Sentenza 16917/2019
Vizi della cosa locata – Tutela ex artt. 1578 e 1460 c.c.
L’art. 1578 c.c. offre al conduttore una tutela contro i vizi della cosa locata esistenti al momento della consegna che presuppone l’accertamento giudiziale dell’inadempimento del locatore ai propri obblighi ed incide direttamente sulla fonte dell’obbligazione; al contrario, l’art. 1460 c.c. prevede una forma di autotutela che attiene alla fase esecutiva e non genetica del rapporto e consente al conduttore, in presenza di un inadempimento del locatore, di sospendere liberamente la sua prestazione, nel rispetto del canone della buona fede oggettiva, senza la necessità di adire il giudice ai sensi dell’art. 1578 c.c.
Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 25 giugno 2019, n. 16917 (CED Cassazione 2019)
Art. 1578 cc (Vizi della cosa locata) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
- Avendo (OMISSIS) s.a.s. – in seguito (OMISSIS) s.a.s. – stipulato in data 1 novembre 2001 quale conduttrice un contratto di locazione per diciotto anni avente per oggetto un immobile, situato in (OMISSIS), ad uso alberghiero con i proprietari, nel contratto quali locatori, cioè (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), dalla successiva vicenda dell’esecuzione contrattuale derivavano quattro cause.
Con ricorso depositato il 18 gennaio 2012 al Tribunale di Savona, sezione distaccata di Albenga, la società conduttrice chiedeva la condanna dei locatori a eseguire sull’immobile opere di manutenzione straordinaria, a restituirle somme non dovute pagate per il canone e una somma (di Euro 3600) relativa ad un loro abusivo utilizzo degli impianti alberghieri, oltre al risarcimento dei danni. Costituitasi resistendo controparte, il giudizio veniva poi trasferito, per soppressione della sezione distaccata, davanti al Tribunale di Savona.
Inoltre, avendo la conduttrice comunicato ai locatori che avrebbe sospeso il pagamento del canone per asserito grave inadempimento di essi, ed avendo quindi effettivamente cessato di versare il corrispettivo locatizio, i locatori avviavano tre giudizi che prendevano le mosse come sfratto per morosità e relativa richiesta di convalida, cui controparte si opponeva, con conseguente passaggio alla piena cognizione; in due di questi il Tribunale negava l’ordinanza provvisoria di rilascio richiesta dai locatori accogliendo, nella fase di sommaria cognizione, l’eccezione inadimplenti non est adimplendum, ordinanza provvisoria di rilascio che fu invece emessa nel restante giudizio, e in seguito alla quale la conduttrice rilasciava poi l’immobile in data 7 maggio 2015.
Riunite le cause, disposta consulenza tecnica d’ufficio per determinare le condizioni dell’immobile, il Tribunale di Savona, con sentenza n. 612/2015, dichiarava il contratto locatizio risolto per inadempimento della conduttrice, che condannava a pagare i canoni non corrisposti, rigettandone tutte le domande e condannandola altresì a rifondere ai locatori le spese di causa e a prendersi carico delle spese della consulenza tecnica.
Avendo (OMISSIS) proposto appello, cui resisteva controparte, la Corte d’appello di Genova, con sentenza del 15 febbraio 2017, lo accoglieva limitatamente alla condanna degli appellati a pagare all’appellante la somma di Euro 3600, oltre interessi, e conseguentemente modificava le spese di lite di primo grado, compensandole per un quinto e condannando l’appellante a rifonderne i quattro quinti a controparte; identica decisione prendeva quanto alle spese del giudizio d’appello.
- Ha presentato ricorso (OMISSIS), che ha depositato pure memoria. Si sono difesi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con controricorso; anch’essi hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
- Il ricorso è articolato in diciotto motivi.
3.1.1 Il primo motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli articoli 1460 e 1175 c.c. per avere la corte territoriale, a proposito del primo motivo d’appello, ritenuto che la sospensione totale o parziale del pagamento del canone è legittima soltanto se vi sia una oggettiva proporzione tra gli inadempimenti delle parti, onde sarebbe giustificata la sospensione totale del canone solo nel caso in cui sussista una compromissione totale del godimento del bene da parte del conduttore.
Rileva la ricorrente che il paradigma dell’articolo 1460 c.c. è diverso da quello dell’articolo 1455 c.c.: l’articolo 1460 non menziona l’importanza dell’inadempimento di controparte per fondarne l’applicazione. Pertanto il diritto alla sospensione andrebbe riconosciuto indipendentemente dalla proporzionalità dei rispettivi obblighi, fermo soltanto il principio di correttezza contrattuale (articolo 1175 c.c.). Seguono una serie di argomenti relativi allo svolgimento della vicenda, per giungere ad affermare che la sospensione del pagamento del canone sarebbe stata effettuata rispettando i principi di correttezza e buona fede.
3.1.2 Il secondo motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’articolo 1460 c.c. e dei principi regolatori del giusto processo, per avere la corte territoriale ritenuto, in ordine al primo motivo d’appello, giustificata la sospensione totale del pagamento del canone unicamente nel caso in cui sussista effettiva e totale compromissione del godimento del bene da parte del conduttore.
L’applicazione dell’articolo 1460 genererebbe una sospensione dell’adempimento del conduttore, e non una caducazione del diritto del locatore a percepire il canone; e di ciò occorrerebbe tenere conto anche per comparare i due opposti inadempimenti, quello del locatore e quello del conduttore. Continuare a fruire dell’immobile non escluderebbe la legittimità della sospensione del canone: sarebbe invece necessario valutare nel caso concreto l’effetto dei rispettivi inadempimenti sull’equilibrio contrattuale, verifica che non sarebbe stata espletata dai giudici di merito.
3.1.3 I due motivi, ictu oculi, meritano una valutazione congiunta, in quanto entrambi concernono l’applicazione – ad avviso della ricorrente, errata – dell’articolo 1460 c.c. da parte della Corte d’appello.
Nel primo, in particolare, la ricorrente assume una posizione intrinsecamente contraddittoria: adduce, invero, che il giudice d’appello quale presupposto dell’applicazione dell’articolo 1460 esige una proporzionalità tra gli inadempimenti delle parti, per contrapporre che questo istituto sarebbe indipendente dalla proporzionalità suddetta, salva peraltro la correttezza contrattuale. Sostiene questo asserto anche mediante un raffronto tra l’articolo 1460 e l’articolo 1455, solo quest’ultimo, a suo avviso, attribuendo rilievo all’importanza dell’inadempimento.
Se è vero, anzitutto, che l’articolo 1455 mette in discussione l’importanza o meno dell’inadempimento, è peraltro altrettanto vero che lo scopo, in tale fattispecie, è determinare il presupposto della risoluzione contrattuale; e che l’articolo 1460 non rientri nel paradigma risolutorio viene ammesso dalla stessa ricorrente in modo implicito ma chiaro laddove, come si è visto, argomenta nel senso che l’articolo 1460 soltanto sospende l’adempimento dell’obbligazione di pagamento del canone, non liberandone automaticamente il conduttore (v. da ultimo Cass. sez. 3, ord. 29 marzo 2019 n. 8760, per cui “l’eccezione di inadempimento, anche se sollevata in buona fede, non ha effetti liberatori ma solo sospensivi; pertanto, quando ad essa faccia seguito una pronuncia di risoluzione del contratto per inadempimento della parte contro cui fu sollevata l'”exceptio inadimpleti contractus”, gli effetti risarcitori, liberatori e restitutori della risoluzione restano disciplinati dalle previsioni dell’articolo 1458 c.c..”).
Peraltro, la contraddittorietà della censura emerge immediatamente dopo avere la ricorrente addotta l’irrilevanza della proporzionalità tra gli inadempimenti, ovvero laddove la ricorrente riconosce comunque l’incidenza della correttezza contrattuale, richiamando l’articolo 1175 c.c. Infatti l’articolo 1175 è una delle norme che innervano il sistema contrattuale del principio della buona fede come oggettivo parametro comportamentale (e dunque non quale percezione soggettiva, come quando, in altri campi, integra una species dell’elemento soggettivo dell’agente). Correttezza e buona fede oggettiva sono, in realtà, una endiadi sia semanticamente sia intrinsecamente. E nell’istituto della sospensione dell’adempimento regolato dall’articolo 1460 sono esplicitamente presenti a mezzo del comma 2 dell’articolo, il quale, con il riferimento “alle circostanze”, evidentemente proprie del caso concreto, correla ad esse la potenziale sospensione della controparte dell’inadempiente per determinare se secondo “buona fede” tale sospensione possa concretizzarsi; ciò non può non significare commisurazione del rilievo sinallagmatico delle obbligazioni coinvolte, id est proporzionalità, come da tempo è stato ravvisato, nell’applicazione dell’articolo 1460, dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte (v., p. es., già Cass. sez. 3, 4 dicembre 1981 n. 6441 – per cui nei contratti a prestazioni corrispettive il rifiuto di una parte di adempiere non è giustificato dall’inadempimento di controparte ex articolo 1460 se questo, in relazione alla sua obiettiva entità e all’interesse dell’avversario, risulti di scarsa importanza, così da evidenziare la contrarietà alla buona fede del rifiuto -, Cass. sez. 3, 29 aprile 1982 n. 2708 – che insegna che nei contratti a prestazioni corrispettive l’eccezione di inadempimento mira a conservare l’equilibrio sostanziale e funzionale alle obbligazioni contrapposte, onde chi eccepisce ex articolo 1460 è in buona fede solo se il suo comportamento è oggettivamente ragionevole e logico, nel senso che abbia concreta giustificazione nel rapporto tra le prestazioni eseguite e quelle rifiutate, in relazione ai legami di corrispettività e contemporaneità di esse -, Cass. sez. 2, 9 agosto 1982 n. 4457 – che, a proposito in particolare dell’exceptio non rite adimpleti contractus ai sensi dell’articolo 1460, esige che la proporzionalità tra gli inadempimenti sia valutata oggettivamente in riferimento all’intero equilibrio del contratto, e quindi non secondo la rappresentazione soggettiva delle parti -, e Cass. sez. 3, 7 gennaio 2004 n. 58; cfr. pure Cass. sez. 3, 19 aprile 1974 n. 1086, Cass. sez. 3, 8 giugno 1976 n. 2111,Cass. sez. 2, 7 maggio 1982 n. 2843, Cass. sez. 3, 7 marzo 2001 n. 3341, Cass. sez. 3, 11 febbraio 2005 n. 2855, Cass. sez. 3, 11 aprile 2006 n. 8425, cit., Cass. sez. L, 3 maggio 2011 n. 9714).
D’altronde, manifestando ulteriormente la contraddittorietà della sua critica, la ricorrente ha poi affermato, come si è visto, che occorre comparare i due inadempimenti coinvolti, per verificarne l’effetto sull’equilibrio contrattuale. E ciò, a ben guardare, consiste proprio nella verifica della proporzionalità dell’incidenza degli inadempimenti coinvolti sul sinallagma contrattuale, il che smentisce quanto addotto nell’incipit della censura.
3.1.4 Se, allora, queste doglianze sono chiaramente infondate, rimane da esaminare quella dell’omessa verifica, da parte della corte territoriale, proprio della proporzionalità, ovvero dell’effetto dei rispettivi inadempimenti sull’equilibrio contrattuale, avendo comunque ritenuto la corte giustificata la sospensione totale del pagamento del canone – qui effettuata dall’attuale ricorrente – soltanto nel caso di totale compromissione del godimento del bene.
Invero, la Corte d’appello si è espressa nel modo seguenta: “… il mancato pagamento del canone di locazione da parte del conduttore, e dunque l’inadempimento della principale obbligazione posta a suo carico, non può intendersi legittimato dall’eccezione di – inadempimento sollevata dalla medesima parte, avente fondamento su una riduzione o una diminuzione di godimento del bene, per evento ricollegabile al fatto del locatore. La sospensione totale o parziale del pagamento del canone, invero, è legittima nella sola ipotesi in cui vi sia sproporzione fra i rispettivi inadempimenti delle parti, da valutarsi non in rapporto alla rappresentazione soggettiva che le parti ne facciano, bensì in relazione alla situazione oggettiva, tale che può ritenersi giustificata una sospensione integrale dell’adempimento dell’obbligo del conduttore di corrispondere il canone di locazione solo a fronte di una effettiva compromissione totale del godimento del bene locato, ferma restando la necessità di accertare giudizialmente, in seguito alla sospensione dell’adempimento a carico del conduttore, la carenza della prestazione della controparte. In mancanza dell’accertamento predetto, la condotta del conduttore costituisce fatto arbitrario ed illegittimo che altera il sinallagma contrattuale e determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti per effetto di una unilaterale ragion fattasi, che configura, pertanto, inadempimento colpevole all’obbligo di adempiere esattamente e puntualmente al contratto stipulato ed all’obbligazione principale a suo carico gravante” (motivazione della sentenza impugnata, pagine 17-18). E, come conclusione di queste osservazioni di diritto, si cita Cass. sez. 3, 4 novembre 2014 n. 23447.
– La corte territoriale – non si può non rilevare – illustra il paradigma dell’articolo 1460 in modo non del tutto coerente e perspicuo, dapprima prospettando che sia legittima la sospensione del pagamento del canone nel caso in cui, alla luce della “situazione oggettiva”, “vi sia sproporzione fra i rispettivi inadempimenti delle parti” – il che è giuridicamente corretto, come si è appena affermato -, ma poi asserendo l’esistenza della “necessità di accertare giudizialmente”, in conseguenza della sospensione dell’adempimento da parte del conduttore (sembra soltanto quella integrale; tale è d’altronde quella che nel caso in esame aveva effettuato (OMISSIS)), “la carenza della prestazione della controparte”, perchè in mancanza di tale accertamento “la condotta del conduttore costituisce fatto arbitrario ed illegittimo”; e infine richiama un arresto che non ha pertinenza con questa tematica.
3.1.5 Sussiste in effetti un orientamento di questa Suprema Corte che ritiene necessario, anche per l’applicazione dell’articolo 1460, l’intervento del giudice. Ad esempio, Cass. sez. 3, 13 luglio 2005 n. 14739 (arresto tutt’altro che isolato) in motivazione così si esprime: “La giurisprudenza ha ripetutamente ribadito il principio secondo il quale la principale e fondamentale obbligazione del conduttore di immobili è il pagamento del canone di locazione, sì che non gli è consentito di astenersi dal corrisponderlo anche nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione del godimento del bene, nemmeno nel caso in cui egli assuma che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore. Infatti la sospensione dell’adempimento di detta obbligazione, ai sensi dell’articolo 1460 c.c., è legittima soltanto quando sia giudizialmente accertato che è venuta completamente a mancare la prestazione della controparte, altrimenti costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore che altera il sinallagma contrattuale e determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti per effetto di un’ unilaterale ragion fattasi del conduttore, che perciò configura inadempimento colpevole all’obbligo di adempiere esattamente e puntualmente al contratto stipulato e all’obbligazione principale per il conduttore. A ciò deve aggiungersi che… la sospensione della prestazione sinallagmatica – secondo il principio “inadimplenti non est adimplendum” – è legittima soltanto se è conforme a lealtà e buona fede, il che è da escludere se il conduttore continua a godere dell’immobile, e al momento in cui gli è chiesto il pagamento del canone, assume l’inutilizzabilità del bene all’uso convenuto, perchè in tal modo fa venir meno la proporzionalità tra le rispettive prestazioni. Dunque in tal caso, per conformare il suo comportamento a buona fede, può soltanto chiedere una riduzione del canone proporzionata all’entità del mancato godimento, in analogia al disposto dell’articolo 1584 c.c…. ovvero può chiedere la risoluzione del contratto…”.
In realtà, l’articolo 1460 fornisce una autotutela per l’ipotesi di esecuzione in versione negativa, ovvero inadempimento o adempimento inesatto, e la “traduzione” della norma nel caso concreto risiede, come già si è visto, nel rispetto del parametro della buona fede oggettiva. L’interpretazione cui aderisce la corte territoriale ravvisa invece nell’articolo 1460 una mera avanguardia dell’articolo 1578, nel senso che, componendosi una fattispecie a formazione progressiva, solo l’esercizio delle azioni previste da quest’ultima norma può condurre a ritenere legittima la sospensione dell’adempimento del pagamento del canone da parte del conduttore – e, ovviamente, soltanto se l’esito dell’azione è positivo per l’attore -. Così dall’articolo 1578 c.c. e dalle norme ad esso correlate/accessorie si viene ad attingere trattandosi di eccezione di inadempimento mossa dal conduttore – l’effettivo regolamento degli obblighi del locatore sotto forma di conseguenza nel caso in cui vengano inadempiuti. L’articolo 1578, infatti, disciplina le conseguenze dell’articolo 1575 c.c., n. 1, ovvero le conseguenze della sussistenza di vizi della cosa locata “al momento della consegna”, trovando immediata integrazione negli articoli 1579 e 1580 c.c.; peraltro l’articolo 1581 c.c. governa poi i “vizi sopravvenuti” estendendovi proprio la antecedente triade di articoli, pur con la flessibile garanzia dell'”in quanto applicabili”.
L’articolo 1578, nel suo comma 1, offre al conduttore una tutela giudiziaria per i vizi che “diminuiscono in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito” della cosa locata: la risoluzione del contratto o, implicitamente nel caso in cui il conduttore ne abbia ancora interesse alla preservazione, una riduzione del corrispettivo, con un limite del genere dell’imputet sibi “salvo che si tratti di vizi conosciuti o facilmente riconoscibili” -, che si traduce, in sostanza, in una presunzione juris et de jure sull’esistenza del consenso del conduttore “ciò nonostante” (v. Cass. sez. 3, 7 marzo 2001 n. 3341, cit., per cui “allorquando il conduttore, all’atto della stipulazione del contratto di locazione, non abbia denunziato i difetti della cosa da lui conosciuti o facilmente riconoscibili, deve ritenersi che abbia implicitamente rinunziato a farli valere, accettando la cosa nello stato in cui risultava al momento della consegna, e non può, pertanto, chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del canone, nè il risarcimento del danno o l’esatto adempimento, nè avvalersi dell’eccezione di cui all’articolo 1460 c.c.”; sulla stessa consolidata linea Cass. sez. 3, 13 settembre 1974 n. 2490, Cass. sez. 3, 7 maggio 1979 n. 2597, Cass. sez. 3, 1 dicembre 2009 n. 25278 e Cass. sez. 3, 25 maggio 2010 n. 12708). La questione della consapevolezza si capovolge, poi, nel comma 2, che riguarda la tutela risarcitoria, dove l’ignoranza “senza colpa” del locatore priva il conduttore del risarcimento dei danni derivati da vizi della cosa.
Il fraintendimento della portata dell’articolo 1578 – e correlativamente dell’articolo 1460 -, allora, è evidente: l’articolo 1460, fattispecie di autotutela stragiudiziale, è indipendente di per sè dalla formazione di un giudicato quale è l’ordinario esito dell’esercizio di un’azione giudiziaria, non indispensabile per la sua legittimazione.
3.1.6 Sulla natura dell’istituto di cui all’articolo 1460 si è soffermata da ultimo Cass. sez. 3, ord. 29 marzo 2019 n. 8760, la cui massima è stata più sopra già citata. Nella motivazione, la pronuncia rileva che l’articolo 1460 “consente, a chi abbia vanamente atteso l’esatto adempimento della prestazione contrattuale dovutagli, di rifiutare l’adempimento della propria prestazione sino a quando il contraente infedele non adempia od offra di adempiere la propria”; sarebbe un “retaggio del principio emerso nel diritto intermedio fides non est servanda ei qui frangit fidem, e – in sintonia con tale millenaria tradizione – non può essere invocato quomodo libet, ma è soggetto alla condizione che il rifiuto di adempiere… non sia contrario a buona fede “avuto riguardo alle circostanze”.”. Dato atto che la giurisprudenza di legittimità (come sopra già si è visto) ha sempre precisato che la buona fede cui si riferisce il comma 2 dell’articolo 1460 non è soggettiva (la mera incolpevole ignoranza di ledere il diritto altrui non può quindi legittimare l’inadempimento) bensì oggettiva, onde per stabilirne la sussistenza il giudice di merito deve verificare se l’inadempimento della controparte abbia influito sull’equilibrio sinallagmatico del contratto, così da legittimare la sospensione “reattiva”, l’arresto rimarca pure che la buona fede oggettiva esige, altresì, che “la difesa sia proporzionata all’offesa”, per cui soltanto un inadempimento integrale legittima una sospensione integrale della prestazione corrispettiva.
La pronuncia giunge proprio a dispiegare la sua analisi sulle conseguenze dell’applicazione dell’articolo 1460, osservando che la relativa eccezione di inadempimento “è un rimedio necessariamente temporaneo”, da cui può derivare una delle tre ipotesi seguenti: in primo luogo, “se l’inadempimento che l’ha provocata persiste, esso condurrà alla risoluzione del contratto, e l’eccipiente sarà liberato dalla propria obbligazione”; in secondo luogo, se l’inadempimento di controparte cessa, “cessa anche il diritto di autotutela dell’eccipiente, il quale sarà perciò obbligato all’adempimento”; e infine, se l’inadempimento di controparte risulta insussistente oppure inidoneo a giustificare l’eccezione (il che – può ben aggiungersi giuridicamente equivale), “l’eccipiente sarà tenuto all’adempimento, ovvero sarà esposto all’azione di risoluzione per inadempimento”. Ne consegue che l’exceptio inadimpleti contractus mai potrà “avere effetti liberatori, ma solo effetti sospensivi, transeunti della “forza di legge” del contratto. Gli effetti liberatori potranno scaturire solo dalla risoluzione del contratto, sia essa giudiziale, automatica o consensuale”. Peraltro, qualora il contratto sia di durata, ex articolo 1458 c.c. la risoluzione non potrà “travolgere le obbligazioni sorte nel periodo in cui il contratto ebbe esecuzione”.
3.1.7 Dunque – non si può non rilevare – dopo l’applicazione dell’articolo 1460 sussiste l’eventualità che l’esecuzione contrattuale si riattivi, riprendendo ad adempiere la parte che ha suscitato l’applicazione dell’articolo 1460 ad opera di controparte, quest’ultima a sua volta conseguentemente “ripianando” il proprio inadempimento reattivo: eventualità in cui ictu oculi non vi è alcuno spazio (ovvero, sotto forma processuale, non vi è alcun interesse) per esercitare le azioni dell’articolo 1578. Ma anche nell’eventualità opposta, in cui l’esecuzione non viene riattivata, non è necessario proporre azione ai sensi della suddetta norma, ben potendo le parti, secondo i principi generali dell’autonomia negoziale, risolvere “in proprio” (risoluzione consensuale), risolvere “automaticamente” (ai sensi dell’articolo 1456 c.c.) o anche andare oltre, mediante un negozio di accertamento transattivo.
Invero, l’articolo 1460 è un paradigma dell’esecuzione del contratto che ne prevede la sospensione; ma, proprio perchè attiene alla fase esecutiva, non incide “alla radice”, ovvero sul contratto in sè come vincolo cui le parti si sono reciprocamente avvinte spendendo la loro autonomia giuridico-negoziale (articoli 1321, 1322 e 1372 c.c.). Non si è, pertanto, sul piano dell’articolo 1578, che incide direttamente sulla fonte delle obbligazioni – il contratto, appunto – apportandone la risoluzione o la riequilibrante riforma del sinallagma.
3.1.8 Tale divergenza ontologica spicca con maggiore intensità nel contratto di durata – quale è il contratto locatizio – come nota ancora Cass. sez. 3, ord. 29 marzo 2019 n. 8760, per cui ai sensi dell’articolo 1458 c.c. la risoluzione non può “travolgere le obbligazioni sorte nel periodo in cui il contratto ebbe esecuzione”. Questo profilo necessita, peraltro, una precisazione.
L’articolo 1458 disciplina gli effetti della risoluzione del contratto per inadempimento, dotandoli di retroattività tranne per le prestazioni già eseguite nei “contratti ad esecuzione continuata o periodica”. È ben logico che la forma progressiva di un contratto di durata implichi la salvezza dei giuridici effetti degli “autosufficienti” segmenti anteriori all’inadempimento che ha poi cagionato la risoluzione: e infatti la norma circoscrive questa salvezza agli effetti delle “prestazioni già eseguite”, che, trattandosi di contratti a prestazioni corrispettive, si sono relazionate come corrispettivo l’una dell’altra e il cui contenuto, pertanto, non può essere oggetto di restituzione. Ma nel caso in cui sia stata sospesa la prestazione da una parte in riferimento all’articolo 1460, occorre dirimere, focalizzando le due configurabili fattispecie, la vicenda giuridica dell’esecuzione contrattuale.
In primis, se una parte sospende ex articolo 1460 legittimamente – ovvero, rispettando il canone della buona fede oggettiva, che qui si traduce nella reale sussistenza dell’inadempimento di controparte e nella proporzionalità sinallagmatica della reazione ad esso -, ciò significa che, una volta esercitata la suddetta autotutela in reazione a permanente inadempimento, nessuna prestazione più sussiste. E di questi inadempimenti, quello illegittimo della controparte dell’eccipiente genera (ovviamente, se ne ha l’importanza adeguata: articolo 1455 c.c.) la risoluzione del contratto, “sia essa giudiziale, automatica o consensuale”, come rileva l’arresto in questione. L’effetto liberatorio si proietterà, allora, anche nei contratti di durata entro questi limiti, ovvero per le prestazioni che non sono state eseguite, incluse quelle che non sono state eseguite per fondata eccezione ex articolo 1460, salvo ovviamente ogni profilo risarcitorio rispetto all’illecito contrattuale.
Qualora, invece – seconda ipotesi -, una parte eccepisca ex articolo 1460 in modo non corretto, id est non del tutto conforme alla buona fede oggettiva, nel contratto locatizio può verificarsi ugualmente la risoluzione, come si evince, oltre che dall’articolo 1455, proprio dall’articolo 1578. Se, infatti, ad avvalersi dell’articolo 1460 è il conduttore, sospendendo però in toto la corresponsione del canone a fronte di un vizio che diminuisce in modo apprezzabile ma non assoluto l’utilizzabilità della cosa locata, trattandosi di contratto di durata l’effetto della risoluzione potrà retroattivamente rendere inesigibile la prestazione sospesa soltanto (qualora, ovviamente, si aderisca all’orientamento che concede anche al conduttore di opporre l’eccezione di adempimento inesatto) nella parte in cui la sospensione, come diminuzione contingente del canone, sia stata proporzionale all’inadempimento del locatore.
3.1.9 Chiarito, in conclusione, il divario ontologico che separa l’articolo 1460 dall’articolo 1578, ostativo alla costituzione di una ineludibile fattispecie a formazione progressiva, consegue ictu oculi che la presenza dell’articolo 1578 tra le norme che regolano il tipico contratto locatizio – e che quindi sono norme speciali rispetto al genus contrattuale – non assume un’incidenza tale da comprimere, come ha scelto l’orientamento seguito dalla corte territoriale, il conduttore nell’utilizzazione del generale strumento di autotutela.
Il contesto in cui si muove il diritto vivente, d’altronde, è oramai proteso a valorizzare, nella varietà di specie configurabili, l’autogestione dei giuridici conflitti attinenti a diritti disponibili direttamente da parte dei soggetti interessati, così che questi ritornino, autonomamente dall’intervento pubblico, ad una situazione stabile e non più contenziosa: l’autotutela sostanziale o comunque stragiudiziale viene infatti a rendere extrema ratio la tutela alternativa, ovvero quella giurisdizionale (c.d. degiurisdizionalizzazione), così contribuendo i litigatores – in adempimento dei doveri di solidarietà di cui all’articolo 2 Cost. – all’efficienza della giurisdizione quando è realmente necessaria, vale a dire alla celebrazione del giusto processo in ragionevole durata temporale.
Dunque, deve riconoscersi al conduttore nel contratto locatizio la completa utilizzabilità dell’articolo 1460, senza automatica necessità, per legittimarla, di adire il giudice ai sensi dell’articolo 1578. Questa è invero l’unica interpretazione corretta, nell’odierno contesto ordinamentale, dell’autotutela che l’articolo 1460 conferisce al conduttore in caso di inadempimento del locatore, autotutela non atrofizzabile dalla tipicità del contratto, in quanto in ultima analisi – consistente sempre nell’applicazione della buona fede oggettiva nell’esecuzione contrattuale.
3.1.10 Rilevato, in conclusione, che la corte territoriale, in punto di diritto, si è espressa in modo non condivisibile riguardo alle modalità di proposizione della eccezione per inadempimento ex articolo 1460 – il che ha coinvolto pure l’ulteriore questione dell’azione risolutoria per inadempimento ai sensi dell’articolo 1578 – deve peraltro constatarsi che la residua censura della ricorrente che è in esame risulta comunque inaccoglibile.
La corte territoriale, invero – e ciò assorbe ogni altro aspetto -, ha in sostanza compiuto anche un accertamento fattuale nel senso che la sospensione del pagamento del canone da parte dell’attuale ricorrente non è stata conforme al parametro della buona fede oggettiva, in quanto non è stata proporzionale all’inadempimento di controparte. Ha rilevato infatti il giudice d’appello che la conduttrice “ha continuato a godere dell’immobile fino al momento del rilascio, avvenuto soltanto in data 7/5/2015, sfruttandolo a fini economici, mentre parte locatrice non ha ricevuto alcuna prestazione, in quanto è stato omesso il pagamento del canone di locazione fin dal mese di novembre 2011… Nel caso di specie… non si può sostenere che a causa della mancata manutenzione straordinaria l’immobile sia risultato inutilizzabile come albergo, avendo la società conduttrice continuato a svolgervi la propria attività sino al mese di maggio 2015, quando è stata costretta a rilasciarlo per intervento del giudice” (motivazione della sentenza impugnata, pagine 17-18). E, per di più, poco dopo ha aggiunto (pagine 19-20 della motivazione), pur formalmente in riguardo a successive censure, che l’asserito inadempimento attribuito ai locatori non aveva inciso proprio sugli esiti della gestione alberghiera, non risultando dimostrata una riduzione della clientela.
La proposizione dell’eccezione, pertanto, è stata considerata ingiustificata in punto di merito, e la parte conclusiva del motivo, che contesta questo aspetto illustrando in modo alternativo come si sarebbe svolta l’evoluzione della vicenda, è in questa sede inammissibile in quanto non rispettosa dei limiti della giurisdizione di legittimità.
Entrambi i primi due motivi, in conclusione, non risultano accoglibili.
3.2.1 Il terzo motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 1453, 1575-1576 c.c. e 100 c.p.c. laddove la corte territoriale, a proposito del secondo motivo d’appello, non si sarebbe pronunciata sulla lamentata erronea applicazione degli articoli 1453 e 1575 c.c. effettuata dal Tribunale nella valutazione della gravità degli inadempimenti delle parti, ritenendo che l’attuale ricorrente non avesse interesse alla censura proposta, per aver già effettuato il 7 maggio 2015, cioè prima della sentenza del Tribunale (emessa il 20 maggio 2015), il rilascio dell’immobile.
A parte che (OMISSIS) avrebbe chiesto, pur in subordine, la revoca dell’ordinanza di rilascio, onde il Tribunale ben avrebbe potuto “reimmettere la ricorrente nella detenzione” dell’immobile, entrambi i giudici di merito avrebbero omesso di valutare la reciprocità degli inadempimenti per accertare se sussistevano i presupposti della risoluzione del contratto, e omesso altresì di disporre in ordine alla domanda di risarcimento dei danni presentata dall’attuale ricorrente, che avrebbe dovuto concretarsi quantomeno in una diminuzione del canone proporzionale alla condizione ammalorante in cui versava l’immobile.
Anche in questo motivo si inserisce una illustrazione fattuale, qui alquanto contenuta, per concludere poi affermando che erroneo sarebbe stato ritenere l’assenza di interesse da parte di (OMISSIS), da ciò conseguendo la violazione degli articoli 1453 e 1575-1576 c.c.
3.2.2 Il quarto motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1453, 1575-1576 c.c. e dei principi regolatori del giusto processo per avere la corte territoriale, a proposito del secondo motivo d’appello, ritenuto di non pronunciarsi in ordine alla lamentata erronea applicazione degli articoli 1453 e 1575 a opera del Tribunale nella valutazione della gravità dei reciproci inadempimenti delle parti “avuto riguardo alla violazione del principio di corrispondenza” tra chiesto e pronunciato in cui sarebbe incorso il primo giudice quanto all’applicazione, non richiesta dai locatori, dell’articolo 1460 c.c. in riferimento all’inadempimento di questi ultimi e quanto alla mancata pronuncia sulle domande avanzate dall’attuale ricorrente, in relazione a ciò che si è già esposto nel terzo motivo.
Inoltre si osserva che l’eccezione di cui all’articolo 1460 non è rilevabile d’ufficio, per cui non sarebbe stato applicabile l’articolo 1460 a favore dei locatori: l’inadempimento dei locatori non avrebbe potuto ritenersi quindi giustificato, con ulteriore incidenza sulla verifica dell’importanza dei reciproci inadempimenti.
3.2.3 Il quinto motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dei principi regolatori del giusto processo, per mancata pronuncia da parte della corte territoriale sulla lamentata erronea applicazione degli articoli 1453 e 1575-1576 c.c. effettuata dal giudice di prime cure nella valutazione della gravità degli inadempimenti delle parti. In considerazione delle precedenti doglianze, sussisterebbe pure nullità della sentenza e del procedimento.
3.2.4 Il sesto motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 1453 e 1455 c.c. e dei principi regolatori del giusto processo laddove il Tribunale – ciò essendo oggetto del secondo motivo d’appello, non “trattato nel merito” dalla corte territoriale – avrebbe ritenuto l’inadempimento del conduttore di gravità tale da giustificare la risoluzione del contratto.
Si richiama il contenuto del secondo motivo d’appello su cui non si sarebbe appunto pronunciata la corte, e si rileva che, anche se non fosse stata legittima la sospensione del pagamento del canone, ciò non avrebbe giustificato l’inadempimento dei locatori; e i locatori non avrebbero eccepito di non avere effettuato gli interventi che avrebbero dovuto compiere a causa di morosità della conduttrice, eccezione mai formulata che, invece, il Tribunale avrebbe posto a base del rigetto della domanda dell’attuale ricorrente. Quindi il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare i locatori tenuti ad eseguire le opere per mettere l’immobile in condizioni di sicurezza e di salubrità adeguate all’uso convenuto nel contratto, e avrebbe dovuto altresì condannare i locatori a risarcire la conduttrice per i danni subiti (diminuzione degli introiti e spese per le riparazioni provvisorie).
Erronea e ultra petita sarebbe poi la seguente affermazione del Tribunale: “l’accertata maggior gravità degli inadempimenti imputabili al conduttore giustifica inevitabilmente la condotta del locatore. Questi, infatti, avrebbe dovuto intervenire sull’immobile con conseguenti spese, pur non ricevendo da tempo il corrispettivo”.
3.2.5 Tutti questi motivi afferiscono al mancato accoglimento del secondo motivo d’appello e pertanto possono essere vagliati congiuntamente.
La corte territoriale ha dato atto (motivazione, pagine 13-14) che con il secondo motivo di gravame si adduceva che, “se anche non fosse stato accolto il primo motivo, l’inadempimento di (OMISSIS) non era comunque così grave da comportare la risoluzione del contratto: il giudice avrebbe dovuto infatti valutare la reciprocità degli inadempimenti delle parti e disporre in ordine alla domanda subordinata di adempimento contrattuale e risarcimento del danno… ove non fosse stata accolta la domanda principale di risoluzione”.
Dopo avere ritenuto illegittima nel caso in esame, come sopra si è visto, la proposizione da parte dell’appellante della eccezione inadimplenti non est adimplendum, la corte ha effettivamente affermato che il secondo motivo d’appello non sarebbe stato sorretto da interesse a proporlo, così ragionando: “il Tribunale non ha pronunciato sulla domanda subordinata proposta da (OMISSIS) di condanna dei locatori ad eseguire le opere di ristrutturazione dell’immobile locato in quanto al momento della pronuncia della sentenza di primo grado la società (OMISSIS)… aveva già rilasciato l’immobile”, essendo avvenuto il rilascio il 7 maggio 2015 laddove la sentenza appellata era stata emessa il 20 maggio 2015. “Alla data della pronuncia della sentenza, quindi, (OMISSIS) non aveva più interesse ad una pronuncia di condanna della controparte ad eseguire i lavori di ristrutturazione perchè non aveva più la disponibilità dell’immobile condotto in locazione, avendolo già rilasciato” (motivazione, pagine 18-19).
Questa risposta del giudice d’appello al secondo motivo è evidentemente irragionevole, prima ancora che infondata: il motivo, come poco prima aveva riconosciuto nella sintesi del gravame lo stesso giudice, non solo non concerneva unicamente la domanda di adempimento contrattuale da parte del locatore – rispetto alla quale poteva avere ancora interesse, avendo rilasciato l’immobile soltanto in forza di un provvedimento provvisorio -, bensì adduceva pure che l’inadempimento dell’appellante non era idoneo per gravità a supportare la risoluzione del contratto e che il giudice di prime cure non aveva valutato la reciprocità degli inadempimenti;
sarebbe stato poi in subordine che il Tribunale avrebbe dovuto disporre sulla domanda di adempimento contrattuale; e comunque avrebbe dovuto altresì decidere sulla domanda di risarcimento dei danni.
Tuttavia, la motivazione di un provvedimento giurisdizionale deve, in conformità ai generali principi ermeneutici, essere considerata nella sua globalità, senza quindi pretermettere quei passi che, pur essendo non correttamente collocati nell’assetto complessivo, mostrano comunque pertinenza con la questione in esame. Poco dopo, infatti, la corte territoriale ha sostanzialmente accertato, in punto di merito – non sindacabile, pertanto, da questo giudice; la motivazione d’altronde non si pone a un livello inferiore al minimum costituzionale – che l’asserito inadempimento dei locatori, se mai vi fosse stato, non aveva per nulla inciso sul sinallagma contrattuale: “… l’appellante non ha provato la riduzione della clientela dell’albergo, essendosi limitata a produrre in giudizio documentazione contabile dalla quale non risulta un decremento degli introiti, emergendo piuttosto… un andamento omogeneo degli stessi nel corso degli anni, ad eccezione dell’anno 2014 nel quale vi è stata una flessione consistente, per il quale deve però osservarsi che era ormai imminente il rilascio dell’immobile stante la pendenza della causa… Nè appaiono rilevanti sul punto le due e-mail… inviate all’Hotel da due clienti,… con le quali costoro chiedono se il problema eternit sia stato risolto, perchè in caso contrario non sarebbero tornati…: non è certa la provenienza di tali e-mail e comunque esse riguardano due soli clienti… Inoltre, non vi è prova che l’eternit presente sul magazzino dell’Hotel e sulla facciata lato nord non fosse a norma di legge e che fosse pericoloso: non risultano, invero, prodotte denunce e appare inverosimile che l’albergo abbia continuato a gestire l’attività ove fosse stata anche solo ipotizzata una simile evenienza” (motivazione, pagine 19-20).
Anche se queste osservazioni sono poi formalmente convogliate nel rigetto della domanda risarcitoria, è evidente che esse dimostrano pure che, ad avviso del giudice d’appello, l’inadempimento del conduttore consistente nell’omesso versamento del canone non era giustificato (il che non significa, d’altronde, come si tenta di prospettare nei motivi sopra richiamati, che il giudice avesse d’ufficio applicato l’eccezione di cui all’articolo 1460 a favore dei locatori, ma solo – vista pure la parte motivazionale attinente ai primi due motivi di ricorso – che il giudice ha ritenuto insussistenti i presupposti della applicazione dell’articolo 1460 da parte della conduttrice): e ciò, tenuto conto della sua protratta durata temporale (rimarcata poco prima a proposito direttamente del primo motivo d’appello), conduceva a ritenere che l’inadempimento del conduttore fosse idoneo a fondare la risoluzione del contratto.
Per il resto, pur essendosi espressa con una motivazione che non si può non definire disordinata, la corte territoriale non è scesa al di sotto del minimum costituzionale, essendo tale motivazione rimasta comunque comprensibile tramite, appunto, una lettura contestuale; nè le sue valutazioni di fatto sono sindacabili dal giudice di legittimità; ed è infine insostenibile che mediante alcune di queste la corte territoriale sia esorbitata dal thema decidendum, come pure adduce la ricorrente.
In conclusione, le censure in esame sono prive di pregio.
3.3.1 Il settimo motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli articoli 1453 e 1455 c.c. e dei principi regolatori del giusto processo per avere il giudice d’appello ritenuto, in ordine al terzo motivo del gravame, insussistente un inadempimento dei locatori di gravità tale da giustificare la risoluzione a loro carico, “nuovamente adducendo che può ritenersi giustificata una sospensione integrale dell’adempimento dell’obbligo del conduttore di corrispondere il canone di locazione solo a fronte di una effettiva compromissione totale del godimento”, e ciò senza ammettere i mezzi istruttori – già chiesti al Tribunale, che non li aveva disposti (integrazione della consulenza tecnica d’ufficio), e nuovamente chiesti in secondo grado -, così incorrendo nella “violazione delle norme del giusto processo”.
La corte territoriale non si sarebbe pronunciata sulle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio e sulle ulteriori risultanze istruttorie nonchè sulle altre istanze istruttorie, inclusa la integrazione della consulenza, arrestandosi a quanto già censurato nel primo e nel secondo motivo del ricorso.
3.3.2 Questa doglianza investe quel terzo motivo d’appello la cui considerazione, come sopra si è già osservato, è stata dalla corte territoriale miscelata con quella del secondo motivo d’appello, peraltro in modo tale da non rendere le sue valutazioni incomprensibili.
La natura della doglianza, comunque, risulta fattuale, anche per quel che riguarda il mancato accoglimento delle istanze istruttorie riproposte in secondo grado, perseguendosi inequivocamente – e inammissibilmente – un terzo grado di merito.
3.4.1 L’ottavo motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 1575-1576 e 2043 c.c. nonchè dei principi regolatori del giusto processo, in quanto in ordine al quarto motivo d’appello la corte territoriale avrebbe ritenuto insussistente il diritto della conduttrice al risarcimento dei danni derivati dall’inadempimento dei locatori, non disponendo inoltre le prove orali non ammesse dal giudice di prime cure.
Esaminando il quarto motivo d’appello, la corte territoriale avrebbe reiterato l’erronea valutazione di difetto di interesse in capo all’attuale ricorrente, neppure ammettendo – con violazione appunto delle norme del giusto processo – i mezzi istruttori ulteriori già non ammessi dal Tribunale. Segue una ricostruzione della vicenda in merito agli asseriti danni che l’attuale ricorrente avrebbe subito per l’inadempimento di controparte.
3.4.2 Il nono motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli articoli 1575-1576, 2043, 1226 c.c. e dei principi regolatori del giusto processo per avere la corte territoriale, a proposito del quarto motivo d’appello, ritenuto di non poter procedere alla liquidazione equitativa del danno, già omessa senza supporto motivazionale dal giudice di prime cure.
La corte avrebbe ritenuto inapplicabile l’articolo 1226 c.c. per difetto di prova dell’esistenza del danno. Ciò non sarebbe condivisibile, considerato “il quadro probatorio” offerto dall’attuale ricorrente, come illustrato nel precedente motivo.
3.4.3 Il decimo motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dei principi regolatori del giusto processo, laddove il Tribunale avrebbe ritenuto che non vi fosse prova del danno subito da (OMISSIS) e la Corte d’appello lo avrebbe confermato con una motivazione intrinsecamente contraddittoria in ordine alla “pretesa mancata prova dei danni” quanto alla diminuzione della clientela, asserendo che dalla documentazione contabile agli atti sarebbe emerso “un andamento omogeneo dei corrispettivi”, mentre al contrario una diminuzione degli introiti sarebbe stata “confermata dagli stessi dati numerici” richiamati dalla corte territoriale e dalla “ulteriore documentazione in atti”.
Entrambi i giudici di merito avrebbero effettuato un travisamento sull’affermata carenza della prova dell’an del danno per quanto già si sarebbe rilevato in precedenza a proposito delle risultanze agli atti. La sentenza pertanto sarebbe nulla perchè affetta da “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” secondo il paradigma di S.U. 8053/2014.
3.4.4 Anche questi motivi possono essere accorpati nel vaglio, in quanto tutti relativi al quarto motivo di gravame.
In effetti, la corte territoriale ha congiunto l’esame del terzo e del quarto motivo di appello (v. motivazione della sentenza impugnata, pagine 19-20), per cui si è pronunciata anche sul quarto motivo con l’interpretazione del compendio probatorio che più sopra si è riportato in quanto includente, come già si è detto, pure le questioni proposte dal secondo motivo d’appello. E si è dinanzi, al riguardo, ad una valutazione fattuale che, essendo esternata con una motivazione costituzionalmente sufficiente, anche sotto il profilo della comprensibilità – il che comporta pure l’esclusione di gravi contraddittorietà -, non è sindacabile dal giudice di legittimità. La ricorrente qui persegue, in realtà, una valutazione alternativa, che indurrebbe alla revisione dell’accertamento del merito, con evidente inammissibilità.
Nè, infine, è prospettabile una violazione dell’articolo 1226 c.c., dal momento che presupposto della quantificazione equitativa è la prova positiva dell’an del danno, prova di cui la corte territoriale ha escluso, appunto nella sua valutazione di merito, la sussistenza. E non è incorsa, d’altronde, in un travisamento di esiti probatori (che dovrebbe essere sussunto, semmai, nell’articolo 395 c.p.c., n. 4), bensì ha operato una vera e propria valutazione, come al giudice di merito compete.
Nella valutazione di merito, poi, rientra pure la negata disposizione di ulteriori mezzi istruttori, avendo evidentemente il giudice d’appello ritenuto sufficiente il compendio già acquisito.
A proposito, infine, dell’ulteriore affermazione, anche per il terzo e il quarto motivo d’appello, dell’assenza di interesse sulla “domanda di adempimento” – inequivocamente dei locatori -, l’appellante “avendo rilasciato l’immobile al momento della pronuncia della sentenza di primo grado” (motivazione, pagina 19), si è dinanzi a una ripetizione dell’asserto erroneo – vista la provvisorietà del titolo di rilascio in forza del quale l’appellante aveva dovuto restituire l’immobile – che al riguardo la corte territoriale aveva già esternato all’incipit della sua considerazione del secondo motivo d’appello (pagina 18 della motivazione). In entrambi i passi, tuttavia, questa affermazione non condivisibile non ha avuto, a ben guardare, alcuna incidenza sull’effettivo contenuto della decisione. Si tratta, in ultima analisi, considerando l’effettivo contenuto della motivazione, di un obiter dictum, avendo del resto la corte territoriale respinto, e non dichiarato inammissibile, anche il secondo motivo d’appello.
I motivi, dunque, sono privi di consistenza.
3.5.1 L’undicesimo motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli articoli 1301, 2033, 2041 c.c. e L. n. 392 del 1978, articolo 32 per avere la corte territoriale, quanto al quinto motivo d’appello, ritenuta una remissione di debito una lettera dell’attuale ricorrente del 12 gennaio 2009, la quale, invece, non sarebbe stata remissione, questa dovendosi effettuare in modo univoco.
3.5.2 Il dodicesimo motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione o falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dei principi regolatori del giusto processo per avere la corte territoriale, ancora a proposito del quinto motivo d’appello, fornito una motivazione intrinsecamente contraddittoria a proposito della valutazione della lettera del 12 gennaio 2009 come remissione di debito.
3.5.3 L’undicesimo motivo e il dodicesimo motivo devono essere esaminati insieme, in quanto hanno un unico oggetto: la valutazione probatoria, da parte del giudice d’appello, di un documento, e la relativa motivazione.
La corte territoriale ha esaminato specificamente la questione del significato della lettera del 12 gennaio 2009 inviata dall’attuale ricorrente ad uno dei locatori (motivazione, pagine 20-21). Che la qualificazione di remissione cui è pervenuta non sia corretta, anche per pretese equivocità, è un asserto che scende nuovamente sul piano fattuale e quindi integra una doglianza inammissibile. Non è d’altronde assente, nè tantomeno contraddittorio in modo tale da potersi definire motivazione incomprensibile, l’apparato motivazionale con cui la Corte d’appello esterna la sua valutazione.
Anche questa coppia di motivi, dunque, non ha pregio.
3.6.1 Il tredicesimo motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’articolo 1454 c.c. per avere la corte territoriale, a proposito del settimo motivo d’appello, ritenuto inapplicabile l’articolo 1454 in caso di preesistente morosità del conduttore.
La corte avrebbe ritenuto che l’attuale ricorrente non potesse diffidare controparte ad adempiere dopo che erano trascorsi tre anni di propria morosità; non avrebbe così tenuto in conto che l’attuale ricorrente avrebbe già intimato ai locatori di eseguire le stesse opere il 7 ottobre 2010, quando non era ancora morosa, e che i locatori non avrebbero mai eccepito la morosità della conduttrice quanto al loro inadempimento. Pertanto avrebbe dovuto applicarsi l’articolo 1454. Inoltre la condotta della conduttrice non sarebbe stata contraria a buona fede e correttezza, vista “la diffida già inviata tre anni addietro”.
Tutto ciò varrebbe anche per la sentenza emessa dal Tribunale.
3.6.2 Anche questa censura, a tacer d’altro, pur tentando di schermare la propria reale sostanza invocando una pretesa falsa applicazione dell’articolo 1454 c.c., si pone su un piano direttamente fattuale, in quanto argomenta sulla base di una diffida antecedente a quella di cui si è occupata la corte territoriale, oltre a negare la condizione di morosità attribuita alla attuale ricorrente dalla corte stessa quando – circa tre anni dopo l’inizio del mancato versamento del canone – avrebbe effettuato l’altra diffida ad adempiere nei confronti dei locatori.
Il motivo è dunque inammissibile, ed è tale ictu oculi anche laddove si dichiara esteso a censurare ugualmente la sentenza di primo grado.
3.7.1 Il quattordicesimo motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’articolo 54 della Carta di Nizza del 7 dicembre 2000 recepita dal Trattato di Lisbona del 1 dicembre 2009; denuncia altresì violazione della buona fede contrattuale e abuso del diritto.
La corte territoriale, a proposito dell’ottavo motivo d’appello, non avrebbe considerato le norme e la fattispecie di abuso del diritto, in particolare assumendo che la conduttrice avrebbe potuto reperire un altro immobile ove svolgere l’attività alberghiera.
3.7.2 Nonostante i suggestivi riferimenti sia all’istituto dell’abuso del diritto sia alle normative sovranazionali, pure questo motivo è privo di consistenza. Come il motivo precedente, si tenta infatti di costruire uno schermo per celare la natura inammissibilmente fattuale della doglianza, nella quale la ricorrente persegue una valutazione alternativa della vicenda di merito, per “smontare” quanto accertato dal giudice d’appello in ordine alla sussistenza di una sua ingiustificata morosità durata anni. Assolutamente fattuale, invero, è anche la critica all’osservazione del giudice d’appello che ha qualificato non convincente l’argomento della conduttrice di non potere reperire un altro immobile per esercitare la sua attività alberghiera (motivazione della sentenza impugnata, pagina 22).
3.8.1 Il quindicesimo motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c. per non avere la corte territoriale accolto l’appello in ordine al riparto delle spese del primo grado, poste tutte a carico dell’attuale ricorrente pur in una situazione di reciproca soccombenza. Ai locatori invece avrebbero dovuto assegnarsi almeno in parte i costi della consulenza tecnica d’ufficio.
3.8.2 Il sedicesimo motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione o falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dei principi regolatori del giusto processo e dell’articolo 91 c.p.c., per non avere la corte territoriale accolto l’appello a proposito della modifica del riparto delle spese del primo grado e dell’addebito integrale dei costi di consulenza tecnica d’ufficio all’attuale ricorrente, travisando o comunque non considerando le risultanze della consulenza “assumendo che nulla sarebbe stato accertato in essa” di quanto (OMISSIS) avrebbe sostenuto a proposito delle condizioni dell’immobile.
3.8.3 Anche questi due motivi devono essere vagliati congiuntamente, perchè vertenti sulla stessa tematica.
A tacer d’altro, non corrisponde al vero la doglianza che il giudice d’appello non abbia, pur avendo parzialmente accolto il gravame, modificato l’assetto delle spese processuali di primo grado: al contrario, mentre il Tribunale aveva gravato di tutto l’attuale ricorrente, la Corte d’appello ha disposto la compensazione di un quinto delle spese di lite, condannando alla rifusione a controparte dei residui quattro quinti l’appellante.
Una siffatta decisione non è poi censurabile, dato che, pur nella sussistenza di una reciproca soccombenza, la compensazione è sempre rimessa alla discrezionalità del giudice. La motivazione sulle ragioni della compensazione, inoltre, deve essere offerta in riferimento alla sua concessione; la natura discrezionale di questo istituto, invece, fa sì che il diniego, appunto, non debba essere spiegato. La corte territoriale non era quindi obbligata a motivare le ragioni per cui non ha ampliato la compensazione oltre la misura scelta. Ciò assorbe ogni altro profilo, dovendosi comunque aggiungere che attraverso queste doglianze è inammissibile inserire asserti di fatto, come quello relativo al contenuto della consulenza tecnica espletata.
3.9.1 Il diciassettesimo motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione delle norme relative al giusto processo e all’ammissibilità delle prove nonchè dell’articolo342 c.p.c., per non avere la corte territoriale accolto la richiesta di integrazione della consulenza tecnica d’ufficio e la richiesta di ammissione delle prove orali che erano state riproposte in atto d’appello, asserendo la mancata indicazione dei motivi di gravame e il riconoscimento da parte dell’attuale ricorrente dell’esaustività della consulenza.
3.9.2 Il diciottesimo motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto discusso e decisivo per non avere la corte territoriale, e in precedenza il giudice di prime cure, considerato:
- A) l’erroneità delle risultanze della documentazione della Asl;
- B) l’infondatezza della difesa dei locatori in ordine al presunto onere dell’attuale ricorrente riguardante la manutenzione di impianto elettrico ed infissi;
- C) le problematiche igienico-sanitarie per infiltrazioni e presenza di animali;
- D) la pericolosità dei balconi e la inconferenza del verbale di sopralluogo dei vigili urbani del 27 novembre 2014;
- E) in generale, le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, che sarebbe stata “totalmente ignorata”;
- F) il comportamento delle parti sia in sede giudiziale che in sede stragiudiziale;
- G) il reale contenuto del prospetto riassuntivo degli introiti derivanti dall’esercizio alberghiero, della comunicazione del 12 gennaio 2009 (cui si sono riferiti già l’undicesimo e il dodicesimo motivo del ricorso) e della scrittura del 28 agosto 2009.
3.9.3 Riprendono ictu oculi questi ultimi motivi – per tale comune natura, considerabili congiuntamente – questioni di puro fatto, e pertanto inammissibili.
In particolare, il motivo diciottesimo, lungi dall’individuare un fatto decisivo e discusso che non sia stato esaminato, accumula una serie di dati fattuali, veicolando così un vero e proprio compendio probatorio, come se il ricorso avesse instaurato un terzo grado di merito.
Che poi – a proposito del diciassettesimo motivo – la corte territoriale (motivazione, pagine 2324) abbia rilevato pure – erroneamente, ad avviso della ricorrente – una non corretta riproposizione delle prove orali in appello, nulla incide, dato che la corte – creando un’altra ratio decidendi – ha poi ritenuto anche irrilevanti tali prove (nella motivazione, a pagina 24, afferma che l’appellante non ha dimostrato “la rilevanza potenziale delle prove suddette nell’economia della decisione di primo grado (e cioè che la decisione non sarebbe stata la stessa se il giudice avesse potuto disporre di un risultato probatorio conforme alle deduzioni dell’appellante)”), con una valutazione di puro merito che non è in questa sede sindacabile; così come non è sindacabile la censura relativa al diniego di una integrazione della consulenza tecnica d’ufficio, consulenza stimata “esauriente e completa” dalla corte (a prescindere dalla fondatezza o meno dell’ulteriore suo rilievo che di tale contenuto l’avrebbe stimata pure la stessa appellante).
Sotto ogni profilo, dunque, queste doglianze non hanno consistenza.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. La notevole peculiarità della vicenda e le defaillances riscontrate in certi punti della motivazione della sentenza impugnata giustificano la compensazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.
Sussistono invece Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, ex articolo 13, comma 1 quater i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis cit. art..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso compensando le spese processuali.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.