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Cassazione Civile 17983/2014 – Azione di rivalsa esercitata dal condominio per il recupero delle somme versate ai terzi danneggiati

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Sentenza 17983/2014

 

Responsabilità del condominio – Azione di rivalsa esercitata dal condominio per il recupero delle somme versate ai terzi danneggiati

Il condominio risponde, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., dei danni subiti da terzi estranei ed originati da parti comuni dell’edificio, mentre l’amministratore, in quanto tenuto a provvedere non solo alla gestione delle cose comuni, ma anche alla custodia delle stesse, è soggetto, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., solo all’azione di rivalsa eventualmente esercitata dal condominio per il recupero delle somme che esso abbia versato ai terzi danneggiati.

Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 14-8-2014, n. 17983   (CED Cassazione 2014)

Art. 2051 cc (Danno cagionato da cosa in custodia) – Giurisprudenza

Art. 1218 cc (Responsabilità del debitore) – Giurisprudenza

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Gh. E. e To. Mi. convenivano in giudizio il Condominio “(OMISSIS)” di Madonna di Campiglio nonché i singoli condomini – compreso Pa. Gi. – per sentirli condannare al risarcimento dei danni conseguiti alle lesioni gravissime che entrambi gli attori avevano riportato in data 13.8.2003, allorché, essendosi recati a visionare l’edificio condominiale insieme ad alcuni conoscenti interessati all’acquisto di un appartamento, erano caduti in una scarpata a seguito del cedimento del parapetto in legno che correva lungo il ponticello di accesso al condominio. Il Pa. chiamava in causa la propria compagnia assicuratrice (OMISSIS) Ass.ni e Be. Co., amministratore del condominio, per essere manlevato dagli stessi in ipotesi di accoglimento delle domande avversarie.
Il Tribunale di Trento, Sez. Dist. di Tione di Trento emetteva sentenza n. 31/08 con cui – per quanto ancora interessa nel presente giudizio – condannava il Condominio e i singoli condomini al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in favore della To. e del Gh., oltre al pagamento delle spese processuali; rigettate le domande proposte nei confronti del Be., condannava invece la (OMISSIS) Ass.ni s.p.a. (già (OMISSIS)) a rimborsare a Pa. Gi. le somme che lo stesso avrebbe dovuto corrispondere – pro quota – agli attori a titolo di risarcimento dei danni e di rimborso delle spese processuali.
La sentenza veniva impugnata dalla (OMISSIS) Assicurazioni s.p.a. (che assumeva l’inoperatività della polizza assicurativa nel caso di specie) nonché, con separato atto, da alcuni condomini; proponeva appello incidentale il Pa., in relazione alla posizione del Be., di cui ribadiva la responsabilità per omessa manutenzione delle parti comuni dell’edificio e per non aver assicurato adeguatamente il condominio in relazione ai rischi del tipo di quello occorso.
La Corte di Appello di Trento accoglieva l’impugnazione della (OMISSIS) Ass.ni s.p.a. (rigettando la domanda del Pa. nei confronti della medesima), respingendo – invece – l’appello proposto dal Pa. in relazione alla posizione del Be..
Ricorre per cassazione il Pa., affidandosi a due motivi illustrati da memoria; resistono, con separati controricorsi, gli intimati (OMISSIS) Ass.ni e Be..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo (“violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alle disposizioni in materia di interpretazione del contratto artt. 1362, 1363, 1365, 1366, 1370 e 1371 c.c. – omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in particolare in ordine all’esclusione di copertura assicurativa a favore del … Pa. da parte di (OMISSIS) Assicurazioni s.p.a.”), il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere “affermato l’inoperatività della polizza essendo il sinistro … accaduto in una dimora ritenuta temporanea e non abituale del Pa.”.

1.1. La polizza di cui si tratta – come trascritta in ricorso e nel controricorso della (OMISSIS) Ass.ni – così recita: “l’assicurazione è prestata per la responsabilità civile imputabile all’Assicurato/Contraente, ai familiari con lui conviventi ed ai domestici, per danni provocati a terzi in relazione a fatti della vita privata, ivi compresi i rischi derivanti: A) dalla proprietà e/o conduzione dell’appartamento o della casa e dei relativi impianti, pertinenze, dipendenze e giardini, che costituiscono la dimora abituale dell’Assicurato/Contraente e suoi familiari. Se l’appartamento fa parte di un condominio, l’Assicurazione comprende tanto i danni di cui l’assicurato deve rispondere in proprio, quanto la quota proporzionale a suo carico per i danni derivanti dalla proprietà comune, escluso ogni maggiore onere conseguente al suo obbligo solidale con gli altri condomini; B) dalla conduzione di eventuali altre dimore temporanee, dei relativi impianti, pertinenze e giardini”.

1.2. Sul punto, la Corte territoriale ha osservato – fra l’altro – che “dal raffronto tra i punti A e B della clausola, che ha nel suo insieme lo scopo di determinare i rischi coperti dall’assicurazione, risulta evidente che il primo di essi, di portata generale, riguarda i rischi derivanti dalla proprietà e/o dalla conduzione di un immobile costituente la dimora abituale dell’assicurato/contraente e dei suoi familiari; per tali rischi, ove l’appartamento faccia parte di un condominio, la clausola precisa che l’assicurazione copre sia i danni di cui l’assicurato deve rispondere in proprio sia quelli derivanti dalla proprietà comune, ancorché nei limiti, in quest’ultimo caso, della quota proporzionale a suo carico”; che “il punto B della clausola, che prevede la copertura dei rischi derivanti dalla conduzione di eventuali altre dimore temporanee, dei relativi impianti, pertinenze e giardini non può essere interpretato come una mera estensione alle dimore temporanee della stessa garanzia assicurativa pattuita per la dimora abituale, giustificandosi con la stringatezza del testo la mancata riproduzione del termine proprietà e di tutto il secondo periodo del punto precedente”, essendo, “al contrario agevole rilevare che il più stringato contenuto si giustifica proprio alla luce della mancata ricomprensione dei rischi connessi alla proprietà delle (potenzialmente innumerevoli) dimore temporanee dell’assicurato, giacché la limitazione del rischio alla sola conduzione (diversa dalla proprietà) da ragione dell’omessa previsione della responsabilità del condominio”; peraltro – ha aggiunto la Corte – “se si accedesse all’interpretazione … che … non distingue, ai fini della delimitazione dei rischi assicurati tra il contenuto del punto A e del punto B della clausola, non si comprenderebbe la ragione della distinzione, al contrario chiaramente perseguita dal regolamento contrattuale, tra dimora abituale e dimore temporanee”.

1.3. Assume, in contrario, il ricorrente che le clausole A) e B) della polizza n. 500.056, interpretate alla luce degli artt. 1366 e 1370 c.c. ed in relazione alla clausola “Z” della polizza e all’art. 2 delle Condizioni Generali di Assicurazione conducono a ritenere operante la copertura assicurativa anche per i danni derivanti dalle parti condominiali di appartamenti non costituenti l’abitazione principale dell’assicurato; rileva – peraltro – che quella del condominio “(OMISSIS)” costituiva l’abitazione abituale del figlio Guido.
La menzionata clausola “Z” prevede che la polizza assicura il contraente “dai fatti colposi non menzionati nei punti precedenti, ma comunque verificatisi nell’ambito della vita privata e di relazione”, mentre l’art. 2 delle Condizioni Generali di Assicurazione individua le ipotesi di esclusione della copertura assicurativa, prevedendo – per quanto di specifico interesse – che “l’assicurazione non comprende i danni: … i) relativamente al rischio di proprietà e conduzione di fabbricati derivanti da: manutenzione straordinaria, ampliamenti, demolizioni, sopraelevazioni, umidità stillicidio o insalubrità dei locali”.

2. La censura – che attiene principalmente alla violazione dei canoni ermeneutici e, secondariamente, alla stessa qualificazione dell’appartamento come dimora temporanea (alla luce del fatto che lo stesso costituirebbe dimora abituale del figlio del Pa.) – è infondata.
Premesso che l’interpretazione della volontà negoziale si traduce in un “accertamento di fatto, riservato al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità, se condotto nel rispetto dei canoni di ermeneutica contrattuale e correttamente motivato” (Cass. n. 6830/2014) e che “il sindacato di legittimità non ha ad oggetto
la ricostruzione della volontà delle parti, bensì solo l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice si è avvalso per assolvere la funzione a lui riservata, al fine di verificare se sia incorso in vizi di ragionamento o in errori di diritto” (Cass. n. 4564/2014), ritiene il Collegio che la sentenza impugnata non sia incorsa ne’ in vizi logici nè in violazioni dei canoni ermeneutici nel momento in cui: a) ha preso le mosse dalla constatazione che la polizza disciplina separatamente (rispettivamente, sotto le lettere A e B) le due ipotesi della “dimora abituale” e delle “eventuali dimore secondarie”, dettando due diverse previsioni, che si distinguono per il fatto che la prima contempla sia il caso della proprietà che quello della conduzione dell’immobile, mentre la seconda concerne la sola ipotesi della conduzione; b) ha evidenziato, poi, come la previsione della copertura – pro quota – per i danni derivanti dalla proprietà condominiale sia coerentemente limitata all’ipotesi sub A (la sola che copre anche i rischi derivanti dalla proprietà) e come la stessa distinzione fra dimore abituali e dimore temporanee non avrebbe ragion d’essere ove si giungesse a ritenere che per entrambe vale la medesima copertura assicurativa; c) ha, infine, concluso rilevando che, “non sussistendo oscurità od ambiguità nella formulazione della clausola che non possano superarsi con il ricorso agli usuali criteri ermeneutici, non v’è spazio per l’applicazione dell’interpretatio contra proferentem ex art. 1370 c.c.”.

2.1. Al riguardo va richiamata la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “i criteri legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia interna in forza del quale i canoni strettamente interpretativi prevalgono su quelli interpretativi-integrativi … e ne escludono la concreta operatività, quando l’applicazione degli stessi canoni strettamente interpretativi risulti da sola sufficiente a rendere palese la comune intenzione delle parti stipulanti” (Cass. n. 12120/2005), cosicché “la scelta da parte del giudice del merito del mezzo ermeneutico più idoneo all’accertamento della comune intenzione dei contraenti non è sindacabile in sede di legittimità qualora sia stato rispettato il principio del “gradualismo”, secondo il quale deve farsi ricorso … ai criteri interpretativi sussidiari, come l'”interpretatio contra stipulatorem” in presenza di modulo predisposto da uno dei contraenti ai sensi dell’art. 1370 c.c., solo quando risulti non appagante il ricorso ai criteri di cui agli artt. 1362 – 1365 c.c., ed il giudice fornisca compiuta ed articolata motivazione della ritenuta equivocità ed insufficienza del dato letterale” (Cass. n. 12721/2007).

2.2. Più specificamente, si osserva che:
-non risulta priva di ragione la diversificazione della garanzia fra la dimora abituale e quelle temporanee (eventuali), e ciò in relazione all’interesse dell’assicurato a garantirsi una copertura maggiore per i rischi (statisticamente prevalenti) derivanti dalla dimora abituale e, per altro verso, all’interesse dell’assicurazione ad assumere un rischio sufficientemente determinato dal punto di vista economico e giuridico (interesse che non potrebbe essere soddisfatto ove si aderisse alla lettura proposta dal ricorrente che potrebbe comportare un’espansione indefinita del rischio nel caso in cui l’assicurato avesse una pluralità di dimore temporanee): la limitazione alla sola dimora abituale della copertura assicurativa del danno derivante dalla proprietà (esclusiva o condominiale) assolve, dunque, alla funzione di circoscrivere ad un solo immobile la garanzia per danni non correlati alla mera conduzione del bene;
-neppure risulta violato il criterio che impone la valutazione complessiva delle clausole (art. 1363 c.c.), in quanto la clausola “Z” – nella sua estrema genericità – non appare idonea a ricondurre nella copertura assicurativa quei rischi che ne sono stati specificamente esclusi dalle altre clausole della polizza; egualmente privo di rilevanza risulta l’art. 2 delle condizioni generali, poiché l’esclusione di determinate attività (manutenzione straordinaria, ampliamenti, etc.) dalla copertura relativa al “rischio della proprietà e conduzione di fabbricati” è del tutto neutra, ossia priva di significato in merito all’individuazione delle ipotesi in cui è prevista l’operatività della garanzia per i rischi correlati alla proprietà del bene;
-quanto al criterio di cui art. 1365 c.c., va escluso che l’espresso riferimento ai danni derivanti da edifici facenti parte di un condominio, contenuto nella ricordata lett. A, sia meramente esemplificativo e tale da non escludere l’applicazione della medesima garanzia in relazione alle dimore temporanee, giacché – come si è detto – la diversità di regime ha una propria ragion d’essere, che non consente di negare significato al fatto che analoga previsione non sia stata dettata espressamente per le dimore temporanee;
-quanto, poi, al criterio che impone l’interpretazione del contratto secondo buona fede (art. 1366 c.c.), non è dato individuare in quale misura la buona fede (sia in termini di ragionevole affidamento dell’assicurato che di adeguatezza della garanzia prestata a soddisfare le esigenze dell’assicurato medesimo quali potevano essere percepite dall’assicuratrice) possa risultare violata dalla lettura data dalla Corte territoriale, dal momento che la differenza di regime è chiaramente espressa nel testo della polizza e la diversità delle coperture acquisite dall’assicurato è compatibile con la minor incidenza statistica dei danni correlati alla conduzione di dimore temporanee.

2.3. Priva di pregio risulta anche la doglianza relativa alla mancata considerazione che la dimora, benché temporanea per il ricorrente, era invece abituale per il figlio Guido: la rilevanza della distinzione fra “abituale” e “temporanea” attiene, infatti, esclusivamente alla dimora dell’assicurato e la previsione che la copertura si estenda ai fatti imputabili anche ai familiari e ai domestici dell’assicurato non vale ad attribuire rilievo alla circostanza che nella dimora temporanea dell’assicurato abbia dimora abituale un suo familiare o domestico.

3. Il secondo motivo – “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in materia di: a) attribuzione ed obblighi dell’amministratore di condominio (artt. 1130, 1131 e 1135 c.c.); – b) mandato professionale (artt. 1703 c.c. e ss.) – c) responsabilità da cose in custodia (art. 2051 c.c.) responsabilità dei padroni e committenti. Omessa contraddittoria o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia segnatamente in ordine al rigetto della domanda di garanzia formulata dal … Pa. avverso il … Be.” – censura la sentenza impugnata per non aver ritenuto integrata la responsabilità dell’amministratore condominiale in relazione al fatto che non avrebbe provveduto all’estensione della copertura assicurativa – pur sollecitata dall’assemblea condominiale con una Delib. risalente all’anno 1985 – e, altresì, in relazione alla circostanza che non avrebbe curato l’adeguata manutenzione del parapetto di cui – come di tutte le parti condominiali – aveva la custodia.

3.1. Sul punto, la Corte territoriale ha osservato che il Pa. “non muove … alcuna specifica censura al condivisibile accertamento compiuto dal Tribunale in ordine sia al fatto che Be. Co. non ricopriva l’incarico di amministratore del condominio nel 1985 sia al fatto che nell’invocata Delib. (doc. 11 convenuti in primo grado) l’assemblea aveva ipotizzato solo l’opportunità di estendere la copertura assicurativa a responsabilità del condominio conseguenti ad alluvioni o fenomeni analoghi, senza conferimento di alcun incarico all’amministratore di provvedere ad un aumento del massimale”; quanto al secondo profilo di responsabilità, ha rilevato che il Pa. “si limita ad allegare la responsabilità di Be. per non aver curato la manutenzione della cosa comune, senza tuttavia dedurre specifiche condotte integranti inadempimento delle obbligazioni dell’amministratore”.

3.2. La motivazione offerta dalla Corte territoriale è pienamente appagante e si sottrae ad ogni censura, sia in riferimento alla violazione delle norme indicate nella rubrica del motivo sia in relazione ai dedotti vizi motivazionali.

3.3. Quanto al primo profilo di responsabilità, risulta dirimente la considerazione che il Pa. non ha contestato specificamente la circostanza che l’adeguamento della polizza richiesto dalla Delib. assembleare del 1985 riguardasse l’ampliamento della copertura (comprendendovi i rischi collegati alle alluvioni e ad eventi similari), ma non anche l’aumento del massimale: ne consegue che difetta l’interesse a far valere un inadempimento che, quand’anche sussistente, non avrebbe comunque inciso sulla misura della copertura assicurativa dell’infortunio in esame.

3.4. Quanto al secondo profilo, dato atto che questa Corte ha affermato che l’amministratore è custode dei beni condominiali (Cass. n. 25251/2008: “l’amministratore del condominio ha il compito di provvedere non solo alla gestione delle cose comuni, ma anche alla custodia di esse, col conseguente obbligo di vigilare affinché non rechino danni a terzi od agli stessi condomini”), deve tuttavia precisarsi che la responsabilità extracontrattuale verso i terzi risulta predicabile – ex art. 2051 c.c. – esclusivamente a carico del condominio, residuando per l’amministratore esclusivamente la possibilità di incorrere in responsabilità contrattuale, nel rapporto interno che lo lega al condominio medesimo. La custodia “giuridica” che fonda la responsabilità ex art. 2051 c.c. è, infatti, altra cosa rispetto al compito di custodire i beni
comuni (rientrante negli obblighi contrattuali assunti dall’amministratore nei confronti dei condomini) e sussiste – rispetto ai terzi e sul piano extracontrattuale – in capo al solo condominio, sul quale grava una presunzione di responsabilità che ammette una prova liberatoria limitata alla dimostrazione del caso fortuito; la violazione dell’obbligo contrattuale di custodire adeguatamente i beni condominiali può costituire, invece, la fonte di un’autonoma responsabilità dell’amministratore nei confronti del condominio, che opera sul piano della responsabilità contrattuale (art. 1218 c.c.), ponendo a carico del creditore l’individuazione dello specifico inadempimento ascritto al debitore e consentendo a quest’ultimo di liberarsi provando l’assenza di colpa; dal che consegue che la possibilità di rivalsa del condominio nei confronti dell’amministratore per il recupero di somme che il primo abbia dovuto pagare a terzi danneggiati da beni condominiali non può operare sul piano dell’affermazione di una diretta responsabilità ex art. 2051 c.c. dell’amministratore, ma presuppone lo specifico accertamento di una responsabilità contrattuale del detto amministratore nei confronti del condominio (cfr. Cass. n. 859/1981:
“nell’espletamento delle attribuzioni di cui all’art. 1130 cod. civ. l’amministratore è un rappresentante dei partecipanti al condominio, alla tutela dei cui interessi egli deve indirizzare la propria attività. La violazione di tale suo dovere, se lo rende responsabile dei danni subiti dal gruppo dei condomini, si esaurisce nei rapporti interni con il condominio, e, pertanto, non esclude o diminuisce l’eventuale responsabilità del condominio medesimo nei confronti di altri soggetti”).

3.4. È proprio a questi principi che la Corte territoriale mostra di essersi correttamente attenuta nel momento in cui ha rilevato che il Pa. ha mancato di “dedurre specifiche condotte integranti inadempimento delle obbligazioni dell’amministratore ex art. 1130 c.c., come ad esempio l’aver omesso di segnalare ai condomini –
custodi della cosa ex art. 2051 c.c. – la necessità di provvedere alla riparazione della staccionata ovvero l’aver omesso di eseguire Delib. assembleari sul punto”.

4. Ne consegue il rigetto del ricorso anche in relazione al secondo motivo e la condanna del Pa. al pagamento delle spese di lite in favore di entrambi i controricorrenti.

P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il Pa. al pagamento delle spese di lite in favore della (OMISSIS) Assicurazioni s.p.a. e di Be. Co., liquidandole, per ciascuno di essi, in Euro 4.000,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre rimborso spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 5 giugno 2014.
Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2014