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Cassazione Civile 17810/2021 – Datio in solutum – Contratto a titolo oneroso solutorio-liberatorio – Disciplina generale dei contratti – Forma

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Sentenza 17810/2021

Datio in solutum – Contratto a titolo oneroso solutorio-liberatorio – Disciplina generale dei contratti – Forma

La “datio in solutum”, costituendo un contratto a titolo oneroso solutorio-liberatorio, che estingue l’obbligazione in modo satisfattivo, è assoggettata alla disciplina generale dei contratti, con la conseguenza che deve essere rispettata la forma che attiene alla natura della prestazione oggetto di dazione. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che la pattuizione intercorsa tra le parti di un contratto di trasferimento immobiliare, parzialmente modificativa di questo ed avente ad oggetto il trasferimento, quale modalità di pagamento, di una somma di denaro in sostituzione dell’immobile convenuto, per essere ricondotta ad una valida “datio in solutum” deve osservare la medesima forma scritta “ad substantiam”, richiesta dall’art. 1350 c.c. per l’originario trasferimento immobiliare).

Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 22-6-2021, n. 17810

Art. 1197 cc (Prestazione in luogo dell’adempimento)

 

 

RILEVATO IN FATTO

  1. Con sentenza n. 203/2012 il Tribunale di Venezia-sez. dist. di Portogruaro accoglieva la domanda del sig. El. Co. e condannava la Ed. P.R. s.r.l. a trasferire, in favore dell’attore, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2932 c.c., la proprietà dell’immobile in catasto del Comune di Porpetto alla v. Udine, foglio 6, n. 522, sub 6 e, alla stessa via, foglio 6, n. 522 sub 18, nonché la quota proporzionale sulle parti comuni risultanti dall’art. 1117 c.c. e dai titoli di provenienza. Con la citata sentenza il giudice adito respingeva, invece, la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni formulata dalla società convenuta.
  2. Decidendo sull’appello interposto dalla Ed. P.R. s.r.l. e nella costituzione dell’appellato, la Corte di appello di Venezia, con sentenza 2850/2015 (depositata il 10 dicembre 2015), riformava la decisione di primo grado, rigettando la domanda avanzata ai sensi dell’art. 2932 c.c. nell’interesse del Co. El., compensando tra le parti le spese del doppio grado di giudizio. A fondamento dell’adottata pronunzia la Corte veneta osservava che, in effetti, la scrittura privata del 16 novembre 1999 sulla quale era stata basata la domanda originaria avrebbe dovuto qualificarsi come un contratto traslativo della proprietà e non come un preliminare, specificando che la società appellante aveva provveduto all’adempimento discendente da tale contratto con una prestazione diversa in luogo dell’adempimento (dell’obbligo della consegna dell’appartamento in permuta di cui al contratto in questione), rappresentata dalla consegna al Co. di un assegno bancario dell’importo di euro 77.468,50, che era stato regolarmente incassato.
  3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, il Co. El., al quale ha resistito con controricorso la Ed. P.R. s.r.l. . Il ricorso veniva, in un primo momento, avviato per la sua definizione nelle forme del procedimento di cui all’art. 380-bis.1. c.p.c., ma, all’esito dell’adunanza camerale, il collegio ne rimetteva la trattazione in pubblica udienza, in prossimità della quale il difensore della controricorrente ha ridepositato nuova memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. – la nullità dell’impugnata sentenza per asserita violazione degli artt. 345, 170 e 180 (nel testo anteriore alla riforma di cui alla legge n. 80/2005) c.p.c., sul presupposto che la citata sentenza aveva valutato e valorizzato eccezioni nuove e, comunque, non ritualmente dedotte in giudizio, avuto riguardo alla riferibilità della domanda ad un contratto preliminare c.d. improprio (idoneo a produrre effetti traslativi) e all’accettazione, da parte di esso Co., di una prestazione diversa dall’adempimento.
  2. Con la seconda censura il ricorrente ha lamentato – in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1322, 1351, 1363 e 1372 c.c., per avere la Corte lagunare illegittimamente interpretato il contenuto del contratto intercorso tra le parti (avuto riguardo alla valutazione delle sue complessive clausole), riconducendolo alla figura di un contratto immediatamente traslativo anziché a quello implicante la mera assunzione della promessa di un futuro trasferimento della proprietà.
  3. Con la terza doglianza il ricorrente ha dedotto – in ordine all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1350, 1351 e 1197 c.c., unitamente al vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, con riferimento alla prospettata circostanza che la Corte di appello aveva arbitrariamente attribuito all’incasso dell’assegno da parte di esso Co. il significato di un’accettazione tacita di una prestazione diversa dall’adempimento, argomentando dal fatto che non era stata riscontrata la prova dell’effettuazione di prestazioni professionali da parte dello stesso ricorrente.
  4. Rileva il collegio che il primo motivo è infondato e deve, perciò, essere rigettato.

Infatti, diversamente dalla prospettazione del ricorrente, nella fattispecie processuale di cui trattasi non si versava nell’ipotesi di “autorizzazione” di una “mutatio libelli” quanto piuttosto di una questione di qualificazione del contratto dedotto in giudizio, che rientra nel potere del giudice di merito ed attiene ad un accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità (cfr., ad es., proprio con riferimento all’interpretazione di un contratto come preliminare o definitivo, Cass. n.23142/2104).

Allo stesso modo è stato precisato che il giudice d’appello può qualificare il rapporto dedotto in giudizio in modo diverso rispetto a quanto prospettato dalle parti o ritenuto dal giudice di primo grado, purché non introduca nel tema controverso nuovi elementi di fatto, lasci inalterati il “petitum” e la “causa petendi” ed eserciti tale potere-dovere nell’ambito delle questioni, riproposte con il gravame, rispetto alle quali la qualificazione giuridica costituisca la necessaria premessa logico-giuridica (v., da ultimo, Cass. n. 12875/2019).

E ciò è quanto si è venuto a verificare nel caso di specie, evidenziandosi, altresì ed in generale, che qualora la controversia attenga alla stessa situazione sostanziale, a seguito dell’intervento delle Sezioni unite, con la sentenza n. 12310 del 2015, non si pone più un problema di “mutatio” allorquando in corso di giudizio sia dedotta, in sostituzione di una originaria domanda ex art. 2932 c.c., una domanda attinente ad un contratto definitivo.

  1. Anche il secondo motivo è privo di fondamento, perché, in effetti, il Co. – sotto il profilo della formale deduzione di una censura attinente alla erronea applicazione di criteri ermeneutici – contesta, in realtà, il risultato interpretativo al quale è pervenuta la Corte di appello, la quale ha, nel legittimo esercizio del suo potere valutativo, adeguatamente motivato e correttamente valorizzato – in funzione della sua qualificazione (e, quindi, degli effetti che da esso sarebbero derivati) – il contenuto complessivo del controverso contratto e delle clausole che lo caratterizzavano.

In particolare, il giudice di secondo grado ha posto in risalto come, in effetti, dall’indicato contenuto emergesse che la volontà del Co. non era diretta a prestare un successivo consenso, bensì era finalizzata direttamente a produrre l’effetto della cessione e della vendita del terreno in questione, poiché gli effetti traslativi della permuta parziale (terreno contro appartamento più contanti) si erano già verificati con la sottoscrizione del preliminare c.d. improprio, da ricondurre – sul piano della sua natura giuridica – ad un contratto definitivo immediatamente traslativo.

La Corte veneta ha, perciò, correttamente ritenuto, nel caso di specie, che la ricostruzione della comune intenzione delle parti dovesse essere operata innanzitutto sulla base del criterio dell’interpretazione letterale delle clausole (e, al riguardo, l’espressione utilizzata “…cede e vende alla Società ED. P.R….un terreno residenziale” è oggettivamente inequivoca), conferendo, altresì, rilievo al criterio logico-sistematico di cui all’art. 1363 c.c., desumendo la volontà manifestata dai contraenti – nel senso della produzione dell’effetto immediatamente traslativo – anche da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa e dal comportamento delle parti stipulanti.

  1. Ritiene il collegio che è, invece, fondato il terzo motivo, che deve, perciò, essere accolto per le ragioni che seguono.

La Corte territoriale, nell’esaminare la complessiva vicenda fattuale e considerando gli elementi probatori acquisiti, ha ravvisato, con la sentenza qui impugnata, la sussistenza delle condizioni per l’applicabilità dell’art. 1197 c.c., ritenendo in proposito che l’incasso dell’assegno di euro 77.468,50 da parte del Co. aveva fatto sì che l’obbligazione della Ed. P.R. si fosse estinta, anziché con la consegna dell’appartamento di cui al contratto del 16 novembre 1999, con una prestazione diversa, ovvero, per l’appunto, con l’intervenuto pagamento – da imputarsi al saldo della prestazione – a mezzo di assegno, regolarmente incassato, da intendersi, perciò, produttivo dell’effetto liberatorio della controricorrente dall’obbligazione discendente a suo carico dal menzionato contratto, adempiuta, quindi, con modalità solutoria rispetto alla quale si sarebbe dovuto ritenere sussistente il consenso manifestato in forma tacita dal Co..

Ragionando in questi termini, però, la Corte veneta, pur inquadrando correttamente la datio in solutum come un contratto a titolo oneroso solutorio – liberatorio che estingue l’obbligazione in modo satisfattivo, non ha tenuto conto che la disciplina da applicarsi allo stesso è, per l’appunto, quella generale del contratto, e ciò comporta che debba essere rispettata anche la forma che attiene alla natura della prestazione oggetto di dazione.

Pertanto, nel caso di specie, l’esistenza della controversa pattuizione (parzialmente) modificativa del precedente contratto concluso tra le parti in giudizio necessitava – ai sensi dell’art. 1350 (n. 1) c.c. – della forma scritta ad substantiam, siccome avente ad oggetto un trasferimento immobiliare, forma, invece, pacificamente non osservata – con riguardo all’attuazione dell’asserita prestazione sostitutiva – nella vicenda qui esaminata.

Pertanto, in difetto di tale indispensabile requisito, la Corte di appello non avrebbe potuto ricondurre ad una valida datio in solutum la modalità del pagamento con assegno da parte della società controricorrente (rimanendo, perciò, impregiudicata la valutazione della sua effettiva imputazione in sede di rinvio) in sostituzione del trasferimento dell’appartamento in favore del Co. (previsto in contratto a titolo di parziale permuta immobiliare).

Alla stregua di tali complessive argomentazioni va, quindi, accolto il motivo qui esaminato, con la conseguenza che il giudice di rinvio dovrà – pur rimanendo confermata la qualificazione del controverso contratto come contratto definitivo – rivalutare, nella sua globalità, la vicenda intercorsa tra le parti con riferimento alle obbligazioni reciprocamente assunte e ai correlati adempimenti e/o inadempimenti, assumendo le conseguenti statuizioni circa la sorte del contratto stesso.

  1. In definitiva, previo rigetto dei primi due motivi, deve essere accolto il terzo, con relativa cassazione dell’impugnata sentenza ed il rinvio della causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, che provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso e rigetta i primi due; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione.

Così deciso nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 26 novembre 2020.