Ordinanza 17914/2022
Capacità processuale – Incapacità naturale della parte
L’art. 75 c.p.c. nell’escludere la capacità processuale delle persone che non hanno il libero esercizio dei propri diritti, si riferisce solo a quelle che siano state private della capacità di agire con una sentenza di interdizione o di inabilitazione, ovvero con provvedimento di nomina di un rappresentante e non anche a quelle colpite da incapacità naturale, ma non interdette o inabilitate. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione del giudice di merito che non aveva verificato d’ufficio la validità della procura “ad litem” conferita dal disabile, affetto da grave deficit sensoriale, motorio ed intellettuale, che era parte danneggiata nella causa di risarcimento dei danni derivanti da responsabilità medica).
Espressioni sconvenienti e offensive istanza di cancellazione e di correlativo risarcimento dei danni – Mancata decisione – Vizio di omessa pronuncia
Costituisce vizio di omessa pronuncia, denunciabile anche in sede di legittimità, la mancata decisione sull’istanza di cancellazione di frasi sconvenienti od offensive e di correlativo risarcimento dei danni, il cui esame, ancorché affidato al potere discrezionale del giudice, che può provvedere al riguardo anche d’ufficio, non per questo può essere omesso.
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 1-6-2022, n. 17914 (CED Cassazione 2022)
Art. 75 cpc (Capacità processuale) – Giurisprudenza
RITENUTO CHE:
1. – (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e quali esercenti la responsabilità genitoriale sul minore (OMISSIS), convennero in giudizio la (OMISSIS) s.r.l. (di seguito anche solo “Casa di Cura”) e il medico (OMISSIS) per sentirli condannare, in solido tra loro, al risarcimento di tutti i danni patiti in occasione della nascita del figlio (OMISSIS), il quale, per la condotta colposa dei convenuti nella preparazione e conduzione del parto, aveva subito lesioni tali da recargli un grave deficit sensoriale, motorio ed intellettuale.
L’adito Tribunale di Piacenza, con sentenza del 28 febbraio 2002, riconobbe la responsabilità civile dei convenuti e li condannò, in via solidale, al pagamento, a titolo di risarcimento danni, della somma di Euro 1.478.925,00 in favore di (OMISSIS) e della somma di Euro 150.000,00 in favore di ciascuno dei genitori.
2. – La decisione di primo grado, appellata separatamente dalla Casa di Cura e dal (OMISSIS), venne confermata dalla Corte di appello di Bologna con sentenza n. 552 del 27 aprile 2011.
3. – Avverso tale pronuncia, la (OMISSIS) s.r.l. propose ricorso per cassazione sulla base di sette motivi, che questa Corte, con sentenza n. 13197 del 26 giugno 2015, accolse parzialmente, cassando la decisione di appello in relazione al terzo motivo (relativo alla liquidazione del danno erroneamente effettuata in base alla percentuale di invalidità del 100% e non dell’80% e in base alle tabelle milanesi del 2009 e non del 2002) ed al settimo motivo (relativo alla liquidazione del danno in favore di (OMISSIS) in base ad operazioni che, in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, avevano avuto come conseguenza la determinazione di un importo – Euro 1.509.008,00 maggiore di quello liquidato dal primo giudice, ossia Euro 1.478.925,00), concernenti il riconoscimento del quantum debeatur.
4. – Il giudizio veniva riassunto sia da (OMISSIS) (nei confronti dei genitori, della Casa di Cura e degli eredi di (OMISSIS)), dando luogo al procedimento distinto dal n. r.g. 1808/2016, sia dalla Casa di Cura (nei confronti delle altre parti sopra indicate), dando luogo al procedimento distinto dal n. r.g. 2206/2016.
4.1. – Disposta la riunione dei giudizi, la Corte di appello di Bologna, con sentenza (n. 990) resa pubblica l’11 aprile 2018, così provvedeva: dichiarava l’estinzione del giudizio distinto dal n. r.g. 1808/2016; condannava la (OMISSIS) s.r.l. e il (OMISSIS) al pagamento, in favore di (OMISSIS), della somma di Euro 54.628,76, “quale residuo non pagato del debito risarcitorio, da maggiorarsi degli interessi al saggio legale dalla pubblicazione della… sentenza al saldo”; confermava nel resto la sentenza di primo grado; compensava le spese del giudizio di legittimità e di quello di appello iscritto al n. r.g. 638/02, con restituzione alla Casa di Cura di quanto corrisposto a tale titolo; condannava la Casa di Cura e gli eredi di (OMISSIS) al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio celebrato a seguito di rinvio.
4.2. – La Corte territoriale, a fondamento della decisione (e per quanto ancora rileva in questa sede), osservava: a) a seguito del giudizio svoltosi dinanzi alla Corte di cassazione sussisteva giudicato sia in ordine “all’inadempimento colpevole dei convenuti (OMISSIS) e (OMISSIS)”, sia sulle “statuizioni relative alla liquidazione ed al risarcimento del danno in favore” di (OMISSIS) e (OMISSIS); b) l’impiego delle tabelle milanesi del 2002 conduceva ad una liquidazione del danno biologico patito dal neonato, in relazione all’80% di invalidità permanente, pari ad Euro 496.715,97; c) ai “fini di una complessiva liquidazione del danno non patrimoniale”, andava “sommato il danno morale riconosciuto dal giudice di primo grado nella misura del 50% del danno biologico, secondo una metodologia di liquidazione non oggetto di censura, per un importo quindi di Euro 248.357,98”; d) i riconosciuti profili di danno esaurivano il pregiudizio non patrimoniale, da liquidarsi nell’importo complessivo di Euro 745.073,95; e) “(t)ale importo, liquidato mediante il ricorso a valori da impiegare alla data del 23 febbraio 2002, data in cui fu depositata la sentenza di primo grado, viene devalutato alla data del sinistro – 16 giugno 1988 – per un importo finale di Euro 438.278,79” e lo “stesso importo viene rivalutato e maggiorato degli interessi compensativi sulla somma annualmente rivalutata, per un importo liquidato all’attualità, e convertito in credito di valuta, pari ad Euro 1.777.355,17 da maggiorarsi degli interessi al saggio legale dalla presente sentenza al saldo”; f) la “definitività delle precedenti statuizioni relative alle posizioni degli originari attori (OMISSIS) e (OMISSIS)” assorbiva ogni domanda proposta nei loro confronti dalla “Casa di cura appellata e da (OMISSIS)”, dovendo, altresì, essere respinta la domanda proposta da quest’ultima appellata “di reiezione delle domande articolate da (OMISSIS)”, essendovi giudicato sulla responsabilità del dante causa (OMISSIS); g) quanto alla domanda, proposta dalla Casa di cura, di restituzione del maggior importo risarcitorio corrisposto a (OMISSIS) andava considerato: il complessivo credito degli attori ammontante ad Euro 2.332.734.08 (di cui Euro 1.777.355,17 in favore di (OMISSIS) ed Euro 555.378,91 – maggiorato degli interessi legali dalla domanda al saldo l’importo complessivo di Euro 300.000,00 – in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS)); quanto corrisposto dalla Casa di Cura (in base alla documentazione in atti) per un importo (già maggiorato degli interessi al saggio legale dal singolo pagamento alla attualità) di Euro 2.278.105,38, non dovendosi computare “gli esborsi sostenuti dalla Casa di cura appellata per le pregresse spese di procedura e le spese legali, posto come tali spese rechino un titolo diverso da quello risarcitorio (e) risultino giustificate, atteso come sia stato riconosciuto il diritto degli attori in primo grado al risarcimento del danno”; h) essendo le posizioni di (OMISSIS) e (OMISSIS) coperte da giudicato, doveva “ritenersi estraneo alla presente lite la integrale corresponsione di quanto loro dovuto”, spettando così al solo (OMISSIS), appellante in riassunzione, l’importo risarcitorio residuo di Euro 54.628,76, da maggiorarsi degli interessi al saggio legale dalla pubblicazione della sentenza al saldo; i) le spese del giudizio di cassazione e del precedente giudizio di appello (n. r.g. 638/02) erano da compensarsi per la “reciproca soccombenza tra le parti”, essendo stati respinti cinque dei sette motivi di ricorso per cassazione, con ciò evidenziandosi “il parziale fondamento dei motivi” di detto giudizio di appello.
5. – Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la (OMISSIS) s.r.l., affidando le sorti dell’impugnazione a sette motivi.
Resiste con controricorso (OMISSIS), che ha proposto anche ricorso incidentale sulla base di tre motivi.
Resistono, altresì, con congiunto controricorso, (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno proposto anche ricorso incidentale affidato a quattro motivi.
Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli eredi di (OMISSIS).
In prossimità dell’adunanza camerale del 26 gennaio 2022, tutti i controricorrenti-ricorrenti incidentali hanno depositato memoria.
La causa è stata, quindi, rinviata per sopraggiunto impedimento del consigliere relatore e nuovamente fissata per la trattazione all’adunanza camerale odierna, in prossimità della quale hanno depositato memoria la ricorrente principale e il controricorrente -ricorrente incidentale (OMISSIS).
CONSIDERATO CHE:
1. – Preliminarmente, è infondata l’eccezione, sollevata dal controricorrente-ricorrente incidentale (OMISSIS), di improcedibilità del ricorso per mancato deposito di copia notificata della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, giacchè sono in atti – nel fascicolo della ricorrente principale su cui è apposto il timbro di deposito della cancelleria in data 28 settembre 2018 – copie analogiche (spillate dopo il ricorso (sulla cui prima pagina è replicato il timbro di deposito in data 28 settembre 2018) e le allegate relate di notificazione a mezzo posta) della sentenza n. 990/2018 della Corte di appello di Bologna notificata a mezzo p.e.c. il 20 giugno 2018 dall’avvocato (OMISSIS), dei messaggi di p.e.c. e della relata di notifica, con attestazione di conformità di dette copie analogiche ai rispettivi documenti informatici resa in data 18 settembre 2018 dall’avvocato (OMISSIS), difensore della (OMISSIS) s.r.l. nel giudizio di rinvio.
2. – Sempre in via preliminare, non può trovare accoglimento l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, essendo intelligibile e adeguata, anche in funzione delle censure proposte, l’esposizione sommaria dei fatti di causa.
Quanto, poi, all’eccezione di inammissibilità del ricorso, nel suo complesso, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, essa, come tale, è infondata, rimanendo salva la relativa delibazione in riferimento alle singole censure.
Ricorso principale della (OMISSIS) s.r.l.
2. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione della L. n. 353 del 1990, art. 90, comma 3, art. 11 preleggi e art. 5 c.p.c., nonchè “contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia”, per aver la Corte territoriale erroneamente dichiarato l’estinzione del giudizio di riassunzione per tardività, avendo applicato, in luogo del termine di sospensione feriale di cui alla L. n. 742 del 1969, art. 1 quello introdotto, per l’anno 2015, dal Decreto Legge n. 132 del 2014 (convertito, con modificazioni, nella L. n. 162 del 2014), considerando il giudizio di rinvio un nuovo giudizio di appello e non l’unitario giudizio originario, quindi ancora soggetto alle regole processuali previgenti alla modifica legislativa del 2014.
2.1. – Il motivo è infondato (a prescindere dal profilo della sussistenza dell’interesse all’impugnazione, contestato dalle parti controricorrenti).
La riduzione della durata del periodo di sospensione feriale attualmente decorrente dal 1 al 31 agosto di ogni anno ai sensi della L. n. 741 del 1969, artt. 1 nel testo modificato dal Decreto Legge n. 132 del 2014, art. 16, comma 1, del convertito con modificazioni dalla L. n. 162 del 2014 – è immediatamente applicabile con decorrenza dall’anno 2015, in forza dell’art. 16, comma 1, dello stesso D.L., a nulla rilevando la data di introduzione del giudizio, in attuazione, peraltro, del principio tempus regit actum (Cass. n. 20866/2017; Cass. n. 30053/2020; Cass. n. 8722/2022).
è, dunque, corretta la decisione della Corte territoriale che ha applicato la disciplina anzidetta in ragione della pubblicazione della sentenza di questa Corte – dalla quale decorre il termine per la riassunzione del giudizio dinanzi al giudice di rinvio, ai sensi dell’art. 392 c.p.c. – nell’anno 2015 e, segnatamente, in data 26 giugno, così individuare come termine ultimo per la riassunzione del giudizio il 27 luglio 2016 (in base alla formulazione dell’art. 392 c.p.c. previgente alla riforma recata dalla L. n. 69 del 2009) e, quindi, dichiarare tardiva la citazione in riassunzione notificata nel settembre 2016 (cfr. p. 6 della sentenza impugnata).
3. – Con il secondo mezzo è dedotta la violazione degli artt. 1224 e 1193 c.c., nonchè degli artt. 112, 324 e 394 c.p.c., per non aver la Corte territoriale rispettato i limiti della sentenza rescindente della Cassazione e violato il giudicato interno formatosi a seguito della sentenza di primo grado, in quanto, dopo aver correttamente determinato il danno biologico e morale dovuto a (OMISSIS) in Euro 745.073,95 alla data del 23 febbraio 2022, erroneamente “lo maggiorava del maggior danno devalutando la somma alla data del sinistro ((OMISSIS)) anzichè alla data della proposizione della domanda (16 giugno 1993, in quanto obbligazione da illecito contrattuale), indi computando interessi e rivalutazione per un lustro in più, sulla somma via via rivalutata”, per poi rivalutare la somma complessiva così ottenuta (Euro 1.183.352,74: 745.073,95 + (maggior danno) 438.278,79) alla data dell’aprile 2018, così da giungere alla somma capitale di Euro 1.777.355,17, liquidato a titolo di obbligazione di valuta.
4. – Con il terzo mezzo è prospettata la violazione degli artt. 394, 112 e 115 c.p.c., nonchè dell’art. 1282 c.c., art. 1193 c.c., u.c. e art. 1224 c.c., per aver la Corte territoriale, in contrasto con i principi di diritto della sentenza rescindente, detratto dalla somma rivalutata alla data del 2018 alcuni pagamenti effettuati da essa Casa di cura a far tempo del 2002 considerando la “valuta dell’epoca”, là dove, invece, non essendo dovuta la rivalutazione dalla data dell’evento ((OMISSIS)), “avrebbe dovuto maggiorare il capitale fino alla data di ogni pagamento, degli interessi legali maturati sino a quella data, sottrarre l’importo pagato, ricalcolare gli interessi e così via”.
4.1. – Il secondo e terzo motivo – da scrutinarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi – sono ammissibili e, per quanto di ragione, anche fondati.
4.1.1. – Giova rammentare, anzitutto, che la vincolatività del principio di diritto enunciato in sede rescindente opera, sul presupposto dell’omogeneità delle situazioni devolute reiteratamente al giudizio di legittimità, sia per il giudice del rinvio, sia per la Corte di cassazione nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata in sede di rinvio (tra le altre, Cass. n. 11716/2014; Cass. n. 26521/2018).
Va, altresì, ricordato che la rilevabilità del giudicato, interno ed esterno, in ogni stato e grado del processo deve essere coordinata con i principi che disciplinano il giudizio di rinvio e, segnatamente, con la prospettata efficacia preclusiva della sentenza di cassazione con rinvio, che riguarda non solo le questioni dedotte dalle parti o rilevate d’ufficio nel procedimento di legittimità, ma, anche, quelle che ne costituiscono il necessario presupposto, ancorchè ivi non dedotte o rilevate (Cass. n. 2411/2016).
Deve, infine, precisarsi che le doglianze di parte ricorrente sono scrutinabili solo là dove l’errore di calcolo è denunciato come riconducibile all’impostazione delle operazioni matematiche necessarie per ottenere un certo risultato e, quindi, come un error in iudicando nell’individuazione di parametri e criteri di conteggio, non essendo, dunque, pertinenti in questa sede le censure di erronea utilizzazione delle regole matematiche sulla base di presupposti numerici, individuazione e ordine delle operazioni da compiere esattamente determinati, che possono dare luogo, semmai, alla procedura di correzione ex art. 287 c.p.c. (Cass. n. 23704/2016).
4.1.2. – Ciò premesso, occorre evidenziare i dati rilevanti (che emergono dagli atti di causa, ai quali la Corte ha accesso per la natura, processuale, del vizio dedotto) ai fini dello scrutinio delle censure di parte ricorrente in riferimento alla posizione di (OMISSIS).
La sentenza di primo grado (n. 221 del 23 febbraio 2002 del Tribunale di Piacenza, p. 11), dopo aver liquidato il danno biologico, in base alle tabelle milanesi del 2002 (dunque, all’attualità), in relazione alla percentuale di invalidità permanente (IP) del 100% (Euro 983.250) e il “danno esistenziale” nella misura del 50% del danno biologico (Euro 495.675), aveva disposto che sulla somma complessiva (in quel caso ammontante ad Euro 1.478.925) fossero dovuti gli “(i)nteressi legali dalla domanda al saldo”.
A sua volta, il giudice di appello (n. 552 del 27 aprile 2011 della Corte di appello di Bologna, pp. 21/24) aveva: a) riconosciuto il danno non patrimoniale (omnicomprensivo) in applicazione delle tabelle milanesi del 2009 e in relazione ad una IP dell’80%, determinandolo in Euro 863.057,00; b) sempre in base alle tabelle milanesi del 2009, lo aveva personalizzato, aumentandolo ad Euro 1.000.000,00; c) rispetto a tale complessivo importo aveva riconosciuto il danno da c.d. ritardo (per la perdita delle utilità connesse al tempestivo godimento del denaro), devalutando detto importo alla data dell’illecito (giugno (OMISSIS)) e poi (sulla somma devalutata di Euro 512.560,00) aveva computato la rivalutazione monetaria anno per anno e gli interessi legali sino alla data della sentenza di primo grado (23 febbraio 2002), per giungere a determinare la somma complessiva, dovuta a titolo di danno non patrimoniale, di Euro 1.529.538,39; d) aveva ritenuto, quindi, che, in considerazione anche del danno c.d. da ritardo (secondo gli anzidetti criteri), la liquidazione del danno non patrimoniale operata dal primo giudice sarebbe ascesa ad Euro 1.509.008,00 (Euro 505.680,00 in moneta del giugno (OMISSIS), poi maggiorata di rivalutazione e interessi sino alla data della sentenza) e che si trattava di liquidazione non censurabile per extrapetizione, dovendo il danno c.d. da ritardo essere riconosciuto d’ufficio in quanto l’obbligazione risarcitoria è obbligazione di valore.
Questa Corte, con la sentenza n. 13197/2015 (pp. 5/8), accoglieva il terzo ed il settimo motivo del ricorso proposto dalla Casa di Cura avverso la sentenza di appello n. 552/2011.
Con il terzo motivo la ricorrente sosteneva “che il giudice d’appello avrebbe dovuto determinare l’intero danno nella misura dell’80%, avrebbe dovuto applicare la tabella milanese del 2002 e non quella del 2009 (poi devalutata), avrebbe dovuto liquidare in riferimento agli stessi valori il risarcimento del danno non patrimoniale nella misura di 1/2 del danno biologico”.
Con il settimo motivo la ricorrente lamentava la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, avendo “chiesto al giudice d’appello (quanto a (OMISSIS)) la liquidazione commisurata alla misura di IP pari all’80%”, mentre lo stesso giudice, “pur determinando nella misura dell’80% il danno di (OMISSIS) (aveva) compiuto una serie di operazioni che l’hanno portato a concludere che alla data della decisione di primo grado la somma liquidabile ammontava ad Euro 1.509.008,00, ossia ad una somma superiore a quella liquidata dal primo giudice (Euro 1.478.925,00)”.
La sentenza rescindente ha, quindi, statuito che la Corte di appello: a) non poteva modificare l’importo liquidato a titolo di “danno morale”; b) doveva liquidare il danno biologico “sulla base della misura accertata dell’80% di IP, seguendo gli stessi criteri (incontestati dalle parti) seguiti in primo grado”; c) “(n)on poteva, invece, procedere alla liquidazione complessiva dell’importo a titolo di danno seguendo criteri diversi (quali quelli indicati dalle tabelle milanesi del 2009) invece che quelli vigenti nel 2002, applicate dal primo giudice”.
La Corte territoriale – come ancora evidenziato dalla medesima pronuncia di legittimità – aveva, quindi, in forza dell’adottato “iter motivazionale”, “violato il principio di corrispondenza tra il chiesto (con l’atto d’appello) ed il pronunciato”, poichè era giunta ad una “autonoma (rispetto al primo grado) rideterminazione di un danno che è risultato anche superiore a quello liquidato in primo grado, con conseguente conferma della sentenza del Tribunale, non oggetto d’appello da parte dei danneggiati”.
4.1.3. – Deve, dunque, reputarsi che l’indicazione proveniente dalla sentenza rescindente, vincolante per il giudice del rinvio (art. 384 c.p.c., comma 2), sia stata quella di emendare – nel rispetto del principio di corrispondenza del chiesto e pronunciato in appello, proposto dalla Casa di Cura e non dai danneggiati – la sentenza di primo grado solo in riferimento al parametro di quantificazione del danno biologico costituito dalla IP dell’80%, dovendo essere mantenuta ferma sia la determinazione del danno morale in base al 50% del danno biologico, sia la liquidazione dell’importo complessivo del risarcimento in base alle tabelle milanesi vigenti nel 2002.
Non era, dunque, consentito al giudice del rinvio una “autonoma (rispetto al primo grado) rideterminazione del danno”, se non in relazione alla diversa percentuale di IP, così da non poter modificare la sentenza del Tribunale anche nella determinazione degli “interessi legali dalla domanda” giudiziale, nè potendo giungere al riconoscimento del danno c.d. da ritardo (riconosciuto erroneamente dalla sentenza n. 552/2011, cassata) in violazione dei limiti del vincolo rescindente e del giudicato interno formatosi al riguardo.
La Corte territoriale, con la sentenza impugnata in questa sede (n. 990/2018), ai fini della liquidazione del risarcimento spettante a (OMISSIS), ha sì tenuto conto: a) dei criteri indicati dalle tabelle milanesi vigenti nel 2002 e, quindi, in riferimento “a valori da impiegare alla data del 23 febbraio 2002, data in cui fu depositata la sentenza di primo grado”; b) di una invalidità dell’80% ai fini della liquidazione del danno biologico; b) dell’importo riconosciuto a titolo di danno morale dal giudice di primo grado, nella misura del 50% del danno biologico.
Tuttavia, l’importo complessivo così quantificato (a titolo di danno biologico e morale) alla data del 23 febbraio 2002 (Euro 745.073,95) è stato dal giudice di appello devalutato alla data del sinistro – (OMISSIS) – e, quindi, rivalutato e maggiorato “degli interessi compensativi sulla somma annualmente rivalutata, per un importo liquidato all’attualità, e convertito in credito di valuta” alla data della sentenza di secondo grado (in sede di rinvio).
Liquidazione, questa, operata, dunque, in violazione dei limiti segnati dalla sentenza rescindente, che imponevano (per le ragioni anzidette) di considerare, in forza del giudicato ormai formatosi sulla statuizione di primo grado, soltanto gli “interessi legali dalla domanda al saldo” sulla somma liquidata, allora (febbraio 2002), all’attualità.
4.1.4. – Quanto, poi, alla questione della detrazione degli acconti corrisposti in corso di giudizio dalla Casa di Cura (oggetto segnatamente del terzo motivo di ricorso), va, anzitutto, precisato che le somme da detrarre sono unicamente quelle indicate nella sentenza di appello (p. 9), per pagamenti a “titolo risarcitorio”, non risultando impugnata, in modo specifico e congruente, la ratio decidendi sulla esclusione dal novero degli acconti delle “spese di procedura” e delle “spese legali” (pp. 9 e 10 della sentenza di appello), alla quale parte ricorrente oppone solo una apodittica indicazione, nei calcoli effettuati in ricorso, come detraibili dall’importo risarcitorio dovuto. Si tratta, invero, di quaestio facti, che avrebbe dovuto, semmai, essere censurata alla luce del vizio di omesso esame di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nei modi indicati da Cass., S.U., n. 8053/2014), nè potendo essere veicolati con il presente ricorso vizi di natura revocatoria ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 2, della sentenza di appello (tra le altre, Cass. n. 27555/2011).
La censura, nel resto, è fondata alla luce di quanto già evidenziato al § 4.1.3., che precede, lamentando parte ricorrente l’erroneità della base di calcolo del capitale, in quanto oggetto di rivalutazione dalla data dell’illecito (Euro 2.332.734,08, all’attualità: importo quantificato in base ai criteri anzidetti), su cui è stata, poi, effettuata la detrazione degli acconti.
5. – Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per aver la Corte territoriale errato, senza peraltro fornire alcuna giustificazione e (non potendo essere quella della reciproca soccombenza), a compensare le spese del giudizio di legittimità e quelle dell’originario giudizio di secondo grado, giacchè essa Casa di cura “era rimasta vittoriosa in cassazione come in grado di appello”.
5.1. – Il motivo è assorbito in ragione dell’accoglimento delle censure innanzi scrutinate.
Il principio, fissato dall’art. 336 c.p.c., comma 1, secondo il quale la cassazione parziale in relazione ai motivi ha effetto anche sulle parti della sentenza dipendenti da quella cassata (cosiddetto effetto espansivo) comporta, infatti, che la caducazione, in sede di legittimità, della pronuncia impugnata si estende alla statuizione relativa alle spese processuali, con necessità della rinnovazione della relativa statuizione all’esito della lite (tra le altre, Cass., S.U., n. 10615/2003).
6. – Con il quinto mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c., artt. 1193 e 2697 c.c., nonchè denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omesso esame circa un punto decisivo per il giudizio”, per aver la Corte territoriale mancato di considerare che i pagamenti di essa Casa di cura erano effettuati sempre nei confronti dei tre creditori solidalmente, senza alcuna “distinzione nè imputazione”, ai sensi dell’art. 1193 c.c., con la conseguenza che anche l’ultimo pagamento, che saldava l’obbligazione, era imputabile collettivamente ai medesimi tre creditori.
6.1. – Il motivo è inammissibile.
è principio consolidato (tra le altre: Cass. n. 2822/2014; Cass. n. 2267/2019) che la solidarietà attiva fra più creditori non si presume, nemmeno in caso di identità della prestazione dovuta, ma deve risultare espressamente dalla legge o da un titolo negoziale preesistente alla richiesta di adempimento, non essendo sufficiente all’esistenza del vincolo l’identità qualitativa delle prestazioni (eadem res debita) e delle obbligazioni (eadem causa debendi).
Nella specie, non venendo in rilievo un titolo legale, l’esistenza e portata del titolo negoziale sulla solidarietà attiva avrebbe dovuto essere dedotto e provato, dalla Casa di Cura, nel giudizio di merito e di tali deduzione e prova – non essendo la questione giudica, implicante un accertamento di fatto, trattata nella sentenza impugnata – parte ricorrente avrebbe avuto l’onere di dare chiara e specifica contezza, nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, per non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura in questa sede (tra le molte, Cass. n. 32804/2019).
E tale onere non può dirsi assolto, giacchè è affatto generica, e quindi insufficiente, la mera indicazione che la solidarietà attiva era dipesa “da ordine del giudice esecutivo”, con somme assegnate in varie procedure esecutive (indicate a p. 36 del ricorso), ordine il cui puntuale contenuto è taciuto, così come è carente la localizzazione processuale dei pertinenti atti delle evocate procedure esecutive.
7. – Con il sesto mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1299 c.c.
La ricorrente, sulla premessa che la “pronuncia sul quantum pagato in totale ai tre (OMISSIS) e sul quantum dovuto agli stessi è già materia del contendere”, chiede “l’ulteriore pronuncia di condanna a carico degli eredi del condebitore in solido, al pagamento in favore della Casa di Cura, solvens, della metà delle somme… esborsate” (Euro 1.503.556,12, oltre accessori).
7.1. – Il motivo è inammissibile.
La domanda di condanna del debitore solidale in forza di azione di regresso, ai sensi dell’art. 1299 c.c., avrebbe dovuto essere avanzata nel giudizio di merito (nei modi e tempi ivi consentiti) ed è, pertanto, inammissibile la sua proposizione, per la prima volta, in questa sede di legittimità.
8. – Con il settimo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, errata e falsa applicazione degli artt. 71, 75, 182 c.p.c., art. 320, commi 3 e 5, e art. 321 c.c., nonchè “mancata pronuncia su un punto decisivo della controversia” ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con “conseguente nullità della procura ad litem rilasciata da (OMISSIS) ai difensori in entrambi i gradi del giudizio.”
La ricorrente sostiene che, in ragione dello stato vulnerabilità di (OMISSIS), il giudice di rinvio avrebbe dovuto, ai sensi dell’art. 182 c.p.c., verificare d’ufficio “la validità della procura ad litem conferita dal disabile – o meglio dai suoi genitori – ai difensori”; questione che essa Casa di cura portava all’attenzione con la comparsa conclusionale (pp. 11 e 12 del ricorso), senza che il giudice del rinvio procedesse ad investire il Pubblico ministero per le iniziative più idonee in difesa dell’incapace, trascurando quindi l’eccezione sollevata al riguardo.
8.1. – Il motivo è inammissibile.
Il limite della rilevanza del difetto di valida rappresentanza processuale è costituito dal formarsi del giudicato, il quale impedisce il riesame non solo delle ragioni o questioni giuridiche che sono state proposte e fatte valere in giudizio, ma anche di quelle che, seppure non espressamente dedotte o rilevate, costituiscono il necessario presupposto, anche di ordine processuale, della pronuncia di merito (Cass. n. 23035/2009).
Ne consegue l’inammissibilità della censura in esame, poichè la questione della nullità della procura ad litem rilasciata da (OMISSIS) è stata posta dalla Casa di Cura per la prima volta al giudice del rinvio, sicchè il relativo esame era ormai precluso dalla portata della sentenza rescindente n. 13197/2005, che riguardava non solo le questioni dedotte dalle parti o rilevate d’ufficio nel procedimento di legittimità, ma, anche, quelle che ne costituiscono il necessario presupposto, ancorchè ivi non dedotte o rilevate (Cass. n. 2411/2016), come, per l’appunto, la questione sulla validità della anzidetta procura.
Quanto, poi, all’eccezione, sollevata con la memoria, di nullità della procura alle liti rilasciata da (OMISSIS) nel presente giudizio di legittimità (questione in ogni caso scrutinabile d’ufficio), essa è infondata alla luce del principio, consolidato (tra le altre, Cass. n. 17912/2010), per cui l’art. 75 c.p.c., nell’escludere la capacità processuale delle persone che non hanno il libero esercizio dei propri diritti, si riferisce solo a quelle che siano state private della capacità di agire con una sentenza di interdizione o di inabilitazione, ovvero con provvedimento di nomina di un rappresentante provvisorio, e non anche a quelle colpite da incapacità naturale, ma non interdette o inabilitate. E la ricorrente principale ha dedotto soltanto elementi che attengono ad una pretesa incapacità naturale della parte.
Ricorso incidentale di (OMISSIS).
9. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione degli artt. 91 e 394 c.p.c., comma 2, “relativamente alla compensazione integrale delle spese del giudizio di appello e del giudizio di cassazione avendo errato la Corte territoriale a non considerare la “soccombenza pressochè integrale della Casa di Cura”, con conseguente rifusione in favore di esso attore “di gran parte delle spese di appello e del giudizio di cassazione”.
10. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione della L. n. 247 del 2012, artt. 91, 13 art. 2233 c.c., della L. n. 794 del 1942 e del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, nonchè dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per aver la Corte territoriale liquidato le spese del giudizio di rinvio in violazione dei parametri in materia di compensi per attività giudiziale civile, in forza del valore della causa di Euro 1.600.000,00 e, dunque, dovendo trovare applicazione lo scaglione da Euro 1.000.001,00 ad Euro 2.000.000,00.
10.1. – L’esame del primo e del secondo motivo è assorbito alla stregua di quanto già esposto al § 5.1. che precede.
11. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione dell’art. 324 c.p.c., art. 329 c.p.c., comma 2, art. 332 c.p.c. e art. 2909 c.c., non avendo la Corte territoriale statuito sull’esistenza di giudicato interno nel rapporto processuale, in cause scindibili, tra esso attore e gli eredi del convenuto (OMISSIS).
11.1. – Il motivo è fondato.
La sentenza della Corte di appello di Bologna n. 552 del 27 aprile 2011 aveva statuito esplicitamente sulla scindibilità delle cause e, quindi, sulla tardività della censura “in ordine al quantum della condanna pronunciata dal primo Giudice” proposta in sede di impugnazione da (OMISSIS) “solo all’udienza di precisazione delle conclusioni” (pp. 8 e 9 di detta sentenza di appello).
Tale espressa statuizione non è stata impugnata, in sede di legittimità, dal (OMISSIS) (avendo proposto ricorso per cassazione soltanto la Casa di Cura), per cui su di essa si è formato giudicato interno, che, dunque, era rilevabile d’ufficio nel giudizio di rinvio, non essendosi determinata alcuna efficacia preclusiva ad opera della sentenza di cassazione n. 13197/2015, che non si è espressa, neppure implicitamente, sull’esistenza di detto giudicato (Cass. n. 2411/2016). Giudicato interno che, nel descritto contesto, è, pertanto, rilevabile d’ufficio anche nel presente giudizio di cassazione, in guisa di elemento, emergente ex actis, assimilabile agli elementi normativi astratti, poichè destinato a fissare la regola del caso concreto (tra le molte, Cass. n. 12754/2022).
Ricorso incidentale di (OMISSIS) e (OMISSIS).
12. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione degli artt. 91, 92 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 336 c.p.c., per aver errato la Corte territoriale a compensare le spese dei giudizi di cassazione e di appello anche nei confronti di essi attori, rispetto ai quali, essendo passate in giudicato le statuizioni che li riguardavano, non poteva affermarsi come sussistente una reciproca soccombenza, spettando, invece, ad essi la rifusione delle spese di detti giudizi e non dovendo conseguentemente restituire alcunchè a tale titolo.
13. – Con il secondo mezzo e dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione dell’art. 91 c.p.c. e del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, per non aver la Corte territoriale parametrato le spese del giudizio di rinvio al valore della controversia e allo scaglione relativo, liquidando una somma praticamente simbolica.
13.1. – L’esame del primo e del secondo motivo è assorbito alla stregua di quanto già esposto al § 5.1. che precede.
14. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione degli artt. 96 e 112 c.p.c., per aver la Corte territoriale omesso di pronunciarsi sulla domanda di condanna per lite temeraria formulata da essi attuali ricorrente in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di rinvio (cfr. controricorso-ricorso incidentale), con liquidazione anche di una somma equitativamente determinata ai sensi del comma 3 del predetto art. 96.
14.1. – Il motivo è fondato.
La Corte territoriale non si è pronunciata sulla domanda degli attuali ricorrenti incidentali di risarcimento del danno per responsabilità aggravata a norma dell’art. 96 c.p.c.; istanza che può essere proposta per la prima volta anche all’udienza di precisazione delle conclusioni, senza che ciò determini alcun mutamento dell’oggetto e della causa petendi delle domande proposte dalle parti, in quanto sovente la parte istante è in grado di valutarne la fondatezza, nonchè di determinare l’entità del danno subito, solo al termine dell’istruttoria (Cass. n. 14911/2018).
15. – Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione degli artt. 89 e 112 c.p.c., per aver la Corte territoriale omesso di pronunciarsi sulla domanda di cancellazione delle espressioni sconvenienti e offensive utilizzate dalla Casa di Cura (a p. 13 della comparsa conclusionale e a p. 8 della memoria di replica) e sulla conseguente domanda di assegnazione di una somma a titolo di risarcimento del danno, svolte nella prima difesa successiva, con la memoria di replica a quella avversaria e ribadite a verbale dell’udienza collegiale del 23 gennaio 2018.
15.1. – Il motivo è fondato.
Costituisce vizio di omessa pronuncia, denunciabile anche in sede di legittimità, la mancata decisione (nella specie sussistente) sull’istanza di cancellazione di frasi sconvenienti od offensive e di correlativo risarcimento dei danni, il cui esame, ancorchè affidato al potere discrezionale del giudice, che può provvedere al riguardo anche d’ufficio, non per questo può essere omesso (Cass. n. 12134/1991).
16. – I ricorrenti incidentali chiedono a questa Corte, in relazione al giudizio di legittimità, una pronuncia di condanna “per lite temeraria ex art. 96 c.p.c., comma 3”, nonchè, ex art. 89 c.p.c., la cancellazione delle frasi, ritenute offensive, presenti a p. 41 del ricorso, con assegnazione di una somma a titolo di risarcimento del danno.
16.1. – Quanto all’istanza ex art. 96 c.p.c., la stessa (sia ai sensi del primo, che del comma 3) è, in via assorbente, infondata, non potendosi ravvisare mala fede o colpa grave nella proposizione, da parte della ricorrente principale, delle censure, di cui al terzo motivo e al quinto motivo, investenti la posizione dei coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS), avendo – quelle di cui al terzo motivo trovato in parte accoglimento.
16.2. – è, infine, infondata l’istanza ex art. 89 c.p.c., non trascendendo la continenza ed essendo pertinenti al diritto di difesa in rapporto all’oggetto della controversia (nella specie, rispetto al motivo di ricorso sulla invalidità della procura alle liti rilasciata da (OMISSIS)) le espressioni utilizzate dalla parte ricorrente principale in ordine al supposto conflitto di interesse tra i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) ed il figlio (OMISSIS) e alla strategia processuale che i primi avrebbero, asseritamente, attuato solo nel proprio interesse (p. 41, ultimo capoverso).
Sintesi della decisione sui ricorsi.
17. – Quanto al ricorso principale, vanno accolti, per quanto di ragione, il secondo e il terzo motivo; va dichiarato assorbito il quarto motivo; va rigettato il primo motivo e vanno dichiarati inammissibili il quinto, il sesto e il settimo motivo.
Quanto al ricorso incidentale di (OMISSIS), va accolto il terzo motivo e dichiarati assorbiti il primo e il secondo motivo.
Quanto al ricorso incidentale di (OMISSIS) e di (OMISSIS), vanno accolti il terzo e il quarto motivo e dichiarati assorbiti il primo e secondo motivo, nonchè rigettate le istanze ex art. 89 e 96 c.p.c.
La sentenza deve, quindi, essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, cui è rimessa anche la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie, per quanto di ragione, il secondo e il terzo motivo del ricorso principale, rigetta il primo motivo, dichiara assorbito il quarto motivo e inammissibili il quinto, il sesto e il settimo motivo dello stesso ricorso;
accoglie il terzo motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS) e dichiara assorbiti il primo e il secondo motivo dello stesso ricorso;
accoglie il terzo e il quarto motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS) e di (OMISSIS), dichiara assorbiti il primo e secondo motivo dello stesso ricorso e rigetta le istanze ex artt. 89 e 96 c.p.c. proposte dai medesimi ricorrenti incidentali;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.