveva limitato in alcun modo il potere del giudice di rinvio, ma aveva conservato allo stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento.
3.4.4. I motivi in esame, in realtà, sottovalutano il dictum esposto da questa Corte nella sentenza rescindente.
Invero, la Corte di legittimità aveva accolto il settimo motivo, con il quale la società aveva censurato come illogica e contraddittoria la motivazione quanto ai criteri di valutazione delle prove ed alla “conseguente erronea esclusione della verità putativa, invocata dai convenuti” (come riportato nella stessa sentenza Cass. n. 2960/2011, fol.6), nei seguenti termini “Premesso che non è illogica (pur se, in ipotesi, non condivisa) la preminenza attribuita, nell’accertamento della verità oggettiva, alla lettera di (OMISSIS), come persona a conoscenza diretta dei fatti, rispetto agli scritti provenienti da altri, e che d’altro canto non può, sotto il profilo in esame, reintrodursi la censura, dichiarata inammissibile, sulla mancata ammissione delle prove, è agevole rilevare che, nella pur ampia sentenza, non vi è alcuna specifica motivazione riguardo alla esclusione della verità putativa (pur affermata a pag. 21), cui il giudicante sembra pervenire in base a quegli elementi che conducono invece ad escludere la verità oggettiva dei fatti narrati, ma nulla dicono riguardo all’atteggiamento psicologico dei convenuti, in cui, in buona sostanza, la verità putativa si sostanzia. Tanto più che, nella ricostruzione della verità oggettiva, rilievo preminente è attribuito ad un elemento indiziario (la lettera di (OMISSIS) indirizzata a (OMISSIS)) di cui, per definizione, i convenuti non potevano essere a conoscenza.
Il settimo motivo va dunque accolto, quanto all’omessa motivazione sul punto relativo alla sussistenza o meno della verità putativa del fatto narrato.
Restano assorbiti i motivi successivi all’ottavo del ricorso principale. Restano altresì assorbiti gli ultimi due motivi del ricorso incidentale della (OMISSIS), relativi alla condanna a manlevare la società.
La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e rinviata, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.
Il giudice di rinvio esaminerà, qualora dovesse comunque pervenire ad una declaratoria di responsabilità dei convenuti, anche le questioni assorbite, in particolare quella posta con l’undicesimo motivo del ricorso principale (erroneamente rubricato come dodicesimo), relativamente alla dedotta corresponsione di un anticipo, e quella posta con il quinto motivo del ricorso incidentale della (OMISSIS) (rubricato come secondo motivo alla pag. 19 del controricorso con ricorso incidentale), circa l’onere probatorio gravante sulla sceneggiatrice nei confronti della produttrice, ai fini della manleva” (fol.9/10, Cass. n. 2960/2011).
Di guisa che risulta evidente la doverosità della disamina di tutto il materiale probatorio, già agli atti nel giudizio di legittimità, da parte del giudice del rinvio, anche se non esaminato direttamente dalla S.C., trattandosi di attività preclusa, e, proprio per tale ragione, la sentenza rescindente si conclude per la cassazione con rinvio per il compimento del nuovo esame.
Invero, il riferimento “all’atteggiamento psicologico dei convenuti…. in cui, in buona sostanza, la verità putativa si sostanzia”, sulla cui valutazione è focalizzato il dictum del rinvio, non ha affatto il significato di circoscriverlo al ragionamento logico sviluppato dalla prima Corte di appello (come sostiene il ricorrente) ma costituisce espressione descrittiva della stessa esimente della verità putativa, sulla cui esclusione la S.C. ha riscontrata l’omessa motivazione.
Nè avrebbe potuto essere diversamente, posto che al giudice di legittimità compete esclusivamente il vaglio della interpretazione normativa e della sussunzione della vicenda concreta nella fattispecie legale (n. 3) o dell’esistenza, sufficienze e coerenza della motivazione (n. 5,), ma non di sostituirsi agli accertamenti in fatto ed alla valutazione delle prove, ad essa preclusi, e che in caso di cassazione con rinvio per vizio di motivazione (da solo o cumulato con il vizio di violazione di legge), il giudice del rinvio non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di compiere un apprezzamento complessivo, in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, con il solo limite del divieto di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento impugnato ritenuti illogici ed eliminando, a seconda dei casi, le contraddizioni ed i difetti argomentativi riscontrati (Cass. 09/04/2019, n. 9799; Sez. 3, Sentenza n. 16660 del 06/07/2017; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6552 del 05/04/2016; Sez. L, Sentenza n. 12102 del 9/05/2014).
Pertanto, la sentenza rescindente ha lasciato alla discrezionalità del giudice del merito, come doveva, l’esame delle prove che la prima sentenza d’appello aveva omesso e la sentenza ora impugnata non ha violato tale dictum.
3.4.5. Tanto considerato in merito all’ampiezza dei poteri di indagine e di valutazione della prova nel giudizio di rinvio, va considerato il profilo delle doglianze che attiene alle modalità di acquisizione ed all’utilizzabilità del materiale probatorio sul quale tali poteri vanno ad esercitarsi.
Il tema si ricollega alla natura del giudizio di rinvio, regolato dall’articolo 394 c.p.c. (da leggersi unitamente all’articolo 360 cod. proc. civ. e, soprattutto, agli articoli 382 e 383c.p.c.), “aperto” quanto all’attività del giudice di merito e “chiuso” quanto all’attività delle parti.
Orbene, nel caso in esame, la cassazione con rinvio era conseguita all’accoglimento di un vizio motivazionale di guisa che il giudice del rinvio non solo poteva valutare liberamente i fatti già accertati, ma avrebbe potuto anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi (così ad es. recentemente Cass. 26/09/2018 n. 22989, Cass. n. 22885 del 10/11/2015; n. 17790 del 07/08/2014; n. 5432 del 15/04/2002).
Tanto premesso ritiene questa Corte che la Corte di appello, nel caso di specie, si sia limitata ad esercitare i suoi compiti valutativi sul compendio probatorio raccolto nel corso della prima fase di merito del giudizio, che aveva visto tutte le parti costituite in appello, e si sia attenuta al dictum ricevuto, senza esorbitare dai propri poteri con l’ordinanza con cui ha richiesto la trasmissione dei fascicoli delle parti non costituitesi alla Cancelleria della Cassazione, dove essi erano ancora custoditi.
3.4.6. Quanto al profilo dell’acquisibilità dei fascicoli delle parti, la legittimità dell’operato della Corte territoriale ritrae da principi già espressi da questa Corte.
Come già chiarito (Cass. n. 4759 del 27/2/2014), trova applicazione anche in sede di giudizio di rinvio ex articolo 392 e seguenti c.p.c., in quanto introdotto con un atto di riassunzione, il consolidato orientamento formulato sull’articolo 347 c.p.c. in tema di giudizio di appello (ex multis Cass. n. 10935 del 1993; n. 6910 del 1998; n. 8849 del 2004; n. 18006 del 2004; n. 7237 del 2006; n. 6439 del 2009) secondo il quale, qualora il giudice della riassunzione di un giudizio proveniente da altro giudice rilevi che la sua cancelleria abbia omesso di richiedere alla cancelleria del giudice a quo il fascicolo d’ufficio, come prescrive l’articolo 126 disp. att. c.p.c., e la mancanza di tale fascicolo abbia assunto rilievo perchè la parte ha fatto riferimento nel giudizio di riassunzione ad un atto presente in esso o che dovrebbe esservi, il giudice, nell’esercizio dei suoi poteri di controllo sull’operato del cancelliere, deve ordinare alla cancelleria di acquisire il fascicolo e non può invece trarre conseguenze negative a carico della parte da tale mancata acquisizione in ragione della mancanza dell’atto (Cass. n. 10123 del 9/5/2011).
Contrariamente a quanto assume il ricorrente, tale principio costituisce la premessa per affermare il corretto operato della Corte capitolina, sulla considerazione della stretta correlazione tra lo stesso e quelli che regolano il giudizio di rinvio.
Invero, i fascicoli di parte che sono presenti in quello di ufficio costituiscono parte integrante di esso, ai sensi dell’articolo 72 disp. att. c.p.c., comma 2 fintanto che rimangono ivi depositati, perchè non ritirati, ai sensi dell’articolo 77 disp. att. c.p.c.. Ne consegue che, qualora venga richiesta la trasmissione del fascicolo d’ufficio ex articolo 126 disp. att. c.p.c., la trasmissione dovrà riguardare il fascicolo d’ufficio, unitamente a quelli di parte ove non ritirati, di guisa che la distinzione su cui ha insistito il ricorrente (tra il fascicolo d’ufficio e il fascicolo di parte) non può trovare, nel caso specifico, condivisione: i fascicoli di appello giacenti in Cassazione non erano stati ritirati e la richiesta di trasmissione formulata dalla Corte territoriale risulta legittimamente formulata ex officio.
3.4.7. Quanto al profilo dell’utilizzabilità, va rilevato che le già illustrate specificità del giudizio di rinvio lo sottraggono all’applicazione dei principi invocati dal ricorrente, sugli oneri di parte, tra cui quello secondo il quale “Nel vigente ordinamento processuale, il giudizio d’appello non può più dirsi, come un tempo, un riesame pieno nel merito della decisione impugnata (“novum judicium”), ma ha assunto le caratteristiche di una impugnazione a critica vincolata (“revisio prioris instantiae”). Ne consegue che l’appellante assume sempre la veste di attore rispetto al giudizio d’appello, e su di lui ricade l’onere di dimostrare la fondatezza dei propri motivi di gravame, quale che sia stata la posizione processuale di attore o convenuto assunta nel giudizio di primo grado. Pertanto, ove l’appellante si dolga dell’erronea valutazione, da parte del primo giudice, di documenti prodotti dalla controparte e da questi non depositati in appello, ha l’onere di estrarne copia ai sensi dell’articolo 76 disp. att. c.p.c. e di produrli in sede di gravame” (Cass. Sez. U. n. 3033 del 08/02/2013).
Invero, nel caso in esame l’utilizzabilità della documentazione, non ritirata e legittimamente acquisita dal giudice del rinvio, riposava sul dictum ricevuto dalla S.C., di guisa che la evocata disciplina dell’articolo 76 disp. att. c.p.c. esorbita dalla fattispecie in esame.
Ciò in chiara coerenza con il principio di acquisizione delle prove, in forza del quale un elemento probatorio, una volta introdotto nel processo, è definitivamente acquisito alla causa e non può più esserle sottratto, dovendo il giudice utilizzare le prove raccolte, anche indipendentemente dalla provenienza delle stesse dalla parte gravata dell’onere probatorio (Cass. Sez. U, Sentenza n. 28498 del 23/12/2005), per pronunciare nel merito della causa con una valutazione non atomistica, ma globale, nel quadro di una indagine unitaria ed organica (Cass. n. 21909 del 25/09/2013).
Tale conclusiva considerazione assorbe tutti gli ulteriori argomenti spesi dal ricorrente nei motivi in esame.
4.1.1. Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 e ss., 2049 c.c. (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3); dell’articolo 384 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4); nonchè l’insufficiente motivazione su un punto e/o fatto decisivo per il giudizio (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
4.1.2. Segnatamente, sotto il profilo della violazione degli articoli 2043 e 2049 c.c. in combinato disposto con l’articolo 21 Cost., il ricorrente assume che non ricorrevano le condizioni legittimanti l’esimente della cd. verità putativa osservando che la parte che la invoca per legittimare il compimento di fatti illeciti – il cui accertamento è coperto dal giudicato – deve fornire la prova degli elementi costitutivi della relativa categoria, che per la determinazione della responsabilità è sufficiente l’imputabilità a titolo di colpa e che il diritto di critica riconosciuto e tutelato giustifica la critica su fatti veri e non su fatti che tali non sono.
4.1.3. Sotto il profilo del vizio motivazionale il ricorrente si duole che la Corte di appello abbia condotto l’analisi delle pretese fonti, senza farsi carico delle prospettazioni critiche proposte da (OMISSIS), nelle proprie difese in merito alla idoneità delle fonti ed alla imputabilità del fatto illecito alla (OMISSIS).
4.1.4. Preliminarmente va esclusa la rilevanza dei primi argomenti – in merito all’ambito ristretto del potere di riesame delle prove conferito dalla S.C. al giudice del rinvio, all’accertamento coperto da giudicato della esclusione della cd. verità putativa per (OMISSIS) e (OMISSIS), e le deduzioni conseguenti (prevalentemente ai fol.24/26 e 33 del ricorso) – che ripropongono o presuppongono la positiva soluzione di questioni già disattese con il rigetto dei motivi primo, secondo e terzo, per le ragioni sopra esposte.
4.2.1. Ciò precisato, il motivo è fondato e va accolto, laddove prospetta un vizio di sussunzione del fatto sotto la fattispecie legale dell’esimente della cd. verità putativa, in relazione al dedotto vizio di violazione di legge, nei termini di seguito precisati.
4.2.2. Come già in precedenza evidenziato, all’esito delle pregresse fasi del giudizio è stata già accertata in via definitiva la valenza oggettivamente diffamatoria delle scene del film delle quali era stata disposta l’eliminazione e la non veridicità oggettiva dei fatti narrati.
Pertanto, il giudizio di rinvio ha avuto ad oggetto unicamente la valutazione in merito alla sussistenza o meno della esimente della cd. verità putativa, intesa come atteggiamento psicologico dei convenuti in merito alla veridicità del narrato, su cui la sentenza rescindente ha ravvisato la mancanza di specifica motivazione.
4.2.3. Per un corretto inquadramento della questione giova ricordare che “L’onore e la reputazione costituiscono diritti inviolabili della persona, la cui lesione fa sorgere in capo all’offeso il diritto al risarcimento del danno, a prescindere dalla circostanza che il fatto lesivo integri o meno un reato, sicchè ai fini risarcitori è del tutto irrilevante che il fatto sia stato commesso con dolo o con colpa” (Cass. n. 25423 del 02/12/2014).
Tuttavia, tale responsabilità può essere esclusa quando la condotta contestata sia stata realizzata nell’esercizio del diritto di cronaca o del diritto di critica.
Con riferimento all’esercizio del diritto di cronaca, costituisce principio consolidato quello secondo cui “La lesione dell’onore e della reputazione altrui non si verifica quando la diffusione a mezzo stampa delle notizie costituisce legittimo esercizio del diritto di cronaca, condizionato all’esistenza dei seguenti presupposti: la verità oggettiva della notizia pubblicata; l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto (cosiddetta pertinenza); la correttezza formale dell’esposizione (cosiddetta continenza). In particolare, quanto al primo presupposto soltanto la correlazione rigorosa fra fatto e notizia realizza l’interesse pubblico all’informazione, sotteso all’articolo 21 Cost., e rende non punibile la condotta ai sensi dell’articolo 51 c.p., sempre che ricorrano anche la pertinenza e la continenza. Ne consegue che il giornalista ha l’obbligo di controllare l’attendibilità della fonte informativa, a meno che non provenga dall’autorità investigativa o giudiziaria, e di accertare la verità del fatto pubblicato, restando altrimenti responsabile dei danni derivati dal reato di diffamazione a mezzo stampa, salvo che non provi l’esimente di cui all’articolo 59 c.p., u.c., e cioè la sua buona fede. A tal fine la cosiddetta verità putativa del fatto non sussiste per la mera verosimiglianza dei fatti narrati, essendo necessaria la dimostrazione dell’involontarietà dell’errore, dell’avvenuto controllo – con ogni cura professionale, da rapportare alla gravità della notizia e all’urgenza di informare il pubblico – della fonte e della attendibilità di essa, onde vincere dubbi e incertezze in ordine alla verità dei fatti narrati” (Cass. n. 2271 del 4 febbraio 2005) ed anche che “L’esercizio del diritto di cronaca può ritenersi legittimo quando sia riportata la verità oggettiva (o anche solo putativa) della notizia purchè frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca dei fatti esposti (il cui onere probatorio, in sede processuale, grava sul giornalista unitamente a quello del riscontro delle fonti utilizzate), che non può ritenersi configurabile quando, pur essendo vere le singole vicende riferite, siano dolosamente, o anche soltanto colposamente, taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato. A questo fine, pertanto, il giudizio di liceità sull’esplicazione del diritto di cronaca non può limitarsi ad una valutazione degli elementi formali ed estrinseci, ma deve estendersi anche ad un esame dell’uso di espedienti stilistici, che possono trasmettere ai lettori, anche al di là di una formale – ed apparente – correttezza espositiva, giudizi negativi sulla persona che si mira a mettere in cattiva luce, per cui, in definitiva, ogni accostamento di notizie vere può considerarsi lecito se esso non produce un ulteriore significato che le trascenda e che abbia autonoma attitudine lesiva” (Cass. civ. n. 11259 del 16/05/2007).
Con riferimento al diritto di critica, questa Corte ha già avuto modo di puntualizzare che esso non si concreta, come quello di cronaca, nella mera narrazione veritiera di fatti, ma si esprime in un giudizio che, come tale, non può che essere soggettivo rispetto ai fatti stessi, fermo restando che il fatto presupposto ed oggetto della critica deve corrispondere a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze oggettive, così come accade per il diritto di cronaca (Cass., 6 aprile 2011, n. 7847), rammentando che nella stessa prospettiva si colloca la giurisprudenza della Corte EDU sull’articolo 10 della Convenzione, in tema di libertà di espressione, che, nel distinguere tra la “materialità dei fatti” e “giudizi di valore”, pone in rilievo che, quand’anche “equivale a un giudizio di valore, una dichiarazione deve fondarsi su una base fattuale sufficiente, senza la quale sarebbe eccessiva”: sentenza Peruzzi c. Italia del 30 giugno 2015, (Cass. n. 25420 del 26/10/2017 ed ulteriori precedenti ivi richiamati); inoltre, i limiti dell’esimente sono costituiti anche dalla rilevanza sociale dell’argomento e dalla correttezza formale di espressione (Cass., 19 gennaio 2017, n. 1285, Cass., 13 giugno 2006, n. 13646). È stato inoltre puntualizzato che “Per riconoscere efficacia esimente al diritto di critica, che si esprime in un giudizio avente carattere necessariamente soggettivo rispetto al fatto, occorre che quest’ultimo corrisponda a verità, sia pure ragionevolmente putativa, mentre non è necessario che sia esposto con la completezza richiesta quando si esercita, a scopo informativo, il diritto di cronaca” (Cass. civile, sez. III, 07/06/2018, n. 14727).
4.2.4. Questa distinzione, tuttavia, tende ad essere superata, laddove l’opera artistica riguardi vicende di cronaca ancora in evoluzione, utilizzi i nomi propri delle persone coinvolte ed adotti un taglio al contempo sia narrativo che giornalistico o documentaristico, come nel caso in esame, dovendosi dare allora prevalenza agli aspetti di tipo informativo/documentaristico, rispetto a quelli di tipo artistico/creativo, venendo in rilievo la pretesa di raffigurare in una unità temporale sia pur ridotta, una vicenda che è conosciuta e di cui le cronache hanno parlato, anche con dovizia di dettagli, di modo da applicare i criteri di valutazione della verità putativa più confacenti al caso di specie.
In un tal caso la valutazione della sussistenza della esimente della verità putativa deve attenersi ai più stringenti criteri richiesti AL PARI dell’esercizio del diritto di cronaca, distinguendo tra i fatti oggettivamente accertati e le opinioni raccolte, sia pure da fonti attendibili, senza limitare il giudizio di liceità sull’esplicazione del diritto di critica attuato mediante la realizzazione dell’opera cinematografica ad una valutazione degli elementi formali ed estrinseci, ma estendendolo anche ad un esame dell’uso di espedienti stilistici, che possono trasmettere agli spettatori, anche al di là di una formale – ed apparente – correttezza espositiva, connotazioni negative sulle persone e sul ruolo rivestito da loro in una più ampia vicenda; per cui, in definitiva, ogni accostamento di notizie vere può considerarsi lecito se non produce un ulteriore significato che le trascenda e che abbia autonoma attitudine lesiva, considerata nel complesso della narrazione filmica e delle interrelazioni causali rappresentate in audio e video o implicitamente suggerite.
Non ignora questa Corte il proprio precedente che, in tema di diffamazione a mezzo d’opera teatrale, cinematografica o letteraria, ha avuto riguardo ad opere connotate da una ampia trasfigurazione creativa, laddove ha affermato che, “perchè possa dirsi integrata la fattispecie generatrice del diritto al risarcimento dei danni ad essa collegati non è sufficiente che il giudice accerti la natura non veritiera dei fatti o delle circostanze attinenti ad una persona menzionata e che possano arrecare danno alla sua dignità, ma è necessario che accerti altresì da un lato, che non si tratti di opera artistica, caratterizzata, in quanto tale, dall’idealizzazione della realtà od espressa mediante varie figure retoriche tendenti ad una trasfigurazione creativa, e, dall’altro, che l’espressione diffamatoria sia stata effettivamente percepita non solo come veritiera ma soprattutto come gratuitamente offensiva.” (Cass. n. 10495 del 07/05/2009).
4.2.5. La Corte territoriale, nell’effettuare la valutazione demandatale, non si è soffermata sulle peculiari caratteristiche dell’opera cinematografica in esame, realizzata nell’immediatezza dei fatti narrati (culminati nei tragici eventi di Capaci e di Palermo) ed in particolare sul carattere realistico della narrazione che, per la potenza evocativa, è pienamente diretta a coinvolgere – con connotazioni positive o negative e finanche fortemente offensive – ognuno dei personaggi rappresentati, in modo pienamente realistico ed individualizzante. la decisione impugnata risulta pertanto erronea e va cassata con rinvio affinchè il giudice del rinvio valuti la eventuale ricorrenza della cd. verità putativa, alla stregua dei criteri enunciati.
4.4.1. Va, infine, dichiarata inammissibile la doglianza proposta come vizio motivazionale.
4.4.2. La stessa non è inquadrabile nel paradigma normativo, sia in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5 come riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 – perchè non concerne l’omesso esame di un fatto storico, da intendersi principale o secondario, bensì la valutazione di deduzioni difensive (ex plurimis, Cass. Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014) -, sia in relazione alla anteriore formulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè sostanzialmente sollecita un riesame del merito.
5.1. Con il quinto motivo si denuncia la violazione dell’articolo 91 e ss. c.p.c., relativamente alla statuizione sulla compensazione delle spese di lite dell’intero giudizio stabilita dal giudice del rinvio, proposto in via subordinata all’accoglimento degli altri motivi.
5.2. Il motivo è assorbito dall’accoglimento del quarto motivo e dalla conseguente cassazione con rinvio.
- Anche il ricorso incidentale proposto da (OMISSIS) con un motivo, in relazione alla condanna alla restituzione delle somme già percepite da (OMISSIS) a titolo risarcitorio, per violazione dell’articolo 112 c.p.c. e articoli1282 e 2033 c.c., è assorbito.
- Così anche le questioni proposte da (OMISSIS) con il controricorso.
- In conclusione, va accolto il quarto motivo del ricorso principale, per quanto di ragione, respinti i motivi primo, secondo e terzo, assorbito il quinto motivo ed il ricorso incidentale; la sentenza impugnata va cassata nei limiti dell’accoglimento e rinviata alla Corte di appello di Roma in diversa composizione per il riesame alla stregua dei principi enunciati e per la statuizione sulle spese.
P.Q.M.
-Accoglie il quarto motivo del ricorso principale, nei sensi di cui in motivazione, respinti i motivi primo, secondo e terzo, assorbito il quinto ed il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata nei limiti dell’accoglimento e rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione per nuovo esame e per la regolazione delle spese.
Così deciso in Roma, il giorno 9 maggio 2019