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Cassazione Civile 17030/2021 – Atto non qualificabile come controricorso –  Memoria depositata ai soli fini di partecipare all’udienza di discussione

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Ordinanza 17030/2021

Atto non qualificabile come controricorso –  Memoria depositata ai soli fini di partecipare all’udienza di discussione

Nell’ambito del procedimento camerale di cui all’art. 380 bis.1 c.p.c. (introdotto dall’art. 1 bis del d.l. n. 168 del 2016, convertito con modificazioni dalla l. n. 196 del 2016), alla parte contro cui è diretto il ricorso, che abbia depositato un atto non qualificabile come controricorso in quanto privo dei requisiti essenziali previsti dagli artt. 370 e 366 c.p.c., nel periodo che va dalla scadenza del termine per il deposito del controricorso alla data fissata per l’adunanza camerale è preclusa qualsiasi attività processuale, sia essa diretta alla costituzione in giudizio o alla produzione di documenti e memorie ai sensi degli artt. 372 e 380 bis.1 c.p.c. (In applicazione di tale principio la S.C. ha dichiarato inammissibile la memoria depositata da chi si era costituito ai soli fini di partecipare all’udienza di discussione).

Cassazione Civile, Sezione Tributaria, Ordinanza 16-6-2021, n. 17030   (CED Cassazione 2021)

Art. 370 cpc (Controricorso)

Art. 372 cpc (Produzione di altri documenti in cassazione)

 

 

Ritenuto in fatto

1.La società (OMISSIS) s.r.I., la quale ha in concessione dal Comune di
Cattolica, dall’anno 2010, la gestione dell’area demaniale marittima e di mare
territoriale per la realizzazione e gestione di una struttura dedicata alla nautica
da diporto nell’ambito portuale di Cattolica, denominata darsena esterna,
impugnava quattro avvisi di accertamento e irrogazione delle sanzioni per
l’omesso pagamento della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi – pari ad
euro 71269,31 per le aree scoperte ed euro 16.169,01 per le aree coperte –
relativamente alle annualità di imposta 2008-2011, aree per le quali, la società
contribuente aveva omesso di presentare la denuncia di detenzione e
occupazione.

Esponeva che nell’anno 2010 aveva stipulato con l’ente comunale contratto di
concessione dell’area, il quale prevedeva all’art. 7 che il concessionario
assumeva l’obbligo di provvedere alla pulizia delle banchine e all’adozione delle
misure previste nel Piano portuale della raccolta di rifiuti, mentre l’autorità
comunale affidava il servizio pubblico di prelievo dei rifiuti ad una impresa. In
aggiunta, sosteneva che la Capitaneria di Porto di Rimini aveva imposto il
conferimento dei rifiuti delle navi ed il prelievo in ambito portuale alla società
(OMISSIS) srl.

La CTP di Rimini respingeva il ricorso. Proponeva appello la società contribuente.

La CTR dell’Emilia Romagna con sentenza n. 2329/2016, depositata il
26.09.2016, accoglieva parzialmente il gravame, sul presupposto che la
Capitaneria di Porto operava la raccolta di rifiuti in ambito diverso da quello in
cui agiva l’amministrazione comunale, in quanto ai sensi dell’art. 105 letti) del
d.lgs. n. 112/98, erano state attribuite ai porti le funzioni amministrative di
interesse regionale ad eccezione di quelle attinenti alla sicurezza della
navigazione, mentre la Regione, con I. n. 9/2002, aveva attribuito dette funzioni
per il porto di Cattolica al Comune medesimo.

Statuiva, poi, che il d.lgs. n. 182/2003 regola e disciplina la raccolta dei rifiuti
prodotti dalle navi, comprendendo anche i rifiuti relativi alle strutture portuali
(banchine, navi ormeggiate) e che il piano portuale della raccolta dei rifiuti aveva
appaltato alla società designata “(OMISSIS) srl” detti compiti.
In particolare, i giudici regionali motivavano che il contratto stipulato tra la
contribuente e la società (OMISSIS) concerneva i rifiuti prodotti dalle unità di diporto
con contratto di ormeggio ( rifiuti denominati garbage) solitamente assimilabili
agli urbani nonchè quelle prodotti dalle imbarcazioni in transito; il che trovava
conferma nella circostanza che la società (OMISSIS) aveva sigillato i raccoglitori di
rifiuti all’interno del porto turistico, essendo essa competente solo per i rifiuti
garbage delle navi, mentre per i rifiuti derivanti dalla pulizia dell’area portuale la
competenza era del Comune.

Accoglieva, invece la domanda proposta, in via subordinata, relativa al calcolo
delle aree tassabili, ordinando al Comune il ricalcolo delle imposte dovute sulla
base di misurazioni diverse da quelle adottate dall’ente comunale.
Ricorre per la cassazione della sentenza la società (OMISSIS) affidando
il gravame ad un unico motivo.

Il Comune di Cattolica non ha spiegato difese, chiedendo la declaratoria di
inammissibilità del ricorso e nominando il difensore per la partecipazione
all’udienza. Ha depositato memorie difensive in prossimità dell’udienza.

Ritenuto in diritto

2. Preliminarmente occorre premettere che la nuova disciplina, stabilita in sede
di conversione ed immediata applicazione del decreto legge 31 agosto 2016n.
168 convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197 (in G. U.
n. 254 del 29 ottobre 2016) recante “Misure urgenti per la definizione del
contenzioso presso la Corte di Cassazione, per l’efficienza degli uffici giudiziari,
nonché per la giustizia amministrativa”, prevede una uniformazione della
trattazione in camera di consiglio di tutti quei giudizi che non hanno natura
nomofilattica; le relative disposizioni “si applicano ai ricorsi depositati
successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto”, vale a dire il 30 ottobre 2016, “nonché a quelli già depositati
alla medesima data per i quali non è stata fissata adunanza in camera di
consiglio” (ex articolo 1 bis, comma 2, della Legge 25 ottobre 2016, numero
197, di conversione con modifiche del Decreto Legge 31 agosto 2016, numero
168).

Nella fattispecie, va precisato che pur non avendo il Comune intimato depositato
controricorso, ma solo atto di costituzione del difensore per la partecipazione
all’udienza di discussione, tuttavia ha depositato la successiva memoria
depositata in data 7 aprile 2021, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., •
svolgendo per la prima volta le ragioni di resistenza al ricorso.

Sebbene il «mero controricorso» abbia una struttura semplice, consistendo in
una risposta al ricorso principale, non si deve sottovalutarne la funzione, che
non consiste nella mera “partecipazione al giudizio” della parte intimata,
dovendo esso comunque contenere i contro-motivi in iure rispetto ai motivi di
impugnazione formulati dal ricorrente.

Per tale ragione questa Corte ha dichiarato l’inammissibilità di un atto
denominato “atto di costituzione”, siccome ritenuto non qualificabile come
controricorso, sostanziandosi il relativo contenuto nella semplice dichiarazione
di costituirsi in giudizio “al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di
discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1. (Cass. n.
9983/2019).

Risulta, infatti, in tal modo, violato il combinato disposto di cui agli artt. 370
cod. proc, civ. e 366 primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in base ai quali il quali
il controricorso deve, a pena di inammissibilità, contenere l’esposizione dei
motivi di diritto su cui si fonda, costituendone requisito essenziale (v. Cass.,
13/3/2006, n. 5400).

Anche nell’ambito del procedimento camerale di cui all’art. 380 bis.1 cod. proc.
civ. – introdotto dall’art. 1 bis del d.l. n. 168 del 2016, ‘ convertito con
modificazioni dalla L. n. 196 del 2016 -, alla parte contro cui è diretto il ricorso
che abbia depositato – come nel caso di specie — un atto non qualificabile come
controricorso, in quanto privo dei requisiti essenziali previsti dagli artt. 370 e
366 c.p.c., nel periodo che va dalla scadenza del termine per il deposito del
controricorso alla data fissata per la discussione del ricorso per cassazione è
preclusa, pertanto, qualsiasi attività processuale, sia essa diretta alla
costituzione in giudizio o alla produzione di documenti e memorie ai sensi degli
artt. 372 e 378 cod. proc. civ. (cfr. Cass. n. 8056/2021;, n. 10813/2019; Cass.
n. 9601/2021; n. Cass., 25/09/2012, n. 16261; Cass., 09/03/2011, n. 5586).
In conclusione, la parte, pure in presenza di regolare procura speciale ad litem,
non è legittimata neppure, come nel caso in esame, a depositare memorie
illustrative (cfr. Cass. nn. 10813/2019, 24422/2018, 25735/2014), sulla base
del principio affermato con riferimento alla trattazione della causa in pubblica
udienza, ma che deve essere esteso anche al procedimento in camera di
consiglio di cui all’art. 380 bis.1 c.p.c., introdotto dal DL 31 agosto 2016 n. 168
conv. in legge 25 ottobre 2016 n. 197 (cfr.anche Cass. n. 26974 del 2017; Cass.
n. 10813/2019; n. 7737/2021; n. 7738/2021).

3.Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente censura I sentenza per violazione e
falsa applicazione del’art.62 del D.Ivo 507/1993, nonché degli art. 2 e 5 del d.lgs.
n. 182/2003, degli artt. 104 e 105 del d.lgs. n. 112/98, degli artt. 36 e 37 cod.
navig., in relazione all’art.360 n.3 c.p.c.

Si lamenta che il d.lgs. n. 112/98 avrebbe dovuto essere letto in correlazione
con il d.lgs. n. 182/2003, la cui esegesi condurrebbe ad affermare che l’autorità
portuale ha competenza in materia di raccolta di rifiuti nell’ambito degli impianti
portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi, con la conseguenza che,
all’epoca della notifica degli avvisi, l’autorità marittima che aveva la competenza
a provvedere alla cura dei rifiuti, ne aveva affidato la raccolta alla società (OMISSIS).
Insistendo poi sugli obblighi derivanti dall’art. 7 del contratto di concessione che
le imponeva di provvedere alla pulizia delle banchine ed all’adozione delle misure
previste nel piano portuale della raccolta dei rifiuti e sulla circostanza che il d.lgs.
n. 182/2003, nel disciplinare la raccolta dei rifiuti dalle navi, regolerebbe altresì
la gestione degli impianti e del porto nell’ambito del quale non è possibile non
provvedere alla raccolta dei rifiuti.

Insiste, infine, sull’applicazione del Piano di raccolta e di gestione dei rifiuti
approvato dalla capitaneria del Porto di Rimini, con ordinanza n. 90/07, che
individua l’impianto portuale, e del disposto dell’art. 62 comma 5 del d.lgs. n.
507/93, laddove stabilisce che sono esclusi dalla tassa i locali e le aree scoperte
per i quali non sussiste l’obbligo dell’ordinario conferimento dei rifiuti solidi
urbani ed equiparati in regime di privativa comunale.

4. La censura è destituita di fondamento.

Nella specie, è pacifico in atti che tutte le aree tassate delle quali si controverte
siano oggetto di concessione demaniale rilasciata alla società contribuente.
Ciò posto, va rilevato che il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62 configura come
presupposto della tassa, in alternativa all’occupazione, “…la detenzione di locali
ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti…”, là dove l’uso comune delle aree è
assunto dal successivo art. 63 come fonte di obbligazione solidale di pagamento
in capo a “…coloro che usano in comune i locali o le aree stesse”.

Difatti, è compatto l’orientamento di questa Corte secondo cui la tassa per lo
smaltimento dei rifiuti solidi urbani, in virtù del D.Lgs. 15 novembre 1993, n.
507, art. 62, comma 1, che costituisce previsione di carattere generale, è dovuta
unicamente per il tatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi
uso adibiti (ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie ad
abitazioni); sia le deroghe alla tassazione indicate nel comma 2, medesimo art.
62, sia le riduzioni delle tariffe stabilite dal successivo art. 66 non operano in via
automatica, in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di tatto,
dovendo, invece, i relativi presupposti essere di volta in volta dedotti nella
denuncia originaria o in quella di variazione (Cass., 13 agosto 2004,
n. 15867; Cass. 5 agosto 2004, n. 15083; Cass. 18 dicembre 2003, n. 19059 e,
più recente, Cass., ord. 3 novembre 2010, n. 22370). L’art. 62, comma 1, d.lgs.
n. 507 del 1993 pone una presunzione legale relativa di produzione di rifiuti,
sicchè, al fine dell’esenzione dalla tassazione prevista dal comma 2 del citato
art. 62 per le aree inidonee alla produzione di rifiuti per la loro natura o perché
la detenzione è esercitata da terzi, è onere del contribuente indicare nella
denuncia originaria o in quella di variazione le obiettive condizioni di
inutilizzabilità e provarle in giudizio in base ad elementi obiettivi direttamente
rilevabili o ad idonea documentazione (Cass. n. 19469 del 2014).

La natura demaniale di un bene concesso in suo a terzi è di per sé del tutto
irrilevante ai fini dell’assoggettamento della relativa area a TARSU, se produttiva
di rifiuti solidi urbani (Cass. n. 3829 del 2009). La natura demaniale dei beni non
costituisce elemento idoneo ad escludere, per quanto riguarda la tassa oggetto
della controversia, la potestas impositiva del Comune sulla sua estensione atteso
che tale potestà, con il concorso delle condizioni di legge, potenzialmente si
estende (argomentando dal primo comma dell’art. 58 del d.lgs. n. 507 del 1993
allorchè contempla non solo il “centro urbano” ma anche le “frazioni” ed i “nuclei
abitati” nonché, comunque, le “zone del territorio comunale con insediamenti
sparsi”) a tutto il “territorio comunale”.

4.1 Questa Corte con sentenza n. 3829 del 2009 ha affermato che: “Ai fini della
delimitazione di un territorio come comunale bisogna avere riguardo ai confini
geografici dello stesso e non già alla natura od alla qualità dei beni immobili
compresi nel perimetro di quei confini; per nozione scolastica, infatti, “tutto il
territorio dello Stato” è ripartito (art. 114 Cost.) tra Regioni, Province e Comuni
per cui ciascuna parte di esso è normalmente ad un tempo elemento costitutivo
dello Stato, di una Regione, di una Provincia e di un Comune”.

L’art. 62, comma 5, d.lgs. n. 507 del 1993 esclude” dalla tassa i locali e le aree
scoperte per i quali non sussiste l’obbligo dell’ordinario conferimento dei rifiuti
solidi urbani interni ed equiparati in regime di privativa comunale per effetto di
norme legislative o regolamentari, di ordinanze in materia sanitaria, ambientale
o di protezione civile ovvero di accordi internazionali riguardanti organi di Stati
esteri”.

L’art. 21, comma 8, d.lgs. n. 22 del 1997, nel disciplinare le competenze dei
comuni in materia di rifiuti statuisce che: “sono fatte salve le disposizioni di cui
all’art. 6, comma 1, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, e relativi decreti
attuativi”. L’art. 6, comma 1, lett. c) legge n. 84 del 1994 istituisce le Autorità
portuali in determinati porti con il compito, tra l’altro, di “affidamento e controllo
dell’attività dirette alla fornitura a titolo oneroso agli utenti portuali di servizi di
interesse generale, non coincidenti né strettamente connessi alle operazioni
portuali di cui all’articolo 16, individuati con decreto del Ministero dei trasporti e
della Navigazione”.

Il decreto del Ministero dei Trasporti e della navigazione 14.11.1994 all’art. 1
precisa che “i servizi di interesse generale nei porti, di cui all’art. 6, comma 1,
lett. c) della legge 28 gennaio 1994, n. 84, da fornire a titolo oneroso all’utenza
portuale”.. .vanno identificati anche nei “servizi di pulizia e raccolta dei rifiuti”.
Dall’esame di tale quadro normativo emerge univocamente che l’attività di
gestione dei rifiuti nell’ambito dell’area portuale – da intendersi come spazio
territoriale in cui svolge i suoi compiti la singola Autorità portuale – rientra nella
competenza di quest’ultima, la quale per legge è tenuta ad attivare il relativo
servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti fino alla discarica. Ne deriva, per
esclusione, che la relativa attività sfugge alla competenza in materia dei Comuni,
che invece normalmente agiscono in questo ambito in regime di privativa, i quali,
sono di conseguenza privi anche di ogni potere impositivo, atteso che, essendo
quella dei rifiuti una tassa, esso non può evidentemente configurarsi in favore di
un soggetto diverso da quello che espleta il servizio (Cass.23583/2009; n.
31058/2018). Presupposto di tale affermazione è, tuttavia, che sia stata istituita
l’Autorità portuale.

La legge 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale)
ha istituito con l’art. 6 la figura dell’Autorità portuale nei porti di Ancona, Bari,
Brindisi, Cagliari, Catania, Civitavecchia, Genova, La Spezia, Livorno, Marina di
Carrara, Messina, Napoli, Palermo, Ravenna, Savoia, Taranto, Trieste e Venezia.
Successivamente sono state istituite le Autorità portuali di Piombino (d.P.R.
20.3.1996), di Gioia Tauro (d.P.R. 16.7.1998), di Salerno (d.P.R. 23.6.2000), di
Olbia e Golfo degli Aranci (d.P.R. 29.12.2000), di Augusta ( d.P.R. 12.4.2001),
di Trapani (d.P.R. 2.4.2003) e di Manfredonia (legge n. 350 del 2003).

Non è contemplato il porto di Cattolica. Ne consegue che al momento dei fatti
per cui si procede non era stata istituita l’Autorità portuale del Comune di
Cattolica e non si è quindi verificata la condizione che escluderebbe il potere
impositivo del predetto Comune.

Se l’istituzione dell’Autorità portuale si pone dunque come causa di esclusione
dalla tassa rifiuti, inquadrabile nella fattispecie contemplata al comma 5 dell’art.
62 del D.Lgs. n. 507/1993, ne segue, per converso, che nelle zone portuali prive
di tale Autorità riemerga la competenza e la privativa comunale in ordine
all’istituzione e alla prestazione del servizio di igiene urbana; e correlativamente
trovi spazio applicativo il tributo che al servizio si correla, sia esso la tassa o la
tariffa, in base alle disposizioni ordinarie.

Nella specie oggetto del giudizio è il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti
solidi urbani svolto dal comune e le somme pretese sono riferite alla parte fissa
della tariffa, mentre non hanno ad oggetto i rifiuti speciali che sono esclusi dal
ciclo di gestione dei rifiuti urbani e che possono essere smaltiti dall’utente anche
attraverso soggetti terzi rispetto a quello affidatario del servizio di raccolta e
smaltimento dei rifiuti urbani.

4.2 Nel caso in esame è indubitabile che le aree in questione rientrassero nella
detenzione della società contribuente, in forza della concessione demaniale.
Nella specie, la ricorrente afferma che, per convenzione, aveva l’obbligo di
pulizia delle banchine – il che non significa che provvedesse in proprio allo
smaltimento dei rifiuti urbani né che detta circostanza lo esonerasse
dall’imposizione fiscale – e che l’autorità portuale, attraverso la società (OMISSIS),
svolgeva il servizio di conferimento di rifiuti delle navi ed il prelievo in ambito
portuale, affermazionè che si infrange sull’impianto motivazionale adottato dalla
CTR, nella parte in cui, a pagina 3 della sentenza, ha accertato, invece, che
detta società aveva sigillato i contenitori all’interno del porto e che in realtà essa
svolgeva il servizio di raccolta dei rifiuti prodotti dalle unità di diporto con
contratto di ormeggio, vale a dire i rifiuti denominati Garbage e rifiuti assimilabili
a quelli urbani e per quelli per le imbarcazioni in transito, mentre il Comune
aveva competenza per la pulizia dell’area portuale.

La TARSU, secondo l’indirizzo prevalente della giurisprudenza di legittimità, è
una tassa, ossia un tributo che il singolo soggetto è tenuto a versare in relazione
ad una utilità che egli trae dallo svolgimento di una attività svolta da un ente
pubblico. Come tale, il potere di imposizione non può connettersi ad un soggetto
diverso da quello che espleta il servizio, in ottemperanza ad un espresso disposto
legislativo. Ne consegue che avendo il Comune di Cattolica svolto il servizio di
pulizia e raccolta dei rifiuti, in ragione della mancata istituzione della Autorità
portuale, è autorizzato a chiedere il pagamento della TARSU alla società
ricorrente.

5.Per i rilievi espressi, il ricorso va rigettato.

In assenza di difese svolte dall’amministrazione comunale, non vi è luogo a
provvedere sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte

– rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del d.p.r. n.115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.

Così deciso nell’adunanza camerale della quinta sezione civile della Corte di
cassazione del 21.04.2021, tenuta da remoto.