Sentenza 16568/2002
Contratto aleatorio – Assunzione di un rischio futuro estraneo al tipo contrattuale
Nell’esplicazione della loro autonomia privata, ben possono le parti di un contratto convenire l’unilaterale o reciproca assunzione di un prefigurato possibile rischio futuro, estraneo al tipo contrattuale prescelto (nel caso, contratto di mutuo fondiario correlato a prestito in ECU), a tale stregua modificandolo e rendendolo per tale aspetto aleatorio, con l’effetto di escludere, nel caso che tale rischio si verifichi, l’applicabilità dei meccanismi di riequilibrio previsti nell’ordinaria disciplina del contratto.
Contratti bancari – Mutuo fondiario – Variazioni delle condizioni contrattuali in senso sfavorevole per il cliente – Obbligo di comunicazione al cliente
In materia di contratti bancari, ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e 4 legge n. 154 del 1992 e 118 D.Lgs n. 385 del 1993 in ipotesi di variazioni delle condizioni contrattuali in senso sfavorevole per il cliente, l’obbligo di comunicazione al cliente medesimo sussiste per la banca solamente se ed in quanto essa abbia esercitato il diritto, contrattualmente previsto, di variare unilateralmente ed in senso sfavorevole alla controparte talune condizioni del contratto medesimo, non anche se si tratti, viceversa, di variazione determinata da fattori (nel caso, l’ammortamento semestrale del rateo di mutuo in correlazione con la variazione dell’ECU rispetto alla lira) di carattere oggettivo e natura aleatoria, pure previsti nel contratto, giacchè in tal caso non può parlarsi di modifica unilaterale del contratto, e di essa il cliente risulta essersi in ogni caso già preventivamente assunto il relativo rischio – (Nel caso trattavasi di contratto di mutuo fondiario correlato a prestito in ECU, con singole semestralità di ammortamento da maggiorarsi o diminuirsi in proporzione al rapporto di cambio della lira con l’ECU, rilevato al momento della scadenza delle singole rate).
Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 25-11-2002, n. 16568 (CED Cassazione 2002)
Art. 1469 cc (Contratto aleatorio) – Giurisprudenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 12 ottobre 1995 la società Bo. S.a.s., nonché in proprio Santi Bo. e Natale Bo., convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Torino, il Banco di Sicilia, esponendo: – che la Bo. S.a.s. aveva stipulato con il Banco di Sicilia, con rogiti 19 dicembre 1991 e 10 febbraio 1992, un contratto di mutuo fondiario di lire 300.000.000 da rimborsare in dieci anni a partire dal 30 giugno 1992; – che l’operazione di mutuo era correlata a prestito in ECU e che, conseguentemente, le singole semestralità di ammortamento dovevano essere maggiorate o diminuite in proporzione al rapporto tra il cambio dell’ECU rilevato al momento della scadenza delle singole rate; – che la lira si era progressivamente deprezzata tanto da indurre le autorità monetarie italiane a decidere che la lira stessa non facesse più parte del Sistema Monetario Europeo; – che tale evento esponeva i contraenti, tenuti alla restituzione, ad un rischio di cambio illimitato; – che la banca non aveva provveduto ad avvertire formalmente i clienti del mutamento delle condizioni.
Sulla base di tali premesse, gli attori, denunziando la violazione delle clausole contrattuali e del disposto dell’art. 6 della L. 17 febbraio 1992 n. 154 e successive modifiche, chiesero la condanna del Banco di Sicilia alla restituzione in favore della Bo. S.a.s. di somma da determinarsi in corso di causa e corrispondente a quanto alla convenuta stessa pagato dalla società concludente quale maggiorazione conseguente alle intervenute variazioni contrattuali.
Si costituì in giudizio il Banco di Sicilia, che chiese il rigetto della domanda attorea, facendo rilevare che nessuna “comunicazione” doveva esser fatta al cliente, atteso che il fatto denunziato era estraneo alla volontà del Banco e da esso non era manipolabile, né controllabile.
Con sentenza depositata il 7 maggio 1997, il Tribunale di Torino respinse la domanda degli attori, che condannò alle spese del giudizio.
La società Failla S.n.c. (così trasformata con rogito per notaio Massaretto del 23 gennaio 1995 la società Bo. S.a.s.), nonché in proprio Santi e Natale Bo. proposero appello avverso la suddetta decisione. Il Banco di Sicilia, costituitosi, chiese la conferma dell’impugnata sentenza.
La Corte d’Appello di Torino, con sentenza non definitiva del 4 agosto 1998, avverso la quale fu fatta dal Banco di Sicilia tempestiva riserva d’impugnazione, rigettò uno dei motivi di appello, statuendo che il Banco non aveva alcun onere di informazione sul piano contrattuale, ma accolse la domanda per la violazione dell’art. 6 L. 1992 n. 154. Rilevato, peraltro, che parte del periodo in contestazione, dal 1 gennaio 1994 al 24 novembre 1996, era regolata dall’art. 118 D.Lgs. 1993, n. 385, la Corte: 1) dispose la separazione della domanda relativa a quest’ultimo periodo, in attesa della decisione della Corte Costituzionale, alla quale aveva sottoposto con separata ordinanza la questione di legittimità costituzionale per l’inclusione in quest’ultima norma dell’inciso “è convenuta la facoltà di modificare unilateralmente” con violazione della delega di cui all’art. 25 L. 19.2.1992 n. 142; 2) dichiarò inefficaci gli effetti economici delle variazioni del cambio tra lira italiana ed ECU, relativamente ai ratei di ammortamento semestrali dovuti alla parte appellata in forza dei contratti 19 dicembre 1991 e 10 febbraio 1992, scadenti dal 1 ottobre 1992 al 31 dicembre 1993.
Quindi, con sentenza definitiva depositata il 23 dicembre 1998, la Corte torinese, in riforma dell’impugnata sentenza, condannò il Banco di Sicilia al pagamento in favore degli appellanti della somma capitale di L. 10.028.328, di L. 2.189.747 a titolo di interessi legali, oltre gli interessi dal 12 dicembre 1998 sino al saldo.
Avverso tali sentenze ha proposto ricorso il Banco di Sicilia, sulla base di un solo motivo, cui hanno resistito con controricorso, la società Failla S.n.c., Santi Bo. e Natale Bo., i quali, a loro volta, hanno proposto ricorso incidentale avverso la medesima sentenza.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Va disposta la riunione, ex art. 335 c.p.c., dei ricorsi.
2. – Preliminarmente va esaminata l’eccezione, sollevata dai controricorrenti, di inammissibilità del ricorso per carenza di rappresentanza della persona che ha conferito la procura speciale per il giudizio di cassazione, posto che il direttore della filiale di Torino del Banco di Sicilia, dr. Santi Catona, non risultava avere i poteri di rappresentanza per sottoscrivere atti giudiziari.
L’eccezione, alla luce della procura notarile in data 3 febbraio 1997, prodotta ex art. 372 c.p.c. dalla ricorrente e ritualmente notificata alle controparti, appare infondata. Invero, con la procura in questione il Presidente del Banco di Sicilia: “conferisce a ciascun preposto titolare pro-tempore delle sedi e succursali dei Banco di Sicilia di seguito indicate … n. 39) sede di Torino, domiciliato per l’ufficio in via n. 13 – 10121 Torino … la rappresentanza processuale del Banco di Sicilia per gli affari comunque riferibili alla sede o alla succursale di cui ognuno ha la titolarità ed alle Agenzie da ciascuna di esse dipendenti, con facoltà di rilasciare all’uopo mandati e procure”.
Al riguardo, è, in primo luogo inammissibile, in quanto tardivamente formulata solo con la memoria depositata, l’ulteriore eccezione dei controricorrenti, secondo cui il potere di rappresentanza processuale, con la relativa facoltà di nomina dei difensori, può essere conferito solo a colui che sia investito di un potere rappresentativo sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio. L’eccezione, peraltro, proprio alla luce della documentazione prodotta dai controricorrenti, e cioè l’attestazione della Camera di commercio di Torino, risulta infondata, posto che il dr. Santi Catona, titolare dell’agenzia in questione della Banca di Sicilia, aveva, tra l’altro, il potere di “stipulazione degli atti di mutuo relativi a finanziamenti a medio e lungo termine, nonché degli atti di frazionamento ed esclusione”.
3. – Con l’unico motivo, la ricorrente principale lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 5 L. 17 febbraio 1992 n. 154 e dell’art. 118 D.Lgs. 1 settembre 1993 n. 385, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.).
Deduce, in primo luogo, che appariva arbitraria l’interpretazione della corte distrettuale relativa all’art. 6 L. 154/1992, secondo la quale il termine “variazione” equivale a mutamento oggettivo, prescindendosi dalla causa che l’ha determinato, pur se essa fosse a conoscenza delle parti stipulanti. Era evidente, invece, che con la norma in esame era stata confermata la scelta di riconoscere piena legittimità ad uno jus variandi da parte della banca o dell’intermediario finanziario, con il contrapposto diritto per il cliente di recedere dal contratto, senza penalità e con l’applicazione delle condizioni precedentemente praticate, entro il termine di quindici giorni dalla prescritta comunicazione. Inoltre, deduce ancora la ricorrente, la Corto di appello non aveva fornito adeguata motivazione nel disattendere le osservazioni del giudice di primo grado, secondo cui: a) il tenore delle singole clausole contrattuali deponeva a favore della prospettazione fatta dalla banca convenuta in ordine alla riconduzione del rischio di oscillazione della moneta nell’ambito dell’alea contrattuale, senza indicazione di alcun limite quantitativo o della presenza della lira nello SME, avendo le parti, nel regolare il rapporto contrattuale, considerato il rischio di cui si discute compreso nella normale alea contrattuale; b) l’evento verificatosi, legato a fattori estranei alla volontà della banca, non aveva realizzato una modificazione del contratto, per cui era da escludere che vi fosse un onere a carico della banca stessa di comunicare la decisione politico-economica deliberata dal governo.
In ogni caso, infine, il presunto obbligo di comunicazione era stato osservato da parte della banca, con l’invio alla controparte degli avvisi di pagamento delle rate semestrali del mutuo, sulla base dei quali la Corte di appello aveva determinato le differenze versate quale effetto della variazione del cambio lira/ECU.
Il motivo è fondato.
Il primo comma dell’art. 6 della L. 154/1992 recita testualmente: “I tassi di interesse, i prezzi e le altre condizioni previsti nei contratti di durata possono essere variati in senso sfavorevole al cliente, purché ne sia data al medesimo comunicazione scritta presso l’ultimo domicilio notificato”. Il successivo comma 4 dello stesso articolo dispone: “Le variazioni contrattuali per le quali non siano osservate le prescrizioni del presente articolo sono inefficaci”.
Tali norme vanno poste in stretta correlazione con il secondo comma dell’art. 4 della legge in questione, secondo cui: “L’eventuale possibilità di variare in senso sfavorevole al cliente il tasso di interesse ed ogni altra condizione deve essere espressamente indicata nel contratto con una clausola approvata specificamente dal cliente”.
Orbene, dal combinato disposto di tali disposizioni di legge si evince, in modo evidente, che l’obbligo di comunicazione, da parte della banca al cliente, sussiste solo se e ed in quanto la banca abbia esercitato il diritto, previsto nel contratto, di variare unilateralmente ed in senso sfavorevole alla controparte talune condizioni del contratto medesimo. Occorre, cioè, una modificazione unilaterale delle condizioni contrattuali, mentre se tali condizioni variano per effetto di fattori – nella specie l’ammortamento semestrale del rateo di mutuo in correlazione con la variazione dell’ECU rispetto alla lira – di carattere oggettivo e di natura aleatoria, già previsti nel contratto, nessuna comunicazione è dovuta dall’istituto di credito al cliente, atteso che quest’ultimo si è già preventivamente accollato i relativi rischi. A quest’ultimo riguardo, giova considerare come sia pacifico il principio secondo cui le parti, nel loro potere di autonomia negoziale, ben possono prefigurarsi la possibilità di sopravvenienza del rischio ed assumersene reciprocamente o unilateralmente lo stesso, modificando in tal modo lo schema tipico del contratto commutativo, mediante l’aggiunta di un rischio che a quello schema sarebbe estraneo e rendendolo, per tale aspetto aleatorio, con l’effetto di escludere, nel caso del verificarsi delle sopravvenienze, l’applicabilità dei meccanismi rieliquibratori previsti nell’ordinaria disciplina del contratto (cfr. art. 1469 c.c.).
Ciò è reso ancor più chiaro dal disposto dell’art. 118 del D.Lgs. 1 settembre 1993 n. 385 – che ha apportato talune modifiche non sostanziali alla precedente disciplina dell’art. 6 L. 154/1992 -, secondo cui: “Se nei contratti di durata è convenuta la facoltà di modificare unilateralmente i tassi i prezzi e le altre condizioni, le variazioni sfavorevoli sono comunicate al cliente …”.
Al riguardo, appare opportuno sottolineare che la Corte Costituzionale, prendendo in esame quest’ultima norma, ha, con ordinanza n. 256 del 23 giugno 1999, dichiarato l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale di tale norma (questione sollevata dalla corte torinese proprio per la causa de qua), ponendo in luce come non possa essere qualificata come modifica unilaterale del contratto (la sola disciplinata dalla disposizione denunziata) “la determinazione oggettiva, contrattualmente e preventivamente stabilita dalle parti, dell’ammontare del debito in una moneta il cui valore, ragguagliato in lire, può variare nel tempo”.
E’ da condividere pienamente la conclusione alla quale è giunto il giudice delle leggi, anche se la norma sottoposta al suo vaglio era l’art. 118 del T.U. in materia bancaria e creditizia, posto che tale disposizione riproduce sostanzialmente la disposizione di cui all’art. 6 L. 154/1992, esplicitando soltanto la necessità, peraltro nella sostanza già presente in quest’ultima norma, che solo la variazione unilaterale delle condizioni determina la necessità della comunicazione della banca alla controparte, con la sanzione dell’inefficacia, in caso di omissione.
A ciò va aggiunto che la sentenza sull’an della corte torinese appare gravemente contraddittoria e contraria a logica. Infatti, da un canto, la stessa afferma che l’odierna ricorrente non aveva violato alcun obbligo contrattuale, poiché, essendosi la mutuataria ed i fideiussori assunti il rischio del cambio di valore lira/ECU, le parti appellanti erano obbligate contrattualmente alla maggiorazione pattuita; d’altra parte, invece, rileva che era stato violato dalla banca l’onere di comunicazione di cui all’art. 6 della citata legge. Tale onere, infatti, come evidenziato in precedenza, sussisteva a carico della banca solo se fosse intervenuta una modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, modifica che, nella specie, lo stesso giudice di merito ha escluso.
4. – Pertanto, il ricorso principale è accolto, con conseguente cassazione delle sentenze impugnate e rinvio ad altro giudice, designato in dispositivo, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
5. – Il ricorso incidentale, che concerne la liquidazione delle spese del giudizio di secondo grado, viene assorbito dall’accoglimento del ricorso principale, rimanendo aperta al giudice del rinvio la liquidazione delle spese a seconda della pronuncia di merito.
P.Q.M.
La corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale; cassa in relazione le sentenze impugnate e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte di appello di Torino.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione terza Civile della Suprema Corte di Cassazione, il 10 giugno 2002.