Sentenza 1889/2013
Ingiustificato arricchimento – Indennizzo dovuto ex art. 2041 cod. civ. – Debito di valore
L’indennizzo ex art. 2041 cod. civ., in quanto credito di valore, va liquidato alla stregua dei valori monetari corrispondenti al momento della relativa pronuncia ed il giudice deve tenere conto della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla decisione, anche di ufficio, a prescindere dalla prova della sussistenza di uno specifico pregiudizio dell’interessato dipendente dal mancato tempestivo conseguimento dell’indennizzo medesimo. La somma così liquidata produce interessi compensativi, i quali sono diretti a coprire l’ulteriore pregiudizio subito dal creditore per il mancato e diverso godimento dei beni e dei servizi impiegati nell’opera, o per le erogazioni o gli esborsi che ha dovuto effettuare, e decorrono dalla data della perdita del godimento del bene o degli effettuati esborsi, coincidente con quella dell’arricchimento.
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 28 gennaio 2013, n. 1889 (CED Cassazione 2013)
Articolo 2041 c.c. annotato con la giurisprudenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. (OMISSIS) convenne dinanzi al Tribunale di Vittoria (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per sentirli condannare al rilascio e all’immediata restituzione dell’immobile di proprietà di essa attrice e concesso in comodato ai convenuti.
Questi ultimi si costituivano in giudizio, resistendo alla domanda attrice ed assumendo che la (OMISSIS) si sarebbe resa intestataria dell’immobile solo nella qualità di prestanome dei reali acquirenti (OMISSIS) e (OMISSIS).
In ogni caso i convenuti deducevano di aver pagato una parte del prezzo relativo all’acquisto dell’immobile, tramite rimborso di varie rate di mutuo, oltre ad avere eseguito consistenti lavori per soddisfare le proprie esigenze abitative.
In forza di ciò chiedevano che, ove non fosse accolta la loro tesi, relativa alla simulazione, venisse condannata la (OMISSIS) a rimborsare tutti gli esborsi da essi sostenuti nel corso degli anni.
Nelle more del giudizio sopraggiungeva il fallimento della soc. (OMISSIS) s.n.c, nonchè di (OMISSIS) in proprio, successivamente esteso a (OMISSIS).
Veniva di conseguenza interrotto il processo.
Con atto di citazione il Curatore del fallimento conveniva in giudizio (OMISSIS), unitamente a (OMISSIS) e (OMISSIS), venditori del compendio immobiliare di cui si discute spiegando in tesi domanda per la declaratoria della simulazione del contratto di compravendita, con accertamento della qualifica di reale acquirente in capo al fallito (OMISSIS) ed eventuale condanna per equivalente a favore della curatela.
Le cause venivano riunite.
Il Tribunale di Pistoia rigettava la domanda di simulazione proposta dalla curatela mentre gli occupanti dell’immobile venivano condannati al rilascio e alla restituzione dello stesso nelle mani della legittima proprietaria; veniva condannata (OMISSIS) a versare a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e alla Curatela del Fallimento (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in solido tra loro la somma di euro 325.556,03.
Proponeva appello (OMISSIS) impugnando le statuizioni della sentenza relative all’accertamento di un preteso indebito arricchimento e l’estensione del relativo credito a tutti i convenuti, anzichè al solo (OMISSIS), unico erogatore delle somme.
La Corte d’Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pistola, condannava (OMISSIS) a pagare a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed alla Curatela Fallimentare, in solido tra loro ed a titolo di indebito arricchimento, la somma in euro corrispondente a lire 120.000.000 ed inoltre al solo (OMISSIS) la somma in euro corrispondente a lire 106.449.368, oltre accessori.
Propone ricorso per cassazione (OMISSIS), con cinque motivi.
Resistono con controricorso (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Gli altri intimati non svolgono attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2. La ricorrente censura la riassunta sentenza lamentando:
– “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’affermata sussistenza di indebito arricchimento a beneficio della ricorrente (OMISSIS), quale conseguenza dell’omesso inquadramento giuridico della detenzione dell’immobile da parte degli occupanti nello schema tipico del comodato precario. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla conseguente condanna della ricorrente (OMISSIS) a corrispondere agli occupanti l’immobile, a titolo di indennità per indebito arricchimento, l’equivalente del costo dei lavori di trasformazione e ristrutturazione dell’immobile occupato e della quota parte delle rate di mutuo anticipato (articolo 1424 c.c., articolo 1810, 1804, 1808 c.c., in relazione all’articolo 2041 c.c.) (primo motivo);
– in ipotesi di non accoglimento del precedente motivo di impugnazione, errore di diritto, falsa applicazione di norme di legge, omessa motivazione in relazione alla liquidazione di indennità per indebito arricchimento a prescindere dalla verifica della effettiva diminuzione patrimoniale della parte presunta impoverita, che tuttora rimane ne godimento del bene senza pagamento del corrispettivo (articolo 2041 c.c.) (secondo motivo);
– ancora in ipotesi di non accoglimento del primo motivo di impugnazione;, violazione o falsa applicazione di norme di diritto e omessa e contraddittoria motivazione, in relazione all’affermata sussistenza di una ipotesi di arricchimento patrimoniale della proprietaria dell’immobile come conseguenza della esecuzione di opere edilizie a prescindere dalla natura abusiva di queste e dalla permanente detenzione dell’immobile stesso da parte degli esecutori delle opere (articolo 2041 c.c., in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 46, nonchè della Legge 28 febbraio 1985, n. 47, articolo 17) (terzo motivo);
– violazione di norme di diritto e omessa motivazione in relazione alle statuizioni della impugnata sentenza che dispongono la rivalutazione monetaria anche per il rimborso dei versamenti del mutuo e che, per altro verso, statuiscono che il rimborso del costo dei lavori edilizi sia maggiorato dall’applicazione degli interessi legali sulle somme via via rivalutate con decorrenza dalla data di esecuzione dei lavori (articolo 1277 c.c., in relazione all’articolo 1282, c.c., commi 1 e 3) (quarto motivo);
violazione di norme di diritto ed insufficiente motivazione in relazione alla statuizione che accerta nel numero di sedici, anzichè di quattordici, le rate di mutuo che sarebbero state rimborsate da (OMISSIS) (articolo 2697 c.c.) (quinto motivo).
3. Nessuno dei riferiti motivi può trovare accoglimento.
Alla luce delle considerazioni che seguono.
3.1. In limine, in conformità a una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, da cui totalmente prescinde parte ricorrente e che nella specie deve ulteriormente ribadirsi, si osserva che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata.
Il riferito principio comporta – in particolare – tra l’altro che è inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, non essendo al riguardo sufficiente un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi tra le argomentazioni in base alle quali si ritiene di censurare la sentenza impugnata (Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 15 giugno 2007, n. 13066; Cass. 2 febbraio 2006, n. 2270, tra le tantissime).
Quindi, quando nel ricorso per cassazione, pur denunciandosi violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che: si assumono in contrasto con le disposizioni indicate – o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina – il motivo è inammissibile, poichè non consente alla Corte di cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 20 gennaio 2006, n. 1108; Cass. 29 novembre 2005, n. 26048; Cass. 8 novembre 2005, n. 21659; Cass. 18 ottobre 2005, n. 20145; Cass. 2 agosto 2005, n. 16132).
In altri termini, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di Cassazione).
Viceversa, la allegazione – come prospettata nella specie da parte del ricorrente – di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione delle norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.
Lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, che solo questa ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (recentemente, in termini, specie in motivazione, Cass. 6 marzo 2012, n. 3455; Cass. 30 gennaio 2012, n. 1312; Cass. 27 settembre 2011, n. 19748; Cass. 6 agosto 2010, n. 18375, tra le tantissime).
Pacifico quanto precede si osserva che nella specie con i proposti motivi parte ricorrente pur invocando che i giudici del merito, in tesi, hanno malamente interpretato le molteplici disposizioni di legge indicate nella intestazione dei vari motivi (articoli 1424, 1810, 1804, 1808 e 2041 c.c., quanto al primo motivo, articolo 2041 c.c. con riguardo al secondo, articolo 2041 c.c., nonchè Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 46 e Legge 28 febbraio 1985, n. 47, articolo 10, nel terzo motivo, articoli 1277 e 1282 c.c., nel quarto motivo e articolo 2697 c.c. nel quinto), in realtà, si limita a censurare la interpretazione data, dai giudici del merito, delle risultanze di causa, interpretazione a parere del ricorrente inadeguata, sollecitando, così, contra legem e cercando di superare quelli che sono i limiti del giudizio di cassazione, un nuovo giudizio di merito su quelle stesse risultanze.
3. 2. Quanto, in particolare, all’assunto secondo cui i giudici del merito avrebbero violato, o comunque, falsamente interpretato l’articolo 2041 c.c. nell’accogliere la domanda di indebito arricchimento e non qualificando come un rapporto di comodato quello instauratosi tra essa concludente e gli intimati lo stesso – come risulta dalle osservazioni sviluppate sopra – non integra, palesemente, una censura inquadrabile nello schema di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (violazione o falsa applicazione di norme di diritto) ma eventualmente – in quello di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, giusta la formulazione della disposizione applicabile ratione temporis) neppure in tesi prospettata con il primo motivo.
Anche a prescindere da quanto precede – comunque l’assunto è inammissibile anche perchè prescinde totalmente dalle argomentazioni sviluppate in sentenza.
La sentenza impugnata – in particolare – ha ritenuto fondata la domanda ex articolo 2041 c.c., avendo accertato – come, del resto, assolutamente pacifico in causa (e in alcun modo contestato dalla ricorrente):
– da un lato, che era intervenuto – solo verbalmente – un accordo fiduciario fra la (OMISSIS) e lo (OMISSIS), al fine di mettere al riparo l’immobile che il secondo intendeva acquistare dal pericolo di eventuali azioni esecutive dei creditori, accordo in forza dei quale la (OMISSIS), pur risultando – apparentemente – proprietaria dell’immobile stesso, aveva l’obbligo di intestare l’immobile agli (OMISSIS) o a chi per loro quando se ne fosse presentata la opportunità;
– dall’altro, che pur risultando, nell’atto di acquisto, la (OMISSIS) acquirente dell’immobile la stessa non ha versato alcun importo nè a titolo di acconto, nè per il pagamento delle prime 16 14 secondo gli assunti della ricorrente rate del mutuo;
– da ultimo che lo (OMISSIS) (e gli altri convenuti in primo grado) hanno – in esecuzione del nullo accordo fiduciario di cui sopra – occupato, l’immobile oggetto di controversia (per il quale lo stesso (OMISSIS) aveva pagato gran parte del corrispettivo) nonchè eseguito sullo stesso i lavori di ristrutturazione con il consenso quantomeno tacito della (OMISSIS) (per la quale, come evidenziato nella sentenza impugnata, erano assolutamente indifferenti entrambe tali circostanze, certo essendo che la stessa riteneva di essere “intestata” dell’immobile stesso unicamente “fiduciariamente”).
Pacifico quanto sopra è palese che l’iter argomentativo della sentenza gravata, nell’accogliere la domanda ex articolo 2041 c.c. è ineccepibile e conforme non solo al chiaro dettato di tale disposizione, ma anche alla interpretazione data alla stessa da una più che pacifica giurisprudenza di questa Corte regolatrice.
3.3. La stessa giurisprudenza invocata dalla ricorrente nella intestazione del primo motivo (Cass. , sez. un., 3 ottobre 2002, n. 14215; Cass. 29 giugno 1992, n. 7923 e Cass. 4 marzo 1998, n. 2407) del resto, anzichè contraddire la sentenza ora oggetto di ricorso, conferma puntualmente la correttezza – in diritto – del suo iter argomentativo.
Alla luce della richiamata giurisprudenza, in particolare, “la azione generale di arricchimento ha come presupposto che la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro sia avvenuta senza giusta causa, per cui, quando questa sia invece la conseguenza di un contratto o comunque di un altro rapporto, non può dirsi che la causa manchi o sia ingiusta, almeno fino a quando il contratto o l’altro rapporto conservino la propria efficacia obbligatoria” (Cass., sez. un., 3 ottobre 2002, n. 14215).
Certo che nella specie il contratto intervenuto tra la (OMISSIS) e lo (OMISSIS) e in forza del quale si è avuta la locupletazione della prima (divenuta proprietaria dell’immobile senza corrispondere alcuna somma ai venditori) a danno dell’altro (che ha pagato le prime rate del mutuo acceso per l’acquisto dell’immobile, nonchè tutte le spese per la ristrutturazione) è privo di qualsiasi efficacia obbligatoria, essendo staro stipulato senza l’osservanza della forma scritta ad substantiam, è palese la conformità a diritto della conclusione fatta propria dalla sentenza gravata e inutilmente censurata dalla ricorrente.
Accertato – come accertato dalla sentenza gravata – che lo (OMISSIS) era nel godimento dell’immobile (per il quale aveva pagato parte del corrispettivo) in forza del nullo accordo fiduciario stipulato con la (OMISSIS) e non in forza di un presunto contratto di comodato della cui stipulazione non risulta mai offerta alcuna prova è palese la non pertinenza, al fine del decidere, dell’insegnamento di questa Corte secondo cui “al comodatario non sono rimborsabili le spese straordinarie non necessarie ed urgenti, anche se comportino miglioramenti, tenendo conto della non invocabilità da parte del comodatario stesso, che non è nè possessore nè terzo, dei principi di cui agli articoli 1150 e 936 cod. civ., ed altresì della carenza, anche nel similare rapporto di locazione, di un diritto ad indennizzo per le migliorie” (Cass. 26 giugno 1992, n. 7923, nonchè, sempre nella stessa ottica,Cass. 4 marzo 1998, n. 2407).
3.4. Inammissibili, ancora, sono tutte le censure svolte in ricorso nel denunziare il mancato accoglimento della domanda proposta dalla (OMISSIS) e diretta a ottenere un corrispettivo per il godimento “senza titolo” del suo immobile da parte dello (OMISSIS) e degli altri convenuti in primo grado.
Nella specie i giudici di appello hanno espressamente esaminato il motivo di appello svolto al riguardo dalla (OMISSIS) (quanto al “mancato riconoscimento, da parte del primo giudice del diritto al risarcimento del danno conseguente alla occupazione senza titolo dell’immobile da parte degli appellati”) e ritenuto lo stesso infondato perchè “l’appellante non ha superato l’eccezione di tardività della domanda, frapposta dalla controparte. La domanda, in effetti, era stata formulata per la prima volta, tardivamente …”.
Pacifico quanto sopra, non controverso che tale capo, della sentenza ora impugnata non risulta essere stato oggetto di specifico motivo di ricorso per cassazione è palese la assoluta non pertinenza, al fine del decidere, delle argomentazioni svolte in ricorso al fine di dimostrare la fondatezza, nel merito, della spiegata domanda.
3.5. Con riguardo al secondo motivo lo stesso, oltre che inammissibile alla luce delle considerazioni svolte sopra è -comunque – nella parte in cui denunzia “omessa motivazione”, quanto alla “effettiva diminuzione patrimoniale della parte presunta impoverita” palesemente infondato essendo stata raggiunta la prova, in causa, che lo (OMISSIS) ha erogato le somme accertate dai giudici di merito vuoi per il pagamento delle rate di mutuo, vuoi per l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione.
La soia circostanza che lo (OMISSIS) ha corrisposto gli importi in questione palesemente costituisce la prova del suo “corrispondente” impoverimento, non esistendo più – a causa degli esborsi in parola – nel suo patrimonio le somme così spese.
3.6. Assolutamente non pertinenti – al fine del decidere -sempre al riguardo, sono i principi di diritto enunciati da questa Corte nelle pronunce ricordate dalla ricorrente nella intitolazione del secondo motivo.
Entrambe le richiamate pronunce, infatti, sono state rese con riguardo a “prestazioni prive di un prezzo di mercato” (come l’insegnamento, nella fattispecie tenuto presente daCass. 26 giugno 2001, n. 8752 o nella elaborazione di un progetto di opera pubblica, come ne. caso tenuto presente da Cass. 18 febbraio 1987, n. 1753) mentre nella specie essendo state erogate somme di danaro non ha – palesemente – alcun significato assumere che si tratti di “prestazioni prive di un prezzo di mercato”.
3. 7. Manifestamente infondato, ancora, si palesa il terzo motivo di ricorso.
I giudici del merito, infatti, hanno – puntualmente tenuto presente che – quanto alla piscina – la costruzione è avvenuta senza concessione edilizia.
Gli stessi giudici, peraltro, sulla base delle risultanze della espletata consulenza tecnica hanno accertato:
– da un lato, che “la pratica in sanatoria, benchè avviata, non ha ancora avuto esito” e che “anche se non si conoscono le ragioni per le quali la concessione in sanatoria non sia stata ancora conseguita ed anche se non si rilevano (nè l’appellante (OMISSIS) ne indica), ragioni strettamente tecnico urbanistiche impeditive della sanatoria stessa”;
– dall’altro “che di tale situazione di incertezza risente inevitabilmente la commerciabilità dell’immobile, gravato di un’alea che nell’ipotesi estrema, seppure remota, potrebbe portare anche alla perdita totale del manufatto” e che “in tali condizioni di incertezza si ritiene di dovere ridurre all’incirca della metà il credito degli appellati, rispetto alla quantificazione operata dal c.t.u. in relazione al costo dell’opera”.
Prescindendo il motivo, totalmente, da tali considerazioni è palese, da una parto, la sua inammissibilità, dall’altro, la assoluta non conferenza – al fine del decidere – del principio di diritto invocato dalla ricorrente e enunciato da Cass. 15 maggio 2000, n. 6233 (secondo cui “la nullità degli atti di trasferimento di edifici costruiti senza concessione edilizia ovvero senza concessione in sanatoria, ai sensi della Legge n. 47 del 1985, articolo 17, si estende al trasferimento delle accessioni dei detti immobili”).
In realtà la sentenza gravata si è puntualmente attenuta alla giurisprudenza di questa Corte regolatrice, costante nell’affermare la ammissibilità dell’azione di cui all’articolo 2041 c.c. anche nella eventualità in cui l’arricchimento (e il rispettivo depauperamento) abbia riguardo alla realizzazione di un’opera edilizia abusiva (cfr. Cass. 22 agosto 2003, n. 12347).
Quanto al quarto motivo:
Quale credito di valore, l’indennizzo ex articolo 2041 cod. civ. va liquidato alla stregua dei valori monetar in atto al momento della relativa pronuncia e il giudice deve tenere conto della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla decisione, anche di ufficio, a prescindere dalla prova della sussistenza di uno specifico pregiudizio dell’interessato dipendente dal mancato tempestivo conseguimento dell’indennizzo medesimo. La somma così liquidata produce interessi compensativi, i quali sono diretti a coprire l’ulteriore pregiudizio subito dal creditore per il mancato e diverso godimento dei beni e dei servizi impiegati nell’opera, o per le erogazioni o gli esborsi dovuti effettuare, e decorrono dalla data della perdita del godimento del bene o degli effettuati esborsi, coincidente con quella dell’arricchimento (Cass., 11 maggio 2007, n. 10884).
L’indennizzo previsto dall’articolo 2041 cod. civ. è un debito di valore – anche se l’arricchimento consiste in un risparmio di spesa e il depauperamento in attività od erogazioni – da liquidare, in via sostitutiva, con danaro, rapportato alla data dell’illecito, tenendo conto, anche d’ufficio, della svalutazione monetaria fino alla decisione (costitutiva della liquidazione dell’obbligazione di valore, previo accertamento dei requisiti normativamente richiesti) per reintegrare il patrimonio del creditore, e riconoscendo gli interessi – di natura compensativa, in base all’articolo 1499 cod. civ., espressione di un principio generale di equità – non accessori e non autonomi, perchè non normativamente previsti non essendo l’obbligazione originariamente pecuniaria (principio di tipicità delle obbligazioni: articolo 1173 cod. civ.), ma idonei come criterio di liquidazione del danno presunto fino a prova contraria, con decorrenza dalla data dell’altrui arricchimento e nei limiti di questo (articolo 2041 cod. civ.), costituito dal ritardo nell’utilizzazione, nei singoli momenti, dell’equivalente danaro, determinante diminuzione patrimoniale (Cass., 6 febbraio 1998, n. 1287).
Quanto al quinto motivo va osservato che è devoluta al giudice del merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, e pertanto anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l’unico limite della adeguata e congrua motivazione del criterio adottato; conseguentemente, ai fini di una corretta decisione, il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 6 settembre 1995, n. 9384). Pertanto i vizi di contraddittoria ed insufficiente motivazione in tema di valutazione delle risultanze istruttorie non sussistono se la valutazione delle prove è eseguita in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè proprio a norma dell’articolo 116 c.p.c. rientra nel potere discrezionale del giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare all’uopo le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere tra le varie risultanze istruttorie, quelle ritenute Idonee e rilevanti. Nè il giudice incorre nel vizio di motivazione se non motiva dettagliatamente sul contenuto dei documenti e di alcune deposizioni testimoniali, quando l’irrilevanza di tali risultanze si desume, per implicito, dagli argomenti addotti a sostegno della decisione (Cass., 18 novembre 2003, n. 3989).
La sentenza d’Appello sostiene che le rate pagate da (OMISSIS) furono 16 (ciò che risulta dalle ricevute prodotte); l’appellante (OMISSIS) sostiene invece che furono 14.
Se così fosse, secondo i principi in tema di onere della prova, la stessa (OMISSIS) avrebbe dovuto darne dimostrazione, individuando con esattezza le rate e indicando gli estremi dei relativi pagamenti.
Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi euro 5.200,00, di cui euro 5.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.