Sentenza 19714/2012
Diritto al compenso professionale dell’amministratore di società di capitali
Il rapporto tra l’amministratore di una società di capitali e la società medesima va ricondotto nell’ambito di un rapporto professionale autonomo e, quindi, ad esso non si applica l’art. 36, primo comma, Cost., che riguarda il diritto alla retribuzione in senso tecnico, poiché il diverso diritto al compenso professionale dell’amministratore, avendo natura disponibile, può essere oggetto di una dichiarazione unilaterale di disposizione da parte del suo titolare (nella specie, di rinuncia).
Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, Sentenza 13 novembre 2012, n. 19714
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
(OMISSIS) chiedeva al Presidente del Tribunale di Caltanissetta decreto ingiuntivo nei confronti della Srl (OMISSIS) per ottenere il pagamento della somma di lire 55.000.000 oltre accessori, quale residuo compenso per la carica di consigliere di amministrazione della società suddetta, da lui svolta negli anni 1996 e 1997. Il Presidente del Tribunale dava il richiesto provvedimento.
La Srl (OMISSIS) con atto del 12 aprile 99 proponeva opposizione. Deduceva l’inesistenza del credito azionato per effetto di accordo di rinuncia ai compensi raggiunto fra gli amministratori del tempo, accordo che in ogni caso, secondo l’opponente, si doveva evincere dalle annotazioni contabili approvate dal (OMISSIS) stesso e rispetto al quale sarebbe stata possibile la prova per testi. In via riconvenzionale chiedeva la condanna del (OMISSIS) alla restituzione della somma di lire 30.701.160 pari all’ammontare dei prelevamenti effettuati dal medesimo in modo irregolare.
(OMISSIS) si costituiva, negava la rinuncia ai compensi e sosteneva che il diritto alle somme oggetto del decreto ingiuntivo era stato riconosciuto da delibera assembleare apposita.
Con sentenza del febbraio 2002 il tribunale rigettava l’opposizione, rilevando anzitutto la nullità/inesistenza della notifica dell’atto di opposizione di tutti gli atti successivi, perchè la richiesta di notifica della citazione era stata formulata all’ufficiale giudiziario da soggetto non legittimato ovvero dall’avvocato domiciliatario.
(OMISSIS) proponeva appello. Resisteva (OMISSIS).
La Corte di merito rigettava l’appello confermando la prima sentenza. Per quel che rileva nella presente fase il giudice di secondo grado condivideva anzitutto la decisione relativamente al punto della inesistenza della notifica dell’atto di opposizione, per il fatto che la relativa richiesta era formulata dall’avvocato domiciliatario del procuratore senza che risultasse da alcun altro atto che il medesimo avesse ricevuto l’incarico di provvedere alla formalità di cui si trattava. La sentenza oggi in esame, peraltro, dopo aver dato la suddetta statuizione, riteneva di motivare ulteriormente per la eventualità che ” volesse aderirsi al meno recente indirizzo interpretativo secondo cui la delega orale all’incaricato puo’ presumersi dal possesso dell’atto da notificare e dalla sua consegna l’ufficiale giudiziario…..”. Pertanto esaminava l’ulteriore motivo di appello secondo il quale in ogni caso nessun compenso poteva essere riconosciuto al (OMISSIS) per effetto dell’accordo di rinuncia ai compensi raggiunto fra gli amministratori del tempo.
Ad avviso della Corte d’Appello, invece, l’atto unilaterale di rinuncia non avrebbe tolto efficacia alla deliberato assembleare che negli anni 1996 e 1997 aveva stabilito il diritto al compenso di cui si tratta. Conseguentemente la richiesta prova per testi, in quanto volta a dimostrare un asserito accordo, contrario ad una delibera assembleare e per di più viziato da nullità, si palesava irrilevante e come tale inaccoglibile.
Contro questa sentenza ricorre per cassazione con atto articolato su due motivi (OMISSIS).
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso (OMISSIS) lamenta la violazione e la falsa applicazione degli articoli 137 e 160 c.p.c.. Sostiene infatti, formulando anche il previsto quesito di diritto, la piena validità della notificazione di cui si tratta giacchè da essa risultava certa la parte ad istanza della quale doveva effettuarsi. Osserva che della notificazione in questione, poichè si affermava la mancanza della necessaria autorizzazione del soggetto legittimato, avrebbe potuto, se mai, dolersi, solo il soggetto al quale, ai sensi dell’articolo 137 c.p.c., sarebbero dovuti risalire gli effetti dell’attività di impulso in questione.
1.a.Osserva il collegio che la Corte di Cassazione da tempo ha dato luogo ad un orientamento ormai stabile dal quale non vi sono motivi per discostarsi, secondo il quale l’attività di impulso del procedimento notificatorio, consistente essenzialmente nella consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario, puo’ dal soggetto legittimato, ovvero anzitutto la parte o il suo procuratore, essere affidata, anche con semplice delega orale, ad altra persona. Delega da presumersi conferita dal soggetto che, avendo il possesso dell’atto, lo consegna all’ufficiale giudiziario. In tal caso l’omessa menzione nella relazione di notifica della persona che ha materialmente eseguito l’attività in questione, ovvero la menzione dell’intervento di un soggetto diverso dal legittimato senza la precisazione della sua veste di incaricato, risultano irrilevanti ai fini della validità della notificazione stessa, quando alla stregua dell’oggetto oggetto della formalità, risulta certa la parte ad istanza della quale essa deve ritenersi effettuata.
La stessa giurisprudenza peraltro chiarisce che della notificazione di uno di tali atti effettuati senza la necessaria autorizzazione del legittimato, puo’ dolersi esclusivamente il soggetto al quale la legge attribuisce gli effetti dell’atto di impulso. (Cassazione nn.16250 del 2012, 164 del 2005, 5648 del 2001, e 6209 del 2001).
Nel caso che ne occupa è pacifica la menzione nell’atto notificato della parte nell’interesse del quale ha formalità stessa deve doveva essere eseguita. Dunque alla stregua dell’orientamento appena rammentato, la notificazione stessa risulta pienamente valida.
Il motivo è dunque fondato.
2. Con il secondo motivo, che deve essere esaminato in quanto si rivolge contro una ulteriore motivazione fornita dal giudice di merito per la sua statuizione, autonoma rispetto a quella precedente, suscettibile di dar luogo a giudicato, ed alla rimozione della quale il ricorrente ha interesse, la società lamenta l’errore commesso dal giudice del merito nel ritenere illegittima la rinuncia al compenso da parte dell’amministratore della società di capitali in questione. Lamenta dunque la violazione e la falsa applicazione degli articoli 2389 e 2364 c.c. nel testo previgente all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 6 del 2003.
Ritiene infatti che il compenso di cui si tratta poteva essere oggetto di rinuncia e che pertanto erroneamente la corte di merito, non avendo rilevato che l’adottato atto unilaterale non è soggetto ad alcuna forma, non ha dato ingresso alla richiesta prova per testi nè ha preso in considerazione a tal fine l’eventuale sufficienza, tale da escludere anche la prova testimoniale, degli atti contenuti nella contabilità della società, in quanto capaci di dimostrare per l’appunto il fatto storico allegato.
2.a. Osserva la corte che il rapporto tra l’amministratore di una società di capitale e la società medesima va ricondotto nell’ambito di un rapporto professionale autonomo. Ad esso non si applica il disposto dell’articolo 36 Cost., comma 1 relativo al diritto alla retribuzione in senso tecnico. Conseguentemente è legittima la previsione statutaria di gratuità delle relative funzioni ( Cass. N. 7961 del 2009). Il diritto al compenso professionale in questione pertanto, in quanto tale, ha natura disponibile e pertanto può essere oggetto, a tal fine, anche di dichiarazione un unilaterale da parte del suo titolare, (vedi anche, per qualche riferimento,- cass. n. 2671 del 1998).
Consegue il fondamento del motivo esaminato, giacchè il giudice del merito avrebbe dovuto consentire all’odierno ricorrente di dimostrare l’avvenuta rinuncia al credito in questione, tanto attraverso l’esame della documentazione societaria ovvero disponibile dalle parti, e sia, nella eventualità che questa non fosse risultata in fatto sufficiente, e ricorrendone i presupposti previsti dall’articolo 2724 c.c., attraverso prova per testi.
3. Il ricorso è fondato e deve essere accolto. La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altro giudice di merito, che deciderà la causa esaminando il punto innanzi detto.
Il giudice del merito provvederà anche sulle spese di questa fase.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa anche per le spese di questa fase, alla stessa Corte d’Appello, in diversa composizione.