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Cassazione Civile 1720/2016 – Legato d’azienda

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Sentenza 1720/2016

Legato d’azienda

Il legato di azienda ha ad oggetto, salvo diversa volontà del testatore, il complesso unitario dei beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, comprensivo di tutti i rapporti patrimoniali di debito-credito che ad essa fanno capo, sicché, trovando applicazione le regole successorie, il legatario è tenuto al pagamento dei debiti aziendali, ancorché nei limiti del valore dell’azienda medesima, ex art. 671 c.c.

Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 29 gennaio 2016, n. 1720  (CED Cassazione 2016)

Art. 671 cc (Legati e oneri a carico del legatario) – Giurisprudenza

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La sentenza impugnata riferisce che (OMISSIS) con testamento pubblico del 2 febbraio 2000 lasciò in legato l’esercizio commerciale sito in (OMISSIS) al nipote (OMISSIS).

Deceduto il testatore, nello stesso anno altro nipote, (OMISSIS), chiese e ottenne decreto ingiuntivo per circa 600 milioni di lire nei confronti di (OMISSIS), nuovo titolare dell’impresa individuale, quale compenso per attività professionale di consulenza contabile svolta tra il 1989 e il 2000 a favore dell’azienda appartenuta allo zio.

Il tribunale di Palermo accolse l’opposizione a decreto ingiuntivo, osservando che ex art. 756 codice civile il legatario non è tenuto a pagare i debiti dell’eredità e che tale obbligo nella specie non era sorto neppure ex art. 671 codice civile (“il legatario è tenuto all’adempimento del legato e di ogni altro onere a lui imposto…”), in considerazione della natura del credito del professionista e in assenza di qualsiasi onere imposto dal testatore.

Di diverso avviso è stata la Corte di appello di Palermo, che con sentenza 30 dicembre 2009, notificata il 26 gennaio 2010, ha condannato l’ingiunto al pagamento di consistente parte del credito azionato, circa 193 mila euro.

(OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 23 marzo 2010, con due motivi.

L’intimato ha resistito con semplice controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

2) La Corte di appello ha ritenuto applicabili le norme di cui agli artt. 2558-2560 codice civile, previste per il trasferimento di azienda inter vivos, anche alla “successione mortis causa a titolo particolare, perchè dettate in ragione della stessa natura, complessa e “dinamica” del bene trasferito”.

Ha precisato che la responsabilità dell’acquirente è posta a tutela dei creditori e che l’acquirente che abbia pagato (nella specie il legatario) può rivalersi in via di regresso nei confronti dell’acquirente e quindi, nel caso di specie, degli eredi.

Ha limitato la responsabilità del legatario ai debiti risultanti dai libri contabili obbligatori ai sensi dell’art. 2560, comma 2.

2.1) Il legatario con il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione artt. 2558-2560 codice civile con riferimento all’art. 756 codice civile e insufficiente motivazione.

Deduce che un debito personale del de cuius, dallo stesso riconosciuto con le lettere del 1966 e 1997, è stato indebitamente posto a carico del legatario e non dell’eredità, senza che nel testamento fosse stato previsto alcun onere a carico del legato. Sostiene che, trattandosi di ditta individuale, il debito contratto prima del trasferimento dell’azienda con legato, anche se riferito a tale attività e riconosciuto con lettere personali, deve essere imputato a colui che l’ha ceduta e quindi al de cuius e ai suoi eredi.

Aggiunge che “le norme relative crediti e debiti aziendali regolano soltanto le conseguenze del trasferimento di azienda nei confronti dei terzi mentre nulla dicono circa la sorte delle attività e passività ad essa attinenti nel rapporto tra alienante e acquirente”.

Parte ricorrente afferma che l’art. 2560 regola i rapporti esterni e che quanto a quelli interni il passaggio dei debiti avviene a seconda della natura che si attribuisce all’azienda: universalità di diritto, che comprende i crediti e i debiti, o universalità di fatto che esclude i crediti-debiti dal passaggio.

Ne desume che “nei rapporti interni non possono passare al legatario ex art. 754 codice civile”.

2.2) Con il secondo mezzo, nel lamentare omessa e/o insufficiente motivazione “per la mancata applicazione dell’art. 756 codice civile con riferimento all’art. 752 codice civile”, (OMISSIS) ribadisce che il legatario non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari. Puntualizza, invocando Cass. civ., 16-12-1981, n. 6674, che il credito del professionista non rientra tra gli oneri imposti dal testatore, atteso che per tale credito non ricorre nè l’inerenza (così è da leggere la parola “inerzia”) alla res altrui, nè la relazione di garanzia della res medesima con l’aspettativa di soddisfazione del creditore, sicchè la corrispondente obbligazione può essere trasmessa al legatario (in luogo dell’erede) soltanto attraverso l’istituzione modale, sotto forma di onere.

Se così non fosse, osserva il ricorso, si potrebbero addebitare al legatario somme che, pur non essendo state indicate come oneri del legato, superano il valore della cosa legata.

Nella specie non sarebbe comunque stato provato che il credito riconosciuto a (OMISSIS) fosse onere imposto dal de cuius o di valore inferiore a quello dell’azienda legata.

2.3) Queste censure sono resistite da (OMISSIS), il quale osserva che oggetto del legato è un’azienda intesa come complesso universale di beni; che il credito azionato riguarda, come riconosciuto già dal tribunale, attività di consulenza contabile prestata in favore dell’impresa; che se il legato di azienda fosse configurato senza trasferimento dei pesi, si creerebbe un modo abusivo per liberare l’azienda dai debiti, scaricandoli su un erede, “magari non solvibile “, strumentalmente istituito.

3) Il ricorso non può essere accolto, pur se deve essere corretta la motivazione della sentenza impugnata.

Preliminarmente va escluso che costituisca precedente rilevante in causa la sentenza di questa Corte n. 6674/81, applicata dal tribunale di Palermo e citata in ricorso.

Essa infatti concerneva il compenso per l’attività professionale di ingegnere prestata per la realizzazione di una villa, che il testatore aveva destinato al convenuto legatario. La Corte riconobbe in quel caso, in forza dei principi riportati supra sub 2.2, che il debito personale derivato dall’incarico conferito dal de cuius non poteva essere posto a carico del legato ex art. 668 codice civile, in quanto il contratto di prestazione professionale non legava il credito all’immobile per il quale l'”opus” era stato prestato, ma al contraente, obbligato ex art. 2740 codice civile, senza vincoli a carico del bene.

Si è quindi del tutto fuori dalla tematica qui controversa, che attiene alla successione nei debiti aziendali allorquando il testatore nulla abbia disposto riguardo ad essi.

V’è da dire inoltre che non sono presenti in giudizio altri soggetti, nè risultano impugnate dai due contendenti la parte della sentenza impugnata in cui si afferma che l’acquirente-legatario, una volta soddisfatto il creditore aziendale, può rivalersi nei confronti di (eventuali altri) eredi o quella che limita il credito accertato alle risultanze contabili.

3.1) La tesi sostenuta in ricorso, che ricalca talune opinioni dottrinali, è nel senso che i debiti dell’impresa non si trasmettono al legatario di azienda, in mancanza di diversa disposizione del testatore.

Vuole inoltre che sia esclusa l’applicabilità del disposto dell’art. 2560 codice civile al legato di azienda.

Viene quindi riecheggiato quanto affermato in giurisprudenza da Cass. n. 284 del 1948 e da App. Palermo 17/1/1958 (Foro Padano, 1958, 1142).

3.1.1) La tesi accolta dalla sentenza impugnata è nel senso, postulato da una diffusa dottrina di impronta commercialistica, dell’applicabilità dell’art. 2560 codice civile, comma 2, per cui il legatario risponderebbe dei debiti risultanti dai libri contabili, potendo tuttavia rivalersi sugli eredi, a carico dei quali resta la passività aziendale.

La assenza di significativi precedenti giurisprudenziali ha favorito lo sviluppo di molteplici varianti dottrinali, che non è qui il caso di recensire, le quali spaziano da quella esposta in ricorso a quella che, per contro, postula l’esclusiva responsabilità del legatario per tutti i debiti aziendali.

4) Il Collegio ritiene che la questione vada decisa concentrando l’attenzione sul fenomeno successorio, senza che vi sia necessità di importare la disciplina dei debiti relativi all’azienda ceduta, che si fonda sull’accordo traslativo inter vivos e che mira alla tutela dei terzi creditori.

Per regolare il legato che abbia ad oggetto un’azienda è da considerare che, in mancanza (come nella specie stabilito dal giudice di merito) di specificazioni contenute nel testamento, oggetto del legato è l’azienda, da intendere come complesso dei beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, unitariamente considerato tale dall’imprenditore-testatore.

Le dottrine che scindono, in caso di successione testamentaria, la sorte dei debiti aziendali dal complesso unitario, si orientano in riferimento alla natura giuridica dell’azienda, facendo leva sulla distinzione dell’azienda come universitas iuris o come universitas facti.

Trattasi di operazione ermeneutica che sovrappone alla volontà del testatore una concezione giuridica elaborata ad altro fine.

Il testatore non può che intendere l’azienda destinata al legatario o a un erede per quello che è, cioè come un insieme comprensivo di tutti i rapporti patrimoniali di debito-credito che ad esso fanno capo. Nè è concepibile che il significato di una disposizione venga fatto dipendere non dal senso comune delle parole, ma dalla supposizione che a ogni testatore sia nota una sofisticata dottrina giuridica.

È evidente che a un bene o a un servizio acquisito al patrimonio aziendale che non sia stato ancora pagato corrisponde una posizione debitoria e che nel momento, di norma imprevedibile, in cui si apre la successione testamentaria, il complesso viene devoluto con tale consistenza al legatario: è questa, salvo diverse risultanze, la nozione comune di azienda che l’imprenditore assume allorquando, tacendo altre specificazioni, ne fa oggetto di legato testamentario.

La dissociazione tra attività e passività aziendali non ha quindi ragione di essere trasferita dalla normativa aziendalistica a quella successoria.

4.1) La destinazione del bene azienda non è voluta dal testatore in forza di un contratto con un acquirente, e il legatario onorato non è equiparabile a quest’ultimo.

Le regole successorie devono trovare applicazione prioritaria e sarebbero negate, ha osservato un’attenta dottrina, se a un’attribuzione a titolo gratuito venisse fatto conseguire un effetto particolarmente gravoso per l’erede onerato del legato, in contrasto con il generale criterio ermeneutico di cui all’art. 1371 codice civile.

Ciò pretende invece parte ricorrente, legataria, allorquando, in accordo con altra parte della dottrina, chiede che gli eredi, e non il legatario dell’azienda, siano riconosciuti obbligati per i debiti aziendali.

4.1.1) Tali debiti non sono da identificare con i debiti ereditari di cui all’art. 756 codice civile, che il legatario “non è tenuto a pagare”.

Sono infatti una componente del bene attribuito, che incombe per tale via sul legatario, così come ex art. 668 codice civile se la cosa legata è gravata da una servitù o da altro onere, il peso ne è sopportato dal legatario.

Nè si potrebbe comprendere altrimenti un legato delle sole attività aziendali, che non sia stato esplicitato al di là del senso comune del concetto di azienda.

4.2) L’alveo successorio entro cui va letta la vicenda, consente peraltro una “controtutela” per l’onorato, costituita dal disposto dell’art. 671 codice civile, che limita la responsabilità del legatario intra vires, cioè nei limiti del valore della cosa legata.

La sorte dei debiti aziendali insoddisfatti non può infatti penalizzare oltre i limiti posti da questa norma, che stabilisce un principio generale della disciplina de qua, chi dall’eredità è beneficiato, senza essere successore a titolo universale.

A quest’ultimo riguardo va osservato, in risposta all’ultimo profilo del secondo motivo di ricorso (cfr supra sub 2.2), che era onere di parte ricorrente, per escludere il proprio debito, dedurre e provare che il credito azionato dal professionista era superiore al valore del bene che le era stato destinato.

5) Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la compensazione delle spese di lite, attesa la sostanziale novità, sia pur allineata con opinioni dottrinali, della soluzione data alla rarissima questione esaminata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Spese compensate.