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Cassazione Civile 1707/2010 – Esercizio dell’azione contrattuale – Successiva azione di ingiustificato arricchimento – Decorrenza della prescrizione

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Sentenza 1707/2010

 

Esercizio dell’azione contrattuale – Successiva azione di ingiustificato arricchimento – Decorrenza della prescrizione

Esperita un’azione contrattuale e passata in giudicato la sentenza di rigetto sulla stessa pronunciata, la prescrizione dell’azione di ingiustificato arricchimento successivamente esercitata non può farsi correttamente decorrere dal momento in cui la pronuncia giudiziale sull’azione contrattuale è divenuta irrevocabile, atteso che la richiesta di adempimento contrattuale e quella di indennizzo per l’ingiustificato arricchimento si pongono in una relazione di reciproca non fungibilità e non costituiscono articolazioni di una matrice fattuale sostanzialmente unitaria, ma derivano da diritti cosiddetti “eterodeterminati”, per la identificazione dei quali, cioè, occorre far riferimento ai relativi fatti costitutivi, tra loro sensibilmente divergenti sul piano genetico e funzionale.

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 27 gennaio 2010, n. 1707   (CED Cassazione 2010)

Articolo 2041 c.c. annotato con la giurisprudenza

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Ma.Ga. e De. Gr.Mi. , appaltatori del servizio di svuotamento dei pozzi neri del Comune di Lucera, considerato che quest’ultimo non aveva provveduto nè a versare i relativi contributi nè a pagare il corrispettivo dovuto, convenivano in giudizio detto Comune per sentir dichiarare risolto per inadempimento il contratto di appalto e condannare lo stesso ente al pagamento della somma dovuta.

Il Tribunale adito con sentenza del 17.5.1996, rigettava la domanda, stante la nullità del contratto d’appalto perchè non stipulato in forma scritta.

Tanto premesso, gli attori convenivano nuovamente il Comune di Lucera innanzi al Tribunale del luogo per ottenerne la condanna al pagamento di lire 66.277.980, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, a titolo di risarcimento del danno per indebito arricchimento ai sensi dell’articolo 2041 c.c..

Costituitosi in giudizio, il Comune eccepiva anzitutto l’avvenuta prescrizione del diritto fatto valere in giudizio, osservando che le prestazioni in ordine alle quali si rivendicava l’indennizzo risalivano gli anni 1984 e 1985 mentre la domanda giudiziale era stata proposta in data 28.3.1997, ad oltre dieci anni di distanza, senza che vi fossero stati in tale periodo validi atti interruttivi. In subordine, l’Ente eccepiva il difetto di legittimazione attiva degli attori e passiva di esso convenuto asserendo che, in conseguenza della nullità del contratto di appalto per difetto della forma prescritta dalla legge ad substantiam, il rapporto obbligatorio relativo alle vantate prestazioni si era instaurato direttamente tra gli attori e l’amministratore e/o il funzionario che le aveva illegittimamente autorizzate, nei confronti dei quali soltanto l’azione poteva essere promossa ai sensi del Decreto Legge 2 marzo 1989, n. 66, articolo 23 conv. in Legge 24 agosto 1989, n. 144; eccepiva ancora il Comune l’inammissibilità e improponibilità dell’azione di cui all’articolo 2041 c.c. sia per difetto del requisito della sussidiarietà, perchè nel caso di specie potevano essere esperite la citata azione Decreto Legge n. 66 del 1989, ex articolo 23, o quella prevista del Regio Decreto 25 maggio 1895, n. 350, articolo 72; sia per l’impossibilità da parte di esso Comune, totalmente estraneo al rapporto obbligatorio, di riconoscere l’utilità delle asserite prestazioni; l’Ente pubblico sosteneva, infine l’infondatezza nel merito della domanda ed, in subordine, nel caso di ritenuta fondatezza della stessa, chiedeva che la misura dell’indennizzo fosse limitata esclusivamente all’effettivo comprovato arricchimento.

Il Tribunale, con sentenza del gennaio 2002, respingeva l’eccezione di prescrizione e le altre eccezioni sollevate dall’Ente convenuto; accoglieva per quanto di ragione la domanda di indennizzo per arricchimento senza causa proposta dal Ma. e dal De. Gr. e condannava il predetto Ente al pagamento della somma di lire 19.658.632 (pari ad euro 10.152,84), oltre rivalutazione monetaria e interessi legali, nonchè alla rifusione delle spese di giudizio.

Avverso tale sentenza proponeva appello il Comune di Lucera, insistendo, in via principale, per il rigetto della domanda proposta dagli attori per intervenuta prescrizione del diritto preteso; in subordine, per la reiezione della stessa domanda, in conseguenza di una delle altre eccezioni sollevate e comunque per infondatezza nel merito della stessa; infine in via del tutto gradata, chiedeva – nell’ipotesi di ritenuta infondatezza dell’avversa pretesa – la limitazione dell’indennizzo all’effettivo e rigorosamente comprovato arricchimento di esso appellante.

La Corte d’Appello di Bari accoglieva l’appello e riformava l’impugnata sentenza rigettando la domanda avanzata ai sensi dell’articolo 2041 c.c. dal Ma. e dal De. Gr. ; compensava integralmente le spese processuali.

Proponevano ricorso per Cassazione Ma.Ma. , quale erede di Ma.Ga. , e De. Gr.Mi. .

Resisteva con controricorso il Comune di Lucera.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 2944 c.c. dell’articolo 2041 c.c. e dell’articolo 2042 c.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3)”.

I ricorrenti contestano la decisione della Corte di merito che ha ritenuto distinte la domanda di adempimento contrattuale, proposta dai ricorrenti nel precedente giudizio, e quella di arricchimento senza causa, proposta nel giudizio presente, considerando la prima non idonea ad interrompere il termine di prescrizione decennale del diritto fatto valere con la seconda. Sostengono in particolare Ma. e De. Gr. che il fatto costitutivo delle due domande è unico e che la domanda di risarcimento assorbe anche quella di indennizzo per ingiustificato arricchimento fondata sul medesimo fatto dal quale trae origine la responsabilità contrattuale. Ritengono quindi che avendo la domanda di arricchimento senza causa natura sussidiaria ex articolo 2042 c.c., il dies a quo per il computo del termine prescrizionale debba decorrere dal passaggio in giudicato della domanda di adempimento contrattuale.

I ricorrenti criticano infine la Corte d’Appello di Bari per non aver ritenuto le due lettere inviate dal Comune il 28.8.1990 e il 15.3.1996 idonee a manifestare il riconoscimento implicito dell’utilità del servizio da essi prestato e quindi idonee alla individuazione del dies a quo per la decorrenza del termine di prescrizione.

Il motivo, da un lato, non è autosufficiente perchè non riproduce le note alle quali si fa riferimento; dall’altro è inammissibile perchè implica una interpretazione e una valutazione nel merito da parte di questa Corte delle due suddette lettere in quanto idonee alla individuazione del termine iniziale della prescrizione. Tale valutazione non può essere invece effettuata perchè la motivazione della Corte d’Appello è sul punto congrua e priva di vizi logici o giuridici.

Ritiene in particolare l’impugnata sentenza, riguardo alla lettera del 28.8.1990, che essa non contiene affatto un riconoscimento del debito vantato da Ma. e da De. Gr. , ma soltanto un invito a questi ultimi da parte dell’Ufficio economato del Comune di Lucera a far pervenire idonea documentazione per poter avviare la pratica di riconoscimento degli asseriti debiti.

Quanto alla unicità del fatto costitutivo della domanda di adempimento contrattuale e di quella per indebito arricchimento (talchè il dies a quo per il computo del termine prescrizionale debba decorrere dal passaggio in giudicato della domanda di adempimento contrattuale), deve rilevarsi che è ormai tesi consolidata in giurisprudenza quella secondo la quale l’azione di arricchimento ha natura sussidiaria ed autonoma distinguendosi dalle azioni fondate su titolo negoziale sia per causa petendi che per petitum (Cass., Sez. un. 22.5.1996, n. 4712; Cass., 2 luglio 2003, n. 10409).

In tal senso si è in particolare affermato che la domanda giudiziale volta ad ottenere l’adempimento di un’obbligazione derivante da un contratto non vale ad interrompere la prescrizione dell’azione, successivamente esperita, di arricchimento senza causa, difettando il requisito della pertinenza dell’atto interruttivo all’azione proposta (identificata in base al petitum ed alla causa petendi), in quanto la richiesta di adempimento contrattuale e quella di indennizzo per l’ingiustificato arricchimento si pongono in una relazione di reciproca non fungibilità e non costituiscono articolazioni di una matrice fattuale sostanzialmente unitaria, ma derivano da diritti cosiddetti “eterodeterminati”, per la identificazione dei quali, cioè, occorre far riferimento ai relativi fatti costitutivi, tra loro sensibilmente divergenti sul piano genetico e funzionale (Cass., 30.4.2008, n. 10966).

Non si può dunque ritenere, come sostengono Ma. e De. Gr. , che la prescrizione dell’azione di ingiustificato arricchimento decorra dal momento del passaggio in giudicato della sentenza sulla azione contrattuale da loro precedentemente esperita.

Quanto infine al riconoscimento dell’utilità dell’opera o della prestazione, quale condizione per l’esperimento dell’azione di indebito arricchimento nei confronti della P.A. deve rilevarsi che tale riconoscimento può anche essere implicito purchè provenga dall’organo rappresentativo dell’Ente pubblico, nel caso del Comune il Sindaco e non l’assessore.

Con il secondo motivo i ricorrenti fanno valere “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti (articolo 360 c.p.c., n. 5)”.

I ricorrenti contestano in particolare la decisione della Corte d’Appello per non aver ravvisato nelle note del 28.9.1990 e del 15.3.1996 (almeno) un implicito riconoscimento da parte del Comune dell’utilità delle prestazioni effettuate dal Ma. e dal De. Gr. . Quindi, per non aver dato alle suddette note un’interpretazione tale da renderle idonee a concretizzare il riconoscimento implicito da parte del comune della utilità delle prestazioni rese dagli odierni ricorrenti; ciò al fine di poter affermare l’interruzione della prescrizione o per poter individuare l’inizio del decorso del relativo termine.

Il motivo dev’essere rigettato.

In primo luogo, infatti non è autosufficiente perchè il contenuto delle suddette note non è riprodotto nel contesto del ricorso, sì da consentire a questa Corte di valutarne autonomamente il contenuto.

D’altra parte l’interpretazione delle stesse implica un giudizio di merito che non è sindacabile in questa sede, tenuto conto della congruità della motivazione della sentenza della Corte d’Appello e dell’assenza in essa di vizi logici o giuridici.

Per tutte le ragioni che precedono il ricorso deve essere dunque rigettato mentre, tenuto conto della complessità della lite, si ritiene sussistano giusti motivi per un’integrale compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE

Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.

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