Sentenza 19936/2022
Pagamento al creditore apparente – Somme depositate in conto corrente – Azione accordata all’erede per la restituzione
L’art. 1189 c.c., in tema di pagamento al creditore apparente, è applicabile anche nell’ipotesi di pagamento delle somme depositate in conto corrente, effettuato dalla banca dopo la morte del correntista in favore di un soggetto non legittimato a riceverlo; conseguentemente l’azione accordata all’erede per la restituzione è quella disciplinata dall’art. 2033 c.c., che è esperibile solo nei confronti del destinatario del pagamento e non anche nei confronti di colui al quale la somma sia stata trasferita dall’accipens dopo che egli l’abbia indebitamente riscossa dalla banca debitrice.
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 21-6-2022, n. 19936
Art. 1189 cc (Pagamento al creditore apparente) – Giurisprudenza
Art. 2033 cc (Indebito oggettivo) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
La presente causa riguarda la successione legittima di D.P. Gi., deceduto il 26 dicembre 1988, lasciando eredi il figlio D.P. Ma. (attuale controricorrente) e il coniuge Ma. D.D., deceduta a sua volta il 28 dicembre 1999. È oggetto di lite un conto corrente presso la filiale di Ginevra della UBS intestato a entrambi i coniugi defunti, D.P. Gi. e Ma. D.D., estinto il 28 febbraio 2000, dopo la morte di ambedue gli intestatari, da Gi. D.D., il quale, in forza di procura della correntista Ma. D.D. in data 20 aprile 1999, ha ritirato l’intero saldo, trasferendo la metà dell’importo prelevato in favore di Al. D.D..
D.P. Ma. ha chiamato in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma Gi. D.D. e Al. D.D.. Egli assumeva che il conto corrente era compreso per intero nella successione del genitore, essendo solo formale l’intestazione anche in nome del coniuge Ma. D.D., che non aveva contribuito in alcun modo alla formazione del saldo esistente al tempo della morte. Ha chiesto quindi la condanna dei convenuti al pagamento in solido di quanto spettante all’attore in forza della successione del genitore, pari alla metà dell’importo abusivamente prelevato da Gi. D.D..
I convenuti si sono costituiti e hanno contestato la pretesa, il cui oggetto doveva ad ogni modo circoscriversi, in conformità alla intestazione congiunta del conto in nome di entrambi i coniugi, nei limiti della quota di un quarto del saldo del conto stesso, essendo compresa nella successione di Gi. D.P. solo la quota di un mezzo.
Gi. D.D. ha chiesto in via riconvenzionale accertarsi l’esistenza di una donazione immobiliare, elargita del de cuius in favore del figlio, di cui chiedeva la collazione, con la successiva divisione del bene che ne aveva costituito l’oggetto.
Al. D.D. ha eccepito il proprio difetto di legittimazione, deducendo di avere ricevuto la somma in buona fede, in forza di un pregresso rapporto con Gi. D.D..
Il Tribunale, integrato il contraddittorio nei confronti degli altri eredi di D.D. Ma., ha accolto la domanda di restituzione dell’attore, qualificata quale esercizio dell’azione di petizione ereditaria; ha perciò condannato i convenuti in solido al pagamento, in favore di D.P. Ma., della somma di € 154.246,31, pari a un quarto del saldo di chiusura, misura così identificata in forza della presunzione di cui all’art. 1282 c.c. e del concorso di Ma. D.D. nella successione di Gi. D.P.. Il Tribunale ha rigettato qualsiasi altra domanda.
Proposto appello da parte di Al. D.D., la sentenza è stata confermata dalla Corte d’appello di Roma, che ha rigettato ambedue i motivi di appello. Con il primo motivo, l’appellante aveva censurato la sentenza di primo grado sotto un duplice profilo: a) per avere il primo giudice riconosciuto la proponibilità dell’azione di petizione ereditaria nei propri confronti, nonostante egli fosse divenuto proprietario del denaro; b) per avere il medesimo giudice ammesso la proponibilità, in termini generali, della stessa azione di petizione in relazione a beni diversi da cose determinate.
La Corte d’appello ha rigettato inoltre il motivo d’appello relativo alla collazione della supposta donazione ricevuta da D.P. Ma., collazione già negata dal Tribunale.
Per la cassazione della sentenza Al. D.D. ha proposto ricorso, affidato a due motivi.
D.P. Ma. ha resistito con controricorso. La causa, in un primo tempo fissata per la trattazione in camera di consiglio, è stata rimessa alla pubblica udienza con ordinanza del 18 agosto 2021. In prossimità dell’udienza camerale le parti hanno depositato memoria.
Ambedue le parti hanno depositato memoria in vista della pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. È necessario in via preliminare chiarire che la domanda iniziale, qualificata in primo grado e in appello come esercizio dell’azione di petizione, è stata proposta dal D.P. nei confronti di Gi. D.D. e di Al. D.D., e cioè nei confronti del soggetto che aveva prelevato l’intero saldo del conto corrente facente parte dell’asse ereditario del padre e nei confronti di colui al quale Gi. D.D. aveva trasferito la metà della somma prelevata.
Così come proposta, la domanda non poneva esigenze di integrazione del contraddittorio, né dal lato attivo, né dal lato passivo, ne confronti degli altri interessati alla successione di D.P. Gi. (gli eredi del coniuge di lui D.D. Ma.). Invero, l’esigenza di integrazione del contraddittorio è sorta a seguito della domanda riconvenzionale di Giacchino D.D., proposta in relazione alla successione di D.P. Gi., di collazione e divisione di un bene che si assumeva donato dal de cuius all’attore D.P. Ma..
Tale domanda è stata rigettata dal Tribunale, con sentenza confermata dalla Corte d’appello e la relativa statuizione non è stata impugnata in questa sede. Il presente ricorso, proposto dal solo Dal Din Al., investe esclusivamente la condanna restitutoria della somma prelevata da Dal Din Gi. dal conto corrente compreso nell’asse. Il giudizio, pertanto, vede attualmente quali litisconsorti l’attore originario D.P. Ma. e il ricorrente Dal Din Al., con esclusione sia degli eredi di Ma. D.D., chiamati in primo grado per l’instaurazione del contraddittorio nella prospettiva della domanda di collazione e divisione, sia del medesimo Gi. D.D., nel frattempo deceduto, condannato in solido con l’attuale ricorrente alla restituzione. Rispetto a quest’ultimo vale il principio secondo cui «la circostanza per cui una domanda di condanna all’adempimento di un’obbligazione venga accolta nei confronti di più soggetti in via solidale non giustifica di per sé che il processo, che ha avuto in primo grado natura di litisconsorzio facoltativo, si configuri in sede di impugnazione come processo su causa inscindibile, sia che impugni il soggetto che ha ottenuto la condanna solidale sia che impugni alcuno dei condannati in solido; ne consegue che, di regola, in appello si applica in tali casi il disposto dell’art. 332 c.p.c. e non quello dell’art. 331 c.p.c.». (Cass. n. 3338/2009; n. 18173/2014).
Consegue dai precedenti rilievi che i dubbi, sollevati dal controricorrente sulla regolare instaurazione del contraddittorio nei confronti degli intimati, giustificherebbero al limite l’applicazione dell’art. 332 c.p.c., non dell’art.331 c.p.c. Un eventuale ordine in questo senso, però, è oramai del tutto superfluo, essendo tutti gli intimati decaduti dalla facoltà di proporre impugnazione. «In tema di impugnazioni relative a cause scindibili, qualora il ricorso per cassazione non sia stato notificato ad una delle parti vittoriose nel giudizio di appello, non deve essere ordinata l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 332 c.p.c. se, alla data in cui dovrebbe essere disposta l’integrazione, detta parte sia decaduta dalla facoltà di proporre impugnazione tardiva, per decorso del termine di cui all’art. 327 c.p.c.» (Cass. n. 11835/2018; n. 12942/2003).
2. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 533 e 534 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la Corte d’appello ha riconosciuto che l’azione di petizione ereditaria è esperibile anche per il recupero di denaro. Si sostiene che l’ambito di operatività di tale azione, al pari di quello dell’azione di rivendicazione, è circoscritto al recupero solo di cose determinate. Conseguentemente Al. D.D., quale mero beneficiario dell’appropriazione indebita che Gi. D.D. avrebbe compiuto in danno di Ma. D.P., non avrebbe potuto essere convenuto in qualità di terzo, né con un’azione reale, avente ad oggetto il frutto di tale appropriazione indebita, né con un’azione personale (peraltro mai esercitata), in quanto egli non ha concorso nella condotta appropriativa di Gi. D.D..
3. Il motivo, il quale contiene una chiara e precisa indicazione della violazione di legge ascritta alla Corte d’appello, è fondato.
L’attuale ricorrente Al. D.D. è stato convenuto con l’azione di petizione ereditaria nella veste di avente causa di colui che, secondo la ricostruzione che emerge dalla sentenza impugnata, si era impossessato del saldo del conto corrente, compreso pro quota nell’eredità di D.P. Gi., senza averne titolo. Al. D.D. ha negato in appello la propria legittimazione, sia per avere legittimamente acquistato il diritto sulle cose trasferite, sia per ragioni di principio: l’azione di petizione deve avere per oggetto cose determinate e non è proponibile per il recupero di cose fungibili.
La Corte d’appello ha negato che il terzo Al. D.D. avesse acquistato il possesso in forza di un titolo idoneo a paralizzare la pretesa dell’erede; ha quindi riconosciuto la legittimazione del medesimo Al. D.D. rispetto all’azione di petizione svolta dall’erede. Quanto ai beni ereditari che possono essere oggetto dell’azione di petizione, la Corte d’appello non ha avuto dubbi nell’includere anche i beni fungibili.
Il motivo di ricorso per cassazione si dirige solo contro tale affermazione teorica, senza censurare la decisione della corte di merito nella parte in è stata negata l’esistenza di titolo idoneo, ex art. 1153 c.c., a paralizzare l’azione recuperatoria dell’erede.
4. Nel caso di deposito bancario, la natura ereditaria del diritto acquistato dall’erede, in caso di morte del depositante, merita di essere precisata. Nel deposito bancario, con la consegna si opera ipso iure il passaggio di proprietà del denaro dal depositante alla banca; al diritto di proprietà del depositante sulle somme si sostituisce un diritto di credito verso la banca, la quale diventa debitrice di un genus (art. 1834 c.c.) (Cass. n. 23477/2020; n. 21901/2020; 1689/2012). In caso di morte del depositante, il rapporto si risolve e il diritto di restituzione passa agli eredi. Si capisce, quindi, che, alla morte del depositante, ciò che è compreso nell’ universum ius del defunto non è il denaro depositato, ma il credito dell’intestatario defunto verso la banca per il saldo del deposito: «In tema di imposta sulle successioni, l’art. 9, comma secondo, del D. Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 – secondo il quale “si considerano compresi nell’attivo ereditario denaro, gioielli e mobilia per un importo pari al dieci per cento del valore globale netto imponibile dell’asse ereditario anche se non dichiarati o dichiarati per un importo minore”, – fa riferimento a denaro, gioielli e mobilia di diretta pertinenza del defunto. Pertanto, con riguardo – in particolare – al denaro, rientra nell’ambito di applicazione della norma soltanto quello sul quale il defunto esercitasse un diritto di proprietà e non il denaro che avesse formato oggetto di un deposito in conto corrente bancario, atteso che in tal caso la proprietà del denaro appartiene alla banca ed il cliente è titolare di un semplice diritto di credito» (Cass. n. 19160/2003; n. 8198/2011).
Il principio, seppure affermato in materia tributaria, ha carattere generale, in quanto esprime una regola che riflette la natura giuridica del deposito bancario. Secondo la giurisprudenza i crediti del de cuius non solo fanno parte dell’ universum ius del defunto, che è acquistato dall’erede, ma, in caso di coeredità, entrano a far parte della comunione ereditaria (Cass. n. 15894/2014; n. 27417/2017; n. 8508/2020).
5. Nel caso in esame è avvenuto che la banca depositaria ha eseguito il pagamento del saldo a favore Gi. Dal Din, che non era legittimato a riceverlo, essendo divenuta inefficace la procura rilasciata a suo tempo da uno dei due intestatari. Si sa che la morte del rappresentato costituisce causa di estinzione del potere di rappresentanza (Cass. n. 28141/2005; conf. n. 3959/2008; n. 415/1972). Secondo la giurisprudenza, il pagamento fatto al rappresentante apparente, al pari del pagamento fatto al creditore apparente, libera, ai sensi dell’art 1189 c.c.,, il debitore di buona fede che lo esegue, quando l’apparenza risulti giustificata da circostanze univoche e concludenti (Cass. n. 2839/1972; n. 4798/1979; n. 3808/1980; n. 4595/1990; 17742/2005; n. 14028/2013; n. 9758/2018).
6. Il secondo comma dell’art. 1189 c.c. prevede una tutela per il vero creditore, per il caso che altri abbia ricevuto come legittimato apparente il pagamento liberatorio. La norma accorda anche a lui l’azione per la ripetizione dell’indebito, espressamente richiamata dal codice (Cass. n. 18452/2014; n. 20905/2005; n. 13162/2004). La giurisprudenza ha precisato che l’accertamento della buona o della mala fede del debitore, se ha rilevanza nei rapporti fra lo stesso ed il vero creditore ai fini della sua liberazione dall’obbligazione, non ha influenza in ordine all’obbligo di restituzione da parte del creditore apparente (Cass. n. 2903/1967).
È principio consolidato nella giurisprudenza che, nell’indebito oggettivo, disciplinato dall’art 2033 c.c., l’azione restitutoria, avendo carattere personale, può esperirsi solo nei rapporti fra il solvens (o, nel caso dell’art.1189 c.c., il creditore vero) e il destinatario del pagamento che abbia incassato, personalmente o a mezzo di rappresentante, la somma non dovuta, e cioè solo tra le stesse parti del rapporto precedente (negozio di pagamento) (Cass. n. 2087/1978). Il solo soggetto passivamente legittimato è colui che ha ricevuto la somma che si assume essere non dovuta (Cass. n. 11073/2003; n. 17146/2003; n. 25170/2016). Tale principio, consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte, trova fondamento nella formulazione letterale dell’art. 2033 c.c. che, collegando la genesi dell’obbligazione restitutoria al pagamento non dovuto, mostra di individuare il percettore del pagamento non dovuto come il solo soggetto passivo dell’obbligazione (Cass. n. 610/2019). In più occasioni è stata negata la legittimazione del terzo a cui la somma sia pervenuta per autonoma, unilaterale ed arbitraria iniziativa dell’ accipiens (Cass. n. 25170/2016; n. 11073/2003; n. 5926/1995).
È stato anche chiarito che l’ambito soggettivo della condictio indebiti non può essere esteso facendo riferimento alla disciplina contenuta dall’art. 2038 c.c., _ il cui ambito di applicazione e chiaramente limitato esclusivamente al caso particolare dell’avvenuta consegna sine causa di una cosa determinata la quale sia stata poi alienata a terzi da colui che l’aveva ricevuta dal solvens, in quanto norma speciale, derogativa del principio generale dei rimborso dei pagamenti non dovuti stabilito dall’art. 2033 c.c. (Cass. n. 4089/1968; n. 3281/1981).
7. La Corte d’appello non ha avuto dubbi nel sostenere che l’erede vero potesse rivolgersi per il recupero anche nei confronti del terzo, in primo luogo, sulla base di un argomento letterale: la nozione di bene ereditario ai sensi dell’art. 533 c.c. non consente di escludere dal novero delle cose che possono essere oggetto di petizione i beni fungibili; in secondo luogo, in base al parallelo con l’azione di rivendicazione, che sarebbe incondizionatamente concessa anche per il recupero di beni fungibili.
L’argomento letterale trascura che il bene ereditario, nel caso di estinzione del deposito bancario per morte del depositante, è il credito del defunto verso la banca, non materialmente il denaro depositato sul conto, sul quale il defunto non esercitava un diritto di proprietà (Cass. n. 19150/2003 cit.).
Solo per completezza di esame si precisa che la giurisprudenza ritiene applicabile l’art. 1189 c.c. anche al caso del pagamento fatto all’erede apparente. Infatti, nell’erede apparente del creditore si deve riconoscere a sua volta un creditore apparente, con conseguente liberazione, ex art. 1189 9 di 12 c.c., del debitore nei confronti dell’erede vero quando il pagamento, in sé necessariamente oneroso, sia effettuato in buona fede (Cass. n. 12921/1992). D’altronde, proprio facendo leva sull’art. 1189 c.c., la giurisprudenza di questa Corte riconosce l’efficacia liberatoria del pagamento dei canoni, fatto in buona dal conduttore all’erede apparente dopo la morte del locatore (Cass. n. 14445/2016; n. 8581/2012). Essendo applicabili le disposizioni in tema di pagamento dell’indebito, l’erede vero, al pari del creditore vero, potrà pretendere la restituzione solo dall’ accipiens e non anche dal terzo che abbia tratto vantaggio dall’indebito. Si ribadisce ancora una volta che l’art. 2038 c.c., in base al quale il terzo potrebbe essere tenuto verso chi ha subito l’indebito nei limiti dell’arricchimento, a causa del riferimento in esso contenuto ad un oggetto specifico (“cosa”), assume il carattere di norma speciale derogativa del principio generale del rimborso dei pagamenti non dovuti stabilito dall’art. 2033 c.c. Per tale suo carattere di specialità la norma soggiace al limite di una interpretazione rigorosa, ai sensi dell’art 14 delle disposizioni sulla legge in generale (preleggi) (Cass. n. 4089/1968; n. 3281/1981).
8. Neanche la legittimazione del terzo si potrebbe giustificare in base al parallelo con l’azione di rivendicazione, che non è ammessa se la cosa, per un qualsiasi motivo, non esista nella sua individualità o comunque non si trovi in possesso del convenuto; potrà proporsi in tal caso contro il già possessore azione personale di risarcimento di danno o anche – ove si tratti di cosa fungibile – azione di restituzione di cosa analoga per specie, quantità e qualità, oppure altra azione personale, come quella di arricchimento senza causa per indebito. (Cass. n. 1269/1962); in tale ipotesi rimane irrilevante, ai fini della qualificazione dell’azione, la circostanza che l’attore ponga a presupposto di essa l’affermazione della sua proprietà sulla cosa (Cass. n. 813/1975; n. 1207/1992). Secondo l’orientamento di questa Corte, formatosi sull’art. 103 della legge fallimentare, che prevede le domande di rivendicazione, restituzione e separazione di cose mobili, le domande di rivendicazione e restituzione, ai sensi della norma, sono ammissibili solo con riguardo a cose mobili determinate nella loro specifica e precisa individualità, non anche in relazione alle cose fungibili e, in particolare, al denaro, restando al loro riguardo configurabile un diritto di credito da far valere nei modi e nelle forme dell’ammissione al passivo ex artt. 93 ss. 1. fall. (Cass. n. 1891/2018; n. 30894/2017; n. 12718/2001; n. 4268/1990). È fatta salva l’ipotesi che sia intervenuto un fatto che abbia determinato la loro individuazione ed evitato la confusione con il patrimonio del fallito (Cass.n. 13511/2021). In tempi recenti è stato precisato che il denaro, al pari degli altri beni fungibili, può essere rivendicato ai sensi dell’art. 103 1. fall., qualora la consegna sia stata eseguita in virtù di un titolo che non prevedeva la facoltà d’uso da parte del depositano e la conservazione sia stata effettuata per massa separata, pur con mescolanza di beni dello stesso genere appartenenti ad altri soggetti, poiché la natura fungibile dei beni non è di ostacolo alla restituzione, che deve avvenire non rispetto alle stesse cose (idem corpus) ma con riferimento a cose di coincidente genere, qualità e quantità (Cass. n. 2737/2021).
In relazione a questi principi si capisce che la similitudine fra petizione e rivendicazione, proposta dalla Corte d’appello, non apporta argomento alla tesi secondo cui l’azione di petizione sarebbe esperibile senza riserva anche con finalità recuperatoria di beni fungibili. Anzi il principio esatto è che l’azione di rivendicazione, di regola, non è esperibile con finalità recuperatoria del denaro, tranne casi particolari che, evidentemente, nella specie non ricorrono.
9. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1292 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., per omissione di pronuncia sul motivo d’appello con il quale fu denunciato l’errore commesso dal primo giudice nel pronunciare la condanna in solido dei convenuti, nella palese assenza dei presupposti della solidarietà, configurabile nell’ipotesi, non ricorrente nel caso in esame, di compossesso del bene oggetto di restituzione.
Il motivo è assorbito.
10. In conclusione, è accolto il primo motivo, è assorbito il secondo. La causa deve essere rinviata alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che provvederà a nuovo esame attenendosi al seguente principio di diritto:
«L’art. 1189 c.c., in tema di pagamento al creditore apparente, è applicabile anche nell’ipotesi di pagamento delle somme depositate in conto corrente, effettuato dalla banca dopo la morte del correntista in favore di un soggetto non legittimato a riceverlo; conseguentemente l’azione accordata all’erede per la restituzione è quella disciplinata dall’art. 2033 c.c., che è esperibile solo nei confronti del destinatario del pagamento e non anche nei confronti di colui al quale la somma sia stata trasferita dall’accipiens dopo che egli l’abbia indebitamente riscossa dalla banca debitrice».
La Corte di rinvio liquiderà anche le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo; dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 31 gennaio 2022.