Sentenza 17575/2022
Diritto dell’agente alle provvigioni – Diritto di ottenere la documentazione dal preponente
In tema di contratto d’agenzia, nel giudizio di accertamento del diritto alla provvigione, l’agente, al quale l’art. 1748 c.c., nel testo modificato dall’art. 2 d.lgs. n. 303 del 1991, riconosce il diritto di esigere tutte le informazioni necessarie per verificare l’importo delle provvigioni liquidate, ha l’onere di provare che gli affari da lui promossi sono andati a buon fine o che il mancato pagamento sia dovuto a fatto imputabile al preponente, cosicché, qualora quest’ultimo non gli abbia trasmesso i dati e le informazioni necessarie per esercitare i suoi diritti di credito quantificando esattamente negli atti di causa le sue spettanze, il giudice deve, su istanza di parte, emanare nei confronti del preponente l’ordine di esibizione delle scritture contabili ex art. 210 c.p.c.
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 31-5-2022, n. 17575 (CED Cassazione 2022)
Art. 1748 cc (Provvigione dell’agente) – Giurisprudenza
Art. 210 cpc (Ordine di esibizione) – Giurisprudenza
Art. 2697 cc (Onere della prova) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
1.1. La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, in parziale accoglimento dell’appello proposto da (OMISSIS), ha condannato la società convenuta (OMISSIS) a pagare, in favore dello stesso, la maggior somma, rispetto a quella liquidata dal tribunale, di Euro 36.058,60, oltre interessi e rivalutazione, confermando, per il resto, la sentenza impugnata.
1.2. La corte, in particolare, per quanto ancora rileva, ha, innanzitutto, esaminato i motivi con i quali l’appellante, già agente della società convenuta, aveva dedotto che la domanda con la quale aveva chiesto la risoluzione del contratto d’agenzia per fatto e colpa di (OMISSIS) era stata erroneamente rigettata: e l’ha ritenuti infondati.
1.3. La corte, sul punto, dopo aver affermato che: – a norma dell’art. 2119 c.c., pacificamente applicabile al contratto d’agenzia, ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto senza preavviso se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una giusta causa che non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto; – “l’immediatezza della reazione è dunque elemento costitutivo del recesso, in quanto il suo contrario, cioè la “non immediatezza”, induce ragionevolmente a ritenere che la parte contraente abbia soprasseduto ai fatti sopravvenuti, ritenendoli non gravi o comunque non meritevoli di una sua immediata reazione di chiusura definitiva del rapporto”; – l’immediatezza dev’essere intesa in senso relativo, per cui è compatibile con un certo intervallo di tempo, ma ciò solo quando l’accertamento dei fatti richieda effettivamente, al contraente che recede, una spazio temporale maggiore rispetto al normale; ha ritenuto che, nel caso in esame, come si legge nella sentenza appellata, le contestazioni sulle quali l’agente fonda il suo recesso per giusta causa si collocano in un arco temporale decorrente dal 2001 a fine ottobre 2002, mentre il recesso è stato operato soltanto nel 2005, e cioè ad una distanza di tempo tale da escludere che lo stesso sia stato tempestivo, tanto più che lo stesso appellante ha ammesso che “talune problematiche economiche” risalenti al 2002 e 2003, alla luce del complessivo rapporto tra le parti, apparivano, “sia pur con la debita pazienza, risolvibili”.
1.4. La corte, quindi, ha dichiaratamente condiviso la statuizione assunta, sul punto, dal primo giudice il quale, chiamato a valutare la legittimità del recesso per giusta causa fatto valere dall’agente, aveva escluso, in concreto, la sua tempestività ed aveva, quindi, ritenuto che “le condotte asseritamente lesive poste in essere anni prima” fossero inidonee a configurare una giusta causa di recesso ai sensi dell’art. 2119 c.c., non potendo l’eventuale tolleranza dell’agente ragionevolmente protrarsi oltre un certo limite.
1.5. Nè, ha proseguito la corte d’appello, possono rilevare, ai fini della tempestività del recesso di cui si discute, i due successivi eventi che l’appellante ha indicato, e cioè, nel luglio del 2004, la mancata assegnazione del cliente Comune di (OMISSIS) e, nella prima metà del 2005, la sempre maggiore restrizione del campo di operatività della zona seppur compresa nel mandato d’agenzia, le indagini svolte sul suo conto dalla preponente e l’assenza di assicurazioni sul futuro svolgimento del rapporto: la corte, sul punto, ha osservato: quanto al primo, che, “oltre ad essere avvenuto in epoca assai antecedente rispetto al recesso…, non appare connotato da alcuna particolare gravità, tenuto conto del fatto, di per sè decisivo, che il contratto di agenzia del quale si discute non era assistito da alcuna esclusiva in favore dell’agente, il che significa che la prepo(t)ente, ove lo avesse ritenute, avrebbe potuto, direttamente e in qualsiasi momento, assegnare i clienti a chi riteneva opportuno, pur dando per scontata la produttività mostra(ta) da (OMISSIS)”, con la conseguente irrilevanza dei capitoli di prova per testi dedotti da 5 a 14; quanto al secondo, che “analoghe considerazioni valgono per ciò che riguarda l’asserita restrizione del campo d’attività del (OMISSIS)” e che le c.d. indagini disposte sul conto dello stesso sono consistite, come si evince dalla stessa narrativa dell’atto d’appello, in “semplici domande… sull’eventualità che (OMISSIS) avesse altre attività, ma mai di affermazioni diffamatorie o di indagini nel vero e proprio senza “investigativo” del termine”, con la conseguente irrilevanza dei capitoli di prova per testi dedotti da 1 a 4.
1.6. Si tratta, in definitiva, ha concluso la corte, di fatti inidonei “a configurare cause che non consentivano la prosecuzione neppure immediata del rapporto, e ciò anche se li volesse considerare aggiunti e ulteriori ai fatti risalenti agli anni 2001/2002”, tanto più che tali fatti, “oltre ad essere distaccati temporalmente in modo significativo da quelli successivi”, sono stati dallo stesso agente considerati, “nel complesso”, “risolvibili”.
1.7. La corte, quindi, ha esaminato le censure con le quali l’appellante aveva, tra l’altro, lamentato l’erronea limitazione, da parte del primo giudice, del credito dell’agente nei confronti della (OMISSIS) in quanto operata senza considerare “la mancata trasparenza nella liquidazione di provvigioni e premi” e “l’omessa collaborazione sui dati del traffico generato dagli utenti e sui chiarimenti richiesti” alla stessa: e ne ha ritenuto l’infondatezza. La corte, sul punto, ha ritenuto che il tribunale si era correttamente limitato a riferire che “lo stesso agente aveva ridimensionato l’importanza attribuita ad alcuni comportamenti asseritamente lesivi della preponente per il fatto stesso di aver rinunciato in corso di causa a certe pretese economiche”.
1.8. La corte, esclusa, dunque, la sussistenza di una giusta causa di recesso da parte dell’agente e, per l’effetto, il diritto dello stesso a ricevere l’indennità sostitutiva del preavviso e quella di cessazione del rapporto, ha provveduto ad esaminare il motivo con il quale l’appellante aveva lamentato che il primo giudice, nella ricostruzione dell’affare “(OMISSIS)”, aveva erroneamente ritenuto che mancava la prova dell’autorizzazione di (OMISSIS) a concluderlo e che il (OMISSIS), pertanto, non aveva il diritto di ricevere la relativa provvigione, qualificando, peraltro, il predetto cliente come “reseller”, laddove, al contrario, l’attore aveva ampiamento documentato di essere stato autorizzato dal (OMISSIS) ad acquisire il cliente “(OMISSIS)”, ancorchè fuori della zona affidatagli, e che, pertanto, gli spettava, per tale affare, la piena provvigione contrattualmente pattuita, come, del resto, riconosciuto dalla stessa società convenuta.
1.9. La corte ha ritenuto l’infondatezza della censura.
Intanto, ha osservato, il tribunale non aveva affatto escluso ma al contrario affermato che l’attività in questione, svolta dall’agente al di fuori della sua zona di competenza, era stata autorizzata da (OMISSIS): ciò che il primo giudice ha escluso è il diritto dell’agente ad un’ulteriore provvigione, diversa dalla provvigione di segnalazione (che gli è stata incontestatamente corrisposta per la somma di Euro 20.000,00), in forza dell’art. 3.3 del contratto d’agenzia del 12/9/2002, il quale, appunto, “escludeva il diritto alla provvigione o ad altra forma di remunerazione per l’attività svolta dal cliente fuori dalla propria area di competenza o del proprio mandato”. Nè, ha aggiunto la corte, a fronte di tale specifica previsione contrattuale, l’agente ha dimostrato l’esistenza di uno specifico patto contrario, non essendo a tal fine sufficiente “il richiamo ad eventuali diversi comportamenti tenuti dalla proponente nel corso del tempo in relazione ad affari diversi”, con la conseguente irrilevanza dei capitoli di prova da 15 a 24. D’altra parte, ha proseguito la corte, l’agente ha ricevuto, per tale affare, la provvigione, pari ad Euro 20.000,00, a titolo di segnalazione, conformemente a quanto si legge nella mail del 18/2/2003, che, pur se non tramessagli formalmente, è coerente nel contenuto a quanto effettivamente versato allo stesso ed è, quindi, “convincente di un accordo circoscritto in tal senso”. In ogni caso, dall’atto d’appello, come giustamente eccepito dalla (OMISSIS), non risulta che l’agente, dopo avere ricevuto nel 2003 la provvigione di segnalazione, avesse formalmente chiesto a (OMISSIS) alcuna somma ulteriore per tale affare, e ciò “appare significativo del fatto che egli stesso riteneva che nessuna somma ulteriore gli fosse dovuta”.
1.10. La corte d’appello ha provveduto, quindi, ad esaminare il motivo con il quale l’appellante aveva lamentato che il giudice di primo grado aveva erroneamente ritenuto la correttezza degli storni indebitamente operati dalla (OMISSIS) per le cd. “sim mute”, e cioè quelle che non avevano superato “la soglia minima del traffico in entrata e in uscita”: e l’ha ritenuto infondato.
1.11. La corte, in particolare, dopo aver premesso che il consulente tecnico d’ufficio aveva evidenziato come era stato sostanzialmente impossibile ricostruire sulla base della documentazione offerta dalle parti il “traffico in entrata” di tutte le “sim mute”, ha ritenuto che la questione dovesse essere risolta sulla base della regola generale di cui all’art. 2697 c.c., affermando che: – l’agente, sostenendo di aver diritto alla somma di Euro 33.648,00 quale somma indebitamente trattenuta dalla preponente, aveva l’onere di “… dare la prova costitutiva del diritto fatto valere e cioè dell’illegittimità degli storni pari ad Euro 33.648,00”; – tale prova non poteva essere costituita da mere “note di credito” emesse dall’agente, trattandosi di documenti provenienti dallo stesso, le quali non forniscono la prova del credito ivi esposto; – l’agente, peraltro, non aveva chiarito in base a quali elementi aveva ricostruito il credito asseritamente dovuto nella predetta somma “piuttosto che in una somma maggiore o minore”; – nè, infine, risultava percorribile la richiesta di esibizione posto che l’art. 132 del codice della privacy pone “precisi limiti entro i quali è prevista la conservazione dei dati relativi al traffico telefonico e, peraltro, per finalità di accertamento e repressione dei reati”.
1.12. La corte, infine, corretto l’errore di calcolo in cui era incorso il tribunale, ha parzialmente riformato la sentenza appellata ed ha, quindi, condannato la (OMISSIS) al pagamento, in favore dell’appellante, della somma di Euro 36.056,60, anzichè della somma di Euro 34.438,60, oltre interessi e rivalutazione, confermandola per la sua restante parte.
2.1. (OMISSIS), con ricorso notificato il 18/12/2015, ha chiesto, per otto motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, dichiaratamente non notificata.
2.2. La (OMISSIS) s.p.a., già (OMISSIS), ha resistito con controricorso notificato il 29/1/2016.
2.3. Il Pubblico Ministero, con le conclusioni depositate in data 4/11/2021 e ribadite il 9/3/2022, ha concluso per la declaratoria di parziale inammissibilità e, nel resto, di rigetto del ricorso e, in subordine, per l’integrale rigetto del ricorso.
2.4. Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha escluso la sussistenza di una giusta causa di recesso per difetto della necessaria immediatezza dello stesso rispetto ai fatti addotti omettendo, tuttavia, di considerare che la giusta causa prevista dall’art. 2119 c.c. può essere rinvenuta tanto in un fatto specifico, quanto in una pluralità di atti e di fatti succedutisi nel tempo e che, in quest’ultima ipotesi, trattandosi di giusta causa a formazione progressiva, l’immediatezza dev’essere valutata con riferimento all’ultimo di essi. Nel caso in esame, pertanto, ha osservato il ricorrente, la corte d’appello, se avesse correttamente applicato l’art. 2119 c.c., non avrebbe potuto che riconoscere la sussistenza della giusta causa del recesso operato dall’attore posto che la (OMISSIS), dopo una serie di violazioni ai propri doveri tra il 2002 e il 2003, come la mancanza di trasparenza nella liquidazione delle provvigioni e sui dati del traffico generato dai clienti, oltre che la mancata ottemperanza agli inviti a rendere chiarimenti, ha assunto, tra il luglio del 2004 ed il marzo del 2005, un atteggiamento, oltre illegittimo, del tutto intollerabile, compiendo fatti, come la privazione di clienti attivati dallo stesso, la restrizione della zona di sua competenza, lo svolgimento di investigazioni sul proprio conto e la distrazione di dipendenti per creare una nuova concorrente, che hanno irrimediabilmente minato il rapporto di fiducia tra le parti rendendo impossibile, per fatto e colpa della preponente, la prosecuzione del rapporto.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tre le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, avendo valutato la condotta tenuta dalla (OMISSIS) in ragione della sola inesistenza di un’esclusiva in favore dell’agente, ha omesso di valutare il fatto che l’assegnazione da parte di (OMISSIS) ad altre agenzie, sue concorrenti, aveva, in realtà, riguardato clienti “in precedenza attivati e seguiti” proprio da quest’ultimo e non “clienti direzionali”, e cioè “facenti capo alla preponente”. Tale ingiustificato comportamento, e cioè la sottrazione di clienti dell’agente e l’assegnazione ai suoi concorrenti, ha osservato il ricorrente, non essendo conforme, al pari di quello consistente nell’impedire all’agente ogni forma di controllo attraverso il ripetuto diniego delle informazioni e dei chiarimenti richiesti, ai canoni di correttezza e buona fede che il preponente deve rispettare nei rapporti con l’agente, è, infatti, idoneo a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti e costituisce, quindi, giusta causa di scioglimento del rapporto.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tre le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non ha in alcun modo considerato che, come dedotto con l’atto d’appello, la (OMISSIS), in violazione degli obblighi contrattuali incombenti sulla stessa a norma dell’art. 1749 c.c., non aveva fornito, nonostante le specifiche richieste formulate dall’agente, dapprima il 3/5/2005 e poi il 24/5/2005, le informazioni e/o i documenti necessari per verificare il calcolo delle provvigioni liquidate, essendosi limitata semplicemente e inadeguatamente a rispondere che le verifiche svolte dalla stessa avevano condotto ad una piena conferma degli importi già riconosciuti ed erogati. Tale comportamento, infatti, ha osservato il ricorrente, era idoneo ad incidere sul rapporto fiduciario tra le parti e ben poteva, anche da solo, legittimare il recesso dell’agente per giusta causa, con il conseguente diritto all’indennità sostitutiva del preavviso.
3.4. Con il quarto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 1751 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha negato la sussistenza del diritto dell’agente all’indennità di cessazione del rapporto prevista dall’art. 1751 c.c. sul rilievo per cui il mancato riconoscimento da parte del primo giudice di tale indennità è dipeso dalla ritenuta insussistenza della giusta causa di recesso, omettendo, tuttavia, di considerare che, in forza della norma citata, l’agente che recede dal contratto ha il diritto all’indennità di cessazione del rapporto tutte le volte in cui il recesso sia giustificato da circostanze attribuibili al preponente, pur se non così gravi da integrare la giusta causa.
3.5. Con il quinto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione del comb.disp. degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che l’agente, relativamente all’affare “(OMISSIS)”, non avesse il diritto ad una provvigione ulteriore rispetto a quella di segnalazione sul rilievo che, a fronte di una previsione contrattuale che escludeva il diritto al compenso per l’attività svolta dall’agente fuori dalla propria area di competenza o del proprio mandato, l’attore non aveva dimostrato l’esistenza di uno specifico patto contrario e che lo stesso, dopo aver ricevuto la provvigione di segnalazione, non aveva formalmente chiesto a (OMISSIS) alcuna somma ulteriore per tale affare. Così facendo, infatti, ha osservato il ricorrente, la corte d’appello non ha considerato che, come dedotto nel corso del giudizio, la documentazione prodotta dimostrava che (OMISSIS) avesse, in realtà, riconosciuto che l’agente aveva svolto la propria attività anche fuori della zona di competenza e che lo stesso, anche per i clienti “fuori zona”, aveva ricevuto la relativa provvigione ordinaria. La corte d’appello, quindi, ha concluso il ricorrente, in forza di tali elementi, avrebbe potuto ritenere l’esistenza di un accordo tra le parti avente ad oggetto il riconoscimento di provvigioni ordinarie anche su clienti fuori zona.
3.6. Con il sesto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2697 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, con riferimento agli storni operati dalla (OMISSIS) per le cd. “sim mute”, ha ritenuto che, a fronte della sostanziale impossibilità di ricostruire il relativo traffico in entrata sulla base della documentazione offerta dalle parti, la questione dovesse essere risolta sulla base della regola dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., affermando che fosse onere dell’agente di dare la prova del diritto fatto valere, e cioè dell’illegittimità degli storni pari ad Euro 33.648,00, senza, tuttavia, considerare che, al contrario, avendo l’agente dedotto che la (OMISSIS) era rimasta inadempiente rispetto agli accordi in ordine al pagamento delle provvigioni, vige in materia il principio per cui il creditore che agisca in giudizio per l’inesatto adempimento del debitore deve solo fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, spettando, invece, al debitore, anche in ragione della vicinanza della prova, la dimostrazione di aver esattamente adempiuto l’obbligazione.
3.7. Con il settimo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, in violazione della norma di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, ha totalmente omesso qualsiasi motivazione in ordine alla mancata ammissione dei capitoli di prova da 25 a 42 mentre, con riferimento al rigetto della prova per testi sui capitoli da 1 a 24, ha offerto una motivazione solo apparente. D’altra parte, ha proseguito il ricorrente, la sentenza impugnata ha contraddittoriamente motivato il rigetto degli ordini di esibizione posto che, da un lato, ha evidenziato la difficoltà dell’accertamento relativo alla ricostruzione del traffico in entrata di tutte le cd. “sim mute” in ragione della carenza documentale riscontrata dal consulente tecnico d’ufficio mentre, dall’altro, ha rigettato le richieste istruttorie che avrebbero potuto colmare tali lacune.
3.8. Con l’ottavo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non ha ammesso le istanze istruttorie articolate dall’attore e reiterate nell’atto d’appello in tal modo impedendo allo stesso di dimostrare fatti decisivi dai quali sarebbe derivata una differente decisione, e cioè, come precisato a p. 50, le indagini indebitamente svolte sulla persona dell’agente e il suo tenore di vita, le ingiuste accuse circa la supposta attività dello stesso in concorrenza, le indebite limitazioni e restrizioni operative in favore di altre agenzie nonchè, infine, l’autorizzazione da parte della convenuta dell’affare “(OMISSIS)” ed il riconoscimento da parte della stessa per gli affari fuori zona di una provvigione in misura corrispondente a quella normalmente prevista dal mandato.
4.1. Il primo, il secondo, il terzo, il quarto, il settimo e l’ottavo motivo, da esaminare congiuntamente, sono in parte inammissibili e, per il resto, infondati.
4.2. Premesso che la norma sul recesso per giusta causa, prevista dall’art. 2119 c.c., comma 1, in relazione al contratto di lavoro subordinato, è applicabile anche al contratto di agenzia (cfr. Cass. n. 1376 del 2018; Cass. n. 11728 del 2014; Cass. n. 3869 del 2011; Cass. n. 14771 del 2008; Cass. n. 24367 del 2008; Cass. n. 422 del 2006), l’accertamento circa la sussistenza di una giusta causa, e cioè di un fatto che non consenta la prosecuzione “anche provvisoria” del rapporto, è rimesso all’apprezzamento svolto, alla luce delle prove raccolte, dal giudice di merito (cfr. Cass. n. 1376 del 2018) ed è, come tale, suscettibile di sindacato in sede di legittimità solo per vizio di motivazione (cfr. Cass. n. 3595 del 2011; Cass. n. 3869 del 2011; Cass. n. 422 del 2006).
4.3. In effetti, la valutazione delle risultanze istruttorie, al pari della scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (v. Cass. n. 42 del 2009; Cass. n. 11511 del 2014; Cass. n. 16467 del 2017). Le conclusioni assunte dal giudice di merito in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale (salvo che non siano state espresse in una motivazione apparente, perplessa o contraddittoria: Cass. SU n. 8053 del 2014) non sono, quindi, in linea di principio, suscettibili di sindacato in sede di legittimità, a meno che, come previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, la sentenza ivi impugnata non abbia del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l’esame di uno o più fatti controversi (ossia di un fatto principale, e cioè un fatto costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, oppure un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale), la cui risultanza emerga dal testo della sentenza stessa ovvero dagli atti del processo ed abbiano carattere decisivo (Cass. SU n. 8053 del 2014), ovvero, per converso, per non aver ammesso o valutato prove che, al contrario, se ammesse e valutate, sarebbero state idonee a dimostrare in giudizio la sussistenza di uno o più fatti parimenti decisivi per il giudizio (cfr. Cass. n. 5654 del 2017; conf., Cass. n. 11457 del 2007; Cass. n. 16214 del 2019). Ne consegue l’insussistenza del vizio in questione tutte le volte in cui, com’è accaduto nel caso in esame, il fatto o i fatti storici rilevanti ai fini della decisione (e, prima ancora, le prove ad essi relativi), come i comportamenti asseritamente integrativi della giusta causa di recesso, siano stati, se del caso nella loro connessione cronologica, comunque presi in considerazione, anche implicitamente, dal giudice di merito, ancorchè questi non abbia dato conto (o, prima ancora, non abbia ammesso e valutato) tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.
4.4. La corte d’appello, invero, con motivazione nient’affatto apparente, perplessa o contraddittoria, ha ritenuto che i fatti dedotti dall’agente (e cioè, per un verso, la mancata assegnazione del cliente Comune di (OMISSIS) nel luglio del 2004 e, per altro verso, nella prima metà del 2005, la sempre maggiore restrizione del campo di operatività della zona seppur compresa nel mandato d’agenzia, le indagini svolte sul suo conto dalla preponente e l’assenza di assicurazioni sul futuro svolgimento del rapporto) non fossero idonei – al pari della “mancata trasparenza nella liquidazione di provvigioni e premi” e dell’omessa collaborazione sui dati del traffico generato dagli utenti e sui chiarimenti richiesti” – “a configurare cause che non consentivano la prosecuzione neppure immediata del rapporto”. La corte d’appello, invero, ha evidenziato che: – la mancata assegnazione del cliente Comune di (OMISSIS), “oltre ad essere avvenuto in epoca assai antecedente rispetto al recesso…, non appare connotato da alcuna particolare gravità, tenuto conto del fatto, di per sè decisivo, che il contratto di agenzia del quale si discute non era assistito da alcuna esclusiva in favore dell’agente…”; – “analoghe considerazioni valgono per ciò che riguarda l’asserita restrizione del campo d’attività del (OMISSIS)”; le c.d. indagini disposte sul conto dello stesso erano consistite in “semplici domande… sull’eventualità che (OMISSIS) avesse altre attività, ma mai di affermazioni diffamatorie o di indagini nel vero e proprio senza “investigativo” del termine”; i “fatti risalenti agli anni 2001/2002”, “oltre ad essere distaccati temporalmente in modo significativo da quelli successivi”, era stati dallo stesso agente considerati, “nel complesso”, “risolvibili”.
4.5. In effetti, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, se, ai fini della giusta causa del recesso, occorre tener conto, per la valutazione della gravità della condotta, che, nel contratto di agenzia, il rapporto di fiducia (in corrispondenza della maggiore autonomia di gestione dell’attività per luoghi, tempi, modalità e mezzi, in funzione del conseguimento delle finalità aziendali) assume maggiore intensità rispetto al rapporto di lavoro subordinato e che, di conseguenza, è sufficiente un fatto di minore consistenza (Cass. n. 11728 del 2014), resta pur sempre necessario, onde giustificare il recesso senza preavviso da parte dell’agente, che il preponente ponga in esse un inadempimento colpevole e di non scarsa importanza che leda in misura considerevole l’interesse dell’agente medesimo (Cass. n. 1376 del 2018).
4.6. Sono, per contro, inammissibili le censure con le quali il ricorrente ha denunziato l’omesso esame tanto del fatto costituito dall’assegnazione, da parte di (OMISSIS) ad altre agenzie concorrenti, di clienti “in precedenza attivati e seguiti”, quale comportamento non conforme ai canoni di correttezza e buona fede che il preponente deve rispettare nei rapporti con l’agente, quanto del fatto che il recesso dallo stesso operato era stato comunque determinato da circostanze che, pur se non così gravi da integrare la giusta causa, erano nondimeno imputabili al preponente. La sentenza impugnata, in effetti, non risulta aver in alcun modo trattato nè dell’una nè dell’altra questione: ed è, invece, noto che i motivi del ricorso per cassazione non possono investire nuove questioni di diritto se le stesse, come quelle indicate, postulano accertamenti in fatto non compiuti dal giudice del merito ed esorbitanti dai limiti funzionali del giudizio di legittimità (Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 16742 del 2005; Cass. n. 22154 del 2004; Cass. n. 2967 del 2001).
5.1. Il quinto motivo è infondato. Il ricorrente, in effetti, pur invocando vizi di violazione di norme di legge sostanziale o processuale, ha lamentato, in sostanza, l’erronea ricognizione dei fatti che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito, lì dove, in particolare, questi, ad onta delle asserite emergenze delle stesse, hanno escluso che l’attore avesse pattuito con la preponente il diritto di ricevuto la provvigione ordinaria anche per le attività svolte fuori dal territorio di sua competenza. Il compito di questa Corte, tuttavia, non è, come in precedenza evidenziato, quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare, a norma degli artt. 132 n. 4 e 360 n. 4 c.p.c., se costoro abbiano dato effettivamente conto delle ragioni in fatto della loro decisione e se la motivazione al riguardo fornita sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto, com’è accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.).
5.2. La corte d’appello, invero, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio, ha ritenuto, con motivazione (anche sul punto) nient’affatto apparente, contraddittoria o perplessa, che l’art. 3.3 del contratto d’agenzia “escludeva il diritto alla provvigione o ad altra forma di remunerazione per l’attività svolta dal cliente fuori dalla propria area di competenza o del proprio mandato” e che, a fronte di tale specifica previsione contrattuale, l’agente non aveva dimostrato l’esistenza di uno specifico patto contrario, non essendo a tal fine sufficiente “il richiamo ad eventuali diversi comportamenti tenuti dalla proponente nel corso del tempo in relazione ad affari diversi”. D’altra parte, ha proseguito la corte, l’agente ha ricevuto, per l’affare “(OMISSIS)”, la provvigione, pari ad Euro 20.000,00, a titolo di segnalazione, conformemente a quanto si legge nella mail del 18/2/2003, che, pur se non tramessagli formalmente, è coerente nel contenuto a quanto effettivamente versato allo stesso ed è, quindi, “convincente di un accordo circoscritto in tal senso”. Ed una volta escluso, come la corte ha ritenuto senza che tale apprezzamento in fatto sia stato censurato (nell’unico modo possibile, e cioè, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5) per l’omesso esame di una o più circostanze decisive, la cui risultanza dagli atti del giudizio sia stata specificamente indicata in ricorso, che l’attore avesse dimostrato in giudizio di aver raggiunto con la preponente un accordo in forza del quale la stessa si era impegnata a versargli la provvigione ordinaria anche per gli affare conclusi “fuori zona”, non si presta, evidentemente, a censure la decisione che la stessa corte ha conseguentemente assunto, e cioè il rigetto della domanda proposta dall’attore, in quanto volta, appunto, al pagamento di tale compenso.
5.3. Tale valutazione, del resto, si sottrae alle censure svolte dal ricorrente anche sotto il profilo della violazione dell’art. 115 c.p.c., deducibile in cassazione, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4, solo se ed in quanto si alleghi che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, o contraddicendola espressamente, e cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, e cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio. Resta, dunque, fermo che tale violazione non possa essere ravvisata, come ritenuto dal ricorrente, nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre: in effetti, “se spetta indubbiamente alle parti proporre i mezzi di prova che esse ritengono più idonei ed utili, e se il giudice non può fondare la propria decisione che sulle prove dalle parti stesse proposte (e su quelle eventualmente ammissibili d’ufficio), rientra pero nei compiti propri del giudice stesso stabilire quale dei mezzi offerti sia, nel caso concreto, più funzionalmente pertinente allo scopo di concludere l’indagine sollecitata dalle parti, ed è perciò suo potere, senza che si determini alcuna violazione del principio della disponibilità delle prove, portato dall’art. 115 c.p.c., ammettere esclusivamente le prove che ritenga, motivatamente, rilevanti ed influenti al fine del giudizio richiestogli e negare (o rifiutarne l’assunzione se già ammesse: v. art. 209 c.p.c.) le altre (fatta eccezione per il giuramento) che reputi del tutto superflue e defatigatorie” (Cass. n. 11892 del 2016, in motiv.).
5.4. E neppure, infine, sussiste la dedotta violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., la quale, in effetti, si configura solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma: non anche quando, come invece pretende il ricorrente, la censura abbia avuto ad oggetto la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, lì dove ha ritenuto (in ipotesi erroneamente) assolto (o non assolto) tale onere ad opera della parte che ne era gravata in forza della predetta norma, che è sindacabile, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. n. 17313 del 2020; Cass. n. 13395 del 2018).
6.1. Il sesto motivo, invece, è fondato. Nel contratto d’agenzia, in effetti, il diritto alla provvigione sorge, salvo che non sia diversamente stabilito dalle parti, solo quando l’affare sia andato a buon fine o la mancata esecuzione del contratto sia imputabile al preponente (Cass. n. 25544 del 2018; Cass. n. 25023 del 2013; Cass. n. 14978 del 2011; Cass. n. 10821 del 2011; Cass. n. 12838 del 2003) sicchè, nel giudizio avente ad oggetto l’accertamento di tale diritto, l’agente ha l’onere di provare che gli affari da lui promossi sono andati a buon fine o che il mancato pagamento sia dovuto a fatto imputabile al preponente, essendo il buon fine dell’affare un fatto costitutivo del diritto alla provvigione (Cass. n. 25023 del 2013; Cass. n. 12838 del 2003; Cass. n. 17762 del 2003).
6.2. Resta, tuttavia, il fatto che, in base ad un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, anche al contratto di agenzia si applica, per la ripartizione dell’onere della prova tra agente e preponente, il principio secondo cui la ripartizione dell’onere della prova tra lavoratore, titolare del credito, e datore di lavoro, deve tenere conto, oltre che della esposta ripartizione della fattispecie sostanziale tra fatti costitutivi e fatti estintivi od impeditivi del diritto, anche del principio (riconducibile all’art. 24 Cost. e al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dell’azione in giudizio) della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova (Cass. n. 6008 del 2012; Cass. n. 486 del 2016), sicchè, nel caso in cui i fatti costitutivi del diritto azionato possano essere noti solo al preponente e non anche all’agente, incombe sul primo l’onere di provarne l’inesistenza (cfr. Cass. n. 20484 del 2008).
6.3. Del resto, come è stato giustamente osservato (Cass. n. 486 del 2016), l’art. 1748 c.c., nel testo modificato dal Decreto Legislativo n. 303 del 1991, art. 2 ha riconosciuto il diritto dell’agente di esigere che gli siano fornite tutte le informazioni necessarie per verificare l’importo delle provvigioni liquidate: ed è, al riguardo, evidente come la documentazione in possesso del preponente possa rivelarsi indispensabile per sorreggere, sul piano probatorio, attraverso precisi dati quantitativi, l’allegazione relativa al numero dei clienti ed al volume degli affari realizzato nel corso degli anni, per cui non può imputarsi all’agente la carenza di indicazione di tali dati quantitativi laddove derivi dall’inadempimento dell’obbligo di informazioni posto dalla legge a carico del preponente (Cass. n. 18586 del 2007), così come deve ritenersi (almeno sotto questo profilo) legittimo l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. delle scritture contabili impartito dal giudice di merito al medesimo preponente, ai suddetti fini (Cass. n. 14968 del 2011).
6.4. La corte d’appello, quindi, lì dove, pur a fronte dell’impossibilità (riscontrata dal consulente tecnico d’ufficio) di ricostruire il traffico in entrata di tutte le cd. “sim mute” sulla base della documentazione offerta dalle parti (compresa, dunque, la preponente), ha ritenuto che fosse onere dell’agente, che aveva lamentato il mancato pagamento delle relative provvigioni, di “… dare la prova costitutiva del diritto fatto valere e cioè dell’illegittimità degli storni… “, e cioè, in sostanza, il mancato superamento, relativamente alle indicate schede, “della soglia minima del traffico in entrata e in uscita”, pur trattandosi di fatti noti solo al preponente e non anche all’agente, non si è, evidentemente, attenuta ai principi esposti e si espone, pertanto, ai rilievi critici del ricorrente.
7. Il ricorso dev’essere, quindi, accolto, nei limiti in precedenza esposti, e la sentenza impugnata, entro i medesimi limiti, dev’essere, per l’effetto, cassata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Milano che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente procedimento.
P.Q.M.
La Corte così provvede: accoglie il sesto motivo di ricorso e rigetta tutti gli altri; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Milano che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente procedimento.
Così deciso a Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 aprile 2022.