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Cassazione Civile 1704/2016 – Imposta comunale sugli immobili (ICI) – Variazioni permanenti intervenute sull’unità immobiliare

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Sentenza 1704/2016

Imposta comunale sugli immobili (ICI) – Variazioni permanenti intervenute sull’unità immobiliare

In tema d’imposta comunale sugli immobili (ICI), l’art. 5 del d.lgs. n. 504 del 1992 consente, in presenza di variazioni permanenti intervenute sull’unità immobiliare, di determinare l’imponibile sulla base di una rendita presunta, permanendo l’obbligo a carico del contribuente di provvedere alla richiesta del nuovo accatastamento. Ne consegue che gli immobili (nella specie, cd. costruzioni ferroviarie censite nella categoria catastale E/1) erroneamente classificati in una categoria non conforme alla destinazione d’uso, non possono essere esentati da imponibilità ove tale errato classamento sia stato determinato da una omissione del contribuente, che non abbia provveduto a denunciare l’effettivo utilizzo del cespite, non essendo onere dell’ente impositore richiedere all’ufficio competente la modifiche della rendita preesistente nell’ipotesi di negligenza del soggetto per legge onerato.

Cassazione Civile, Sezione Tributaria, Sentenza 29 gennaio 2016, n. 1704  (CED Cassazione 2016)

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia concerne l’impugnazione, proposta con distinti ricorsi, di sette avvisi di accertamento ai fini ICI per gli anni dal 1998 al 2003 relativamente ad una unità immobiliare – identificata al fg. (OMISSIS), num. (OMISSIS) – facente parte del complesso immobiliare sito nello scalo ferroviario comunale denominato “(OMISSIS)”, accatastato in Cat. E/1. Tale accatastamento derivava dalla proposta avanzata il (OMISSIS) luglio 2000 dalla società in sede di procedura DOCFA che prevedeva appunto la collocazione dell’immobile in Cat. E/1 con una rendita di euro 55.364,18: la proposta veniva emendata dall’Agenzia del Territorio in data 4 luglio 2001 limitatamente alla rendita, che veniva elevata ad euro 83.046,27.

L’accertamento del Comune costituiva l’esito di un procedimento che prendeva le mosse dalla richiesta di revisione del classamento avanzata dall’ente locale il 22 maggio 2002 nei confronti dell’Agenzia del Territorio per rilevata incongruità della classificazione catastale rispetto all’effettivo uso dell’immobile che di fatto era svolto dalla società ferroviaria. L’Agenzia del Territorio il 19 ottobre 2004 invitava la società a produrre idonea denuncia di variazione indicando tutte le unità immobiliari che in ragione della relativa concreta utilizzazione dovessero essere classificati in altra più appropriata categoria catastale. Non avendo dato seguito la società a tale invito, l’ente locale procedeva a notificare i ricordati avvisi di accertamento con i quali contestava l’omessa presentazione della dichiarazione, nonchè l’omesso versamento dell’imposta dovuta, irrogando le relative sanzioni.

Il Comune, nel costituirsi nel giudizio di impugnazione proposto dalla società contribuente avverso i predetti atti impositivi, chiedeva in via istruttoria che il giudice adito ordinasse alla società la produzione dei contratti di locazione relativi all’immobile oggetto dell’accertamento ed autorizzasse la chiamata in causa dell’Agenzia del Territorio al fine della verifica del classamento catastale coerente con l’effettivo utilizzo del bene.

La Commissione adita, riuniti i ricorsi, li accoglieva, sostenendo che il Comune non aveva alcun potere di rettifica in ordine al classamento catastale dell’immobile, ed annullava gli atti impositivi impugnati. Successivamente alla pronuncia della sentenza, il Comune in data 4 agosto 2006 invitava ancora una volta (e questa volta agendo sulla base della Legge n. 311 del 2004, art. 1, comma 336) la società a provvedere all’aggiornamento della classificazione catastale e sollecitava il 10 agosto 2006 in senso analogo, e sulla stessa base normativa, l’Agenzia del Territorio.

Verificata l’inerzia tanto della società, quanto dell’Agenzia del Territorio, l’ente locale proponeva appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, la quale, con la sentenza in epigrafe, confermava la decisione di prime cure.

Nelle more del giudizio d’appello il Comune aveva nuovamente sollecitato l’Agenzia del Territorio ad una rettifica del classamento, questa volta sulla base del Decreto Legge n. 262 del 2006, art. 2, comma 41. In pendenza del termine per la proposizione del ricorso per cassazione la società provvedeva a presentare dichiarazione di variazione dell’immobile di cui è causa, che veniva frazionato in due diverse unità, con accatastamento in Cat. D/8 e D/7.

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale il Comune di Villadossola propone ricorso per cassazione con quattro motivi. La società (OMISSIS) S.p.A. resiste con controricorso, illustrato anche con memoria e integrato da produzione documentale ex art. 372 codice procedura civile.

MOTIVAZIONE

  1. Con il primo motivo di ricorso, l’ente locale ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 277 codice procedura civile, come richiamato dall’art. 359 codice procedura civile e dal Decreto Legislativo n. 546 del 1992, art. 35, comma 3, nonchè omessa motivazione su un punto decisivo, lamentando che la sentenza impugnata non abbia “esposto adeguatamente le ragioni della decisione” e non abbia offerto, in particolare, una ragionata valutazione delle istanze istruttorie avanzate dal Comune, tanto in primo, quanto in secondo grado.
  2. Il motivo è inammissibile sulla base di un consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui: “in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 codice procedura civile, comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponì bili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 codice procedura civile, per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse”(Cass. n. 19443 del 2011; v. anche Cass. n. 21611 del 2013). Nè risultano articolati il quesito di diritto, che obbligatoriamente deve chiudere la censura sulla violazione di legge prospettata, e (separatamente) il quesito di fatto (o momento di sintesi), che altrettanto obbligatoriamente deve chiudere la censura per vizio di motivazione, nel regime stabilito dall’art. 366-bis codice procedura civile, applicabile nella specie ratione temporis (v. Cass. n. 15242 del 2012; v. anche Cass. n. 12248 del 2013).
  3. Con il secondo motivo l’ente locale ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione delDecreto Legislativo n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lettera c), nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia con riferimento alla asserita impossibilità per il Comune di ritenere imponibile un immobile iscritto in Cat. E anche se utilizzato per lo svolgimento di attività commerciali o industriali.
  4. Il motivo – che deve essere corretto quanto all’esattezza del richiamo normativo, dato che nel caso si discute dell’esenzione ai sensi delDecreto Legislativo n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lettera b) e non lettera c), – presenta gli stessi profili di inammissibilità del motivo precedente e l’esame dello stesso deve essere limitato al dedotto profilo della violazione di legge, perchè è esclusivamente con riferimento alla stessa che viene formulato il quesito di diritto nei seguenti termini: “Dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se – nel regime previgente all’entrata in vigore dell’art. 2, commi 40-44, convertito in Legge n. 286 del 2006 – in presenza di un immobile iscritto in Cat. E/1, ma utilizzato di fatto per lo svolgimento di attività non compatibili con tale categoria catastale, allo stesso immobile avrebbe comunque dovuto essere riconosciuta l’esenzione ICI prevista dalDecreto Legislativo n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lettera c) (rectius b) ovvero se lo stesso immobile avrebbe dovuto essere considerato imponibile ai fini ICI in relazione alla sua effettiva destinazione d’uso”.
  5. La formulazione in questi termini del quesito di diritto impone che la censura sia valutata congiuntamente a quella formulata con il quarto motivo di ricorso, con il quale l’ente locale denuncia violazione e falsa applicazione del Decreto Legge 3 ottobre 2006, n. 262, art. 2, commi 40-44, convertito dalla Legge (OMISSIS) novembre 2006, n. 286, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, con riferimento alla ritenuta natura innovativa della richiamata disposizione normativa.

5.1. Vanno confermate in proposito le osservazioni circa le ragioni di inammissibilità della censura già considerate in relazione al primo e al secondo motivo di ricorso e in relazione alla limitazione anche in questo caso dell’esame del motivo al solo profilo della denunciata violazione di legge per la formulazione del quesito di diritto e non anche del quesito di fatto.

5.2. Con il quesito di diritto si chiede: “Dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se alla disposizione introdotta dal Decreto Legge 3 ottobre 2006, n. 262, art. 2, commi 40-44, convertito dalla Legge (OMISSIS) novembre 2006, n. 286, debba essere riconosciuta portata innovativa rispetto alla legislazione precedente, ovvero se la procedura di revisione dell’accatastamento di unità immobiliari iscritte in Cat. E, ma di fatto destinate allo svolgimento di attività commerciali o industriali, (poteva) essere adottata dall’Ufficio del Territorio anche prima dell’entrata in vigore di tale normativa, con efficacia ai fini ICI a decorrere dal 1 gennaio dell’anno successivo a quello a cui riferire la mancata presentazione della denuncia catastale corretta, in analogia con quanto previsto dalla Legge n. 311 del 2004, art. 1, commi 336-339”.

  1. Le sopra riportate censure sono fondate alla luce delle seguenti considerazioni.

6.1. Il Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lettera b), che ha istituito dell’ICI, stabilisce che sono esenti dall’imposta tutti “i fabbricati classificati o classificabili nelle categorie catastali da E/1 a E/9”. In particolare in Cat. E/1 sono collocate le Stazioni per servizi di trasporto, terrestri, marittimi ed aerei, che sono state considerate esenti in ragione del fatto che in tali locali sono svolte attività strettamente connesse all’esercizio del servizio ferroviario.

6.2. Questa deve essere ritenuta la ratio legis della norma agevolatrice e il costante orientamento di questa Corte in merito ai regimi di esenzione previsti alle varie lettere del Decreto Legislativo n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, è sempre stato nel senso del condizionamento dell’agevolazione all’effettivo e diretto esercizio nell’immobile delle attività esenti (v. Cass. n. 15025 del 2015 e n. 14094 del 2010, con riferimento alla agevolazione prevista dalla lettera a) della richiamata norma; nonchè Cass. n. 14226 del 2015 e n. 4502 del 2012, con riferimento alla agevolazione prevista dalla lettera i) della stessa norma).

  1. Il legislatore – constatato un utilizzo distorsivo dell’agevolazione, in quanto molti immobili accatastati unitariamente in Cat. E risultavano costituiti anche da unità immobiliari destinate ad uso diverso e dotate di autonomia funzionale e reddituale – ha disposto, con il Decreto Legge 3 ottobre 2006 n. 262, art. 2, commi da 40 a 44, convertito con modificazioni dalla Legge (OMISSIS) novembre 2006, n. 286, l’aggiornamento della classificazione di tutte le unità immobiliari di Cat. E, prevedendo che:

– 40. Nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale.

– 41. Le unità immobiliari che per effetto del criterio stabilito nel comma 40 richiedono una revisione della qualificazione e quindi della rendita devono essere dichiarate in catasto da parte dei soggetti intestatari, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto. In caso di inottemperanza, gli uffici provinciali dell’Agenzia del territorio provvedono, con oneri a carico dell’interessato, agli adempimenti previsti dal regolamento di cui al Decreto Ministeriale finanze 19 aprile 1994, n. 701; in tale caso si applica la sanzione prevista dal Regio Decreto Legge 13 aprile 1939, n. 652, art. 31 convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 agosto 1939, n. 1249, e successive modificazioni, per le violazioni dello stesso Regio Decreto Legge n. 652 del 1939, artt. 20 e 28, nella misura aggiornata dalla Legge 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 338.

– 42. Con provvedimento dei Direttore dell’Agenzia del territorio, nei rispetto delle disposizioni e nel quadro delle regole tecniche previste dal codice dell’amministrazione digitale, di cui al Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto e da pubblicare nella Gazzetta Ufficiate, sono stabilite le modalità tecniche e operative per l’applicazione delle disposizioni di cui ai commi 40 e 41, nonchè gli oneri di cui al comma 41.

– 43. Le rendite catastali dichiarate ovvero attribuite ai sensi dei commi 40, 41 e 42 producono effetto fiscale a decorrere dal 1 gennaio 2007.

– 44. Decorso inutilmente il termine di nove mesi previsto dal comma 41, si rende comunque applicabile la Legge 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 336, e successivi provvedimenti attuativi.

  1. Nel prevedere l’obbligo di procedere alla rettifica di tutti gli accatastamenti degli immobili iscritti in Cat. E entro il 30 luglio 2007 (termine mai rinviato a seguito della sua scadenza), il legislatore aveva previsto da subito che, in mancanza del rispetto di tale termine, si sarebbe reso applicabile la Legge n. 311 del 2004, art. 1, comma 336, (Finanziaria per l’anno 2005), a norma del quale:

“I Comuni, constatata la presenza di immobili di proprietà privata non dichiarati in Catasto ovvero la sussistenza di situazioni di fatto non più coerenti con i classamenti catastali per intervenute variazioni edilizie, richiedono ai titolari di diritti reali sulle unità immobiliari interessate la presentazione di atti di aggiornamento redatti ai sensi del regolamento di cui al D.M. finanze 19 aprile 1994, n. 701. La richiesta, contenente gli elementi constatati, tra i quali, qualora accertata, la data cui riferire la mancata presentazione della denuncia catastale, è notificata ai soggetti interessati e comunicata, con gli estremi di notificazione, agli uffici provinciali dell’Agenzia del territorio. Se i soggetti interessati non ottemperano alla richiesta entro novanta giorni dalla notificazione, gli uffici provinciali dell’Agenzia dei territorio provvedono, con oneri a carico dell’interessato, alla iscrizione in catasto dell’immobile non accatastato ovvero alla verifica del classamento delle unità immobiliari segnalate, notificando le risultanze del classamento e la relativa rendita. Si applicano le sanzioni previste per le violazioni del Regio Decreto Legge 13 aprile 1939, n. 652, art. 28 convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 agosto 1939, n. 1249, e successive modificazioni.

Le rendite catastali dichiarate o comunque attribuite a seguito della notificazione della richiesta del Comune di cui al comma 336 producono effetto fiscale, in deroga alle vigenti disposizioni, a decorrere dal 1 gennaio dell’anno successivo alla data cui riferire la mancata presentazione della denuncia catastale, indicata nella richiesta notificata dal Comune, ovvero, in assenza della suddetta indicazione, dal 1 gennaio dell’anno di notifica della richiesta del Comune”.

8.1. La disposizione sopra richiamata ha, quindi, chiarito che le rendite hanno necessariamente efficacia anche per gli anni pregressi, ove le stesse costituiscano l’unico dato corretto per indicare l’effettivo valore degli immobili ai fini impositivi, con ciò legittimando i Comuni a recuperare l’ICI per tutti gli anni ancora liquidabili o accettabili anche con riferimento ad immobili regolarmente denunciati presso l’Ufficio del Territorio, ove gli stessi fossero stati dichiarati sulla base di una valore inferiore a quello derivante dalla rendita definitiva attribuita dal Catasto, ovvero sulla base di una Categoria non conforme alla effettiva destinazione d’uso dell’immobile.

  1. Sicchè deve ritenersi che l’esenzione ICI potesse essere riconosciuta agli immobili classificati o classificabili nelle categorie catastali da E/1 a E/9, soltanto ove tale accatastamento fosse risultato corrispondente con l’uso di fatto di tali immobili, anche prima della modifica normativa introdotta dal Decreto Legge n. 262 del 2006, art. 2, comma 43, convertito dalla Legge n. 286 del 2006, il quale aveva espressamente disposto l’aggiornamento, da parte dei titolari, della classificazione di tutte le unità immobiliari di Cat. E, stabilendo che “nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale”.
  2. Molto chiara appare in proposito la circolare dell’Agenzia delle entrate n. 4 del 16 maggio 2006 – Modalità di individuazione e classamento delle unità immobiliari urbane censibili nei gruppi speciale e particolare D ed E – la quale, chiarendo alcune problematiche connesse al classamento degli “immobili a destinazione speciale e particolare”, in relazione all’applicazione delle procedure previste dalla Legge n. 311 del 2004, art. 1, comma 336, sottolinea come in merito alla cd. costruzioni ferroviarie il criterio catastale della localizzazione tendeva a far rientrate nella “nozione di stazione una serie di altri beni, purchè siano interni al “recinto” della stazione medesima e situati nel tratto limitato dagli scambi estremi della stazione”.

10.1. Un’idea “da correlare alla constatazione del carattere prevalentemente strumentale dei beni immobili in parola, sebbene gli stessi presentassero destinazioni non strettamente omogenee con le infrastrutture destinate al trasporto pubblico”. “Di fatto”, continua la Circolare, “si deve rimarcare come, fino alla prima metà del secolo XX, negli apparati di stazione le porzioni di immobili destinate alle attività non strettamente connesse al trasporto (come bar, rivendite e similari) costituivano in genere fattispecie marginali o comunque scarsamente frequenti e per di più i diritti reali in capo ai suddetti immobili erano di norma riconducibili allo Stato. In tale particolare contesto, dunque, ai fini del classamento, era stata attribuita maggiore rilevanza ai requisiti di “destinazione prevalente” e di “localizzazione” rispetto a quelli di autonoma utilizzabilità e redditività, nonchè ai criteri oggettivi, quali la destinazione e le altre caratteristiche fisiche, di ogni “cespite indipendente”.

10.2. Da allora sono, tuttavia, intervenuti significativi mutamenti: “in particolare, per le più rilevanti infrastrutture relative ai trasporti pubblici, si è assistito ad un progressivo e radicale processo di parcellizzazione delle attività con cessione a soggetti terzi di rami di attività collaterali a quello istituzionale, con una crescente attenzione all’utilità produttiva anche nella gestione dei servizi pubblici”. Ne è risultato un mutamento del quadro di riferimento, che ha reso “necessaria una complessiva rivisitazione dei criteri di individuazione dei beni riconducibili nella nozione di unità immobiliare, sia essa stazione per trasporti terrestri, marittima, aeroportuale o portuale, ovvero di diversa destinazione funzionale”. La Circolare ritiene, quindi, che “il citato criterio localizzativo necessiti di una rilettura che superi la nozione geografica di “recinto” e tenga conto della nuova realtà ed in particolare della destinazione funzionale e delle caratteristiche proprie di ciascuna unità immobiliare, in conformità a quanto stabilito dalla normativa catastale”: cioè sono “da ricomprendere nell’unità immobiliare – stazione esclusivamente gli immobili o loro porzioni strumentali all’attività del trasporto, vale a dire solo quegli immobili utilizzati a titolo esclusivo dal soggetto giuridico erogante il servizio pubblico per l’esercizio della propria specifica attività”.

10.3. La citata Circolare ne conclude che “l’insieme degli immobili afferenti alla stazione, nei senso sopra precisato, non può pertanto essere riferito ad un luogo fisico continuo, ma ad un contesto astratto definito da relazioni strettamente funzionali. Il criterio localizzativo, cioè, non può costituire il parametro di riferimento essenziale, allorchè nell’ambito del “recinto stazione” siano individuabili costruzioni o loro porzioni destinate ad attività, per così dire “non istituzionali”, in quanto non strettamente correlabili al trasporto. Di conseguenza gli eventuali esercizi commerciali, immobili a destinazione ricettiva od altro, pur ricompresi nel recinto di una stazione od aeroporto (ad es. duty free, centri commerciali, dormitori, ostelli, depositi per le merci, bar, ristoranti, ecc.) devono essere censiti sulla base delle loro caratteristiche intrinseche derivanti dalla loro destinazione oggettiva e reale e non possono essere inglobati nell’infrastruttura utilizzata per trasporto pubblico, avente classamento nella categoria E/1″.

  1. Nella medesima prospettiva la Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 4 del 13 aprile 2007 – Decreto Legge 3 ottobre 2006, n. 262, art. 2, commi 40 e seguenti, – Accertamento in catasto delle unità immobiliari urbane censite nelle categorie particolari E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 – Censimento delle porzioni di tali unità immobiliari destinate ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato, ovvero ad usi diversi, già iscritte negli atti del catasto – osserva che “l’intervento del legislatore prodotto con ilDecreto Legge n. 262 del 2006si correla con la preesistente disciplina che regola l’ordinamento del catasto, attraverso un univoco indirizzo circa le modalità di accatastamento di questo particolare segmento immobiliare, che incide sulla prassi operativa pregressa, garantendone l’uniforme applicazione da parte degli operatori”. Per le stesse finalità con la citata circolare n. 4 del 16 maggio 2006 “erano stati già anticipati indirizzi tecnici e procedurali concernenti unità immobiliari a destinazione particolare” che fossero “di tipo complesso, in quanto comprendenti diverse attività (ad esempio: fiere, stazioni di trasporto terrestri dove sono normalmente presenti oltre al servizio di trasporto, zone ad uso commerciale, ad ufficio, ecc.)”. In proposito “la corretta individuazione delle diverse unità costitutive dei compendi immobiliari complessi (ora indicati) veniva ricondotta alla stessa nozione di “unità immobiliare”, così come definita nella normativa catastale e sinteticamente identificata nel “minimo perimetro immobiliare, caratterizzato da autonomia funzionale e reddituale”. Da questa definizione del modello base del catasto fabbricati discendeva pertanto un chiaro ed unitario indirizzo comportamentale, espresso dalla necessità di articolare ovvero scorporare dai suddetti compendi ogni immobile o porzione di immobile rispondente alla nozione sopra richiamata, rispettivamente nei casi di nuova costruzione o variazione, ovvero di unità già censite”.

11.1. Orbene, afferma la Circolare n. 4 del 2007, “questo indirizzo ha trovato conferma nella norma primaria”(ossia nel Decreto Legge 3 ottobre 2006, n. 262, art. 2, commi 40 e seguenti, che non rappresenta, pertanto, una disciplina innovativa), norma che “disciplina in modo esplicito il classamento delle unità immobiliari censite nelle categorie del gruppo E, escludendo peraltro le categorie E/7 ed E/8”.

  1. Alla luce delle indicazioni espresse dalle esaminate circolari dell’Agenzia delle entrate deve ritenersi che alla Legge n. 311 del 2004, art. 1, commi 336-339, si debba riconoscere l’attribuzione all’Agenzia del Territorio del potere di procedere direttamente ex officio alla variazione catastale per gli immobili classati in Cat. E che, negli anni antecedenti alla modifica normativa introdotta dalDecreto Legge n. 262 del 2006, non risultassero essere stati adibiti ad uso istituzionale, così trasformando il potere di impulso alla correzione da parte del proprietario che l’Agenzia poteva già esercitare in precedenza. Sicchè sulla base dello stesso criterio previsto dalla Legge n. 311 del 2004, art. 1, commi 336-339, l’efficacia del nuovo classamento, costituendo la corretta rappresentazione dell’effettiva destinazione d’uso dell’immobile anche negli anni pregressi, ben avrebbe potuto essere applicato ai fini ICI a decorrere dal 1 gennaio dell’anno successivo a quello a cui riferire la mancata presentazione della denuncia catastale corretta.
  2. Da quanto sin qui considerato deriva che debba ritenersi fondato -una volta escluso ancora una volta l’esame del vizio di motivazione per mancata formulazione del relativo quesito di fatto – anche il terzo motivo di ricorso con il quale l’ente locale ricorrente denuncia violazione ed errata applicazione delDecreto Legislativo n. 504 del 1992, art. 5, comma 4, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia per asserita impossibilità per il Comune di procedere all’accertamento ICI sulla base di valori presuntivi.

13.1. Invero il classamento iscritto in atti catastali, se non rispecchiasse l’effettiva destinazione d’uso dell’immobile, determinerebbe il riconoscimento di una aprioristica (quanto irragionevole) esenzione dall’ICI, sulla base di una destinazione d’uso dell’immobile completamente diversa da quella reale, in contraddizione con il principio costituzionale che vuole che le imposte siano parametrate alla effettiva capacità contributiva. Alla luce del doveroso rispetto di siffatto principio, il classamento del bene in Cat. E – ove la destinazione d’uso sia diversa rispetto a quella dichiarata all’atto dell’accatastamento – non può (e non poteva nemmeno prima del 2006) costituire un impedimento al riconoscimento della sua imponibilità, in particolare ove tale errato accatastamento sia stato determinato da un’omissione del contribuente, che non abbia provveduto a denunciare a Catasto l’effettiva destinazione d’uso del cespite.

  1. Questa Corte ha già avuto modo di osservare che “ilDecreto Legislativo n. 504 del 1992, art. 5, nel consentire al contribuente, in presenza di variazioni permanenti intervenute sull’unità immobiliare ed aventi rilevanza sull’ammontare della rendita catastale, di determinare l’imponibile sulla base di una rendita presunta, costituita da quella dei fabbricati similari, non esclude l’obbligo del contribuente di provvedere alla richiesta del nuovo accatastamento, alla luce degli eventi sopravvenuti, modificativi della rendita catastale preesistente. Nessuna norma, di contro, pone a carico del Comune il medesimo obbligo di richiedere all’ufficio competente la modifica della rendita preesistente nell’ipotesi di negligenza del contribuente per cui la sentenza impugnata che, di contro, ha affermato la sussistenza di detto obbligo (almeno come condizione per l’esercizio dell’afferente potere di accertamento) deve essere cassata in quanto fondata su di un erroneo principio giuridico”(Cass. n. 19196 del 2006; v. ancheCass. n. 1576 del 2005).

14.1. Nel caso di specie, come in quello considerato nella citata sentenza n. 19196 del 2006, il Comune “non si è affatto sostituito all’Ufficio competente nel potere a questi spettante di attribuzione della nuova rendita all’immobile”, ma, constatata la rilevanza catastale della modificata destinazione d’uso, si è mantenuto nell’esercizio dei suoi poteri di liquidazione e di accertamento dell’imposta, considerando la “vecchia” rendita catastale (corrispondente alla situazione anteriore) come rendita di riferimento ritenuta più aderente alla nuova situazione, limitandosi a non riconoscere l’esenzione dei beni in questione, pur a fronte della classificazione in Cat. E/1 ormai da ritenersi erronea.

  1. Non muta i termini della questione, così come precisati, la sentenza n. 47/01/11 della Commissione Tributaria Provinciale di Verbania, passata in giudicato, che la società controricorrente ha prodotto in atti ai sensi dell’art. 372 codice procedura civile unitamente alla memoria depositata ai sensi dell’art. 378 codice procedura civile, anche a voler prescindere dalla dubbia legittimità di tale produzione. Il giudicato in parola, intervenuto tra parti diverse da quelle contrapposte nel presente giudizio, annulla “l’atto di mancata accettazione di variazione DOCFA”, presentata dalla società qui controricorrente in data 13 maggio 2010. Ma non ne consegue per questo una illegittimità dell’azione accertatrice del comune normativamente sorretta dalla disposizione di cui alla Legge n. 311 del 2004, art. 1, commi 336-339.
  2. Pertanto il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, che provvederà anche in ordine alle spese della presente fase del giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte.