Sentenza 17969/2021
Caparra confirmatoria – Inadempimento anteriore al recesso
L’esercizio del diritto di recesso ex art. 1385 c.c. determina lo scioglimento del vincolo contrattuale, radica la pretesa restitutoria quantificata forfettariamente in relazione all’oggetto della caparra confirmatoria e presuppone un inadempimento della controparte verificatosi anteriormente al recesso; ne consegue che qualora il socio di una società di persone abbia trasferito la quota sociale a terzi prima del recesso manifestato dall’altra parte contraente contro la società, non risponde dell’obbligazione restitutoria sorta in capo alla società in forza di clausola contrattuale, essendosi sciolto dal rapporto sociale ai sensi dell’art. 2290 c.c.
Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 23-6-2021, n. 17969 (CED Cassazione 2021)
Art. 1385 cc (Caparra confirmatoria) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
Tra le società (OMISSIS) e (OMISSIS) intercorreva un contratto di somministrazione, in virtu’ del quale la prima si impegnava al ritiro mensile di 55 chilogrammi di caffè del tipo Molinari Cinque stelle per la durata di 48 mesi e la società (OMISSIS), a garanzia degli impegni assunti quale somministrante, corrispondeva, tramite bonifico bancario, la somma di Euro 5.000,00.
Il 28 febbraio 2012, (OMISSIS), socia della (OMISSIS), cedeva la propria partecipazione azionaria a (OMISSIS) e successivamente, il 29 agosto 2012, quest’ultima, a sua volta, cedeva la propria quota di partecipazione a (OMISSIS), già socia della (OMISSIS).
La somministrante, con telegramma del 6 febbraio 2013, preso atto del perdurante inadempimento degli obblighi contrattualmente assunti dalla società (OMISSIS), comunicava il proprio recesso dal contratto di somministrazione e, ottenuto dal Tribunale di Modena il decreto n. 1393/2013, ingiungeva alla società (OMISSIS) ed ai suoi soci – compresa (OMISSIS) – nonchè ai suoi fideiussori la restituzione del doppio della caparra confirmatoria, detratto il valore degli sconti accumulati dalla somministrata.
Il decreto ingiuntivo veniva opposto da (OMISSIS), dinanzi al Tribunale di Modena, che, con sentenza n. 809/2016, lo revocava, ritenendo che il momento della titolarità passiva dell’obbligazione del versamento del doppio della caparra dovesse considerarsi quello in cui l’obbligazione era sorta per effetto dell’esercizio del recesso da parte della somministrante. Pertanto, posto che il recesso era stato comunicato il 6 febbraio 2013, in epoca successiva alla cessione della propria quota da parte dell’opposta, quest’ultima non poteva essere chiamata a rispondere in via solidale del pagamento della somma oggetto del decreto ingiuntivo.
La società (OMISSIS) impugnava la decisione n. 809/2016, dinanzi alla Corte d’Appello di Bologna, ritenendola errata, perchè il momento costitutivo dell’obbligazione doveva individuarsi non nell’atto di esercizio del recesso, ma in quello della stipulazione del contratto.
La Corte d’Appello di Bologna, con la sentenza n. 2286/2018, oggetto dell’odierno ricorso, pur riconoscendo che vi era stato inadempimento da parte della somministrata durante il periodo in cui (OMISSIS) era stata socia, rigettava l’appello, perchè, fino a che era perdurato il vincolo sociale, la società appellante non aveva contestato l’inadempimento, non aveva esercitato il diritto di recesso, nè richiesto la restituzione del doppio della caparra; quindi, aveva dato prova di tollerare l’inadempimento o comunque di averlo ritenuto non solutoriamente rilevante rinunciando ad avvalersi della facoltà di sciogliere il contratto, tant’è che aveva riconosciuto alla società (OMISSIS) il diritto allo sconto: diritto subordinato, per contratto, al riscontro dell’avvenuto adempimento.
Per la cassazione di detta sentenza propone ricorso la società (OMISSIS), articolando due motivi.
Resiste con controricorso (OMISSIS).
Si dà preliminarmente atto che per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in Camera di consiglio, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176, non avendo alcuna delle parti nè il Procuratore Generale fatto richiesta di trattazione orale.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2269, 2290, 1385 e 1456 c.c., per non avere la Corte territoriale tenuto conto che l’art. 2290 c.c., è stato interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte come implicante, a carico del socio recedente, l’obbligo di farsi carico di tutte le obbligazioni sociali, anche quelle di fonte legale, insorte prima del recesso; per avere attribuito alla caparra confirmatoria una funzione diversa da quella di clausola contrattuale accessoria e funzionale al rispetto dell’obbligazione principale convenuta nel contratto; per non aver considerato che l’art. 1385 c.c., è uno strumento speciale di risoluzione per inadempimento del contratto e che l’art. 2269 c.c., prevede che il nuovo socio risponde di tutte le obbligazioni sociali anteriori al suo ingresso in società, con accollo ex lege di tutte le obbligazioni e le passività sociali preesistenti.
Il dato di fatto da cui occorre muovere è che la sentenza impugnata ha ritenuto che l’inadempimento – solutoriamente rilevante – dell’obbligo di acquistare un quantitativo minimo di caffè si era verificato dopo la perdita della qualità di socio da parte di (OMISSIS), giacchè finchè quest’ultima aveva fatto parte della compagine sociale della (OMISSIS), la ricorrente non aveva mai contestato alcun inadempimento e non aveva sollecitato il ritiro di un maggior quantitativo di caffè, benchè la società (OMISSIS) avesse ritirato quantitativi inferiori a quelli contrattualmente previsti (fatto quest’ultimo provato): segno, secondo la Corte d’Appello, che la (OMISSIS) aveva tollerato il suddetto inadempimento, ritenendolo non solutoriamente rilevante, cioè non tale da giustificare, ai sensi dell’art. 1455 c.c., la risoluzione del contratto nè il recesso unilaterale con conseguente diritto alla ripetizione della caparra.
Si tratta di un accertamento di fatto certamente destinato a sfuggire al perimetro del sindacato di legittimità che, tuttavia, non è sufficiente a privare di rilevo la questione dell’asserita erronea applicazione da parte della sentenza impugnata delle norme epigrafate, ed in particolare della regola contenuta nell’art. 2290 c.c., sul presupposto che sia che trovi applicazione l’orientamento giurisprudenziale, invocato dalla ricorrente, che pone a carico del socio uscente le obbligazioni sorte finchè era parte della compagine sociale sia che a prevalere debba essere la tesi secondo cui l’uscita del socio, quindi il perfezionarsi dello scioglimento del suo vincolo sociale, segna il momento oltre il quale egli non risponde delle obbligazioni sociali, assumerebbe carattere assorbente il fatto che l’inadempimento non si era verificato prima del recesso, ma solo cinque mesi dopo.
La questione, infatti, ad avviso di questa Corte regolatrice non è stata correttamente affrontata dalla sentenza impugnata, poichè nel caso di specie non si trattava solo di verificare se vi fosse stato l’inadempimento solutoriamente rilevante prima del momento in cui era stato esercitato il diritto di recesso, ma, una volta accertati i presupposti per ritenere correttamene esercitata la facoltà di sciogliere il contratto (essenso pacifico che la Corte d’Appello non ha fatto leva sulla tolleranza dimostrata dalla somministrante per negare che avesse diritto a sciogliere il vincolo contrattuale, ma si è limitata a ritenere che, prima del momento in cui la (OMISSIS) si era avvalsa del diritto di sciogliersi dal vincolo contrattuale, non vi erano i presupposti dell’inadempimento solutoriamente rilevante o, comunque, che la somministrante aveva rinunciato ad avvalersi del diritto di recedere dal contratto e chiedere il doppio della caparra), anche e soprattutto di verificare quali effetti ne scaturissero e da quale momento essi decorressero.
Nè bastava ad esonerare la Corte territoriale dal compito di eseguire tale verifica l’aver ritenuto che “la volontà di recedere dal contratto in ragione “del perdurante mancato rispetto al ritiro di caffè nei quantitativi minimi previsti nel contratto” e del “perdurante mancato pagamento delle forniture di caffè” si riferisse ad inadempimenti verificatisi successivamente alla perdita, da parte della (OMISSIS), della qualità di socio” (p. 6).
Ora, pur non essendo stata riprodotta nel ricorso, la clausola n. 7 del contratto, non solo secondo la ricorrente, ma anche secondo quanto affermato dalla sentenza impugnata – la quale, a p. 6, sostiene che il mancato ritiro dei quantitativi minimi era espressamente qualificato come grave, ai fini della risoluzione del contratto o del recesso ex art. 1385 c.c.”, aveva attribuito specifica importanza all’obbligo di ritirare il quantitativo di caffè mensilmente convenuto – è incontestato che tale clausola sia stata attivata dalla ricorrente solo cinque mesi dopo lo scioglimento del vincolo sociale di (OMISSIS).
Il che, come correttamente ritenuto dalla sentenza impugnata, rende irrilevante l’inadempimento precedente.
Il fatto che l’inadempimento si fosse verificato anche prima di tale momento non rileva, perchè fintantochè la parte interessata non decida di avvalersi della facoltà di scioglierlo, il contratto rimane in vita, essendo tale sua sopravvivenza in vita subordinata alla decisione della parte di non risolverlo, pur avendone la facoltà, ferma restando la possibilità che la medesima parte insista per ottenere l’adempimento. Deve ritenersi, infatti, che – cfr. Cass. 31/10/2003, n. 24564 la tolleranza della parte creditrice, che si puo’ estrinsecare tanto in un comportamento negativo, quanto in uno positivo, non determina l’eliminazione della clausola per modificazione della disciplina contrattuale, nè è sufficiente ad integrare una tacita rinuncia ad avvalersene, ove lo stesso creditore, contestualmente o successivamente all’atto di tolleranza, manifesti l’intenzione di avvalersi della clausola in caso di ulteriore protrazione dell’inadempimento.
Di conseguenza, è corretta la decisione della Corte territoriale quando afferma che l’inadempimento solutoriamente rilevante, cioè assunto a base dell’esercizio del potere di recesso, non si era manifestato prima dell’esercizio del recesso.
La Corte d’Appello, ritenendo liberata dall’obbligazione di pagare il doppio della caparra a titolo risarcitorio, in solido con la società (OMISSIS), con gli altri soci e con i fideiussori, (OMISSIS), perchè lo scioglimento del contratto si era verificato solo per l’inadempimento verificatosi dopo il venir meno della sua partecipazione societaria, ha, tuttavia, mancato di prendere in considerazione, come si è detto, gli effetti del recesso sull’obbligo di restituire il doppio della caparra confirmatoria.
Mette conto rilevare che questa Corte ha affermato che va “senz’altro condivisa la ricostruzione dottrinaria secondo la quale il diritto di recesso è una evidente forma di risoluzione stragiudiziale del contratto, che presuppone pur sempre l’inadempimento della controparte avente i medesimi caratteri dell’inadempimento che giustifica la risoluzione giudiziale: esso costituisce null’altro che uno speciale strumento di risoluzione negoziale per giusta causa, alla quale lo accumunano tanto i presupposti (l’inadempimento della controparte) quanto le conseguenze (la caducazione ex tunc degli effetti del contratto)” (Cass., Sez. Un., 14/01/2009, n. 553).
Pare lecito immaginare, di conseguenza, una ricostruzione della fattispecie in termini di “peculiare ipotesi di risoluzione di diritto, da affiancare (piuttosto che contrapporre) a quelle di cui agli artt. 1454, 1456, 1457 c.c. Il recesso della parte non inadempiente si conferma così “modalità” (ulteriore) di risoluzione del contratto, destinata ad operare, indipendentemente dall’esistenza di un termine essenziale o di una diffida ad adempiere, mercè la semplice comunicazione all’altra parte di una volontà “caducatoria” degli effetti negoziali – operante, nella sostanza, attraverso un meccanismo analogo a quello che regola la clausola risolutiva espressa. Si discorre, all’esito di queste corrette riflessioni, del tutto opportunamente, di una “forma di risoluzione stragiudiziale del contratto che presuppone l’inadempimento della controparte, avente i medesimi caratteri dell’inadempimento che giustifica la risoluzione giudiziale”, cui consegue, tra l’altro, una “rilevante semplificazione del quadro probatorio”: così ancora Cass. n. 553/2009, cit..
Cio’ posto, deve pacificamente ammettersi che all’esercizio del recesso consegue la conseguente caducazione dell’intera convenzione negoziale, ivi compresa quella, accessoria, istitutiva della caparra.
Va tuttavia rilevato che l’esercizio del diritto di recesso, pur non implicando rinunzia ai diritti già sorti in base a tale rapporto, consente al recedente di far valere ex art. 1385 c.c., quelle ragioni di danno conseguenti all’estinzione del contratto per recesso, le quali non trovano causa nell’inadempimento del debitore, ma nella scelta del creditore di esercitare il recesso (Cass. 14/07/2004, n. 13079). Solo “qualora, anzichè recedere dal contratto, la parte non inadempiente si avvalga dei rimedi ordinari della richiesta di adempimento ovvero di risoluzione del negozio, la restituzione della caparra è ricollegabile agli effetti restitutori propri della risoluzione negoziale, come conseguenza del venir meno della causa della corresponsione, giacchè in tale ipotesi essa perde la suindicata funzione di limitazione forfettaria e predeterminata della pretesa risarcitoria all’importo convenzionalmente stabilito in contratto” (Cass. 16/05/2006, n. 11356; Cass. 27/03/2019, n. 8571).
Pertanto, al fine di stabilire se (OMISSIS) dovesse oppure no rispondere, in solido con la società (OMISSIS), con gli altri soci e con i fideiussori, dell’obbligo di restituire il doppio di quanto versato a titolo di caparra confirmatoria, sarebbe stato necessario considerare che:
a) l’art. 2290 c.c., comma 1, stabilisce che “nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi sono responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento”;
b) la posizione del socio il cui vincolo si scioglie è ancorata al momento dello scioglimento ed ha ad oggetto la responsabilità per le obbligazioni sociali verso i terzi, regolata dall’art. 2267 c.c.;
c) la posizione del socio è disciplinata con riferimento all’insorgenza della responsabilità per le obbligazioni;
d) l’evocazione del concetto di responsabilità sottende il sorgere, appunto, di una responsabilità ed evoca, dunque, il concetto dell’art. 2740 c.c., per cui si tratta di responsabilità per l’adempimento dell’obbligazione, come dice l’art. 2740 c.c.;
e) il discrimine è rappresentato dall’inadempimento che appunto dà luogo alla responsabilità estesa dall’art. 2290 c.c., al socio non piu’ parte della compagine sociale.
Ebbene, nel caso di specie si discute dell’obbligazione di corrispondere il doppio della caparra confirmatoria a titolo di risarcimento del danno, nella misura forfetizzata determinata ai sensi dell’art. 1385 c.c. e, dunque, di un debito che è insorto solo nel momento in cui la ricorrente ha esercitato il diritto di recesso, assumendo come causa dello stesso l’inadempimento della società e, conseguentemente, ha chiesto l’adempimento di un debito sorto nel momento dell’esercizio del recesso, così invocando una ragione di danno sorta in quel momento. Prima dell’esercizio del recesso e particolarmente al momento dello scioglimento del rapporto sociale, o meglio della sua efficacia verso la ricorrente, ai fini che qui interessano, non vi era un obbligo di restituire il doppio della caparra, ma solo una situazione che, secondo la regola pacta sunt servanda, quanto alla restituzione della caparra, vincolava la società ed anche la socia a comportamenti futuri rappresentati dalla obbligazione di restituzione della caparra, una volta cessato fisiologicamente il contratto, o, nel caso di cessazione per inadempimento assunto a motivo di recesso, dalla obbligazione di restituzione del doppio della caparra. Poichè, l’art. 2290 c.c., regola la responsabilità e lo fa nella supposizione che insorga la sua fattispecie costitutiva, al momento dello scioglimento del vincolo sociale non vi era alcuna responsabilità, perchè il contratto non era cessato e nemmeno era stato esercitato il recesso ai sensi dell’art. 1385 c.c., comma 2, condizionante la nascita della responsabilità e, dunque, della ragione di danno liquidata secondo la tecnica inerente alla caparra.
L’esistenza di un inadempimento pregresso e soprattutto, per quel che interessa, di un inadempimento che avrebbe potuto eventualmente giustificare l’esercizio del recesso e l’avvalimento della relativa clausola in un momento in cui la socia era ancora parte della compagine sociale, resta irrilevante ai sensi dell’art. 2290 c.c., atteso che all’atto dell’uscita dalla compagine non era sorta alcuna situazione di responsabilità in quanto – siccome riferibile alle conseguenze del recesso – condizionata dall’esercizio del recesso.
V’è da notare che, se, come alternativamente prevede dell’art. 1385, u.c., la società ricorrente avesse scelto di avvalersi dell’azione di risoluzione per inadempimento ai sensi dell’art. 1453 c.c., o di un’azione di risoluzione con la forma dell’azione di risoluzione di diritto (diffida ad adempiere) ed avesse fatto valere – in disparte eventuali pretese relative al pagamento delle forniture correlate a periodi anteriori all’uscita della socia (e, dunque, già esistenti come fonte di responsabilità a quel momento) – pretese risarcitorie ricollegate all’inadempimento e fra queste ne avesse individuata alcuna ricollegata a fattispecie determinativa del danno anteriore allo scioglimento del vincolo sociale, cioè avente la sua fonte in un inadempimento anteriore, allora sarebbe-venuto in rilievo l’art. 2290 c.c., in quanto l’insorgenza dell’obbligazione risarcitoria e, dunque, della correlata responsabilità si sarebbe situata prima dello scioglimento del rapporto sociale.
La corte territoriale, nell’individuare la regula iuris per la decisione, ha ragionato dando rilievo all’insorgenza dell’inadempimento dell’obbligazione contrattuale posta a bade del recesso, senza che ve ne fosse bisogno e senza che il ragionamento fosse adeguato alla materia del contendere: essa si ricollegava alla responsabilità insorta per il recesso, siccome attributiva del diritto al doppio della caparra, e non alla conseguenza in termini risarcitori che sarebbe stata rivendicabile adducendo l’inadempimento (e, naturalmente, l’insorgenza dell’obbligazione risarcitoria) come giustificativo di un’azione di risoluzione ai sensi dell’art. 1453 c.c., o di un’azione di risoluzione di diritto. Solo in questi casi sarebbe stato dirimente, come invece ha ritenuto la corte, il momento dell’inadempimento posto a base dell’azione risolutoria e, dunque, il fatto che si fosse verificato dopo lo scioglimento del rapporto sociale.
In sostanza, la corte di merito ha confuso l’obbligazione insorgente per effetto del recesso e, dunque, la correlata responsabilità insorta con il recesso ed al momento del recesso per l’importo corrispondente al doppio della caparra, con l’obbligazione risarcitoria che si sarebbe potuta far valere con riferimento all’inadempimento prima verificatosi (e se del caso anche senza esercitare l’azione di risoluzione), correlando alla sua insorgenza dopo lo scioglimento del vincolo sociale il non dovere la soci risponderne.
L’esistenza di un inadempimento pregresso, che avrebbe potuto giustificare l’esercizio del recesso, resta irrilevante ai sensi dell’art. 2290 c.c., atteso che, in mancanza di recesso e soprattutto di recesso prima dello scioglimento del vincolo, non era sorta alcuna situazione di responsabilità ricollegata all’operare del recesso stesso.
Deve pertanto escludersi che con l’esercizio del diritto di recesso sia sorto a favore della società (OMISSIS) un obbligo risarcitorio per una fattispecie di inadempimento verificatasi prima che nei confronti di (OMISSIS) si perfezionasse la cessazione della qualità di socia.
Ne consegue che, sebbene la Corte territoriale abbia correttamente escluso la responsabilità solidale di (OMISSIS) per la restituzione del doppio della caparra confirmatoria, il ragionamento che l’ha portata ad assumere tale decisione non risulta corretto in iure rispetto alla materia del contendere.
Il ragionamento corretto è quello che si sarebbe dovuto svolgere dando rilievo all’insorgenza della responsabilità solo per effetto del recesso e nei termini da esso giustificati.
Sicchè la motivazione della sentenza impugnata si deve correggere a norma dell’art. 384 c.p.c., u.c., nei termini risultanti dalle svolte considerazioni, ed in applicazione del seguente principio di diritto:
“il recesso, ex art. 1385 c.c., determina lo scioglimento del vincolo contrattuale e dà diritto al recedente di esercitare la pretesa risarcitoria, quantificata forfettariamente in relazione a cio’ che ha costituito oggetto della caparra confirmatoria, sebbene sulla base di un inadempimento dell’obbligazione contrattuale verificatosi anteriormente e posto a suo fondamento. Ne consegue che, qualora il vincolo sociale per un socio di una società personale sia cessato (nella specie per trasferimento della quota sociale ad altri) prima della manifestazione contro la società, in forza di clausola contrattuale, di un recesso ex art. 1385 c.c., per inadempimento di un rapporto contrattuale pendente all’atto dello scioglimento, con conseguente insorgenza a carico della società verso il contraente esercitante il recesso dell’obbligazione di restituzione, à termini di clausola, del doppio della caparra confirmatoria, il socio non risponde, ai sensi dell’art. 2290 c.c., di detta obbligazione, trattandosi di responsabilità della società per un’obbligazione sorta per effetto del recesso dopo lo scioglimento del vincolo”.
2. Con il secondo motivo la società (OMISSIS) lamenta che la Corte d’Appello non abbia esaminato il punto 7.1. del contratto di somministrazione per cui è causa, recante “Inadempimento grave”, a mente del quale era facoltà del somministrante imputare gli sconti maturati a punto 6.1. a decurtazione di eventuali crediti ancora in essere per forniture di prodotti o a decurtazione dell’importo) della caparra confirmatoria da restituire.
La tesi della ricorrente è che l’applicazione degli sconti contrattuali nulla avrebbe a che vedere con la prospettata tolleranza di un possibile grave inadempimento, poichè la facoltà di applicare detti sconti, al momento dell’esercizio del diritto di recesso, anche tramite decurtazione dell’importo della caparra da restituire, era facoltà rimessa alla valutazione discrezionale della somministrante.
Il motivo risulta assorbito.
3. Il ricorso va, dunque, rigettato.
4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
5. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico della ricorrente l’obbligo del pagamento del doppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso dalla Terza Sezione civile della Corte di Cassazione il 10 febbraio 2021, nella Camera di consiglio tenutasi con le modalità indicate nel relativo verbale depositato nella Cancelleria della Terza Sezione Civile.