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Cassazione Civile 16603/2023 – Qualificazione giuridica dell’azione data dal giudice di merito – Formazione del giudicato – Condizioni

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Sentenza 16603/2023

Qualificazione giuridica dell’azione data dal giudice di merito – Formazione del giudicato – Condizioni

Il giudicato si forma anche sulla qualificazione giuridica data dal giudice all’azione quando essa ha formato oggetto di contestazione e sul punto deciso la parte interessata non ha proposto impugnazione. (Nella specie, la S.C. ha statuito che, nel giudizio di cassazione, la domanda risarcitoria dell’attore non poteva essere riqualificata ex art. 144 cod. ass., poiché sulla qualificazione ex art. 141 cod. ass. data dal giudice di primo grado si era formato il giudicato, in assenza di successiva impugnazione).

Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 12-6-2023, n. 16603   (CED Cassazione 2023)

Art. 2909 cc (Cosa giudicata)

 

 

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato in data 19 marzo 2012 i
germani (OMISSIS) ed (OMISSIS), in proprio e nella qualità
di eredi del padre, (OMISSIS), convennero in giudizio avanti il
Tribunale di Venezia, ex art. 141 cod. ass., (OMISSIS) e la Allianz
Assicurazioni S.p.a., nonché, ex art. 144 cod. ass., (OMISSIS) e
(OMISSIS) e la Milano Assicurazioni S.p.a., chiedendone la
condanna in solido al risarcimento dei danni, iure proprio e iure
hereditatis subiti in conseguenza del sinistro occorso in data 4
gennaio 2004, allorquando l’autovettura sulla quale il padre degli
istanti viaggiava come trasportato, di proprietà e condotta dalla
moglie, (OMISSIS), nell’attraversare un incrocio, entrava in
collisione con l’autovettura che sopraggiungeva da destra, condotta
da (OMISSIS) e di proprietà di (OMISSIS),
assicurata per la r.c.a. dalla Milano Ass.ni S.p.a., derivandone al
suddetto loro congiunto gravissime lesioni che, dopo sedici mesi di
coma, lo conducevano alla morte.

Costituendosi in giudizio (OMISSIS) proponeva domanda
riconvenzionale (in senso improprio o trasversale) per la condanna
dei (OMISSIS) e della Milano Ass.ni e/o di Allianz S.p.a. al risarcimento
dei danni da essa stessa direttamente subiti in conseguenza del
sinistro, nonché di quelli iure proprio e iure hereditatis subiti in
conseguenza della morte del coniuge.

2. Con sentenza n. 2004 del 29 luglio 2016 il Tribunale, ritenuta
preliminarmente l’inapplicabilità dell’art. 141 cod. ass. trattandosi di
sinistro verificatosi anteriormente alla sua entrata in vigore, e
imputato il sinistro a colpa concorrente della (OMISSIS), nella percentuale
del 70%, e del (OMISSIS), per il 30%, rigettò le domande degli attori
ritenendo satisfattivi gli acconti da essi già ricevuti ante causam e
accolse invece, per quanto di ragione, la domanda della (OMISSIS).

3. Interposero gravami:

a) (OMISSIS) nonché Manuel e (OMISSIS) e
(OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS), dolendosi: della
ritenuta inammissibilità della domanda diretta ex art. 141 cod. ass.
(secondo gli appellanti norma di diritto processuale, come tale
applicabile alle azioni introdotte dopo la sua entrata in vigore,
ancorché riferite a fatti anteriori); della erronea liquidazione dei danni
patrimoniali per spese di assistenza; della mancata liquidazione delle
spese legali affrontate ante causam; della riduttiva liquidazione del
danno non patrimoniale sofferto iure proprio per la morte del padre;
della mancata liquidazione del danno tanatologico e di quello c.d.
catastrofale; della riduttiva liquidazione del danno biologico
terminale; del mancato riconoscimento di rivalutazione e interessi
compensativi;

b) (OMISSIS) dolendosi: della errata ripartizione della
responsabilità del sinistro, essendo questa, in thesi, da ascriversi
principalmente alla condotta del (OMISSIS) che, nell’occorso, procedeva
ad una velocità doppia rispetto a quella consentita; della mancata o
riduttiva liquidazione delle voci di danno non patrimoniale già
investite dall’altro appello; nonché della erronea decurtazione della
quota del risarcimento ad essa spettante iure hereditatis, trattandosi
di danno ai fini della cui liquidazione non poteva assumere rilievo il
suo concorso di colpa.

4. Con sentenza n. 1428 depositata il 3 aprile 2019 la Corte
d’appello di Venezia ha rigettato il primo appello e parzialmente
accolto il secondo.

Ha infatti ritenuto, nell’ordine:

i) correttamente esclusa l’applicabilità alla fattispecie
dell’art. 141 cod. ass.;

ii) non configurare danno risarcibile le spese per assistenza
della vittima primaria, trattandosi di attività che «rientra nel dovere di
assistenza che lega i genitori ai propri figli»;

iii) corretta la liquidazione delle spese legali sostenute ante
causam;

iv) corretta altresì la liquidazione del danno da perdita del
rapporto parentale in quanto, sebbene operata sulla base delle tabelle
del Tribunale di Venezia, è risultata corrispondente negli esiti alla
quantificazione che si sarebbe ottenuta sulla base di quelle c.d.
milanesi;

v) corretta l’esclusione del c.d. danno tanatologico e di quello
catastrofale in assenza di prova della sussistenza di uno stato di
coscienza della vittima primaria nel «breve» intervallo tra il sinistro e
la morte;

vi) infondate le doglianze in punto di liquidazione del danno
biologico sofferto dalla vittima primaria, operata sulla base degli
importi riconosciuti, per ciascun giorno di invalidità, dalle tabelle di
Milano;

vii) corretta la liquidazione del danno biologico sofferto dalla
(OMISSIS);

viii) fondato, invece, il «comune motivo di gravame relativo al
mancato riconoscimento degli interessi compensativi», ma tuttavia
inidoneo a determinare l’accoglimento dell’appello proposto da
(OMISSIS) e dagli eredi di (OMISSIS), risultando comunque ancora
satisfattivi, pur computando detti interessi, l’acconto ad essi già
corrisposto;

ix) fondato altresì il motivo d’appello con cui la (OMISSIS)
contestava l’operata decurtazione, per il suo concorso di colpa nella
causazione del sinistro, dell’importo risarcitorio liquidato pro quota in
suo favore, in relazione al danno non patrimoniale subito dalla vittima
primaria e da essa dedotto iure hereditatis.

5. Avverso tale sentenza (OMISSIS), Manuel e
(OMISSIS) e (OMISSIS), la prima in proprio e quale
erede di (OMISSIS), gli altri nelle già spiegate qualità, i primi tre
inoltre anche quali eredi di (OMISSIS), propongono ricorso per
cassazione articolando sei motivi, cui resistono la UnipolSai Ass.ni
S.p.a. e la Allianz S.p.a., depositando controricorsi.
Gli altri intimati non svolgono difese nella presente sede

6. Il P.M. ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il
ricorso.

I ricorrenti e la controricorrente Allianz hanno depositato
memorie.

7. Chiamata la causa all’udienza pubblica del 29 aprile 2022,
all’esito della stessa questa Corte, con ordinanza interlocutoria n.
28729 del 04/10/2022, ne ha disposto il rinvio a nuovo ruolo in attesa
della decisione delle Sezioni Unite sulla questione ad esse rimessa da
Cass. Sez. 6-3, ord. int. nn. 6946 e 6947 del 02/03/2022.

8. Intervenuta la pronuncia delle Sezioni Unite, è stata fissata per la
trattazione l’odierna udienza pubblica con decreto del quale è stata data
rituale comunicazione alle parti.

9. In vista di tale udienza il P.M. ha depositato nuove conclusioni
scritte, chiedendo l’accoglimento del terzo motivo di ricorso e il rigetto
degli altri.

I ricorrenti e la controricorrente Allianz hanno depositato ulteriori
memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Si dà atto che per la decisione del presente ricorso, fissato per
la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in
camera di consiglio, senza l’intervento del procuratore generale e dei
difensori delle parti, ai sensi dell’art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre
2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, in
combinato disposto con l’art. 8, comma 8, del d.l. 29 dicembre 2022,
n. 198, convertito con modificazioni dalla legge 24 febbraio 2023, n.
14, che ne ha prorogato l’applicazione «alle udienze e alle camere di
consiglio da svolgere fino al 30 giugno 2023», non avendo alcuna
delle parti né il Procuratore Generale fatto richiesta di trattazione
orale.

2. Il rinvio a nuovo ruolo della causa era stato disposto in
relazione alla dubbia validità, ex art. 365 cod. proc. civ., della procura
conferita per il ricorso, in quanto rilasciata su foglio allegato al ricorso,
spillato allo stesso, e contenente solo un generico riferimento al «ricorso
avanti la Corte di Cassazione in Roma», senza alcuna indicazione della
sentenza che si intendeva impugnare e per contro con la presenza di
molteplici riferimenti eccentrici, tipici di una procura conferita per un
giudizio di merito.

Il dubbio deve intendersi risolto in senso positivo (ossia per la
validità della procura conferita in tal modo e con tale contenuto) alla
luce del principio affermato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 36057
del 09/12/2022, secondo il quale «a seguito della riforma dell’art. 83
cod. proc. civ. disposta dalla legge n. 141 del 1997, il requisito della
specialità della procura, richiesto dall’art. 365 cod. proc. civ. come
condizione per la proposizione del ricorso per cassazione (del
controricorso e degli atti equiparati), è integrato, a prescindere dal
contenuto, dalla sua collocazione topografica; nel senso che la firma
per autentica apposta dal difensore su foglio separato, ma
materialmente congiunto all’atto, è in tutto equiparata alla procura
redatta a margine o in calce allo stesso. Tale collocazione topografica
fa sì che la procura debba considerarsi conferita per il giudizio di
cassazione anche se non contiene un espresso riferimento al
provvedimento da impugnare o al giudizio da promuovere, purché da
essa non risulti, in modo assolutamente evidente, la non riferibilità al
giudizio di cassazione; tenendo presente, in ossequio al principio di
conservazione enunciato dall’art. 1367 cod. civ. e dall’art. 159 cod.
proc. civ., che nei casi dubbi la procura va interpretata attribuendo
alla parte conferente la volontà che consenta all’atto di produrre i suoi
effetti».

3. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento
all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., «violazione e/o
falsa applicazione degli artt. 1227, 2043, 2054, 2055 c.c. e 41 c.p.;
violazione dell’art. 132, comma secondo, num. 4, cod. proc. civ., per
manifesta illogicità e contraddittorietà intrinseche della motivazione
nella parte in cui attribuisce una responsabilità minoritaria pari al
30% in capo al (OMISSIS)».

Lamentano che l’attribuzione, in sentenza, di un minore apporto
causale alla condotta del conducente del veicolo antagonista, si pone
in contrasto con i principi in materia di causalità. Si tratterebbe
inoltre di motivazione apodittica e illogica dal momento che si ritiene
meno grave la condotta del superamento dei limiti di velocità di 60
km/h, nonostante essa sia sanzionata dal legislatore in maniera più
grave rispetto alla concorrente violazione delle norme sulla
precedenza.

4. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art.
360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., «omesso esame di un
fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti in
relazione all’omessa considerazione che le conseguenze letali del
sinistro sono riconducibili alla eccessiva velocità del veicolo condotto
dal (OMISSIS)».

Il fatto non considerato sarebbe, in tesi, la sicura evitabilità del
sinistro o comunque delle sue conseguenze più gravi se il conducente
del veicolo antagonista avesse rispettato i limiti di velocità di 60Km/h
previsti in quel tratto.

5. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento
all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e/o
falsa applicazione dell’art. 11 preleggi e dell’art. 141 cod. ass..
Sostengono che, diversamente da quanto sostenuto dai giudici
d’appello, detta ultima norma ha natura processuale e non
sostanziale e, in quanto tale, è suscettibile di applicazione nella
specie, trattandosi di azione promossa dopo la sua entrata in vigore,
non rilevando che essa faccia riferimento a sinistro anteriormente
verificatosi.

6. Con il quarto motivo essi deducono, ai sensi dell’art. 360,
comma primo, num. 3, cod. proc. civ., «violazione degli artt. 1223,
1226, 1227 e 2056 c.c., in relazione all’affermazione secondo cui le
spese per gli spostamenti sostenute dai congiunti non sono risarcibili
rientrando nel dovere di assistenza».

Lamentano che erroneamente la Corte territoriale ha
disconosciuto le (maggiori) spese sostenute per spostamenti
funzionali alla assistenza alla vittima primaria del sinistro, sulla base
dell’inconferente rilievo che tali esborsi rientrerebbero nel dovere di
solidarietà proprio del rapporto padre-figli, atteso che la sussistenza
di un tale dovere non può comunque valere ad esonerare il
danneggiante dal risarcimento dei danni.

Osservano che: tali spese sono conseguenza diretta dell’evento
dannoso e sono dunque suscettibili di essere risarcite in quanto si
pongono in rapporto di causalità con lo stesso; il fatto che l’assistenza
ai genitori sia un dovere (morale) dei figli, non può tramutarsi in una
perdita patrimoniale ai danni degli onerati a causa di condotte di
terzi.

7. Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento
all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e/o
falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 cod. civ. «in
relazione alla irrisoria liquidazione del danno terminale e alla mancata
applicazione delle tabelle sul danno non patrimoniale di Venezia
(anno 2016) ovvero delle tabelle di Milano».

Lamentano che erroneamente la Corte d’appello ha
immotivatamente ritenuto congrua la liquidazione operata dal primo
giudice che, facendo applicazione delle locali tabelle sul danno non
patrimoniale, aveva riconosciuto a tale titolo un importo giornaliero di
120,00 euro (già comprensivo dell’aumento del 50% del valore base),
per un importo complessivo di euro 58.000,00 a fronte di ben 485
giorni di agonia.

Rilevano al riguardo che, con l’appello principale, oltre a rilevarsi
la mancata applicazione delle tabelle di Milano, era stato evidenziato
uno scostamento in pejus della liquidazione persino rispetto alle più
aggiornate tabelle veneziane del 2016, che avrebbero consentito di
pervenire a una liquidazione pari ad € 145.500,00.

Rimarcano che le più aggiornate tabelle di Milano prodotte in
primo grado proponevano: una liquidazione equitativa del danno
terminale limitata ai primi tre giorni, entro il tetto stabilito di
30.000,00 euro, non personalizzabile, per il quarto giorno, in
considerazione delle circostanze del caso concreto, una
personalizzazione del danno convenzionalmente indicata in euro
1.000,00; una successiva progressiva diminuzione giornaliera fino al
centesimo giorno, dopo il quale torna ad essere risarcibile il solo
danno biologico ordinario.

Osservano che, applicando detti criteri al caso di specie,
considerato che l’agonia di (OMISSIS) è durata 483 giorni, il danno
terminale avrebbe potuto essere liquidato in almeno Euro 109.851,00
per i primi 100 giorni e per i residui 383 giorni facendo applicazione
dell’indennizzo per l’inabilità temporanea totale.

8. Con il sesto motivo i ricorrenti denunciano, infine, con
riferimento all’art. 360, comma primo, nn. 3 e 4, cod. proc. civ.,
«nullità della sentenza per violazione dell’articolo 132, comma
secondo, num. 4, cod. proc. civ., in quanto corredata da motivazione
soltanto apparente in ordine all’affermazione di congruità delle spese
legali ante causam liquidate dalla compagnia di assicurazione» (così
testualmente in rubrica).

Rilevano che il rigetto della richiesta di rimborso delle spese per
l’assistenza stragiudiziale sostenute dagli attori prima del giudizio è
giustificato in sentenza dalla mera affermazione della «congruità» di
quelle liquidate dalla compagnia di assicurazione per tale causale,
senza che si dia conto delle ragioni di tale convincimento.

9. Il primo motivo è inammissibile.

Lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, nel provvedimento
impugnato, delle fattispecie astratte recate dalle norme di legge
richiamate, i ricorrenti allegano un’erronea ricognizione, da parte del
giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di
causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della
norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di
merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente
sotto l’aspetto del vizio di motivazione, neppure coinvolgendo, la
prospettazione critica, l’eventuale falsa applicazione delle norme
richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un
fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente la ricorrente nella
prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto
a quella operata dal giudice a quo.

Va rammentato che, secondo costante indirizzo, in tema di sinistri
derivanti dalla circolazione stradale, l’apprezzamento del giudice di
merito relativo alla ricostruzione della dinamica dell’incidente,
all’accertamento della condotta dei conducenti dei veicoli, alla
sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti e alla loro
eventuale graduazione, al pari dell’accertamento dell’esistenza o
dell’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei
singoli soggetti e l’evento dannoso, si concreta in un giudizio di mero
fatto, che resta sottratto al sindacato di legittimità, qualora il
ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da
completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico
(e pluribus Cass. n. 14358 del 05/06/2018).

Deve inoltre condividersi il rilievo del P.G. secondo cui l’equazione
«sanzione più alta per eccesso di velocità – maggiore gravità
dell’infrazione sotto il profilo del contributo causale all’evento»
presuppone un insussistente automatismo tra misura astratta della
sanzione e verifica in concreto del contributo causale. È
l’accertamento concreto quello che conta: è ben possibile che
un’infrazione in astratto di minor gravità secondo il codice della
strada assuma un peso decisivo, e più rilevante, nella dinamica di uno
specifico incidente. È proprio questo quanto accaduto nel caso in
esame, secondo il motivato ed insindacabile apprezzamento di merito
compiuto dalla corte territoriale.

10. Il secondo motivo è inammissibile.

Il sindacato ex art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.
sulla ricognizione del fatto (e, segnatamente, del contributo causale
dei veicoli coinvolti) è nella specie precluso, ai sensi dell’art. 348-ter,
ultimo comma, cod. proc. civ. [come sostituito dall’art. 54, comma 1,
lett. a), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni,
dalla legge 7 agosto 2012, n. 134] — dall’essere la decisione
confermativa, sul punto, di quella di primo grado, non avendo
dimostrato i ricorrenti, in presenza di doppia conforme, la diversità
delle questioni di fatto alla base delle due decisioni di merito.

Il vizio peraltro non è dedotto nel modo in cui questa Corte lo dice
deducibile (Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053-8054).
Quello che si dice omesso non è un fatto ma una valutazione. Il
fatto cui quella valutazione è riferita è l’incidente e la sua dinamica ed
è stato certamente esaminato dal giudice a quo.

11. L’esame del terzo motivo va posposto, per ragioni di ordine
logico delle questioni, a quello dei restanti motivi.

12. Il quarto motivo è manifestamente fondato.

La Corte d’appello fa discendere l’irrisarcibilità del danno
patrimoniale per oneri di assistenza della vittima primaria dall’obbligo
dei figli di assistere il padre ammalato. Ma il fatto che l’assistenza
materiale sia (moralmente) obbligatoria non toglie che, in assenza
del fatto illecito, il relativo esborso sarebbe stato evitato.

L’assistenza è un rimedio per sopperire alle conseguenze del fatto
illecito, non diversamente dalla necessità di cure sanitarie, e la sua
entità economica è pari alla misura dei costi sostenuti per la fornitura
del servizio (cfr. Cass. n. 24205 del 13/11/2014).

Il fatto che a sostenerle non sia la vittima primaria ma un suo
familiare, in adempimento di obbligo morale, non elide tale origine
causale e la sua conseguente natura di danno risarcibile da parte del
soggetto responsabile, ex art. 1223 cod. civ..

Al riguardo occorre peraltro rammentare che l’ingiustizia del
danno, requisito dell’illecito aquiliano, cui la conseguenza
pregiudizievole si correla, è ravvisabile non solo nella lesione del
diritto alla salute della vittima primaria, ma anche nella lesione del
rapporto parentale in capo ai familiari di questa e quindi di un
interesse proprio e diretto di questi ultimi (plurioffensività dell’evento
dannoso), ragione per cui non è a dubitarsi della piena titolarità dal
lato attivo della pretesa risarcitoria fatta valere.

13. Il quinto motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 n. 4
cod. proc. civ..

Secondo principio consolidato il motivo d’impugnazione è
rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con
cui il mezzo è regolato dal legislatore, delle ragioni per le quali,
secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea,
con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre
identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del
diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi
avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è
esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e,
quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è
errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono
concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non
possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti
tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento
dello scopo.

In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi
nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata
con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ. (v. ex
aliis Cass. Sez. U. 20/03/2017, n. 7074; Id. 05/08/2016, n. 16598;
Id. 03/11/2016, n. 22226; Cass. 15/04/2021, n. 9951; 05/07/2019,
n. 18066; 13/03/2009, n. 6184; 10/03/2006, n. 5244; 04/03/2005,
n. 4741; 11/01/2005, n. 359)

La censura in esame non chiarisce in cosa sia esattamente
consistito il presunto errore nella liquidazione tabellare ma anzi
prospetta confusamente diversi e non pertinenti parametri.
Quelli indicati come idonei a condurre a importi risarcitori
maggiori sono infatti dichiaratamente (v. quanto al riguardo
evidenziato nello stesso ricorso, a pag. 26, nota 12) riferiti a valori
non relativi al solo danno biologico, ma comprensivi anche del c.d.
danno terminale morale (o altrimenti detto danno catastrofale);
danno, quest’ultimo, che i giudici di merito, con statuizione non fatta
segno di alcuna specifica censura, hanno invece motivatamente (ed,
in iure, correttamente) escluso potersi nella specie configurare per
non essere la vittima mai stata cosciente dal momento dell’evento
lesivo fino alla morte (v. sul tema, ex aliis, Cass. n. 23153 del
17/09/2019; n. 18056 del 05/07/2019; n. 26727 del 23/10/2018).

14. Il sesto motivo è inammissibile.

La motivazione è perfettamente comprensibile: secondo la Corte
quanto corrisposto dalla compagnia per tale voce risulta congruo e
pienamente satisfattivo.

La valutazione è chiara; la si potrebbe dire, se del caso, errata,
ma non incomprensibile.

Si trattava dunque di contestarla come frutto di una errata
ricognizione della fattispecie. Il che avrebbe potuto e dovuto essere
fatto nei limiti e secondo i requisiti di cui al n. 5 dell’art. 360 cod.
proc. civ.. Ma non lo è stato.

Erano i ricorrenti a dover indicare: a) quale era l’importo preteso
per tale voce; b) quale l’importo invece corrisposto; c) quali elementi
erano stati dedotti in giudizio a supporto della maggiore pretesa.
15. Può tornarsi adesso all’esame del terzo motivo.
15.1. Esso deve dirsi inammissibile se e in quanto riferibile anche
alla pretesa risarcitoria di (OMISSIS) (ed ora dei suoi eredi) per
danni iure proprio.

Trattandosi di conducente e non di trasportato, anche ammesso
(ma come vedremo non concesso) che l’art. 141 cod. ass. sia
applicabile ai fatti pregressi, di esso non si potrebbe comunque
giovare la predetta né i suoi eredi che agiscano, per l’appunto, in
quanto tali, per tal genere di danni.

Ciò in quanto, come è stato osservato, «la previsione dell’art. 129
cod. ass. (secondo cui «non è considerato terzo e non ha diritto ai
benefici derivanti dal contratto di assicurazione obbligatoria il solo
conducente del veicolo responsabile del sinistro») costituisce
corollario del principio generale, sotteso all’intera materia della
responsabilità civile, che esclude in radice che l’autore dell’illecito
possa conseguire il risarcimento del danno che egli stesso si è
provocato, ossia che possa considerarsi danno risarcibile quello che
taluno procura a sé stesso (cfr. Cass. n. 27544/2017, Cass. n.
6988/2003 e Cass. n. 3957/1994); principio ‘scolpito’ nella norma
cardine dell’art. 2043 c.c., che prevede che il danno ingiusto sia
provocato “ad altri” e onera del risarcimento l’autore del danno,
inteso come soggetto necessariamente diverso dal danneggiato;
principio, infine, ribadito dall’art. 12, comma 1, della Direttiva
2009/103/CE del 16 settembre 2009» (così, in motivazione, Cass.
Sez. U. n. 35318 del 30/11/2022, par. 8, pagg. 14-15).
15.2. Il motivo è altresì inammissibile, per difetto di interesse, in
quanto proposto da (OMISSIS) e dagli eredi di (OMISSIS), quali
eredi di (OMISSIS).

Ciò in quanto:

a) l’art. 141 cod. ass. (recante la rubrica “risarcimento del terzo
trasportato”) disciplina un’azione di carattere eccezionale che non è
suscettibile di applicazione analogica a casi non espressamente
previsti; essa si applica pertanto in favore del solo trasportato
danneggiato e non può essere estesa ai danni subiti iure proprio dai
congiunti del trasportato deceduto in conseguenza del sinistro (v.
Cass. Sez. U. n. 35318 del 30/11/2022, par. 17, pag. 27; ma v. già
in tal senso Cass. n. 14388 del 27/05/2019, non massimata); una
diversa interpretazione, costituzionalmente orientata, non sembra
possibile;

b) l’interesse a dolersi della mancata applicazione dell’art. 141
può dunque, nel nostro caso, ravvisarsi solo con riferimento alle
pretese risarcitorie avanzate iure hereditatis;

c) sotto tale profilo i predetti ricorrenti sono stati però considerati
già interamente soddisfatti con statuizione che, in ragione dell’esito
dei motivi sopra esaminati, deve ritenersi confermata (l’accoglimento
del quarto motivo potrebbe infatti condurre, in sede di rinvio, a
riconoscere ai suddetti solo un ulteriore importo risarcitorio per danno
però dedotto iure proprio).

15.3. Il motivo ─ che resta dunque ammissibile solo in quanto
riferibile alla pretesa risarcitoria vantata jure hereditario da Onorina
(OMISSIS) per i danni subiti dalla vittima primaria (pretesa per la quale la
stessa ha visto accolto il proprio appello ma solo nei confronti del
proprietario e della assicuratrice del veicolo antagonista) ─ deve
comunque dirsi infondato.

La risposta da dare al quesito circa l’applicabilità della norma ai
fatti pregressi è infatti negativa.

Sulla interpretazione della norma e sulla sua effettiva portata,
come noto, si sono in passato contrapposte due impostazioni.

Secondo un primo orientamento di cui è espressione Cass. n.
4147 del 2019 (seguita da Cass. n. 14388 del 2019, cit.) la portata
innovativa della norma è apprezzabile non con riferimento al
fondamento della responsabilità, che resta sempre una responsabilità
per colpa, ancorché presunta, ma sul piano degli oneri di allegazione
e prova gravanti sul soggetto (il terzo trasportato) cui è attribuito il
potere di azione diretta ai fini del risarcimento del danno. Si tratta
(solo) di uno strumento aggiuntivo di tutela, diretto ad agevolare il
conseguimento del risarcimento del danno nei confronti dell’impresa
assicuratrice. «Il proprium della norma — è stato esplicitamente
affermato da Cass. n. 14388 del 2019 — è … solo di tipo processuale
(esaurendosi per l’appunto nel sollevare il terzo trasportato,
danneggiato, dall’onere di allegare la responsabilità dell’assicurato e
di provare le modalità del sinistro), non sostanziale (restando esclusa
la responsabilità dell’assicuratore del vettore ove sia certa a priori
ovvero si accerti, in virtù di eccezione e prova offerta
dall’assicuratore, l’assenza di colpa dell’assicurato)».

Secondo un opposto orientamento (di cui è espressione Cass. n.
17963 del 2021) il proprium della norma ha invece connotati di
indubbio rilievo sostanziale, dal momento che (in estrema sintesi): a)
l’assicuratore del vettore è tenuto a rispondere comunque, anche se
vi è la prova (o addirittura la mancata contestazione) della esclusiva
responsabilità del conducente del veicolo antagonista, salvo solo il
caso fortuito da intendere però restrittivamente rappresentato da
«fattori naturali e fattori umani estranei alla circolazione di altro
veicolo»; b) quale contropartita il terzo trasportato che scelga di
avvalersi di tale strumento di tutela potrà ottenere il risarcimento nei
limiti del massimale di legge, non di quello eventualmente maggiore
contrattualmente previsto nel contratto di assicurazione.
Cass. Sez. U. n. 35318 del 2022, cit., ha avallato tale seconda
impostazione.

Tanto emerge chiaramente:

A) sia dalla parte della motivazione (par. 12, pag. 19), ove si
afferma che «Lo scopo della norma è … quello di agevolare la
posizione del trasportato vittima di un sinistro stradale; scopo che il
legislatore ha inteso conseguire con due strumenti: a) assegnare alla
vittima un debitore certo e facilmente individuabile; b) ridurre
ulteriormente, rispetto alla presunzione già prevista dall’art. 2054,
comma primo, c.c., l’onere della prova gravante sul danneggiato, da
intendersi limitata al fatto di essere stato trasportato a bordo del
veicolo e alla natura ed entità dei danni patiti in conseguenza del
sinistro, con impossibilità per il vettore (o il suo assicuratore) di
liberarsi semplicemente dimostrando la responsabilità di un altro
conducente»;

B) sia dalla parte della motivazione (par. 18.2, pag. 30 ss.) ove si
afferma, a proposito della nozione di «caso fortuito» evocata dall’art.
141 che «L’incipit “salva l’ipotesi di sinistro cagionato da caso
fortuito” non può che essere letto in correlazione con l’inciso «a
prescindere dall’accertamento della responsabilità dei veicoli coinvolti
nel sinistro» e una siffatta lettura (che dev’essere necessariamente
coordinata, a meno di non voler postulare una insanabile
contraddizione interna fra l’incipit e l’inciso e di non voler
arbitrariamente dare preminenza alla prima delle due espressioni)
evidenzia come il legislatore abbia inteso escludere, in prima battuta,
ogni accertamento concernente la colpa dei conducenti, che è
riservato alla fase di rivalsa e che non può pertanto essere recuperato
nell’ambito della salvezza del caso fortuito; il che risulta coerente con
la finalità della norma di impedire che il risarcimento del danno subito
dal passeggero venga ritardato dalla necessità di compiere
accertamenti sulla responsabilità del sinistro (rimessi all’eventuale
fase successiva).

«Deve pertanto ritenersi che – come sostenuto da Cass.
17963/2021 – nella cornice del giudizio configurato dall’art. 141, 1°
co. cod. ass., in cui si prescinde dall’accertamento delle responsabilità
del sinistro, il caso fortuito che vale ad esimere l’assicuratore del
vettore dal risarcimento in favore del trasportato è nozione distinta
dalla condotta colposa del conducente dell’altro veicolo coinvolto e
deve intendersi circoscritto alle cause naturali e ai danni causati da
condotte umane indipendenti dalla circolazione di altri veicoli».

Perdendosi, in tale prospettiva, il fondamento colposo della
responsabilità, sia pure presunta, del vettore assicurato, e
introducendosi in sostanza un fondamento oggettivo, non è dubitabile
che si sia in presenza di una norma di diritto sostanziale e non
meramente processuale, con conseguente inapplicabilità ai fatti
pregressi (v., in tal senso, Cass. 25/09/2018, n. 22566).
15.4. Resta da esaminare il diverso percorso argomentativo che
ha condotto il P.G. a richiedere l’accoglimento del motivo nelle sue
ultime conclusioni.

Secondo il P.M. a tale esito dovrebbe giungersi sulla base di una
diversa qualificazione della pretesa come riferibile all’art. 144 cod.
ass. e all’art. 2054 cod. civ. (pacificamente invocabile anche dai terzi
trasportati): diversa qualificazione consentita anche alla Corte di
cassazione in virtù del principio iura novit curia.

Proprio quest’ultima considerazione non può essere condivisa nel
caso concreto.

Osta, infatti, al (correttamente) proposto ragionamento il
giudicato che deve intendersi fondato sulla qualificazione della
domanda ex art. 141.

Vero è che, come avverte anche Cass. Sez. U. n. 35318 del 2022
(par. 12.1), «il giudice di merito, nel qualificare la domanda ai sensi
dell’art. 141 cod. ass. piuttosto che ai sensi dell’art. 144 cod. ass.,
non potrà limitarsi a considerare la qualificazione ad essa data dalla
parte attrice o le norme da essa richiamate, ma dovrà valutare nel
loro complesso i fatti posti a fondamento della domanda e le ragioni
giuridiche spese per illustrarli. Inoltre, a tutela del generale principio
di conservazione degli effetti degli atti giudiziari e di ragionevole
durata dei processi, l’accertata insussistenza dei presupposti richiesti
dall’art. 141 cod. ass. (ad es., per quanto si dirà, per il
coinvolgimento di un solo veicolo nella causazione del sinistro) non
potrà condurre al rigetto della domanda, se questa presenti
comunque tutti i presupposti di fatto e di diritto richiesti dagli artt.
2054 c.c. o 144 cod. ass., e non risulti che l’attore abbia
espressamente rifiutato di avvalersi di tali strumenti, quanto meno in
via subordinata».

Nel caso in esame però tale strada come detto deve ritenersi
preclusa dal fatto che: a) il giudice di primo grado non operò una tale
diversa qualificazione della domanda; b) in appello i ricorrenti non si
dolsero della mancata diversa qualificazione della domanda; c) né
alcuna specifica doglianza è stata in tal senso proposta con il ricorso
avverso la sentenza d’appello che ha confermato la statuizione sul
punto.

Va rammentato che il giudicato si forma anche sulla qualificazione
giuridica data all’azione dal giudice, quando tale qualificazione abbia
condizionato l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito e la
parte interessata abbia omesso di impugnarla in appello (Cass.
7/08/1996, n.7260; Cass. 17/12/1993, n.12499; Cass. n.
11022/1991).

Tanto è avvenuto nella fattispecie.

Nell’interpretazione della portata del giudicato non si deve
soltanto tenere conto della formula conclusiva in cui si riassume il
contenuto precettivo della sentenza passata in giudicato, ma si deve
individuare l’essenza e l’effettiva portata della decisione, ricavandola
anche dalla motivazione e, quindi, altresì dal contenuto attribuito
dalla sentenza alla domanda giudiziale (cfr. Cass. Sez. U.
17/03/1998, n. 2874; 17/02/2000, n. 1773; 27/04/1996, n. 3916; n.
21490 del 2005).

16. In accoglimento, dunque, del solo quarto motivo, rigettato il
terzo e ritenuti inammissibili tutti gli altri, la sentenza impugnata
deve essere cassata in relazione al motivo accolto, e la causa rinviata
al giudice a quo, al quale va anche demandato il regolamento delle
spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il quarto motivo; rigetta il terzo; dichiara inammissibili i
rimanenti; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia la
causa ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia, comunque in
diversa composizione, cui demanda anche il regolamento delle spese
del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza
Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 aprile 2023