Ordinanza 18502/2018
Legato di cosa determinata – Azione di rivendica dello stesso – Litisconsorzio necessario contro altri coeredi – Esclusione
In tema di legato di cosa dell’onerato che sia coerede, qualora il beneficiario eserciti l’azione di rivendica del bene non ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario nei confronti di tutti gli eredi, dovendo la domanda essere proposta solo contro il suddetto onerato poiché la sentenza, anche se emessa senza la partecipazione al giudizio degli altri successori, non è “inutiliter data”.
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Ordinanza 12 luglio 2018, n. 18502 (CED Cassazione 2018)
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 22.6.2001, (OMISSIS) conveniva dinanzi al Tribunale di Bari (OMISSIS) per sentir dichiarare valido ed efficace il testamento olografo del 2.6.1999, pubblicato il 27.4.2000 dal notaio (OMISSIS), in (OMISSIS), con il quale sua cognata (madre del convenuto), (OMISSIS) – per riconoscenza e a titolo remuneratorio per ogni cura e assistenza ricevuta dall’attrice fino alla sua morte, avvenuta in data (OMISSIS) e per aver, altresì, sostenuto economicamente la di lei figlia (OMISSIS), sorella del convenuto, a seguito della separazione dal marito, pagando i suoi debiti – le aveva legato un fondo rustico sito in (OMISSIS), alla Contrada (OMISSIS), di are 31,90, fondo che tre anni prima aveva donato a suo figlio (OMISSIS). L’attrice evidenziava che la testatrice, al momento della redazione del testamento olografo, fosse ben consapevole che il fondo legato non fosse più di sua proprietà, ma che appartenesse al figlio (OMISSIS), tanto che il 19.6.1999, pochi giorni dopo la redazione del suddetto testamento, la medesima aveva scritto una lettera al figlio con la quale spiegava le ragioni dell’attribuzione del fondo alla (OMISSIS). Quest’ultima aveva comunicato agli eredi (OMISSIS) e (OMISSIS) la pubblicazione del testamento e, mentre (OMISSIS) nulla aveva eccepito in merito, (OMISSIS), possessore del fondo, invitato con formale richiesta a rilasciarlo e a trasferirle la proprietà, rifiutava adducendo di essere lui proprietario in base alla precedente donazione. La (OMISSIS) chiedeva, perciò, che il Giudice, accertata la validità ed efficacia del testamento in oggetto, le trasferisse la proprietà e il possesso del fondo, ordinando al Conservatore la trascrizione del relativo trasferimento, con vittoria di spese.
Si costituiva (OMISSIS), il quale impugnava e contestava la domanda perchè la presunta dichiarazione datata 2.6.1999 non poteva considerarsi testamento olografo, non contenendo una disposizione di ultima volontà per il tempo in cui la madre avrebbe cessato di vivere, essendo invece un atto di donazione remuneratoria, peraltro nullo non essendo stato stipulato con atto pubblico, ovvero una cessione dei beni al creditore. Il convenuto concludeva chiedendo di dichiarare la nullità del testamento olografo a firma di (OMISSIS); in subordine, dichiarare la nullità del legato; condannare l’attrice al pagamento delle spese di giudizio. In via istruttoria, chiedeva disporsi la necessaria verificazione delle scritture private.
Il Tribunale di Bari, con sentenza n. 2131/2012, depositata il 13.6.2012, disponeva il trasferimento in capo all’attrice del fondo rustico in oggetto; ordinava al Conservatore dei RR.II. di Bari di trascrivere la sentenza, con esonero di ogni responsabilità al riguardo; ordinava al convenuto di rilasciare il fondo e condannava il convenuto al pagamento delle spese di giudizio. Il Tribunale affermava che con la scrittura del 2.6.1999 la (OMISSIS) aveva voluto legare all’attrice il fondo rustico in questione e, altresì, raccomandare ai nipoti (OMISSIS) e (OMISSIS) di prendersi cura della figlia (OMISSIS) dopo la sua morte, disposizione quest’ultima che si spiega solo se inserita in una scheda testamentaria. Quanto alla validità del legato, il Tribunale concludeva per la sua validità ed efficacia, atteso che risultava per tabulas che la testatrice tre anni prima aveva donato il terreno al figlio (OMISSIS) e che con lettera del 19.6.1999 aveva scritto al figlio (OMISSIS) spiegando le ragioni per le quali aveva deciso di legare all’attrice il suddetto fondo, lettera che non avrebbe avuto senso se la de cuius non fosse stata consapevole che il fondo non era più di sua proprietà.
Con atto di appello, notificato il 20.7.2012, (OMISSIS) impugnava la sentenza del Tribunale di Bari, censurandola con più motivi e chiedendone la riforma con rimborso delle spese del doppio grado.
Si costituiva (OMISSIS) resistendo all’appello di cui chiedeva il rigetto, con conferma delle statuizioni di prime cure e con vittoria di spese.
Con sentenza n. 236/14, depositata il 27.2.2014, la Corte d’Appello di Bari rigettava l’appello e condannava l’appellante al rimborso delle spese del secondo grado di giudizio.
Per la cassazione di tale sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso sulla base di quattro motivi, cui (OMISSIS) ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
- – Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto la “violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’articolo 50 bis c.p.c., n. 6; articoli158 e 161 c.p.c., con riferimento all’articolo91 c.p.c.”. La parte osserva infatti che, per quanto riguarda l’eccezione, già sollevata con il primo motivo di appello, relativa alla nullità della sentenza di primo grado per violazione dell’articolo 50 bis c.p.c., n. 6 – ai sensi del quale il Tribunale giudica in composizione collegiale nelle cause di impugnazione dei testamenti e di riduzione per lesione di legittima – la Corte d’Appello, pur riconoscendo la fondatezza della censura, ha ben ritenuto che si applicasse la conversione della causa di nullità in motivo di impugnazione, facendo richiamo alla sentenza delle sezioni unite n. 28040 del 2008; tuttavia risulta illogico e contraddittorio che, nella parte dispositiva, la Corte territoriale abbia confermato in toto la sentenza di primo grado, anche per quanto riguarda le spese di giudizio.
- – Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la “violazione di legge: articoli91 e 92 c.p.c.”, giacchè la Corte distrettuale avrebbe dovuto dare atto dell’accoglimento del primo motivo di appello, compensando in tutto o in parte le spese del grado, ai sensi dell’articolo92 c.p.c., attesa la soccombenza reciproca. Inoltre, la Corte d’Appello ha erroneamente liquidato le spese vive (“borsuali”) in favore della (OMISSIS), mentre tali spese sono state anticipate dall’appellante.
2.1. – Data la stretta connessione, i due motivi vanno congiuntamente esaminati e decisi. Essi non sono fondati.
2.2. – È in atti incontestato che, correttamente, la Corte distrettuale abbia applicato nella specie – in presenza della dedotta violazione, da parte del giudice di primo grado, dell’articolo 50 bis c.p.c., n. 6, ai sensi del quale il Tribunale giudica in composizione collegiale nelle cause di impugnazione dei testamenti e di riduzione per lesione di legittima – il principio di conversione delle cause di nullità in motivi di impugnazione, trattandosi di nullità che non vi si sottrae, ai sensi degli articoli 158 e 161 c.p.c.. Questa Corte ha infatti affermato che l’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale legittimato a decidere su una domanda giudiziale costituisce, alla stregua del rinvio operato dall’articolo 50 quater c.p.c., al successivo articolo 161, comma 1, un’autonoma causa di nullità della decisione e non una forma di nullità relativa derivante da atti processuali antecedenti alla sentenza (e, perciò, soggetta al regime di sanatoria implicita), con la sua conseguente esclusiva convertibilità in motivo di impugnazione e senza che la stessa produca l’effetto della rimessione degli atti al primo giudice se il giudice dell’impugnazione sia anche giudice del merito, oltre a non comportare la nullità degli atti che hanno preceduto la sentenza nulla (Cass. sez. un. n. 28040 del 2008; conf. Cass. n. 20623 del 2011; Cass. 13907 del 2014).
Essendosi dunque tramutata la causa di nullità in motivo di impugnazione, la Corte d’appello (in quanto anche giudice del merito), avendo rigettato l’impugnazione e confermato la sentenza di primo grado, ha altresì confermato (del tutto legittimamente, in ragione della soccombenza, nel merito, dell’appellante) anche la statuizione relativa alle spese di quel giudizio, con condanna dell’appellante anche a quelle di secondo grado.
È, d’altrone, consolidata l’affermazione secondo cui, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse (Cass. n. 21386 del 2013). E, pertanto, il sindacato di questa Corte è limitato ad accertare che non risulti violato tale principio (Cass. n. 20457 del 2011). Ove invece ricorra la soccombenza reciproca, è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, decidere quale delle parti debba essere condannata e se ed in quale misura debba farsi luogo a compensazione (Cass. n. 8528 del 2004;Cass. n. 11604 del 2002; Cass. n. 8532 del 2000; Cass. n. 2124 del 1994).
2.3. – Quanto, poi, alla impugnazione della statuizione relativa alla erronea liquidazione (“forse a causa di un refuso di stampa”: v. ricorso, pag. 9) delle spese borsuali in favore della (OMISSIS), nonostante tali spese siano state anticipate dall’appellante, va ritenuto che (come d’altronde ammesso dal medesimo) tale doglianza si riferisce ad una ipotesi di mero errore materiale, emedabile con la procedura di cui agli articoli 287 c.c. e segg., in quanto non incidente sul contenuto concettuale e sostanziale della decisione (potendo ben essere da questa agevolmente enucleato ed eliminato), ma si concreta in un difetto di corrispondenza tra la ideazione e la sua materiale rappresentazione grafica (Cass. n. 11333 del 2009; conf. Cass. n. 12035 del 2011), rilevabile ictu oculi dal testo del provvedimento (Cass. n. 15321 del 2012). Sicchè, il contrasto tra formulazione letterale del dispositivo e motivazione che non incida sull’idoneità del provvedimento, considerato complessivamente nella totalità delle sue componenti testuali, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione, integra un errore materiale, emendabile con la procedura prevista dall’articolo 287 c.p.c., e non denunciabile con l’impugnazione della sentenza (Cass. n. 22433 del 2017).
- – Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione degli articoli101, 102 e 354 c.p.c., con riferimento agli articoli662 e 663 c.c.”, avendo egli censurato, con il secondo motivo d’appello, la sentenza del Tribunale per essersi svolto il giudizio di primo grado in difetto di legittimazione passiva e di pieno contraddittorio. Il ricorrente rileva che, se è vero che la (OMISSIS) aveva rivendicato di essere beneficiaria di legato di cosa dell’onerato (OMISSIS), l’onere relativo al legato avrebbe dovuto gravare su tutti gli eredi della sig.ra (OMISSIS) e quindi anche sull’altra figlia (OMISSIS), giacchè, ai sensi degli articoli 662 e 663 c.c., se il testatore non ha diversamente disposto, alla prestazione sono tenuti pro quota indistintamente tutti gli eredi. Nel caso di specie il giudizio avrebbe dovuto essere proposto nei confronti di tutti gli eredi della defunta (OMISSIS) quali litisconsorti necessari, ai sensi dell’articolo 102 c.p.c.. Invece, la Corte d’Appello ha rigettato il motivo di appello, in quanto la questione non era stata tempestivamente proposta con la comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado e pertanto in sede di appello risultava inammissibile: tale statuizione essendo errata e contra legem, in quanto, per giurisprudenza della Corte di Cassazione, la violazione del litisconsorzio necessario è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo.
3.1. – Il motivo non è fondato.
3.2. – La Corte distrettuale ha, innanzitutto, rilevato come tale questione non fosse stata tempestivamente proposta dall’appellante con la comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado e, pertanto, non potesse essere posta validamente in sede di appello. Rispetto a tale affermazione, il ricorrente rileva che per giurisprudenza della Corte di Cassazione, la violazione del litisconsorzio necessario è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo.
Questa Corte ha affermato che – se è vero che la non integrità del contraddittorio è rilevabile, anche d’ufficio, in qualsiasi stato e grado del procedimento e, quindi, anche in sede di giudizio di legittimità, nel quale la relativa eccezione può essere proposta, anche per la prima volta, nel solo caso in cui il presupposto e gli elementi di fatto posti a fondamento della stessa emergano “ex sè” dagli atti del processo di merito, senza la necessità di nuove prove e dello svolgimento di ulteriori attività – tuttavia, la parte che eccepisce la non integrità del contraddittorio ha l’onere (che nella specie non risulta assolto) non soltanto di indicare le persone che debbono partecipare al giudizio quali litisconsorti necessari e di provarne l’esistenza, ma anche quello di indicare gli atti del processo di merito dai quali dovrebbe trarsi la prova dei presupposti di fatto che giustificano la sua eccezione (Cass. n. 25305 del 2008; Cass. n. 16315 del 2011; Cass. n. 19751 del 2011).
3.3. – Peraltro, risulta pregiudiziale e corretta (in quanto coerente a precedenti arresti di legittimità) la motivazione della sentenza impugnata che ha, comunque, escluso la ricorrenza della asserita ipotesi di litisconsorzio necessario. Ricorrenza che questa Corte non ha ravvisato nel caso in cui alcuni eredi legittimi propongano una domanda di accertamento dell’invalidità di un legato disposto da un soggetto estraneo alla comunione ereditaria ed avente per oggetto beni che si assumono compresi nell’eredità o una domanda di accertamento della loro proprieta sugli stessi beni, in quanto la sentenza, anche se emessa senza la partecipazione al giudizio degli altri eredi, non sarebbe inutiliter data (Cass. n. 146 del 1971). Laddove, la Corte ha altresì negato che l’erede sia parte necessaria del giudizio concernente l’accertamento del contenuto di un legato di specie, promosso da un soggetto estraneo alla successione nei confronti del legatario, poichè a norma dell’articolo 649 c.c., nel legato il cui oggetto è costituito da un bene determinato, l’acquisto del diritto è immediato, sicchè il passaggio della proprietà avviene nel momento dell’apertura della successione, in via immediata e recta via, indipendentemente dalla trasmissione ereditaria (Cass. n. 6229 del 1980). E che nella azione diretta a fare dichiarare la nullità dei legati di cosa determinata non è neppure configurabile un’ipotesi di litisconsorzio necessario nei confronti degli eredi, ricorrendo questo, oltre che nei casi previsti espressamente dalla legge, solo quando la sentenza abbia valore costitutivo e risulti inutiliter data se non sia pronunciata nei confronti di tutti i soggetti del rapporto, e non anche quando essa si limiti ad accertare la idoneità o meno del negozio a produrre effetti nel rapporto tra i litiganti e sia perciò, relativamente ad esso, suscettibile di pratica attuazione (Cass. n. 1351 del 1973).
- – Con il quarto motivo, il ricorrente ha lamentato la “violazione di legge: articolo 220c.p.c.; articoli 112 e 167c.p.c. omessa pronuncia”, deducendo di avere (con il terzo e quarto motivo di appello) censurato la sentenza del Tribunale per omessa pronuncia, carenza di istruttoria e ultrapetizione. Il ricorrente rileva di avere eccepito, nelle proprie difese di primo grado, la nullità del testamento disconoscendo che la propria madre potesse aver deliberatamente argomentato e scritto il testamento medesimo e la missiva del 19.6.1999 (che la testatrice aveva scritto al figlio (OMISSIS) spiegando le ragioni per le quali aveva deciso di legare all’attrice il suddetto fondo); e osserva che, per giurisprudenza costante, in presenza di contestazione del testamento, avrebbe dovuto gravare sulla parte che intendeva beneficiarne l’onere di provarne l’autenticità e veridicità, anche mediante eventuale verificazione. Invece, nel caso di specie, non vi era stata alcuna attività probatoria da parte della (OMISSIS).
4.1. – Il motivo non è fondato.
4.2. – Le doglianze espresse nel presente motivo ruotano tutte intorno alla affermazione del ricorrente secondo cui i giudici di merito avrebbero dovuto rigettare la domanda proposta dall’attrice, non risultando provata la validità del testamento; e tale prova, in presenza di contestazione del testamento, avrebbe dovuto gravare sulla parte che intendeva beneficiarne, dovendo essa assolvere all’onere di provarne l’autenticità e veridicità, anche mediante eventuale verificazione. In conseguenza di ciò, i giudicanti “avrebbero dovuto rigettare la domanda attorea perchè non provata la validità del testamento e della successiva scrittura privata e/o subordinatamente avrebbero dovuto disporre la verificazione delle contestate scritture”.
Orbene, risolvendo il pluridecennale contrasto esistente nella giurisprudenza di legittimità in subiecta materia, questa Corte (Cass. sez. un. n. 12307 del 2015) ha affermato che è la parte che contesti l’autenticità del testamento olografo che deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, gravando su di essa l’onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo (conf. Cass. n. 109 del 2017).
L’affermazione di tale principio priva di fondamento giuridico le censure mosse nel motivo di ricorso, confermando la legittimità della sentenza impugnata, con riguardo alla affermazione sia della natura riconvenzionale della domanda proposta dal convenuto di nullità del testamento per mancanza di autenticità e alla domanda di verificazione (ed al conseguente trattamento procedurale dele stesse ai sensi dell’articolo 167 c.p.c.); sia della qualificazione della scrittura come scheda testamentaria (così interpretata, sulla base di un giudizio di fatto, incensurabile in questa sede, alla luce del contenuto della misssiva inviata al ricorrente).
- – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione di cui alDecreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi C 2.700,00 di cui C 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 febbraio 2018.