Sentenza 1723/2016
Possesso “solo animo” – Condizioni
Il possesso (o la detenzione) può essere conservato “solo animo”, purché il possessore (o il detentore) sia in grado di ripristinare “ad libitum” il contatto materiale con la cosa, sicché, ove tale possibilità sia di fatto preclusa da altri o da una obiettiva mutata situazione dei luoghi, l’elemento intenzionale non è, da solo, sufficiente per la conservazione del possesso (o della detenzione), che si perde nel momento stesso in cui è venuta meno l’effettiva disponibilità della cosa.
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 29 gennaio 2016, n. 1723 (CED Cassazione 2016)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1) È controverso il possesso di una porzione di un maggior fondo rustico sito in (OMISSIS).
(OMISSIS) (al quali sono succedute nelle more del giudizio di primo grado la figlia (OMISSIS) e la moglie (OMISSIS)) ed (OMISSIS) lamentarono nell’ottobre 1992 lo spoglio a parte dei coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS). Fu concesso dal pretore l’interdetto possessorio nei confronti dei convenuti.
Il GOA del tribunale di Avezzano ha revocato l’ordinanza di reintegra e rigettato la domanda, con sentenza del 2007. Il tribunale ha affermato che non era stata data prova di un possesso tutelabile.
La Corte d’appello nel novembre 2010 ha confermato la pronuncia di primo grado.
I ricorrenti hanno proposto ricorso per cassazione, notificato il 17 giugno 2011.
Parte intimata ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2) I quattro motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente.
Con il primo i ricorrenti lamentano a) violazione e falsa applicazione dell’art. 1140 codice civile e sostengono che le prove da essi addotte sono idonee a dimostrare che la Corte di appello avrebbe errato a ritenere che essi “avessero abbandonato il terreno dopo averlo posseduto per vari anni”.
Riportano alcune testimonianze e negano che un terreno non coltivato sia res derelicta. Lamentano che il possesso non sia stato riconosciuto esistente, sebbene essi avessero proceduto alla pulizia dell’area per due anni di seguito al fine di procedere al frazionamento, atti che “costituivano di per sè una ripresa del possesso, anche se fosse stato interrotto in precedenza”.
Deducono che l’avvenuta occupazione del fondo da parte dei (OMISSIS) era quindi uno spoglio del possesso e non una occupazione di terreno abbandonato.
Con il secondo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 1142 codice civile.
I ricorrenti, sulla premessa che era pacifico il loro possesso per lungo tempo, affermano che nel periodo in cui “si sarebbe verificato l’abbandono”il possesso doveva ritenersi conservato in virtù della presunzione stabilita dalla norma citata.
Con il terzo denunciano insufficiente e contraddittoria motivazione, sostenendo che non vi era prova dell’abbandono del fondo, come se il possessore non potesse tenere incolto il terreno a suo piacimento e le altre attività svolte (raccolta frutti, pulizia) non fossero atti idonei allo scopo.
Con il quarto motivo denunciano omessa motivazione in ordine a un profilo della sentenza di primo grado che era stato oggetto di impugnazione e su cui la Corte non si sarebbe soffermata, limitandosi al rigetto dell’appello. Si tratta della individuazione della porzione di terreno sui cui (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano esercitato il possesso, che i ricorrenti sostengono di aver precisato in appello come area circoscritta da due grossi solchi” individuati dal tecnico incaricato del frazionamento e su cui questi aveva reso testimonianza.
3) Il ricorso è infondato.
La Corte di appello si è ispirata espressamente (sia pur senza citazioni di precedenti specifici) a un principio di diritto più volte stabilito dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale per la conservazione del possesso o della detenzione “solo animo”, è necessario che il possessore (o il detentore) abbia la possibilità di ripristinare il rapporto materiale con la cosa quando lo voglia, con la conseguenza che qualora tale possibilità non risulti, il solo elemento intenzionale non è sufficiente per la conservazione del possesso (o della detenzione), che si perde nel momento in cui è venuta meno l’effettiva disponibilità del bene, (cfr Cass. 5444/99; 1253/00; 9226/05).
Da questo principio non v’è motivo di discostarsi.
Costituisce apprezzamento di merito stabilire caso per caso se vi sia stata prova del possesso iniziale, abbandono di esso e mantenimento della possibilità di riimmettersi nella disponibilità materiale del fondo.
Nella specie i giudici di merito hanno ritenuto insufficiente la prova di tutti questi elementi: anche dell’iniziale esistenza di una situazione possessoria.
Non è vero infatti che la Corte di appello abbia basato la decisione sul presupposto (punto b) del ricorso, pag. 7) che “i ricorrenti avessero avuto il possesso del fondo sino a quattro anni prima del lamentato spoglio per poi abbandonarlo”.
La Corte ha diversamente articolato la sentenza: in primo luogo ha ribattuto alle argomentazioni giuridiche relative alle regole su acquisto e conservazione del possesso, evocando il principio di diritto sopraricordato.
Nella seconda parte ha stabilito (punto 2 a pag. 4 primo rigo) che dalle risultanze istruttorie era emerso che il (OMISSIS) non coltivava il fondo da quattro anni, senza nulla dire sul precedente possesso.
Ha anzi premesso che solo la resistente (OMISSIS) aveva “visibilmente” coltivato una parte del fondo e ha richiamato sul punto, per confermarla (pag. 3 ultimo rigo), la sentenza di primo grado. Quest’ultima – che in quanto fatta propria dalla Corte va a integrare l’apparto motivazionale – non aveva affermato quanto sostenuto in ricorso.
Vi si legge infatti: che non era stata accertata la situazione di possesso dei ricorrenti, nè la demarcazione delle singole quote di terreno; che neppure l’istruttoria aveva giovato a parte ricorrente; “che l’intero fondo era nella disponibilità della (OMISSIS) negli anni 90”; che rispetto a questa situazione era irrilevante l’occasionale raccolta di frutti non coltivati o l’invio di un operaio per la eliminazione di sterpaglie o l’incarico per il frazionamento.
La Corte di appello ha confermato che l’insieme delle circostanze emerse in atti, riassunte alle pagine 3 e 4, portava a ritenere insussistente un “possesso attuale tutelabile” e dunque sia l’iniziale consolidarsi del possesso iniziale, sia la dimostrazione del mantenimento di una condizione tale da consentire, dopo l’ipotizzato abbandono del possesso, la sua conservazione “solo animo”.
Il ricorso, che presuppone preesistenza del possesso, fase di contestato abbandono e ripresa del possesso con i comportamenti sopra riferiti, non è idoneo a smentire la diversa ricostruzione de fatti.
Non può essere infatti riconsiderato in questa sede, in presenza di risultanze che sono state valutate in modo non illogico nè incoerente, l’apprezzamento secondo cui la resistente era stata (cfr. sentenza primo grado e punto 4 di pag. 4 sentenza appello) ed era nel possesso di tutto il fondo, condizione che esclude che altro soggetto possa agire in possessorio.
Su di essa il ricorso è elusivo, non affrontando la questione, pur decisiva.
Inoltre invano viene chiesto, come sostanzialmente vorrebbe il ricorso, un nuovo esame delle acquisizioni istruttorie o la scelta tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione.
Questa scelta spetta infatti al giudice di merito, che ha il solo obbligo, pienamente assolto nella specie, come emerge dalla stessa esiguità dei comportamenti definiti possessori e dalla incompletezza delle censure, di indicare in ordine logico plausibile le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive.
Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in euro 3.000 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori dovuti per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2A sezione civile, il 13 ottobre 2015.
Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2016