Roma, Via Valadier 44 (00193)
o6.6878241
avv.fabiocirulli@libero.it

Cassazione Civile 16551/2015 – Scrittura privata prodotta in copia fotostatica – Disconoscimento della scrittura privata – Produzione della scrittura originale

Richiedi un preventivo

Sentenza 16551/2015

 

Scrittura privata prodotta in copia fotostatica – Disconoscimento della scrittura privata – Produzione della scrittura originale – Necessità

A seguito del disconoscimento della fotocopia della scrittura privata, la parte che intende avvalersene è tenuta a produrre l’originale (e, in caso di ulteriore disconoscimento, a chiederne la verificazione), atteso che solo con l’originale si realizzano la diretta correlazione e l’immanenza della personalità dell’autore della sottoscrizione, che giustificano la fede privilegiata che la legge assegna al documento medesimo, così da fondare una presunzione legale superabile dall’apparente sottoscrittore solo con l’esito favorevole della querela di falso.

Disconoscimento della sottoscrizione di copia di scrittura privata – Successiva produzione dell’originale – Onere di insistere nel disconoscimento – Riconoscimento tacito

La parte che ha disconosciuto la sottoscrizione di una scrittura privata prodotta in copia fotostatica, ha l’onere di reiterare il disconoscimento con riferimento all’originale della scrittura medesima, successivamente acquisito in giudizio, per impedire che la predetta scrittura si abbia per riconosciuta in causa.

Cassazione Civile, Sezione 1, Sentenza 6-8-2015, n. 16551   (CED Cassazione 2015)

Art. 214 cpc (Disconoscimento della scrittura privata) – Giurisprudenza

Art. 215 cpc (Riconoscimento tacito della scrittura privata) – Giurisprudenza

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Brescia in data 20 novembre 2008 ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città, la quale aveva disatteso la domanda di condanna della (OMISSIS) s.p.a. a restituire alla odierna ricorrente la somma di lire 115.000.000, oltre interessi, pari a due prelievi di lire 40.000.000 e lire 75.000.000 mai avvenuti dal proprio conto corrente, nonostante l’apparente firma della medesima apposta sotto le due distinte di versamento consegnate alla banca dal proprio figlio, delegato ad operare sul conto.

Ha ritenuto la corte territoriale, per quanto ancora qui di rilievo, che: a) con l’atto di citazione sono state prodotte le due distinte di prelievo, a firma di ” (OMISSIS)”, in copia fotostatica, onde queste non erano di per sè disconoscibili ex art. 216 c.p.c., dovendo il disconoscimento avere ad oggetto l’originale; b) dopo la spontanea produzione in giudizio degli originali da parte della banca, la (OMISSIS) non le aveva disconosciute; c) come ritenuto dal tribunale, le firme sono identiche a quelle apposte sul contratto di conto corrente ed ai fini della procura alla lite, mentre la prova testimoniale e la mancata risposta all’interrogatorio formale della (OMISSIS) consentono di ritenere provato come il figlio, delegato ad operare sul conto, avesse effettuato le due operazioni, chiedendo di trasferire quelle somme su conti correnti a lui riferibili, l’uno di società partecipata ed a titolo di versamento soci, l’altro a proprio nome; d) il delegato sul conto corrente non era obbligato a spendere la delega, ben potendo la banca accettare le distinte già sottoscritte personalmente dalla titolare, atteso che venivano consegnate non da un estraneo ma dal figlio e che il denaro non era stato materialmente prelevato ma depositato su conti in essere presso la filiale; e) l’esigenza di una firma congiunta a quella del delegato è questione inconferente, visto che non vi fu spendita della veste di delegato.

Avverso la sentenza propone ricorso la soccombente sulla base di quattro motivi; resiste la banca con controricorso, altresì depositando la memoria di cui all’art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, la ricorrente deduce la falsa applicazione dell’art. 214 c.p.c., perchè la parte che intenda negare l’autenticità della sottoscrizione apposta su di un documento ben può citare in giudizio la controparte formulando tale domanda di accertamento, senza attendere di essere convenuta in giudizio da chi affermi una pretesa sulla base del documento.

Con il secondo motivo, lamenta la violazione dell’art. 214 c.p.c. e art. 215 c.p.c., comma 2, in quanto può essere disconosciuta la sottoscrizione della mera copia fotostatica e la successiva produzione dell’originale non richiede ulteriore disconoscimento.

Con il terzo motivo, deduce la violazione degli art. 1710 e 1711 c.c., perchè il delegato, figlio della odierna ricorrente, avrebbe potuto in quanto tale agire solo in proprio e non con distinta sottoscritta direttamente dalla madre,e chiedendo alla Corte “se il delegato ad operare sul conto corrente altrui abbia o meno un potere generale di agire in rappresentanza del delegante per il compimento di qualsiasi tipo di atto negoziale riferibile al conto”.

Con il quarto motivo (erroneamente numerato come terzo), deduce la violazione dell’art. 1854 c.c., perchè nella specie il delegato non avrebbe potuto operare in modo disgiunto dal titolare del conto, ma occorreva una firma congiunta, come per i conti correnti cointestati.

2. – Il primo motivo non coglie nel segno.

L’attrice in primo grado non introdusse una domanda volta all’accertamento della non autenticità delle sottoscrizioni in calce alle distinte di prelievo delle somme, chiedendo essa soltanto la condanna della banca alla restituzione di somme asseritamente non prelevate sul proprio conto dalla cliente, ma da terzi, e limitandosi a dichiarare di “disconoscere” le firme apposte sotto le fotocopie di due distinte di prelievo dalla medesima prodotte in giudizio.

è quindi inconferente il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 18 gennaio 2008, n. 974; 23 luglio 2014, n. 16777), secondo cui, con riguardo alla scrittura privata non riconosciuta, nè legalmente riconosciuta e per la quale, pertanto, non sia necessario esperire la querela di falso, la parte può agire in via principale per far accertare la non autenticità della firma secondo le ordinarie regole probatorie ex art. 2697 c.c., senza che debba attendere di essere evocata in giudizio da chi affermi una pretesa sulla base del documento.

3. – Il secondo motivo è infondato.

Va ricordato il principio (Cass. 20 agosto 2014, n. 18042, fra le altre) secondo cui il disconoscimento di una scrittura privata, pur non richiedendo, ai sensi dell’art. 214 c.p.c., una forma vincolata, deve avere i caratteri della specificità e della determinatezza e non può costituire una mera espressione di stile, risolvendosi, peraltro, la relativa valutazione in un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato.

Nel meccanismo predisposto dall’art. 2719 c.c. e art. 215 c.p.c., a fronte della produzione di una copia fotostatica l’interessato è onerato del disconoscimento della sua conformità all’originale; mentre con riguardo a quest’ultimo, al fine di evitare che esso acquisti il valore di scrittura privata riconosciuta, l’interessato ha poi l’onere di disconoscere l’autenticità della scrittura o della sottoscrizione nella prima risposta, spettando così a chi intenda avvalersene l’onere di esperire il procedimento di verificazione; viceversa, se la sottoscrizione sia legalmente riconosciuta per mancato tempestivo disconoscimento, chi voglia contrastarne l’efficacia dovrà esperire querela di falso.

Come questa Corte ha da tempo chiarito (Cass. 27 dicembre 2004, n. 24022; 11 aprile 2002, n. 5189), la parte che ha disconosciuto la sottoscrizione di scrittura privata prodotta in fotocopia deve reiterare il disconoscimento con riferimento all’originale della medesima scrittura, successivamente acquisito in giudizio, per impedire che la ridetta scrittura si abbia per riconosciuta in causa.

Invero (cfr. Cass. 19 ottobre 1999, n. 11739), l’attribuzione del contenuto della scrittura ad un determinato soggetto in virtù della sua sottoscrizione, così da fondare una presunzione legale superabile dall’apparente sottoscrittore con l’esito favorevole della querela di falso, postula che il documento sia stato prodotto in originale, nel quale solo si realizzano la diretta correlazione e l’immanenza della personalità dell’autore della sottoscrizione, che giustificano la fede privilegiata che la legge assegna al documento medesimo, salva la querela di falso. Il che risponde anche alla ragione pratica dell’inattendibilità di un esame grafico condotto su una copia fotostatica, essendo questa inidonea a rendere percepibili segni grafici personalizzati (es. la pressione dello strumento grafico sulla carta) ed obiettivi (quali la gradazione di colore e le caratteristiche dell’inchiostro) che solo l’originale del documento, al contrario, può rivelare. Pertanto, conclude detta sentenza, “la parte che abbia prodotto la copia fotostatica di una scrittura privata disconosciuta dalla controparte (che così abbia negato l’esistenza dell’originale) è tenuta a produrlo ed a chiederne la verificazione se quella abbia insistito nel disconoscimento”.

Lo stesso principio va ribadito allorchè, prodotta in giudizio la copia di un documento ab initio dichiarato dalla parte come copia inautentica, e prodotto altresì dalla controparte interessata a farlo valere l’originale del documento stesso, l’attore abbia poi omesso di disconoscerne la sottoscrizione: in tal caso, si realizza il meccanismo legale che conferisce alla scrittura l’efficacia di scrittura privata legalmente riconosciuta.

Nella specie, la corte del merito ha rilevato come l’attrice, nel costituirsi in giudizio, avesse prodotto delle mere copie fotostatiche dei documenti, e che, dopo la produzione dei loro originali ad opera della convenuta, non provvide mai a disconoscerne le sottoscrizioni. è, dunque, corretta la conclusione della sentenza impugnata, secondo cui, non essendo stata contestata l’autenticità delle sottoscrizioni apposte sui due originali, ne è derivata la qualificazione dei medesimi come aventi natura di scritture private legalmente considerate come riconosciute (art. 2702 c.c.), onde su di esse avrebbe dovuto essere esperito il procedimento di querela di falso.

4. – Il terzo motivo è inammissibile, proponendo esso un quesito di diritto affatto generico ed avulso dal motivo proposto, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

5. – Il quarto motivo è infondato, avendo la corte del merito esaurientemente chiarito che resta irrilevante la questione della firma congiunta (fra l’altro, prevista in caso di conto corrente cointestato e non di delega ad operare sul conto), posto che il delegato non aveva speso i suoi poteri, ma aveva semplicemente depositato la distinta di versamento già sottoscritta dalla madre, unica titolare del conto medesimo.

6. – Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori, come per legge.