Ordinanza 19706/2020
Reciproche domande di risoluzione per inadempimento – Declaratoria di risoluzione del contratto da parte del giudice
Quando i contraenti richiedano reciprocamente la risoluzione del contratto, ciascuno attribuendo all’altro la condotta inadempiente, il giudice deve comunque dichiarare la risoluzione dello stesso, atteso che le due contrapposte manifestazioni di volontà, pur estranee ad un mutuo consenso negoziale risolutorio, sono tuttavia, in considerazione delle premesse contrastanti, dirette all’identico scopo dello scioglimento del rapporto negoziale.
Corte di Cassazione, Sezione 6-2 civile, Ordinanza 21 settembre 2020, n. 19706 (CED Cassazione 2020)
RITENUTO CHE
- Con atto di citazione del 22 dicembre 2007 Ma. Gi. e Va. Lu. convenivano in giudizio ex art. 2932 c.c. Eu. Ca. e St. An., chiedendone la condanna alla vendita in loro favore dell’immobile di cui al contratto preliminare di compravendita del 27 luglio 2007. Costituitisi in giudizio, i convenuti facevano valere domanda riconvenzionale di risoluzione del predetto preliminare, con richiesta dì risarcimento del danno per grave inadempimento degli attori in relazione al mancato versamento del corrispettivo dovuto per la vendita dell’immobile. In corso di causa, con memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c., gli attori mutavano la loro domanda di adempimento in domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c. per inadempimento dei promittenti venditori, a causa di vizi del bene e della sua non rispondenza al contratto e al progetto allegato alla pratica edilizia, con conseguente loro condanna “alla rifusione degli esborsi” e al risarcimento del danno. La causa veniva riunita ad altra, di opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal medesimo Tribunale su istanza di St. An., An. An. e Eu. Ca., con cui Gi. era stato condannato a pagare 90.000 euro.
Il Tribunale di Perugia, con sentenza n. 2161/2016, revocava il decreto ingiuntivo, rigettava entrambe le domande di risoluzione e, “considerato che entrambe le parti intendevano sciogliersi dal vincolo contrattuale”, dichiarava la risoluzione del contratto preliminare oggetto di causa.
- Avverso la sentenza proponevano appello Ma. Gi. e Va. Lu., censurando la decisione di primo grado circa l’insussistenza dell’inadempimento dei promittenti venditori e, in subordine, che questi fossero quanto meno condannati alla restituzione della caparra confirmatoria e al pagamento del corrispettivo dei mobili già acquistati e trattenuti dagli appellati.
La Corte d’appello di Perugia – con sentenza 26 ottobre 2018, n. 728 – rigettava il gravame e confermava la sentenza impugnata.
- Contro la sentenza ricorrono per cassazione Ma. Gi. e Va. Lu..
Resistono con controricorso St. An., An. An. e Eu. Ca..
La causa è stata avviata a trattazione con rito camerale davanti alla sesta sezione civile, con proposta di manifesta infondatezza del ricorso.
I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c.
CONSIDERATO CHE
- Il Collegio non condivide la proposta del relatore.
Il ricorso è articolato in due motivi, tra loro strettamente connessi:
- a) il primo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 1358, 1375, 1385 e 1458 c.c.” in quanto “la Corte d’appello, a seguito dello scioglimento del contratto per mutuo dissenso, avrebbe dovuto disporre la restituzione della caparra confirmatoria, quale naturale effetto della risoluzione”;
- b) il secondo motivo contesta “violazione e falsa applicazione degli artt. 1358, 1375, 2033 e 2038 c.c.” perché la Corte d’appello, a seguito dello scioglimento del contratto per mutuo dissenso, avrebbe dovuto disporre la restituzione del corrispettivo speso da parte promissaria per l’acquisto del mobilio collocato nell’immobile e di cui i venditori si erano impossessati.
I motivi, ad avviso del Collegio, sono manifestamente fondati.
Il giudice d’appello, dopo avere confermato la pronuncia di primo grado circa l’insussistenza dell’inadempimento dei promittenti venditori, ha affermato che, “quanto alla domanda di restituzione della caparra confirmatoria e delle spese per i mobili eseguite da parte degli appellanti, l’accertata configurabilità di un reciproco inadempimento delle parti e la conseguente prova della colpa ascrivibile ad entrambe è tale da escludere gli effetti accessori della sentenza”. Contraddittoriamente, quindi, il giudice d’appello ha affermato che il reciproco inadempimento delle parti è stato accertato dopo avere appena escluso l’inadempimento dei promittenti venditori e quando l’inadempimento dei promissari acquirenti è stato escluso dal giudice dì primo grado con decisione non impugnata e quindi passata in giudicato, appunto non considerando che la risoluzione del contratto è stata pronunciata perché richiesta sia dagli attori che dai convenuti. Pertanto, escluso l’inadempimento degli appellanti (oggi ricorrenti) andava loro riconosciuto il diritto alle restituzioni, restituzioni che avevano chiesto proponendo la domanda di risoluzione con condanna delle controparti “alla rifusione degli esborsi”. Né al riguardo vale il rilievo dei controricorrenti (pp. 9 ss. del controricorso) secondo cui non era sufficiente la domanda proposta perché la richiesta delle restituzioni era subordinata all’accertamento dell’inadempimento: le restituzioni sono state chieste dai ricorrenti quale conseguenza della risoluzione del contratto, risoluzione che è stata pronunciata dal giudice (v. Cass. 26907/2014, secondo cui “quando í contraenti richiedano reciprocamente la risoluzione del contratto, ciascuno attribuendo all’altro la condotta inadempiente, il giudice deve comunque dichiarare la risoluzione del contratto, atteso che le due contrapposte manifestazioni di volontà, pur estranee ad un mutuo consenso negoziale risolutorio, in considerazione delle premesse contrastanti, sono tuttavia dirette all’identico scopo dello scioglimento del rapporto negoziale”).
- Il ricorso va quindi accolto, il provvedimento impugnato deve essere cassato e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Perugia; il giudice di rinvio provvederà anche in relazione alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione.