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Cassazione Civile 16918/2019 – Eccezione d’inadempimento – Locazione di immobili

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Sentenza 16918/2019


Eccezione d’inadempimento – Locazione di immobili

In tema di locazione di immobili, il conduttore può sollevare l’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c. non solo quando venga completamente a mancare la prestazione della controparte, ma anche nel caso in cui dall’inesatto adempimento del locatore derivi una riduzione del godimento del bene locato, purché la sospensione, totale o parziale, del pagamento del canone risulti giustificata dall’oggettiva proporzione dei rispettivi inadempimenti, riguardata con riferimento al complessivo equilibrio sinallagmatico del contratto e all’obbligo di comportarsi secondo buona fede.

 

Contratto locatizio – Mancato conseguimento del certificato di agibilità

In tema di locazione, il mancato conseguimento del certificato di agibilità che non dipenda da intrinseche caratteristiche dell’immobile locato, ma dall’inerzia della parte tenuta a farne richiesta – la quale, salvo diversa previsione contrattuale, va individuata nel locatore – ovvero dallo svolgimento negligente o comunque erroneo della relativa procedura, non determina la nullità del contratto per impossibilità dell’oggetto. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto che non fosse configurabile la nullità del contratto di locazione ad uso commerciale di un immobile la cui agibilità, sussistente al momento della consegna, era venuta meno in conseguenza di lavori effettuati nel corso del rapporto).

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 25 giugno 2019, n. 16918   (CED Cassazione 2019)

 

 

FATTI DI CAUSA

  1. Avendo il Tribunale di Lanciano emesso decreto ingiuntivo n. 395/2015 per il pagamento da parte di (OMISSIS) s.r.l. a (OMISSIS) s.r.l. della somma di Euro 13.480,21, di cui Euro 11.224 come canone locatizio per il mese di novembre 2015 in forza di un contratto di locazione immobiliare ad uso non abitativo stipulato il 1 ottobre 2005 in cui (OMISSIS) era conduttrice e (OMISSIS) locatrice, (OMISSIS) proponeva opposizione, chiedendo che il contratto fosse dichiarato risolto per inadempimento della locatrice, in subordine che il proprio recesso fosse dichiarato legittimo per gravi motivi, in subordine che il contratto fosse dichiarato nullo per violazione di norme imperative, in subordine che fosse dichiarato legittimo ex articolo1460 c.c., il proprio inadempimento quanto al pagamento del canone e ancora in subordine che fosse ridotto il canone; chiedeva altresì in via riconvenzionale condanna di controparte al pagamento di Euro 27.600 oltre a Iva ed interessi e, in subordine, la compensazione di tale somma con l’indennità di occupazione del mese di novembre 2015, condannando controparte a pagarle la differenza.

L’opposta si costituiva, insistendo nella sua pretesa e resistendo alle domande della opponente. Con sentenza del 21 gennaio 2017 il Tribunale rigettava l’opposizione al decreto ingiuntivo e le domande della opponente.

Avendo proposto appello (OMISSIS), ed avendo resistito controparte, con sentenza pronunciata ai sensi dell’articolo 281 sexies c.p.c., in data 8 febbraio 2018 la Corte d’appello di L’Aquila rigettava il gravame.

  1. Ha presentato ricorso (OMISSIS) sulla base di nove motivi. Si è difesa (OMISSIS) con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. Il ricorso, come si è anticipato, si articola in nove motivi.

3.1.1 Il primo motivo denuncia error in procedendo ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa valutazione della prova documentale (con riferimento al documento 15 tra quelli prodotti dall’attuale ricorrente) nonchè violazione dell’articolo 116 c.p.c., comma 1, per non avere il giudice d’appello ritenuto il documento 15 confessione stragiudiziale sia sull’essere della proprietaria locatrice l’onere di ottenere l’agibilità dell’immobile sia sul non essere l’agibilità subordinata al previo ottenimento del certificato di prevenzione degli incendi.

Si adduce che in tale documento la locatrice avrebbe dichiarato di avere ottenuto l’agibilità dell’immobile nell’anno 2009, pur non avendo all’epoca la conduttrice ancora ottenuto il nulla osta dei Vigili del Fuoco. Qualora la corte territoriale avesse esaminato il documento, avrebbe dovuto ritenere onere della locatrice conseguire l’agibilità, se così era stato pattuito, e quindi avrebbe dovuto ritenere inadempiente la locatrice, conseguentemente dovendo ritenere il contratto risolto (specie dopo la diffida ad adempiere della conduttrice) oppure nullo, oppure ancora ritenere necessario ridurre il canone o ritenere giustificato il recesso della conduttrice. Il giudice di merito non avrebbe neppure dovuto considerare la locatrice onerata di provare di aver chiesto l’agibilità e di non averla ottenuta per mancanza dei documenti che soltanto la conduttrice avrebbe potuto procurare.

3.1.2 Nella premessa del ricorso (pagina 6) viene riportata una parte del documento 15, ove effettivamente sarebbe scritto che (OMISSIS), “nel 2009, ha ottenuto l’agibilità richiesta per l’intero stabile, nei tempi previsti dalla legge”, mentre (OMISSIS) “risulta ancora priva di nulla osta, dal momento che non ha terminato la pratica… per l’ottenimento dell’autorizzazione richiesta dei vigili del fuoco”.

La corte territoriale, nelle pagine 2-3 della motivazione della sentenza impugnata, descrive il contenuto dei motivi d’appello, osservando che il primo (e cfr. in tal senso pure la premessa del ricorso, a pagina 12) lamentava anche la “omessa valutazione delle prove acquisite” da parte del primo giudice, in particolare “perchè non aveva tenuto conto del corposo fascicolo di documenti” da cui altrimenti “avrebbe rilevato che… l’appellata si era impegnata” a pagare a controparte Euro 30.000 per i costi dei lavori effettuati sull’immobile e avrebbe rilevato altresì che l’appellata “si era accollata l’onere di ottenere il certificato di agibilità”: quindi, “non avendo ottenuto l’agibilità” l’appellata “avrebbe dovuto essere dichiarata inadempiente all’obbligo specifico di ottenere tale atto” (motivazione, pagina 2).

Dunque la mancata qualificazione di prova legale (confessione stragiudiziale) al documento 15 non era stata denunciata nell’appello, il cui primo motivo si era doluto in generale di “omessa valutazione delle prove acquisite”; per di più, la censura aveva lamentato che la controparte non avesse ottenuto il certificato di agibilità (deducendone la qualità di inadempiente), mentre il documento 15 ora invocato, nella parte riportata, dimostrerebbe il contrario (a prescindere dal fatto che di questo documento non viene neanche indicato chi lo abbia sottoscritto). Pertanto il motivo del ricorso in esame presenta una evidente carenza di autosufficienza, e comunque si fonda su una prova documentale tutt’altro che decisiva, vista la conformazione della difesa (inadempienza della locatrice per mancato ottenimento del certificato di agibilità). La ricorrente si adopera poi a costruire, prendendo le mosse da tale documento, quella che, in realtà, costituisce una complessiva valutazione alternativa rispetto a quella effettuata dai giudici di merito nel senso della inadempienza della locatrice.

Sotto ogni profilo, pertanto, il motivo è inammissibile.

3.2.1 Il secondo motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 2727 e 2729 c.c. e segg., nonchè articolo 116 c.p.c., con violazione del divieto di doppia presunzione.

Fatto ignoto sarebbe stato quale parte era inadempiente riguardo alla mancanza di agibilità dell’immobile. Nella sentenza impugnata, e precisamente nei paragrafi C e D della motivazione, la corte territoriale avrebbe violato il divieto di utilizzo della doppia presunzione semplice: avrebbe ritenuto fatto noto la necessità del nulla osta dei Vigili del Fuoco per ottenere l’agibilità; e invece questo sarebbe stato un fatto contestato, sia negli atti di causa (si richiamano righe dell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo e dell’atto d’appello) sia nei documenti antecedenti ad essa (si richiamano i documenti che ciò dimostrerebbero).

La Corte d’appello avrebbe dovuto inoltre verificare chi avrebbe avuto l’onere di ottenere l’agibilità ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001. Sarebbero state, per di più, richieste l’ammissione di prove orali e la disposizione di due consulenze tecniche d’ufficio allo scopo di accertare perchè sarebbe stata negata l’agibilità.

3.2.2 Il motivo presenta come fatto ignoto quale parte avrebbe impedito – inadempiendo l’ottenimento dell’agibilità: o la locatrice – come legittimata a chiederla, e che non l’avrebbe poi chiesta – o la conduttrice – come soggetto che avrebbe dovuto procurare i documenti presupposti dell’ottenimento, tra cui in particolare il nulla osta dei Vigili del Fuoco.

In realtà, essendo pacifico che i lavori di ristrutturazione furono compiuti da (OMISSIS), nell’accertamento di merito non poteva qualificarsi fatto ignoto il fatto che i certificati riguardanti tali lavori avrebbero dovuto essere procurati dalla suddetta: la mancata contestazione dell’effettuazione dei lavori da parte dell’attuale ricorrente aveva reso pacifico anche tale elemento. Ciò esclude la violazione del divieto di doppia presunzione, e conduce dunque la censura al rigetto.

Per il resto, il motivo si presenta formulato in modo generico (per esempio, nel riferimento all’intero Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001) o nutrito di un contenuto estraneo alla cognizione del giudice di legittimità, in quanto riservato a quello di merito (là dove si duole del mancato accoglimento delle istanze istruttorie non sotto un profilo giuridico, a ben guardare, bensì in riferimento alla loro asserita rilevanza sempre nell’accertamento di merito). In questa ulteriore parte, quindi, il motivo diventa inammissibile.

3.3.1 Il terzo motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articoli 2727, 2729, 2697 c.c. e 116 c.p.c..

La corte territoriale avrebbe deciso in assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti. In particolare, nei paragrafi C e D della motivazione della sentenza impugnata risulterebbe che il giudice d’appello avrebbe ritenuto che l’agibilità non fu ottenuta, essendo emersa prova (confrontando il documento 4 bis prodotto dall’attuale ricorrente e i documenti 20-25 prodotti dalla controparte) che sarebbero stati necessari per conseguirla il nulla osta dei Vigili del Fuoco e la certificazione di conformità degli impianti, che (OMISSIS) sarebbe stata onerata a procurare. In tal modo, peraltro, la corte territoriale avrebbe valutato il materiale indiziario “atonnisticamente”, e non avrebbe tenuto conto dell’assenza di gravità, precisione e concordanza degli indizi. Invece la valutazione degli elementi probatori dovrebbe essere:complessiva e snodarsi in due stadi: l’esame di insieme per individuare gli elementi rilevanti e poi l’esame comparativo degli elementi rilevanti per verificare se sussistono gravità, precisione e concordanza. La Corte d’appello avrebbe avulso dal contesto il documento 4 bis, che al contrario avrebbe dovuto essere raffrontato con i documenti 2 e 16 (dimostranti che senza l’agibilità sarebbe stato impossibile ottenere il nulla osta dei Vigili del Fuoco) nonchè 20-25, prodotti dalla attuale controricorrente. Segue una estesa analisi (pagine 25-30 del ricorso) del compendio documentale e del comportamento sia extraprocessuale sia processuale dell’attuale controricorrente, argomentando sui rapporti che correlano gli elementi indiziari.

3.3.2 La sintesi appena offerta del contenuto della censura evidenzia ictu oculi che si è dinanzi ad una riproposizione, almeno parziale, del contenuto del secondo motivo. Anche in questo, comunque, valutato nella sua integralità, appare chiaro che si argomenta al fine di strutturare una contestazione della valutazione fattuale operata dal giudice d’appello, scendendo quindi direttamente – e pertanto inammissibilmente – nel merito.

Meramente ad abundantiam, poi, si rileva che non si può non riconoscere che la motivazione della sentenza impugnata non manifesta alcuna anomalia nella ricostruzione della vicenda tratta dagli elementi probatori, non essendo incorsa in artificiose estrapolazioni decontestualizzanti.

3.4.1 Il quarto motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c., per travisamento della prova.

Premesso che è denunciabile violazione dell’articolo 116 c.p.c., se la valutazione non prudente della prova cagiona un errore nella ricostruzione del fatto e conseguentemente un’erronea applicazione di norma, il motivo svolge ulteriori rilievi sulla questione dell’ottenimento dell’agibilità, e richiama il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 5, per sostenere che non sarebbe necessario il nulla osta dei Vigili del Fuoco per ottenerla. Vengono ancora effettuati riferimenti ai vari documenti, per poi citare Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 24 e 25, relativi alla certificazione di agibilità e alla procedura per ottenerla (nel testo ratione temporis qui applicabile) collegandoli ai documenti per contrastare la ricostruzione effettuata dal giudice d’appello.

3.4.2 Pur tentando – come ben si vede – di schermare la sua effettiva sostanza con richiami normativi, anche questa censura in realtà è diretta ad ottenere una valutazione fattuale alternativa da quella eletta dal giudice d’appello sulla base degli elementi probatori: e non a caso, infatti, il motivo prende le mosse dall’asserto, più o meno implicito, della ricorrenza di una valutazione inadeguata (“non prudente”) degli elementi probatori stessi, in cui sarebbe appunto incorsa la corte territoriale.

Peraltro, la corte non ha deviato dal necessario paradigma logico delle modalità di esame del compendio probatorio, in sostanza – e senza incorrere, si ripete, in manifeste irrazionalità attribuendo alla conduttrice l’impossibilità del conseguimento dell’agibilità per non avere fornito le certificazioni afferenti i lavori di ristrutturazione che essa stessa aveva compiuto sull’immobile (si veda in particolare la pagina 4 della motivazione, sub D). E, se è vero che risponde il locatore, nel caso di immobile ad uso non abitativo, delle carenze intrinseche dell’immobile ostative all’agibilità (cfr. p. es. Cass. sez. 3, 26 luglio 2016 n. 15377), nel caso in esame è pacifico che quando l’immobile fu consegnato per la prima volta all’attuale ricorrente era dotato di certificato di agibilità, e che successivamente l’attuale ricorrente, pur con il consenso della controparte, provvide all’esecuzione di rilevanti lavori su di esso, tali da rendere necessaria una nuova certificazione. In modo ragionevole, allora, si è conformata la valutazione della corte territoriale nel senso che il mancato ottenimento di un nuovo certificato di agibilità è derivato dal fatto che “l’appellante non ha consegnato all’appellata le certificazioni e le dichiarazioni di conformità degli impianti (elettrici, idrosanitari ecc.) realizzati nell’opificio nè il nulla osta dei vigili del fuoco” (motivazione della sentenza impugnata, ibidem).

Il motivo, in conclusione, rimane privo di consistenza.

3.5 Il quinto motivo denuncia omessa e insufficiente motivazione in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e articolo 132 c.p.c., affermando che nella motivazione della sentenza impugnata mancherebbero “le indicazioni in diritto” in ordine alla domanda di risoluzione e ai primi due motivi d’appello.

Premesso che, come già si è visto, la motivazione offerta dalla corte territoriale non è una motivazione apparente – in tal senso, conservativo, deve intendersi il riferimento della censura ad una “omessa e insufficiente motivazione” e all’articolo 132 c.p.c. -, il motivo, effettuando estrapolazioni, tenta di “scorporare” la motivazione, in realtà sufficiente se integralmente percepita, a proposito dei primi due motivi d’appello.

Il motivo, quindi, è del tutto privo di pregio.

3.6 Il sesto motivo denuncia error in procedendo ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e omessa ammissione delle prove.

L’attuale ricorrente nei due gradi di merito avrebbe sostenuto che l’immobile era privo di “caratteristiche strutturali, di legge, intrinseche per ottenere l’agibilità”; nonostante ciò, con ordinanza del 30 giugno 2016 il Tribunale avrebbe ritenuto non necessario l’espletamento di una istruttoria. Questo motivo mira a spiegare perchè invece avrebbero dovuto essere ammesse le prove orali richieste ed essere altresì disposte le due consulenze tecniche pure richieste, riguardanti “fatti decisivi”.

Anche questo motivo, in modo più che evidente, travalica quindi i confini della giurisdizione di legittimità: prospetta una valutazione alternativa sulla rilevanza delle prove non ammesse, così incorrendo nella inammissibilità.

3.7.1 Il settimo motivo, proposto in subordine ai motivi precedenti, denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione “delle norme sulla eccepibilità della nullità ex articolo 1421 c.c., nonchè dell’articolo 1580 c.c.: la mancanza dell’agibilità comporta la nullità della locazione”.

L’attuale ricorrente avrebbe proposto la domanda di nullità del contratto locatizio alla luce della giurisprudenza (si richiamano le sentenze 22886/2007, 5103/1999 e 6676/1992 di questa Suprema Corte) che avrebbe ritenuto la mancanza di agibilità integrante una violazione degli articoli 1346 e 1418 c.c.: l’inidoneità dell’immobile all’uso per violazione di norme sulla sicurezza comporterebbe infatti la nullità del contratto locatizio.

La corte territoriale avrebbe respinto la domanda per addebitabilità delle cause di nullità alla conduttrice, ritenendo che questa avesse l’onere di ottenere l’agibilità dell’immobile. Nei motivi precedenti di questo ricorso si sarebbe esposto che la locatrice si era impegnata a ottenere l’agibilità dell’immobile; il contratto peraltro sarebbe nullo per mancanza dell’agibilità anche qualora questa avesse dovuto essere ottenuta dalla conduttrice. Avrebbe infatti insegnato questa Suprema Corte che la parte conduttrice del bene può accettarne le caratteristiche peculiari che conosce o che può conoscere, ciò valendo tuttavia soltanto nel caso in cui non si tratti di requisiti imposti da norme inderogabili, come quelle relative alla sicurezza degli edifici: queste ultime non potrebbero essere oggetto di deroga negli accordi tra le parti (Cass. 22886/2007), come confermerebbe l’articolo 1580 c.c..

Nel caso in esame, i vizi lamentati dall’attuale ricorrente costituirebbero cause di nullità del contratto locatizio per impossibilità giuridica dell’oggetto ai sensi degli articoli 1346 e 1418 c.c.; e comunque l’attuale ricorrente non avrebbe accettato, stipulando il contratto, la mancanza di agibilità dell’immobile.

3.7.2 Nella premessa del ricorso (in particolare, pagine 4-5) l’attuale ricorrente esponeva che “il rapporto locatizio tra le parti era regolato da scrittura del 1.10.2005” e che in epoca successiva, “cioè nel 2008-2009”, si erano “svolti lavori di ristrutturazione del bene locato e raggiunti accordi tra le parti, stabilendo chi avrebbe dovuto sostenere i costi delle opere (entrambe) e chi avrebbe dovuto ottenere l’abitabilità (il locatore)”: e ciò sarebbe stato documentato “da un lungo carteggio, iniziato il 14 marzo 2008, allorquando la conduttrice lamentava gravi vizi urbanistici dell’immobile”; secondo un perito incaricato dalla conduttrice di stendere una relazione tecnica, tale ingegner Fioriti, il certificato di abitabilità del 1988 aveva perso efficacia, essendosi reso necessario in forza del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2011, un nuovo certificato; e la locatrice si sarebbe impegnata a sanare le irregolarità edilizie e “ad ottenere il certificato di abitabilità”.

– In questa versione dei fatti (che, come si è visto, non è stata poi confermata dagli accertamenti dei giudici di merito quanto all’onere della locatrice di procurare il certificato di agibilità, in precedenza definito di abitabilità), risalta comunque l’affermazione di due dati pacifici: le parti avevano concluso il contratto nel 2005 e l’immobile all’epoca era dotato del necessario certificato, “perduto” per le opere di ristrutturazione concordate dalle parti ben dopo la conclusione del contratto del 2005. È quindi intrinsecamente incompatibile e contraddittorio rispetto alla versione dei fatti esposta nello stesso ricorso quel che l’attuale ricorrente veicola nel presente motivo, ovvero l’asserita nullità del contratto per difetto di agibilità dell’immobile. Nè potrebbe essere configurabile una nullità sopravvenuta, se non altro perchè nessuna norma retroattiva in termini è stata nelle more promulgata.

3.7.3 Per mera completezza, allora, si rileva che il motivo, come sopra si è visto, richiama tre arresti massimati che lo sosterrebbero.

La sentenza più risalente, Cass. sez. 3, 2 giugno 1992 n. 6676, insegna nella massima che “l’impossibilità dell’oggetto che, ai sensi degli articoli 1346 – 1418 c.c., rende nullo il contratto, si configura soltanto nel caso di giuridica impossibilità, alla stregua delle norme vigenti alla data del contratto, dei provvedimenti amministrativi di autorizzazione necessari per l’utilizzazione del bene per l’uso convenuto o per la sua trasformazione secondo le esigenze dell’uso contrattualmente previsto”.

Questa pronuncia si era occupata di un contratto di locazione immobiliare ad uso non abitativo che era stato dalle parti condizionato all’ottenimento delle autorizzazioni amministrative necessarie per l’attività per cui la parte conduttrice intendeva goderlo: si trattava di un terreno su cui la conduttrice intendeva costruire a sue spese un impianto di autolavaggio. In motivazione così si era osservato: “… alla data della conclusione del contratto, il bene oggetto del diritto di godimento attribuito con il contratto non esisteva e, perchè venisse in essere, nella conformazione che lo rendesse idoneo all’uso pattuito, era necessario che la pubblica amministrazione ne consentisse la costruzione e l’uso avuto di mira dalle parti. La possibilità dell’oggetto costituisce un requisito del contratto, la cui mancanza ne determina la nullità (articoli 1346 e 1418 c.c.). La possibilità dell’oggetto manca anche quando, oggetto del contratto essendo, secondo l’intento delle parti, un bene reso idoneo all’uso convenuto dalla presenza di provvedimenti specifici della pubblica amministrazione che ne consentano la costruzione e la gestione per quell’uso, l’adozione di quei provvedimenti non sia legittima avuto riguardo alla normativa esistente alla data di conclusione del contratto, in quanto tale normativa escluda in assoluto, e non già rimetta a valutazioni di compatibilità tra interessi pubblici e privati, che un immobile della conformazione considerata dalle parti possa essere realizzato nel luogo dove esso dovrebbe essere costruito.”

Questo arresto, quindi, riconosce che il contratto locatizio, in naturale rispetto delle regole generali della nullità, può essere affetto da nullità dell’oggetto per sua impossibilità giuridica: impossibilità che, appunto, deve derivare dalle sue caratteristiche assolutamente incompatibili, in riferimento alla normativa pertinente, con la concessione dei “provvedimenti specifici della pubblica amministrazione che ne consentano la costruzione e la gestione” sussistenti nell’intento delle parti. Tale nullità viene sì collocata in una intrinseca radicale inidoneità del bene, ma non ad essere goduto nelle modalità determinate dalle parti nel regolamento negoziale, bensì ad essere “realizzato”.

Non si tratta, dunque, di una questione di agibilità, ponendosi invece su un profilo che è a monte, concernente la costruzione dell’immobile sul terreno locato.

Cass. sez. 3, 26 maggio 1999 n. 5103 a sua volta insegna che “l’impossibilità giuridica, alla stregua delle norme vigenti alla data del contratto, ad ottenere il rilascio dei provvedimenti amministrativi di autorizzazione necessari per l’utilizzazione del bene per l’uso convenuto o per la sua trasformazione secondo le esigenze dell’uso contrattualmente previsto rende nullo il contratto per l’impossibilità dell’oggetto, a norma degli articoli 1346 e 1418 c.c.”

In questo caso si trattava di contratto locatizio d’immobile ad uso non abitativo (laboratorio di maglieria-sartoria), il quale veniva adibito dalla parte conduttrice ad un uso diverso, cioè di negozio di vendita al dettaglio di articoli d’abbigliamento. Avendo la parte locatrice chiesto la risoluzione per tale violazione dei patti da parte della conduttrice, quest’ultima si era difesa eccependo tra l’altro che il piano urbanistico del Comune non consentiva l’uso artigianale. Questa Suprema Corte confermava la qualificazione del contratto come nullo dichiarata dalla Corte d’appello, così motivando: “… nella specie oggetto del contratto di locazione non era il semplice “godimento” dell’immobile, da parte della conduttrice, ma il godimento di questo per la sua utilizzazione per “uso commerciale laboratorio di maglieria sartoria”. Erroneamente, pertanto, si assume… che ai fini della validità civilistica del contratto di locazione era irrilevante l’impossibilità, per il conduttore, di esercitare nei locali oggetto del contratto, l’attività in funzione della quale il contratto stesso era stato espressamente concluso, tenuto presente che in caso di giuridica impossibilità, alla stregua delle norme vigenti alla data del contratto, dei provvedimenti amministrativi di autorizzazione necessari per l’utilizzazione del bene per l’uso convenuto o per la sua trasformazione secondo le esigenze dell’uso contrattualmente previsto, rende nullo il contratto per impossibilità dell’oggetto, ai sensi degli articolo 1346-1418 c.c. (Cass., 2 giugno 1992, n. 6676)… Irrilevanti, ancora, al fine del decidere, sono i richiami… alla presunta nullità solo parziale del contratto… il contratto aveva, quale oggetto, il godimento dell’immobile… per “uso commerciale laboratorio di maglieria sartoria”. Pacifico che tale utilizzazione dei locali era impossibile, alla luce delle previsioni degli strumenti urbanistici del comune… non si era a fronte – nella specie – alla nullità di una singola clausola… ma alla nullità dell’intero contratto per impossibilità dell’oggetto…”.. È evidente che la pronuncia si riferisce alle autorizzazioni amministrative per lo svolgimento di una determinata attività, tematica non coincidente con quella dell’agibilità dell’immobile.

– Entrambe queste sentenze, dunque, non sono pertinenti al caso in esame.

3.7.4 La terza pronuncia richiamata dalla ricorrente, Cass. sez. 3, 30 ottobre 2007 n. 22886, viene così massimata: “Le irregolarità accertate dalla P.A. (nella specie la USL), che hanno comportato la dichiarazione di inagibilità dell’immobile locato per uso non abitativo, determinano la nullità del contratto stesso per impossibilità dell’oggetto, ai sensi degli articoli 1346 – 1418 c.c., nel caso in cui, pur preesistenti alla data di conclusione del contratto e note (o conoscibili) al conduttore, si riferiscano a requisiti imposti da norme inderogabili, come le prescrizioni attinenti alla sicurezza degli edifici (soprattutto se, come nella specie, adibiti a scuola), atteso che una presunta accettazione da parte del conduttore, con la conclusione del contratto, delle particolari caratteristiche dell’immobile, è del tutto irrilevante, non potendo le parti derogare con i loro accordi alle norme imperative”.

Si trattava di un immobile destinato ad essere utilizzato come scuola in un contratto stipulato per tale specifico uso nel 1991 tra il proprietario/locatore e un Comune/conduttore, e che era stato effettivamente così utilizzato fino a quando nel 1999 la Usl aveva effettuato un’ispezione da cui era risultato che l’immobile non rispettava le norme di sicurezza (anche con particolare riguardo al rischio di incendi e all’impianto elettrico), onde il Comune aveva notificato a controparte il recesso ai sensi della L. n. 392 del 1978, articolo 27. Nel contenzioso che ne era derivato, i giudici di merito ritennero illegittimo il recesso, in quanto la (formalmente) sopravvenuta inagibilità non l’avrebbe giustificato dal momento che le anomalie erano preesistenti alla stipulazione del contratto ed erano note. Questa Suprema Corte ha ritenuto fondato, nel conseguente ricorso del Comune, il motivo che denunciava violazione degli articoli 1346 e 1418 c.c., adducendo che l’inidoneità dell’immobile ad essere utilizzato come scuola, per inosservanza della normativa di sicurezza, avrebbe integrato l’impossibilità/illiceità dell’oggetto e comportato quindi la nullità del contratto (rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio), giustificando il recesso del conduttore per l’impossibilità di perseguire lo scopo convenuto.

Così si è espresso, in motivazione, il giudice nomofilattico: “La motivazione della sentenza impugnata, secondo cui il recesso anticipato del conduttore non è giustificato qualora i gravi motivi siano fondati su circostanze e situazioni preesistenti alla data della conclusione del contratto e fin da allora note al conduttore, si ispira a un principio che non può essere utilmente invocato nel caso di specie. Essa presuppone che il conduttore – avendo concluso il contratto pur conoscendo (o potendo conoscere) le peculiari caratteristiche del bene locato – le abbia liberamente accettate e pertanto non possa successivamente dolersene. Ma ciò vale limitatamente ai requisiti del bene di cui le parti possono disporre; non con riguardo a quelli imposti da norme inderogabili di legge, come le prescrizioni attinenti alla sicurezza degli edifici (soprattutto se adibiti a scuola). Qui la presunta accettazione è del tutto irrilevante, non potendo le parti derogare con i loro accordi alle disposizioni imperative di legge. (Principio che trova riscontro, fra l’altro, nella norma dell’articolo 1580 c.c., secondo cui il conduttore può sempre chiedere la risoluzione del contratto per i vizi della cosa che espongano pericolo la salute, anche quando i vizi gli fossero noti, e nonostante qualunque rinuncia). Nella specie, le irregolarità accertate dalla USL, che hanno comportato la dichiarazione di inagibilità dell’immobile, si traducono in altrettante cause di nullità del contratto di locazione per impossibilità (giuridica) dell’oggetto, ai sensi degli articoli 1346 – 1418 c.c., come prospettato dal ricorrente”.

È evidente che anche quest’ultimo arresto non sorregge la prospettazione della ricorrente.

Nel caso qui in esame, infatti, il bene fu consegnato alla conduttrice quando era dotato di agibilità; quest’ultima venne meno in conseguenza di lavori effettuati quando il contratto già perdurava da tre anni, come sopra si è visto.

3.7.5 Non si può, peraltro, non rilevare che la pronuncia appena riportata condivisibilmente rimarca che il contratto locatizio può essere nullo per impossibilità giuridica dell’oggetto – per radicali sue connotazioni intrinseche che lo rendono inidoneo all’agibilità – in forza del combinato disposto degli articoli 1346 e 1418 c.c. e che non è configurabile alcuna sanatoria nè per il fatto che il bene venga poi utilizzato ugualmente (si nota per inciso, con conseguente esposizione anche dei terzi che vi accedono ai rischi che la natura dell’immobile, incompatibile con la normativa di sicurezza sottesa all’agibilità, comporta), nè per il fatto che le parti siano consapevoli di tale radicale inidoneità quando stipulano il contratto, in forza dei principi generali non potendo concordare alcunchè in conflitto con norme imperative come quelle afferenti alla sicurezza dell’immobile, che è ictu oculi tutelata per pubblico interesse.

Diverso, ovviamente, è il profilo del conseguimento delle autorizzazioni amministrative per lo specifico uso dell’immobile pattuito dai contraenti, cui è d’altronde comparabile la fattispecie del mancato conseguimento dell’agibilità non per intrinseche caratteristiche dell’immobile che la rendano oggettivamente non conseguibile (come si è appena considerato), bensì per inerzia quanto al procedere per ottenerla o per svolgimento negligente o comunque erroneo della relativa procedura. Qui tutto si sposta sul successivo piano dell’inadempimento delle obbligazioni contrattuali. E poichè tali conseguimenti sono nell’interesse del conduttore, un inadempimento sarà attribuito, in compatibilità peraltro con il contenuto specifico del regolamento negoziale, al locatore, confluendo così nell’articolo 1575 c.c. (cfr., tra gli arresti recenti, Cass. sez. 3, 16 giugno 2014 n. 13651, Cass. sez. 3, 19 dicembre 2014 n. 26907, Cass. sez. 3, 18 gennaio 2016 n. 666, Cass. sez. 3, 26 luglio 2016 n. 15377, Cass. sez. 3, 14 marzo 2018 n. 6123 e Cass. sez. 3, 20 agosto 2018 n. 20796); anche se deve darsi atto che talora la fattispecie della inagibilità “ontologica” viene miscelata con le altre fattispecie, espandendo l’articolo 1575, in un ambito che deve essere invece riservato alla nullità dell’oggetto e traducendo l’impossibilità giuridica dell’oggetto in un inadempimento del locatore rispetto all’articolo 1575 c.c., n. 2: il quale, in realtà, concerne una condotta del locatore posteriore alla stipulazione del contratto, id est esecutiva (adempimento di obbligazione, appunto). Tant’è vero che semanticamente definisce la condotta del locatore un “mantenimento” per l’immobile dello stato da servire all’uso convenuto, il che significa sussistenza di detto stato al momento della stipulazione del contratto (in un simile equivoco pare essere incorsa in un caso particolare Cass. sez. 3, ord. 13 giugno 2018 n. 15378, massimata nel senso che “l’inidoneità dell’immobile ai fini del conseguimento dell’abitabilità non rende annullabile il contratto per errore sulla qualità dell’oggetto, ma determina il mancato rispetto delle qualità che l’immobile deve possedere e dunque un vizio della cosa locata, con conseguente esperibilità del rimedio risolutorio previsto dall’articolo 1578 c.c.”; la questione in questo caso era stata evidentemente “deviata”, venendo proposta non come nullità, bensì come fattispecie di annullamento per errore essenziale).

In conclusione, la prospettazione giuridica del settimo motivo non ha fondamento, nel caso in esame non essendo configurabile la nullità dell’oggetto del contratto per quanto sopra rilevato.

3.8 L’ottavo motivo, proposto in subordine ai precedenti sette motivi, denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, articolo 27, u.c., quanto alla legittimità del recesso; denuncia altresì omesso esame dei documenti 15 e 16 nonchè erronea ricostruzione della quaestio facti.

La corte territoriale avrebbe ritenuto inapplicabile il citato articolo 27, ultimo comma per addebitabilità alla conduttrice dei gravi motivi (ovvero la mancanza di agibilità) di cui essa stessa si avvaleva per recedere e perchè, anche se non fosse stato configurabile tale addebito, non si sarebbe trattato di motivi sopravvenuti e imprevedibili rispetto al momento della stipulazione del contratto.

In ordine all’addebitabilità alla conduttrice, si dichiara di richiamare i primi quattro motivi del ricorso. A proposito poi della sopravvenienza e della imprevedibilità, si adduce che il giudice d’appello avrebbe omesso di esaminare i documenti per cui l’inagibilità sarebbe insorta dopo la stipulazione del contratto nel 2005 e la conduttrice avrebbe scoperto nel 2014 che era stato soltanto un’apparenza il fatto che la controparte avesse ottenuto l’agibilità nel 2009. Il motivo si sviluppa, in conclusione, in vari argomenti relativi alla ricostruzione della vicenda.

Anche in questa doglianza è più che evidente che la critica viene orientata direttamente sul piano fattuale, non a caso richiamando pure gli argomenti di merito già veicolati nei primi quattro motivi. Schermandosi, ancora una volta, dietro la norma invocata – qui la L. n. 392 del 1978, articolo 27, u.c. – la ricorrente persegue dal giudice di legittimità una nuova valutazione di fatto che “corregga” quella della Corte d’appello, incorrendo quindi nella inammissibilità.

3.9.1 Il nono motivo, proposto anch’esso in subordine rispetto agli otto motivi precedenti, viene rubricato in riferimento all’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione – all’articolo360 c.p.c., comma 1, n. 4. Sussisterebbe omessa/apparente motivazione in ordine alle domande subordinate relative all’articolo 1460 c.c. e alla riduzione del canone ai – sensi dell’articolo 1578 c.c., di cui il quinto motivo d’appello avrebbe rilevato la mancata applicazione.

A proposito dell’articolo 1460, la corte territoriale avrebbe citato genericamente giurisprudenza che vieta di applicarlo al pagamento del canone; e quanto alla riduzione del canone ex articolo 1578, avrebbe affermato la necessità di proporre una domanda giudiziale, domanda che tuttavia non avrebbe poi decisa oppure che avrebbe decisa con motivazione apparente, richiamando ancora genericamente la giurisprudenza di legittimità in ordine alla domanda sulla riduzione. Il motivo peraltro sfocia nell’affermare quanto segue: “Dalla sentenza impugnata non si comprende perchè i vizi dell’immobile locato non siano stati ritenuti tali da comportare, se non la risoluzione, quantomeno l’accoglimento dell’eccezione di inadempimento o della domanda di riduzione del canone”.

3.9.2 In effetti la corte territoriale, in merito al quinto motivo dell’appello – che, come sintetizza la stessa corte, censurava la sentenza del Tribunale “nella parte in cui ha ritenuto che il pagamento del canone non poteva essere sospeso” perchè la conduttrice “di fatto utilizzava l’immobile”, nonostante che dalle prove sarebbe emerso che “il contratto non era stato eseguito secondo buona fede”, in particolare l’appellata non avendo “posto in essere gli atti conclusivi dell’iter avviato” proprio perchè aveva agito in mala fede (pagine 2-3 della motivazione della sentenza impugnata) -, ha focalizzato i suoi rilievi sull’applicazione dell’articolo 1460 nel contratto locatizio e, in secondo piano ma in un’ottica consequenziale, sull’articolo 1578 (pagine 6-7 della motivazione). E tali rilievi, come si verrà a constatare, esigono un approfondimento e una conseguente rettificazione.

Osserva invero la Corte d’appello che l’applicazione dell’articolo 1460 “in materia di locazione è del tutto particolare, a differenza delle altre figure contrattuali a prestazioni corrispettive, laddove si consideri che il rapporto locatizio è caratterizzato dal godimento dell’immobile integrante la prestazione del locatore a fronte della quale corrisponde quella principale del conduttore, rappresentata dal pagamento del corrispettivo convenuto. Ciò comporta, in via generale, che la mancata prestazione cui è obbligato il conduttore (che si sostanzia in primo luogo nel pagamento del canone) deve ispirarsi a criteri di correttezza e buona fede, di guisa che essa non possa produrre una alterazione del sinallagma contrattuale, determinando uno squilibrio delle rispettive posizioni delle parti del rapporto locatizio. Ciò significa, alla luce della consolidata giurisprudenza della Corte di vertice, che quando non viene pagato il canone di locazione è legittima la reazione del locatore attraverso il ricorso allo speciale strumento processuale dello sfratto per morosità ovvero del decreto ingiuntivo – come nel caso in esame laddove l’inadempimento del conduttore non è ispirato ai suddetti criteri, salvo il caso in cui la prestazione del locatore (che si sostanzia nel permettere il godimento del bene locato) non. venga completamente a mancare, come ad esempio nel caso dell’esistenza di vizi gravi dell’immobile che comportano la impossibilità di utilizzare il bene”. Prosegue la corte:qualificando ciò “ricavabile” dall’articolo 1578 c.c., per cui, “a fronte dei vizi che diminuiscono in modo apprezzabile l’idoneità del bene locato per l’uso pattuito, il conduttore può chiedere, in alternativa alla risoluzione del contratto, la riduzione del corrispettivo, necessariamente proponendo la domanda all’Autorità Giudiziaria, con ciò dovendosi escludere rigidamente il diritto dello stesso conduttore di sospendere totalmente o parzialmente il pagamento del canone in attesa dell’accertamento giudiziale sulla fondatezza della domanda, da scrutinarsi esclusivamente dal Giudice competente al quale è demandato il compito di valutare la importanza dello squilibrio tra le prestazioni dei contraenti”. Definendo ciò l’insegnamento della “consolidata giurisprudenza di legittimità” (vengono citate, tra le altre, Cass. 13887/2011, 1079/2012 e 26540/2014), la corte giunge alla meta del suo ragionamento: “Pertanto, deve ritenersi inibito al conduttore sospendere totalmente o parzialmente il pagamento del canone di locazione, laddove non venga completamente a mancare la controprestazione del locatore in ragione dell’esistenza di evidenze di criticità idonee ad impedire il godimento totale del bene, tra le quali possono farsi rientrare anche la mancanza dei requisiti di abitabilità dell’immobile se ed in quanto tale inidoneità sia in grado di impedire in modo assoluto l’utilizzo” dell’immobile stesso. Quindi “in definitiva i rimedi concessi al conduttore in presenza di vizi gravi”, afferenti non allo stato di manutenzione ma all’idoneità all’uso, secondo il giudice d’appello sono soltanto quelli, tratti dall’articolo 1578, “della risoluzione e della riduzione non anche dell’esatto adempimento (sic), escludendosi la fondatezza della eccezione ex articolo 1460 c.c. nei limiti di cui sopra si è detto”.

3.9.3 La corte territoriale assume una posizione che trova effettivo riscontro in un orientamento di questa Suprema Corte da tempo riscontrabile (cfr., tra le pronunce massimate non eccessivamente risalenti, Cass. sez. 3, 26 giugno 2012 n. 10639 – per cui “in tema di locazione di immobili urbani per uso diverso da quello abitativo, la cosiddetta autoriduzione del canone (e, cioè, il pagamento di questo in misura inferiore a quella convenzionalmente stabilita) costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore, che provoca il venir meno dell’equilibrio sinallagmatico del negozio, anche nell’ipotesi in cui detta autoriduzione sia stata effettuata dal conduttore in riferimento al canone dovuto a norma dell’articolo 1578 c.c., comma 1, per ripristinare l’equilibrio del contratto, turbato dall’inadempimento del locatore e consistente nei vizi della cosa locata. Tale norma, infatti, non dà facoltà al conduttore di operare detta autoriduzione, ma solo a domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, essendo devoluto al potere del giudice di valutare l’importanza dello squilibrio tra le prestazioni dei contraenti” -, Cass. sez. 6-3, ord. 23 giugno 2011 n. 13887 – massimata come certa lex nel senso che “il conduttore di un immobile non può astenersi dal versare il canone, ovvero ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, quand’anche tale evento sia ricollegabile.al fatto del locatore. La sospensione totale o parziale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un’alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti. Inoltre, secondo il principio “inadimplenti non est adimplendum”, la sospensione della controprestazione è legittima solo se conforme a lealtà e buona fede” -, Cass. sez. 3, 10 gennaio 2008 n. 261 – per cui “al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ciò anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore. La sospensione totale o parziale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un’alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti. Inoltre, secondo il principio “inadimplenti non est adimplendum”, la sospensione della controprestazione è legittima solo se conforme a lealtà e buona fede”, Cass. sez. 3, 1 giugno 2006 n. 13133 – pure massimata nel senso che “al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ciò anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore. La sospensione totale o parziale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un’alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti”, Cass. sez. 3, 13 luglio 2005 n. 14739 – per cui “al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ciò anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore. La sospensione totale o parziale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un’alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti. Inoltre, secondo il principio “inadimplenti non est adimplendum”, la sospensione della controprestazione è legittima soltanto se è conforme a lealtà e buona fede, con la conseguenza che il conduttore, qualora abbia continuato a godere dell’immobile, per quanto lo stesso presentasse vizi sopravvenuti (nella specie, asserita interclusione dell’immobile protratta per due anni a causa di opere stradali), non può sospendere l’intera sua prestazione consistente nel pagamento del canone di locazione, perchè così mancherebbe la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, potendo giustificarsi soltanto una riduzione del canone proporzionata all’entità del mancato godimento, in applicazione analogica del disposto dell’articolo1584 c.c., ovvero la richiesta di risoluzione del contratto per sopravvenuta carenza di interesse” -; sulla stessa linea si collocano pure Cass. sez. 3, 12 maggio 2017 n. 11783;Cass. sez. 3, 17 dicembre 2014 n. 26540; Cass. sez. 3, 8.ottobre 2008 n. 24799; Cass. sez. 3, 11 aprile 2006 n. 8425; Cass. sez. 3, 3 aprile 2004 n. 7772; Cass. sez. 3, 18 giugno 1999 n. 6125; Cass. sez. 3, 5 ottobre 1998 n. 9863; Cass. sez.;3, 17 maggio 1983 n. 3411).

Un conciso ma adeguato specimen del ragionamento adottato da questo orientamento può qualificarsi la motivazione di Cass. sez. 3, 13 luglio 2005 n. 14739, che in tal modo si esprime: “La giurisprudenza ha ripetutamente ribadito il principio secondo il quale la principale e fondamentale obbligazione del conduttore di immobili è il pagamento del canone di locazione, sì che non gli è consentito di astenersi dal corrisponderlo anche nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione del godimento del bene, nemmeno nel caso in cui egli assuma che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore. Infatti la sospensione dell’adempimento di detta obbligazione, ai sensi dell’articolo 1460 c.c., è legittima soltanto quando sia giudizialmente accertato che è venuta completamente a mancare la prestazione della controparte, altrimenti costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore che altera il sinallagma contrattuale e determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti per effetto di un’ unilaterale ragion fattasi del conduttore, che perciò configura inadempimento colpevole all’obbligo di adempiere esattamente e puntualmente al contratto stipulato e all’obbligazione principale per il conduttore. A ciò deve aggiungersi che… la sospensione della prestazione sinallagmatica – secondo il principio “inadimplenti non est adimplendum” – è legittima soltanto se è conforme a lealtà e buona fede, il che è da escludere se il conduttore continua a godere dell’immobile, e al momento in cui gli è chiesto il pagamento del canone, assume l’inutilizzabilità del bene all’uso convenuto, perchè in tal modo fa venir meno la proporzionalità tra le rispettive prestazioni. Dunque in tal caso, per conformare il suo comportamento a buona fede, può soltanto chiedere una riduzione del canone proporzionata all’entità del mancato godimento, in analogia al disposto dell’articolo 1584 c.c…. ovvero può chiedere la risoluzione del contratto…”.

3.9.4 Pur essendo tanto indiscusso quanto indiscutibile che (come si è visto rimarcare anche nello stralcio motivazionale appena riportato) per il conduttore il pagamento del canone costituisce l’obbligazione principale e fondamentale (cfr. p. es. Cass. sez. 3, 5 ottobre 1998 n. 9863, cit., Cass. sez. 3, 28 luglio 2004 n. 14234, Cass. sez. 3, 11 febbraio 2005 n. 2855 e da ultimo Cass. sez. 3, ord. 22 settembre 2017 n. 22039), un altro orientamento nomofilattico prospetta invece anche per il contratto locatizio una lettura maggiormente plasmabile sulla base del caso concreto; id est alla sospensione parziale del pagamento apre le porte con la chiave della exceptio non rite adimpleti contractus (Cass. sez. 3, 7 marzo 2001 n. 3341 – massimata nel senso che “l’exceptio non rite adimpleti contractus, di cui all’articolo 1460 c.c., postula la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, da valutare non in rapporto alla rappresentazione soggettiva che le parti se ne facciano, ma in relazione alla oggettiva proporzione degli inadempimenti stessi, riguardata con riferimento all’intero equilibrio del contratto ed alla buona fede; ne consegue che il conduttore, qualora abbia continuato a godere.dell’immobile, per quanto lo stesso presentasse vizi, non può sospendere l’intera sua prestazione consistente nel pagamento del canone di locazione, perchè così mancherebbe la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, potendo giustificarsi soltanto una riduzione del canone proporzionata all’entità del mancato godimento, applicandosi, per analogia, i principi dettati dall’articolo 1584 c.c..” – e Cass. sez. 3, 11 febbraio 2005 n. 2855 – per cui “in tema di locazione di immobili, sebbene il pagamento del canone costituisca la principale e fondamentale obbligazione del conduttore, la sospensione parziale o totale dell’adempimento di tale obbligazione, ai sensi dell’articolo 1460 c.c., può essere legittima non solo quando venga completamente a mancare la prestazione della controparte, ma anche nell’ipotesi di inesatto inadempimento, purchè essa appaia giustificata in relazione alla oggettiva proporzione dei rispettivi inadempimenti, riguardata con riferimento all’intero equilibrio del contratto e all’obbligo di comportarsi secondo buona fede; ne consegue che, se il conduttore ha continuato a godere dell’immobile sebbene non pienamente a causa dei vizi della cosa imputabili al locatore, non è giustificabile a norma dell’articolo 1460 c.c., comma 2, il rifiuto di prestare l’intero canone, potendo però giustificarsi una riduzione dello stesso che sia proporzionata all’entità del mancato godimento, in analogia a quanto previsto dall’articolo 1584 c.c.”; e cfr. Cass. sez. 3, ord. 22 settembre 2017 n. 22039, cit.).

Ben consapevole del divario con l’orientamento più antico, Cass. sez. 3, 7 marzo 2001 n. 3341 nella motivazione così indica le ragioni: “Secondo un orientamento di questa Corte, in tema di locazione di immobili, non può disconoscersi che il pagamento del canone costituisce la principale e fondamentale obbligazione del conduttore, al quale non è consentito astenersi dal versare il corrispettivo o di determinare unilateralmente il canone nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione del godimento del bene, anche quando si assuma che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore e ciò perchè la sospensione totale o parziale – dell’adempimento di detta obbligazione, ai sensi dell’articolo 1460 c.c., è legittima soltanto quando venga completamente a mancare la prestazione della controparte… Il principio porta ad escludere l’applicabilità dell’eccezione di cui all’articolo 1460 in ipotesi di inesatto adempimento, limitandola all’exceptio inadimpleti contractus. Infatti dell’articolo 1460 c.c., comma 2, ove non si voglia ritenere meramente ripetitivo del primo, secondo la più attenta dottrina, va riferito anche al caso in cui la controparte potrebbe aver già adempiuto la propria prestazione, ma in maniera inesatta. In questo caso l’eccezione sarebbe quella di non rite adimpleti contractus. Sennonchè l’exceptio non rite adimpleti contractus, a cui è egualmente applicabile l’articolo 1460 c.c., postula la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, da valutare non in rapporto alla rappresentazione soggettiva che le parti se ne facciano, ma in relazione alla oggettiva proporzione degli inadempimenti stessi, riguardata con riferimento all’intero equilibrio del contratto ed alla buona fede… Pertanto se il conduttore ha, in ogni caso, continuato a godere dell’immobile, per quanto lo stesso presentasse vizi,.. non può lo stesso sospendere l’intera sua prestazione, perchè in questo caso mancherebbe la proporzionalità tra i due inadempimenti.”.

Approfondisce questa impostazione la motivazione della successiva Cass. sez. 3, 11 febbraio 2005 n. 2855: “… Anche il locatore è tenuto all’esecuzione di buona fede del contratto, sulla base del principio generale di cui all’articolo 1375 c.c.. Occorre a tal proposito ricordare che questa Corte Suprema, dopo avere in un primo tempo negato a detto principio un rilievo giuridico autonomo…, ha in un secondo tempo riconosciuto che la buona fede costituisce oggetto di un vero e proprio dovere giuridico… e costituisce quindi una possibile fonte di responsabilità… In altri termini, la violazione del dovere di comportamento imposto dal principio di buona fede (articolo 1375 c.c.) è già di per sè inadempimento e può comportare l’obbligo di risarcire il danno cagionato a causa della violazione medesima. Infatti, come si legge nella Relazione al codice civile, il principio di correttezza e di buona fede “richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore” (ivi, – 558). Esso opera, quindi, come un criterio di reciprocità che, nel nuovo quadro di valori introdotto dalla Carta Costituzionale, costituisce specificazione degli “inderogabili doveri di solidarietà sociale” tutelati dall’articolo 2 Cost., la sua rilevanza si esplica nell’imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge… La buona fede, quindi, si pone come governo della discrezionalità nell’esecuzione del contratto, nel senso che essa opera sul piano della selezione delle scelte discrezionali dei contraenti, assicurando che l’esecuzione del contratto avvenga in armonia con quanto emerge dalla ricostruzione dell’operazione economica che le parti avevano inteso porre in essere, filtrata attraverso uno standard di normalità sociale, e, quindi, di ragionevolezza. Il debitore, pertanto, nell’adempiere l’obbligazione deve compiere tutto quanto è necessario, secondo i predetti standards, per il soddisfacimento dell’interesse del creditore, senza che ciò costituisca per lui un rilevante aggravio aggiuntivo..”. È a questo punto che l’arresto si collega a quanto già osservato nella motivazione di Cass. sez. 3, 7 marzo 2001 n. 3341, in sostanza giustificando la sussistenza di due eccezioni nell’articolo 1460 c.c. – exceptio inadimpleti contractus ed exceptio non rite adimpleti contractus – mediante la valorizzazione, impostasi nel diritto vivente, del principio della buona fede, rectius nell’endiadi buona fedelcorrettezza.

3.9.5 In realtà, il principio della buona fede (lato sensu, ovvero includente pure il principio, non menzionato nell’articolo 1375 c.c., della correttezza) funge ormai da ipostasi nella fase esecutiva – ovvero dinamica – di quel che (non solo, ma soprattutto) nello stadio originante del fenomeno contrattuale viene definito sinallagma, vale a dire scambio concordato per realizzare l’interesse di tutti i partecipi. Proprio perchè rappresenta la concretizzazione, nella fase esecutiva, degli interessi di tutti, la buona fede non può che essere un parametro correlato a tutti gli interessi, ovvero un parametro oggettivo. La buona fede in questo campo è un aliud rispetto ai diversi settori in cui costituisce una species del genus elemento soggettivo: e lo è proprio perchè la sua sostanza si colloca nel sinallagma. Essa infatti veicola l’identità del negozio nella sua piena funzionalità/efficacia, ovvero nell’esecuzione.

Poichè l’articolo 1460 fornisce una autotutela per l’ipotesi di esecuzione in versione negativa, ovvero inadempimento o adempimento inesatto, la “traduzione” della norma nel caso concreto risiede nella buona fede oggettiva. E ciò, considerata anche la presenza nel codice di una norma specifica per la buona fede nell’esecuzione (articolo 1375 c.c.), da tempo è stato riconosciuto nell’applicazione dell’articolo 1460 dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte (v., p. es., già Cass. sez. 3, 4 dicembre 1981 n. 6441 – per cui nei contratti a prestazioni corrispettive il rifiuto di una parte di adempiere non è giustificato dall’inadempimento di controparte ex articolo 1460 se questo, in relazione alla sua obiettiva entità e all’interesse dell’avversario, risulti di scarsa importanza, così da evidenziare la contrarietà alla buona fede del rifiuto -, Cass. sez. 3, 29 aprile 1982 n. 2708 – che insegna che nei contratti a prestazioni corrispettive l’eccezione di inadempimento mira a conservare l’equilibrio sostanziale e funzionale alle obbligazioni contrapposte, onde chi eccepisce ex articolo 1460 è in buona fede solo se il suo comportamento è oggettivamente ragionevole e logico, nel senso che abbia concreta giustificazione nel rapporto tra le prestazioni eseguite e quelle rifiutate, in relazione ai legami di corrispettività e contemporaneità di esse -, Cass. sez. 2, 9 agosto 1982 n. 4457 – per cui l’exceptio non rite adimpleti contractus ai sensi dell’articolo 1460 esige che la proporzionalità tra gli inadempimenti sia valutata oggettivamente in riferimento all’intero equilibrio del contratto, e quindi non secondo la rappresentazione soggettiva delle parti -, e Cass. sez. 3, 7 gennaio 2004 n. 58; cfr. pure Cass. sez. 3, 19 aprile 1974 n. 1086, Cass. sez. 3, 8 giugno 1976 n. 2111, Cass. sez. 2, 7 maggio 1982 n. 2843, Cass. sez. 3, 11 aprile 2006 n. 8425, cit., Cass. sez. L, 3 maggio 2011 n. 9714).

3.9.6 È ineludibile, a questo punto, esaminare più direttamente gli effetti dell’adesione della corte territoriale all’orientamento, per così dire, in maggior misura tradizionale, il quale, come ora dovrà constatarsi, non segue con esattezza il contenuto delle norme pertinenti.

In primo luogo, infatti, viene operata una sorta di semplificazione del sinallagma: da un lato la obbligazione del locatore si sostanzierebbe nella concessione del godimento dell’immobile, e dall’altro l’obbligazione del conduttore si sostanzierebbe nel pagamento del canone (non a caso nella motivazione della sentenza impugnata il pagamento del canone viene subito qualificato la prestazione principale del conduttore, controbilanciando il fatto che il godimento dell’immobile integra la prestazione del locatore, senza far cenno ad altri obblighi). Dunque, la considerazione dell’articolo 1575 c.c., è atrofizzata in questa lettura “di superficie” del contratto locatizio scelta dalla corte territoriale.

L’articolo 1575, in effetti, come è ben noto, sub 1) obbliga il locatore non solo a consegnare al conduttore il bene locato ma anche a consegnarlo “in buono stato di manutenzione”; i due – successivi precetti, sub 2 e sub 3, obbligano inoltre il locatore, rispettivamente, a mantenere il bene in stato “da servire all’uso convenuto” e a “garantirne il pacifico godimento durante la locazione”. Dal punto di vista dell’interesse del conduttore, ovviamente, il contratto viene stipulato per ottenere il godimento dell’immobile; il godimento dell’immobile, peraltro, non può identificarsi, tout court, nell’assunzione da parte del conduttore della detenzione dell’immobile. Il che invece accade se si pretermettono gli ulteriori obblighi del locatore: oltre a consegnare, il locatore deve far sì che quel che consegna sia “in buono stato di manutenzione” (articolo 1575, n. 1) e in tale stato deve poi preservarlo (articolo 1575, nn. 2 e 3).

Non si può pertanto – seguendo una sorta di vis attractiva – condensare la natura di contratto di durata a prestazioni corrispettive, sotto il profilo delle obbligazioni del locatore, solo nella consegna del bene, in considerazione del non irrilevante valore economico di un bene immobile e della tendenziale stabilità insita nel detenerlo: come dal lato del conduttore il contratto genera una esecuzione rappresentata da un periodico corrispettivo, oltre che da una modalità di detenzione corretta (articolo 1587 c.c.), anche dal lato del locatore il contratto “contiene” rispetto alla consegna un quid pluris, in parte – per così dire – dinamico/progressivo, che pure viene ricondotto dall’articolo 1575 nelle sue “obbligazioni principali” come subito appalesa la rubrica dell’articolo. Non solo, cioè, alla consegna dell’immobile si affianca l’obbligo di consegnarlo “in buono stato di manutenzione”, ma altresì tale caratteristica deve essere integrata con il mantenere e il garantire, come indicato nella residua parte dell’articolo 1575. Anche dal punto di vista degli obblighi del locatore, quindi, il sinallagma non è “pietrificato” con una mera consegna dell’immobile, ma nella sua dinamica facies esecutiva deve andare oltre una mera consegna (l’immobile consegnato deve essere stato ben mantenuto) e venire poi costantemente integrato dal preservare il pieno godimento del conduttore, solo in tal modo raggiungendosi la pienezza dell’esecuzione, ovvero una condotta conforme alla buona fede oggettiva.

Atrofizzando, allora, il sinallagma in riferimento al “contributo” che deve apportarvi il corretto comportamento esecutivo del locatore, diventa agevole – è abbastanza ovvio – atrofizzare anche l’applicazione della norma che presiede, nei contratti a prestazioni corrispettive, la fase di esecuzione sotto il profilo dell’autotutela nell’ipotesi in cui la condotta di controparte non sia stata rispettosa del parametro della buona fede oggettiva, come concretizzato sia dalle specifiche norme sulle obbligazioni comunque discendenti dal paradigma del contratto locatizio – nella sua qualità di contratto tipico -, sia dal regolamento contrattuale che nel quadro normativo le parti hanno inserito: l’articolo 1460 c.c..

3.9.7 Altro, comunque, vi è ancora da considerare come presente nell’impostazione seguita dalla corte territoriale.

Glissando – come si è appena visto – quanto all’articolo 1575, questa lettura si sposta sull’articolo 1578 c.c., per attingerne l’effettivo regolamento degli obblighi del locatore sotto

– forma di conseguenza nel caso in cui vengano inadempiuti. L’articolo 1578 disciplina le conseguenze dell’articolo 1575, n. 1, ovvero le conseguenze della sussistenza di vizi della cosa locata “al momento della consegna”, trovando immediata integrazione negli articoli 1579 e 1580 c.c.; peraltro l’articolo 1581 c.c., governa poi i “vizi sopravvenuti” estendendovi proprio la antecedente triade di articoli, pur con la flessibile garanzia dell'”in quanto applicabili”.

L’articolo 1578, nel suo comma 1, offre al conduttore una tutela giudiziaria per i vizi che “diminuiscono in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito” della cosa locata: la risoluzione del contratto o, implicitamente nel caso in cui il conduttore ne abbia ancora interesse alla preservazione, una riduzione del corrispettivo, con un limite del genere dell’imputet sibi “salvo che si tratti di vizi conosciuti o facilmente riconoscibili” -, che si traduce, in sostanza, in una presunzione juris et de jure sull’esistenza del consenso del conduttore “ciò nonostante” (v. Cass. sez. 3, 7 marzo 2001 n. 3341, cit., per cui “allorquando il conduttore, all’atto della stipulazione del contratto di locazione, non abbia denunziato i difetti della cosa da lui conosciuti o facilmente riconoscibili, deve ritenersi che abbia implicitamente rinunziato a farli valere, accettando la cosa nello stato in cui risultava al momento della consegna, e non può, pertanto, chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del canone, nè il risarcimento del danno o l’esatto adempimento, nè avvalersi dell’eccezione di cui all’articolo 1460 c.c.”; sulla stessa consolidata linea Cass. sez. 3, 13 settembre 1974 n. 2490, Cass. sez. 3, 7 maggio 1979 n. 2597, Cass. sez. 3, 1 dicembre 2009 n. 25278 e Cass. sez. 3, 25 maggio 2010 n. 12708). La questione della consapevolezza si capovolge, poi, nel comma 2, che riguarda la tutela risarcitoria, dove l’ignoranza “senza colpa” del locatore priva il conduttore del risarcimento dei danni derivati da vizi della cosa.

È qui che si raggiunge il vero e proprio nucleo dell’interpretazione adottata dalla Corte d’appello: il conduttore può astenersi dall’adempiere il pagamento del canone soltanto qualora il godimento del bene “non venga completamente a mancare”, ovvero si riscontrino “vizi gravi dell’immobile che comportano la impossibilità di utilizzare il bene da parte del conduttore” (così si esprime la sentenza impugnata). L’articolo 1578, in quest’ottica, occupa tutto quel che non rientra in tale – si può dire estrema – area d’applicazione dell’articolo 1460, in quanto offre tutela nel caso in cui sussistano vizi che “diminuiscono in modo apprezzabile l’idoneità all’uso”. Diminuiscono, ma non vengono “completamente a mancare”.

Il fraintendimento dell’articolo 1578 – e correlativamente dell’articolo 1460 -, allora, è duplice.

In primis, è ben logico ritenere che, se un vizio che diminuisce “in modo apprezzabile” l’utilizzabilità della cosa locata giustifica (salvo il limite della conoscenza/facile riconoscibilità) la risoluzione del contratto per inadempimento del locatore, a fortiori ciò discende anche da un vizio di inutilizzabilità assoluta del bene locato (a prescindere, in radice, dal combinato disposto degli articoli 1418 e 1346 c.c., qualora ne sussistano i presupposti). Ma, e soprattutto, quel che offre l’articolo 1578 non può qualificarsi come un’alternativa – oppure una fattispecie – “supplente” – rispetto all’istituto dell’articolo 1460, dato che i contenuti delle disposizioni sono distinti.

L’articolo 1460, infatti, fornendo un’autotutela stragiudiziale, non è comparabile, per la sua natura provvisoria e, per così dire, contingente, con la formazione di un giudicato quale è l’ordinario esito dell’esercizio di un’azione giudiziaria.

3.9.8 Sulla natura dell’istituto di cui all’articolo 1460 si è soffermata da ultimo Cass. sez. 3, ord. 29 marzo 2019 n. 8760 (massimata, tra l’altro, come segue: “L’eccezione di inadempimento, anche se sollevata in buona fede, non ha effetti liberatori ma solo sospensivi; pertanto, quando ad essa faccia seguito una pronuncia di risoluzione del contratto per inadempimento della parte contro cui fu sollevata l'”exceptio inadimpleti contractus”, gli effetti risarcitori, liberatori e restitutori della risoluzione restano disciplinati dalle previsioni dell’articolo 1458 c.c. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva erroneamente attribuito all’eccezione ex articolo 1460 c.c., un effetto liberatorio non considerando che, una volta risolto il contratto di durata, nella specie di affitto di azienda, l’effetto della risoluzione non poteva travolgere l’obbligo del pagamento dei canoni).”). Nella motivazione, la pronuncia rileva che l’articolo 1460 “consente, a chi abbia vanamente atteso l’esatto adempimento della prestazione contrattuale dovutagli, di rifiutare l’adempimento della propria prestazione sino a quando il contraente infedele non adempia od offra di adempiere la propria”; sarebbe un “retaggio del principio emerso nel diritto intermedio fides non est servanda ei qui frangit fidem, e – in sintonia con tale millenaria tradizione – non può essere invocato quomodolibet, ma è soggetto alla condizione che il rifiuto di adempiere… non sia contrario a buona fede “avuto riguardo alle circostanze”.”. Dato atto che la giurisprudenza di legittimità (come sopra già si è visto) ha sempre precisato che la buona fede cui si riferisce dell’articolo 1460, comma 2, non è soggettiva (la mera incolpevole ignoranza di ledere il diritto altrui non può quindi legittimare l’inadempimento) bensì oggettiva, onde per stabilirne la sussistenza il giudice di merito deve verificare se l’inadempimento della controparte abbia davvero influito sull’equilibrio sinallagmatico del contratto, così da legittimare la sospensione “reattiva”, l’arresto rimarca pure che la buona fede oggettiva esige, altresì, che “la difesa sia proporzionata all’offesa”, per cui soltanto un inadempimento integrale legittima una sospensione integrale della prestazione corrispettiva.

La pronuncia in seguito giunge proprio a dispiegare la sua analisi sulle conseguenze dell’applicazione dell’articolo 1460, osservando che la relativa eccezione di inadempimento “è un rimedio necessariamente temporaneo”, dal quale può derivare una delle tre ipotesi seguenti: in primo luogo, “se l’inadempimento che l’ha provocata persiste, esso condurrà alla risoluzione del contratto, e l’eccipiente sarà liberato dalla propria obbligazione”; in secondo luogo, se l’inadempimento di controparte cessa, “cessa anche il diritto di autotutela dell’eccipiente, il quale sarà perciò obbligato all’adempimento”; e infine, se l’inadempimento di controparte risulta insussistente oppure inidoneo a giustificare l’eccezione (il che – può ben aggiungersi – giuridicamente equivale), “l’eccipiente sarà tenuto all’adempimento, ovvero sarà esposto all’azione di risoluzione per inadempimento”. Ne consegue che l’exceptio inadimpleti contractus mai potrà “avere effetti liberatori, ma solo effetti sospensivi, transeunti della “forza di legge” del contratto. Gli effetti liberatori potranno scaturire solo dalla risoluzione del contratto, sia essa giudiziale, automatica o consensuale”. Peraltro, qualora si tratti di un contratto di durata, ai sensi dell’articolo 1458 c.c., la risoluzione non potrà “travolgere le obbligazioni sorte nel periodo in cui il contratto ebbe esecuzione”.

3.9.9 In effetti, ciò che maggiormente rileva in questa sede è proprio la natura di “rimedio necessariamente temporaneo” dell’eccezione di inadempimento. L’articolo 1460 è un paradigma dell’esecuzione del contratto che ne prevede la sospensione; ma, proprio perchè attiene alla fase esecutiva, non incide “alla radice”, ovvero sul contratto in sè come vincolo cui le parti si sono reciprocamente avvinte spendendo la loro autonomia giuridico-negoziale (articoli 1321, 1322 e 1372 c.c.). Non si è, pertanto, sul piano dell’articolo 1578, che incide direttamente sulla fonte delle obbligazioni – il contratto, appunto – apportandone la risoluzione o la riequilibrante riforma del sinallagma.

Tale divergenza ontologica spicca con maggiore intensità nel contratto di durata – quale è il contratto locatizio – secondo l’arresto appena richiamato, per cui ai sensi dell’articolo1458 c.c. la risoluzione non può “travolgere le obbligazioni sorte nel periodo in cui il contratto ebbe esecuzione”. Questo profilo necessita, peraltro, una precisazione.

L’articolo 1458 disciplina gli effetti della risoluzione del contratto per inadempimento, dotandoli di retroattività tranne per le prestazioni già eseguite nei “contratti ad esecuzione continuata o periodica”. È ben logico che la forma progressiva di un contratto di durata implichi la salvezza dei giuridici effetti degli “autosufficienti” segmenti anteriori all’inadempimento che ha poi cagionato la risoluzione: e infatti la norma circoscrive questa salvezza agli effetti delle “prestazioni già eseguite”, che, trattandosi di contratti a prestazioni corrispettive, si sono relazionate come corrispettivo l’una dell’altra e il cui contenuto, pertanto, non può essere oggetto di restituzione. Ma nel caso in cui sia stata sospesa la prestazione da una parte in riferimento all’articolo 1460, occorre dirimere, focalizzando le due configurabili fattispecie, la vicenda giuridica dell’esecuzione contrattuale.

In primis, se una parte – sospende ex articolo 1460 legittimamente – ovvero, rispettando il canone della buona fede oggettiva, che qui si traduce nella reale sussistenza dell’inadempimento di controparte e nella proporzionalità sinallagmatica della reazione ad esso -, ciò significa che, una volta esercitata la suddetta autotutela in reazione a permanente. inadempimento, nessuna prestazione più sussiste. E di questi inadempimenti, quello illegittimo della controparte dell’eccipiente genera (ovviamente, se ne ha l’importanza adeguata: articolo 1455 c.c.) la risoluzione del contratto – “sia essa giudiziale, automatica o consensuale”, come rileva l’appena esaminata Cass. ord. 8760/2019 -. L’effetto liberatorio si riverberà, allora,

anche nei contratti di durata entro questi limiti, ovvero per le prestazioni che non sono state eseguite, incluse quelle che non sono state eseguite per fondata eccezione ex articolo 1460, salvo ovviamente ogni profilo risarcitorio rispetto all’illecito contrattuale.

Qualora, invece – seconda ipotesi -, una parte eccepisca ex articolo 1460 in modo non corretto, id est non del tutto conforme alla buona fede oggettiva, nel contratto locatizio può verificarsi ugualmente la risoluzione, come si evince, oltre che dall’articolo 1455, proprio dall’articolo 1578. Se, infatti, ad avvalersi dell’articolo 1460 è il conduttore, sospendendo però in toto la corresponsione del canone a fronte di un vizio che diminuisce in modo apprezzabile ma non assoluto l’utilizzabilità della cosa locata, trattandosi di contratto di durata l’effetto della risoluzione potrà retroattivamente rendere inesigibile la prestazione sospesa soltanto (qualora, ovviamente, si aderisca all’orientamento che concede anche al conduttore di opporre l’eccezione di adempimento inesatto) nella parte in cui la sospensione, come diminuzione contingente del canone, sia stata proporzionale all’inadempimento del locatore.

3.9.10 Chiarito, allora, il divario ontologico che separa l’articolo 1460 dall’articolo 1578, consegue ictu oculi che la presenza dell’articolo 1578 tra le norme che regolano il tipico contratto locatizio – e che quindi sono norme speciali rispetto al genus contrattuale – non assume un’incidenza tale da deprivare, come propugna l’orientamento seguito dalla corte territoriale, il conduttore dal generale strumento di autotutela tranne nel caso estremo dell’assoluta inutilizzabilità della cosa locata. L’importanza della prestazione, per così dire, permanente del locatore, ovvero la detenzione dell’immobile da parte del conduttore che è derivata dalla consegna, non è sufficiente (anche se è la sottesa “ratio interpretandi” di un siffatto orientamento atrofizzante l’articolo 1460) per compiere e cristallizzare la realizzazione esecutiva del sinallagma, ovvero per escludere definitivamente la sussistenza di buona fede oggettiva nella reazione sospensiva del conduttore alle inadempienze del locatore rispetto alle ulteriori sue obbligazioni.

E se, allora, la permanenza della detenzione della cosa locata è compatibile con la sospensione totale del canone nel caso in cui l’inutilizzabilità di detta detenzione renda totale anche l’inadempimento del locatore, qualora invece sussista ancora un grado di utilizzabilità dell’immobile locato, ovvero una “quota” di adempimento del locatore, il conduttore potrà sospendere in proporzione il versamento del canone, applicandosi quindi integralmente l’articolo 1460 e seguendo, per effettuarne nel concreto la corretta applicazione, il parametro posto nel comma 2 dell’articolo, ove lo si evince a contrario: se non corrisponde alla buona fede oggettiva sospendere l’adempimento nel caso in cui l’inadempimento o l’adempimento inesatto di controparte “avuto riguardo alle circostanze” non giustifichi la sospensione, viceversa la sospensione è corrispondente alla buona fede oggettiva quando “avuto riguardo alle circostanze” l’inadempimento o l’adempimento inesatto del locatore è tale da giustificare il rifiuto di adempimento del conduttore. E in questo raffronto sintonizzante non può non venire inclusa pure la sospensione parziale – quindi la determinazione proporzionale del quantum del canone sospeso -, proprio perchè (cfr. articolo1218 c.c.) si tratta di una reazione che deve essere il consequenziale riverbero non solo di un inadempimento, ma come il più delle volte è configurabile nel contratto locatizio quando l’eccipiente è il conduttore che permanga nella detenzione dell’immobile – anche di un adempimento inesatto (exceptio rite non adimpleti contractus).

3.9.11 Sempre sottesa alla impostazione – qui, appunto, ormai manifestata come non condivisibile – dell’inapplicabilità della exceptio rite non adimpleti contractus nel contratto locatizio da parte del conduttore sussiste altresì la convinzione della illegittimità di una autoriduzione del canone, non potendo il conduttore determinare unilateralmente il quantum decurtabile; convinzione che, agevolmente, ha condotto a confondere la sospensione parziale con un’autoriduzione stabile, così da rientrare nel paradigma dell’articolo1578 c.c., come unico mezzo di tutela del conduttore in caso di inadempimento non “assoluto” del locatore.

Tale erronea osmosi è in buona parte derivata dalla conformazione che per decenni ha rivestito il contratto di locazione di immobile ad uso abitativo, strumento, prima ancora che giuridico, direttamente sociale, nel quale pertanto la determinazione del canone veniva cristallizzata dalla voluntas legis (v., per mero esempio, l’ancora relativamente recente Cass. sez. 3, 28 luglio 2004 n. 14234, per cui “in tema di locazione di immobili urbani ad uso abitativo, la cosiddetta autoriduzione del canone (e, cioè, il pagamento di questo in misura inferiore a quella convenzionalmente stabilita, per effetto di una unilateralmente asserita esorbitanza di tale ultima misura rispetto all’importo inderogabilmente fissato per legge) costituisce fatto arbitrario del conduttore, illegittimo e contrario al principio dell’esecuzione del contratto secondo buona fede, che provoca il venir meno dell’equilibrio sinallagmatico del negozio, essendo, poi, devoluta ai poteri del giudice, ai fini dell’accertamento della gravità dell’inadempimento così realizzatosi, la valutazione dell’importanza dello squilibrio tra le prestazioni con riguardo all’interesse del locatore in relazione al suo diritto di ricevere il canone in misura legale.”; e un esempio del “contagio” anche alla species del contratto privo di canone legale si rinviene, sempre in epoca non particolarmente risalente, in Cass. sez. 3, 16 luglio 2002 n. 10271 – per cui “in tema di locazione di immobili urbani per uso diverso da quello abitativo, la cosiddetta autoriduzione del canone (e, cioè, il pagamento di questo in misura inferiore a quella convenzionalmente stabilita) costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore che provoca il venir meno dell’equilibrio sinallagmatico del negozio, anche nell’ipotesi in cui detta autoriduzione sia stata effettuata dal conduttore in riferimento al canone dovuto a norma dell’articolo 1578 c.c., comma 1, per ripristinare l’equilibrio del contratto, turbato dall’inadempimento del locatore e consistente nei vizi della cosa locata. Tale norma, infatti, non dà facoltà al conduttore di operare detta autoriduzione, ma solo a domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, essendo devoluta al e potere del giudice di valutare l’importanza dello squilibrio tra le prestazioni dei contraenti.”-).

Il contesto in cui si muove il diritto vivente è ora notoriamente diverso, per cui non occorre soffermarvisi. Non sussistono più peculiarità che possano giustificare l’inibizione, a un conduttore che eccepisce ex articolo 1460, della sospensione parziale del canone, nel senso di determinarne una contingente e provvisoria trattenuta: ovvero, l’inibizione della exceptio rite non adimpleti contractus. L’eventualità di una determinazione del quantum non del tutto conforme alla buona fede oggettiva, d’altronde, è propria di qualunque contratto a prestazioni corrispettive; e, come si è visto, l’articolo 1578 non costituisce affatto – per la sua differente natura – uno specifico diniego all’applicazione dell’articolo 1460 nel paradigma locatizio.

3.9.12 Il “rischio” della non percezione da parte dell’eccipiente dell’oggettivo parametro della buona fede è insito, appunto, in ogni applicazione dell’articolo 1460. E in un contesto realmente complessivo, d’altronde, l’autotutela sostanziale o comunque stragiudiziale non è affatto rifiutata o compressa dal diritto vivente, che, al contrario, tende proprio a rendere extrema ratio la tutela alternativa, ovvero quella giurisdizionale (c.d. degiurisdizionalizzazione), così che i litigatores contribuiscano – in adempimento dei doveri di solidarietà di cui all’articolo 2 Cost. – all’efficienza della giurisdizione quando è realmente necessaria, id est alla celebrazione del giusto processo in ragionevole durata temporale.

Dunque, in conclusione, neppure sotto questo profilo emergono elementi atti ad inficiare il riconoscimento al conduttore nel contratto locatizio della completa utilizzabilità dell’articolo 1460, non potendosi non condividere, invece, la linea interpretativa che, come si è visto, tra gli arresti massimati, è stata manifestata fin da Cass. sez. 3, 7 marzo 2001 n. 3341, e seguita da Cass. sez. 3, 11 febbraio 2005 n. 2855 e da Cass. sez. 3, ord. 22 settembre 2017 n. 22039. Questa risulta invero l’unica interpretazione corretta, nell’odierno contesto ordinamentale, dell’autotutela che l’articolo 1460 conferisce al conduttore in caso di inadempimento del locatore, autotutela non atrofizzabile dalla tipicità del contratto, in quanto – in ultima analisi consistente nell’applicazione della buona fede oggettiva nell’esecuzione contrattuale.

3.9.13 Rilevato, in conclusione, che la corte territoriale, in punto di diritto, si è espressa in modo non condivisibile quanto alla eccezione per inadempimento ex articolo 1460 – il che ha coinvolto pure l’ulteriore questione dell’azione risolutoria per inadempimento ai sensi dell’articolo 1578 – deve peraltro constatarsi che il motivo risulta comunque inaccoglibile.

L’inadempimento della locatrice che, secondo la ricorrente, avrebbe potuto giustificare sia l’eccezione sospensiva del canone, sia poi la domanda ex articolo 1578, sarebbe stato, infatti, da identificarsi nel mancato ottenimento della certificazione di agibilità dell’immobile. Per quanto constatato a proposito dei precedenti motivi, tuttavia, la corte territoriale – cui compete,tale accertamento di merito – ha ritenuto che il mancato ottenimento non è stato provato come derivante da inadempimento della locatrice. L’errore in jure del giudice d’appello (che, d’altronde, come risulta in modo evidente dai passi sopra riportati, ha fornito una motivazione tutt’altro che apparente per esternare il suo convincimento in fatto e in diritto) sia quanto all’eccezione sia quanto alla domanda de quibus quindi non incide, avendo l’accertamento fattuale escluso radicalmente un inadempimento attribuibile a (OMISSIS).

3.9.14 Occorre dare atto, per completezza, che il ricorso termina con un punto 10 intitolato “Sulla domanda riconvenzionale rimasta assorbita”, ove si chiede che questa Suprema Corte, se decide nel merito, accolga le domande riconvenzionali principali e subordinate, considerando il 7 novembre 2015 la data del rilascio e determinando l’ultimo canone nella somma di Euro 11.224. Quanto si è finora osservato, invece, non conduce alla decisione nel merito, bensì, con evidenza, al rigetto del ricorso.

Al rigetto consegue la condanna della ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo. Sussistono inoltre Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2012, ex articolo 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 8000, oltre a Euro 200 per esborsi e agli accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo d contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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