Ordinanza 17574/2021
Violazione del codice della strada – Autovelox – Menzione del certificato di taratura periodica
Ai fini della legittimità della sanzione irrogata per la violazione di cui all’art. 142, comma 8, c.d.s., a seguito della rilevazione della velocità operata con apparecchio autovelox, non è necessario che il verbale contenga l’indicazione del certificato di regolare taratura dell’apparecchiatura con la quale è stata misurata la velocità, poiché la mancata menzione degli estremi di tale certificato non pregiudica i diritti di difesa del sanzionato, che può limitarsi a contestare l’effettuazione delle verifiche di regolare funzionamento dell’impianto, spostando sull’amministrazione l’onere di depositare la certificazione di taratura.
Cassazione Civile, Sezione 6-2, Ordinanza 18-6-2021, n. 17574 (CED Cassazione 2021)
RAGIONI IN FATTO IN DIRITTO DELLA DECISIONE
- Si. Ro. ha proposto opposizione dinanzi al Giudice di Pace di Cecina avverso il verbale n. ATX0001044653, R.G. n. 343025, con il quale gli era stato contestato che, in data 11.8.2017, l’autovettura intestata all’Associazione (OMISSIS) Ro. aveva superato i limiti di velocità su un tratto autostradale.
Con sentenza n. 65/2018 il giudice di pace ha respinto l’opposizione. La decisione è stata confermata dal tribunale, rilevando che nel verbale di accertamento era esattamente individuata l’apparecchiatura per il controllo della velocità, con specificazione del numero di matricola e della omologazione ministeriale, e che, nel corso del giudizio, l’amministrazione aveva prodotto la “dichiarazione di conformità” relativa all’apparecchio indicato nel verbale e il “certificato di taratura” rilasciato da laboratorio accreditato (LAMI, Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale).
La sentenza ha inoltre escluso che il verbale dovesse specificamente menzionare il certificato di taratura, rilevando che nessuna norma impone tale indicazione a pena di invalidità. La cassazione della sentenza è chiesta da Si. Ro. con ricorso in unico motivo.
La Prefettura di Livorno resiste con controricorso.
Su proposta del relatore, secondo cui il ricorso, in quanto manifestamente infondato, poteva esser definito ai sensi dell’art.380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma primo, n. 5 c.p.c., il Presidente ha fissato l’adunanza in camera di consiglio.
- Con l’unico motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 24 Cost. e della normativa promulgata dal Ministero degli interni e del Ministero delle infrastrutture e trasporti, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., sostenendo che il verbale deve necessariamente contenere l’indicazione del certificato di regolare taratura dell’apparecchiatura di rilevazione della velocità, come confermato da altro precedente di legittimità (sentenza n. 5227/2018), essendo tale indicazione posta a tutela dei diritti di difesa del sanzionato, dal momento che solo in tal modo è possibile verificare la corretta funzionalità delle apparecchiature.
Il motivo non merita accoglimento.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 113 del 18.6.2015, ha dichiarato illegittimo l’art. 45, comma 6, d.lgs. 285/1992 nella parte in cui non prevedeva che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento della violazione dei limiti di velocità dovessero esser sottoposte alle predette verifiche periodiche, e ciò sia con riferimento a sistemi a funzionamento automatico e con tecniche di autodiagnosi, che con riguardo agli apparecchi utilizzati con la presenza di operatori.
La mancanza di dette verifiche è difatti suscettibile di pregiudicarne l’affidabilità a prescindere dalle modalità di impiego, poiché qualsiasi strumento di misura, specie se elettronico, e gli stessi sistemi di autodiagnosi sono soggetti a variazioni delle loro caratteristiche e quindi a variazioni dei valori misurati, dovute ad invecchiamento delle componenti e ad eventi accidentali capaci di comprometterne l’affidabilità, con potenziale compromissione anche della “fede pubblica che si ripone in un settore di significativa rilevanza sociale, quale quello della sicurezza stradale”.
Ciò posto, il punto è se, ai fini della legittimità della sanzione, è necessario che il verbale di contestazione contenga una specifica menzione, indicandone gli estremi, del certificato di taratura periodica.
Al quesito ritiene il Collegio di dover dare risposta negativa.
Questa Corte ha già evidenziato come tale indicazione non sia funzionale alla prova dell’effettuazione della taratura stessa, che va – difatti – fornita dall’amministrazione mediante la produzione delle relative certificazioni (Cass. 11776/2020; Cass. 32369/2018; Cass.9645/2016).
La Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 113 del 2015, ha inoltre evidenziato la stretta correlazione che intercorre tra la previsione dell’art. 45, d.lgs. 285/1992 ed il successivo art. 142, che attribuisce alle risultanze delle rilevazioni della velocità tramite apparecchiature elettroniche il valore di piena prova delle violazioni.
E’ tale disposizione che invero armonizza in modo razionale le esigenze della tutela della sicurezza stradale assicurata anche dall’accertamento delle violazioni e dall’irrogazione delle sanzioni, e le situazioni soggettive dei soggetti sottoposti alle verifiche, i quali, in sede di opposizione al verbale di contestazione, sono, di norma, gravati della prova del cattivo funzionamento dell’apparecchiatura.
Tale onere probatorio trova fondamento nella presunzione di affidabilità del mezzo tecnico impiegato, che consente di non ritenere pregiudicati oltre un limite ragionevole la certezza della rilevazione e dei sottesi rapporti giuridici e i diritti di difesa del soggetto sanzionato (cfr. Corte cost. 113/2015, par. 6.2.), fermo però che le rilevazioni della velocità mediante apparecchiature elettroniche possono assumere efficacia probatoria privilegiata solo se ne sia attestato il corretto funzionamento mediante la taratura ed il controllo periodico.
Da tale prospettiva, anche il precedente richiamato in ricorso ha in realtà precisato che “il bilanciamento che si agita dietro l’art. 142 c.d.s. si concreta in una sorta di presunzione, fondata sull’affidabilità dell’omologazione e della taratura dell’autovelox, che consente di non ritenere pregiudicata oltre un limite ragionevole la certezza della rilevazione e dei sottesi rapporti giuridici. Proprio la verifica costante di tale affidabilità rappresenta il fattore di contemperamento tra la certezza dei rapporti giuridici e il diritto di difesa del sanzionato. Il ragionevole affidamento che deriva dalla custodia e dalla permanenza della funzionalità delle apparecchiature, garantita quest’ultima da verifiche periodiche conformi alle relative specifiche tecniche, degrada tuttavia in assoluta incertezza quando queste ultime non vengono mai effettuate” (cfr. Cass. 5227/2018).
In sostanza, la mancata menzione degli estremi del certificato di taratura non pregiudica i diritti di difesa del sanzionato, il quale può limitarsi a contestare l’effettuazione delle verifiche di regolare funzionamento dell’impianto, spostando sull’amministrazione l’onere di depositare la certificazione di taratura.
Le contestazioni dell’opponente circa la mancanza di detti controlli afferisce direttamente all’idoneità della fonte di prova impiegata per l’accertamento delle infrazioni, idoneità che l’amministrazione è tenuta a dimostrare.
Solo ove tale prova sia stata acquisita, l’opponente, per ottenere l’annullamento della sanzione, sarà tenuto a dimostrare che l’apparecchiatura era comunque malfunzionante (Cass. 5527/2018: in tal senso già Cass. 14040/2007; Cass. 15324/2006; Cass.9441/2001; Cass. 8515/2001).
Si giustifica – pertanto – che nessuna disposizione imponga, quale condizione di validità del verbale, la menzione del certificato di taratura (Cass. 5227/2018).
Il ricorso è inammissibile, con aggravio di spese secondo soccombenza.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad € 2000,00 per compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile, sottosezione seconda, del giorno 29.4.2021.