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Cassazione Civile 1994/2016 – Rimborso spese funerarie sostenute dal chiamato all’eredità

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Sentenza 1994/2016

Rimborso spese funerarie sostenute dal chiamato all’eredità

Le spese per le onoranze funebri rientrano tra i pesi ereditari che, sorgendo in conseguenza dell’apertura della successione, costituiscono, unitamente ai debiti del defunto, il passivo ereditario gravante sugli eredi, ex art. 752 c.c., sicché colui che ha anticipato tali spese ha diritto ad ottenerne il rimborso da parte di costoro, sempre che non si tratti di spese eccessive, sostenute contro la loro volontà.

Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 2-2-2016, n. 1994   (CED Cassazione 2016)

Art. 461 cc (Rimborso delle spese sostenute dal chiamato) – Giurisprudenza 

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 29 maggio 2008 (OMISSIS) conveniva davanti al Giudice di pace di Tricase la germana (OMISSIS) al fine di ottenere il rimborso della quota parte, incombente sulla convenuta, delle spese funerarie della comune sorella (OMISSIS), per somma pari ad euro 616,75. (OMISSIS) rimaneva contumace e non si presentava nemmeno per rendere l’interrogatorio formale ammesso. La causa veniva istruita con prova testimoniale. Con sentenza del 3 dicembre 2008, n. 717, l’adito Giudice di Pace accoglieva la domanda e condannava (OMISSIS) al pagamento dell’importo indicato. A seguito della notifica della sentenza, (OMISSIS) dapprima adempiva al pagamento della somma portata nella statuizione di condanna, quindi in data 2 gennaio 2009 rinunciava all’eredità, e successivamente il 7 gennaio 2009 proponeva appello dinanzi al Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Tricase, chiedendo di annullare la sentenza di primo grado, in quanto contraria ai principi regolatori della materia, tratti dagli artt. 459, 460 e 461 codice civile, nonchè dall’art. 2697 codice civile L’appellante (OMISSIS) deduceva, in particolare, che il giudice di primo grado avrebbe dovuto accertare la qualità di erede, e quindi di legittimata passiva, di essa convenuta, dovendosi soltanto intendere chiamata all’eredità e non automaticamente accettante della stessa; aggiungeva la circostanza di aver comunque rinunciato all’eredità in data 2 gennaio 2009, con conseguente retroattività ex art. 521 codice civile L’appellata (OMISSIS) eccepiva l’inammissibilità dell’appello ex art. 345 codice procedura civile, introducendo esso domande ed eccezioni nuove (quale quella volta ad affermare la mera qualità di chiamata all’eredità e non già di erede), vista la contumacia della convenuta in primo grado. L’appellata opponeva altresì l’inammissibilità dell’impugnazione, trattandosi di gravame avverso sentenza pronunciata secondo equità, a norma del Part. 113, comma 2, codice procedura civile, e dunque appellabile unicamente nei limiti di cui all’art. 339 codice procedura civile, comma 2. Il TRIBUNALE di Lecce, Sezione Distaccata di TRICASE, con sentenza n. 104/2011 depositata l’11/04/2011, accoglieva l’appello e riformava la sentenza di primo grado. Il Tribunale riteneva sussistente la violazione dei principi regolatori della materia perpetrata dal primo giudice, avendo questi inteso la contumacia della convenuta come manifestazione di volontà favorevole alla pretesa dell’attrice, e la mancata comparizione a rendere l’interrogatorio formale come ammissione dei fatti dedotti. Il giudice dell’appello negava altresì ogni inammissibile novità della questione relativa all’accertamento della qualità di erede di (OMISSIS), trattandosi di elemento essenziale della pretesa di rimborso delle spese funerarie avanzata da (OMISSIS), elemento in ordine al quale era doverosa la verifica giudiziale dell’avvenuta accettazione dell’eredità (essendone insufficiente la mera delazione). Piuttosto, ad avviso del Tribunale, spettava proprio a (OMISSIS) di dare prova della qualità di erede di (OMISSIS), avendo del resto quest’ultima già con una lettera del 27 luglio 2007, sottoscritta da un legale di sua fiducia e comunicata all’avvocato della sorella (OMISSIS), manifestato la propria volontà di non accettare l’eredità di (OMISSIS), come poi formalmente conclamato con la rinuncia del 2 gennaio 2009. Avverso la sentenza del TRIBUNALE di Lecce, Sezione Distaccata di TRICASE, ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), articolato in tre motivi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso deduce: violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 345 codice procedura civile, in relazione all’art. 360 codice procedura civile, n. 4); motivazione illogica insufficiente e contraddittoria ex art. 360 codice procedura civile, n. 5). Afferma la ricorrente che il Giudice di prime cure, nel decidere la causa, non avrebbe violato alcun principio regolatore della materia, nè norme comunitarie e/o costituzionali. Pertanto, erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto appellabile la sentenza di primo grado, trattandosi di pronuncia resa secondo equità in base all’art. 113 codice procedura civile, comma 2 (OMISSIS), a dire della ricorrente, invocando una violazione dei principi della materia, avrebbe presentato un ordinario atto di appello cercando di aggirare in tal modo l’inappellabilità prevista dalla legge. In ogni caso, continua il primo motivo, pur ove si intendesse appellabile la sentenza di primo grado, il gravame sarebbe stato comunque inammissibile, in quanto (OMISSIS) era rimasta contumace in tutto il giudizio di primo grado, sicchè le sue eccezioni, le domande e i documenti depositati dovevano essere considerati nuovi ex art. 345 codice procedura civile Il secondo motivo di ricorso censura la “violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 116 e 232 codice procedura civile, in relazione all’art. 360 codice procedura civile, n. 4). Motivazione illogica, insufficiente e contraddittoria (art. 360 codice procedura civile, n. 5)”. Si contesta che per aggirare l’inammissibilità dell’appello, (OMISSIS) avrebbe invocato la violazione dei principi regolatori della materia, affermando che il suo status di chiamata all’eredità, anzichè di erede, doveva essere rilevato d’ufficio dal giudice di prime cure, laddove, trattandosi di contestazione della titolarità passiva del rapporto controverso, essa rientrava nel potere dispositivo e neil1 onere deduttivo e probatorio della parte interessata. Sarebbe stato piuttosto il Tribunale ad aver violato sul punto l’art. 112 codice procedura civile Completa, anzi, a dispetto delle critiche formulate in proposito dal giudice del gravame, era stata l’indagine compita in primo grado, avendo l’attrice allegato al proprio fascicolo di parte in quella sede un certificato di stato di famiglia originario, dal quale si evinceva che anche (OMISSIS) fosse sorella della de cuius (OMISSIS), a sua volta nubile e priva di parenti pili prossimi. Sicchè (OMISSIS) era da intendersi legittimata passivamente a stare in giudizio e avrebbe, semmai, dovuto costituirsi in giudizio per contestare lo status di erede attribuitole, piuttosto che rimanere contumace per tutto il primo grado, anche dopo la notifica del verbale contenente deferimento di interrogatorio formale. Bene quindi aveva fatto, insiste la ricorrente, il giudice di prime cure ad accogliere la domanda introduttiva ritenendo testualmente che “la mancata costituzione in giudizio della convenuta deve essere valutata ai sensi dell’art. 116 codice procedura civile nel senso di carenza di valide ragioni da opporre alla domanda attrice e, d’altronde, la mancata comparizione a rendere interrogatorio formale comporta, ai sensi dell’art. 232 codice procedura civile, che vengano considerati come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio stesso. Trattasi, invero, di ulteriore elemento da cui desumere l’indifferenza della convenuta circa l’esito del giudizio”. Alcun diverso significato il giudice di primo grado, ad avviso della ricorrente, poteva attribuire al comportamento contumaciale di (OMISSIS). Critica inoltre la ricorrente l’affermazione del Tribunale secondo cui alla mancata presenza di (OMISSIS) all’udienza prevista per l’assunzione dell’interrogatorio formale non poteva attribuirsi la rilevanza di “una sorta di accettazione tacita dell’eredità “. Nega, ancora, qualsiasi valenza di rinunzia all’eredità alla “missiva a firma di un procuratore” menzionata in sentenza, essendosi poi tale rinuncia formalizzata solo in data 2 gennaio 2009. Per contro, doveva considerarsi la condotta processuale di (OMISSIS) quale accettazione tacita dell’eredita, inconciliabile con la tardiva rinuncia. Il terzo motivo espone ulteriormente la palese violazione dell’art. 2697 codice civile ed il vizio di motivazione sul punto, avendo il giudice di secondo grado gravato proprio l’attrice (OMISSIS) dell’onere di dimostrazione dello status di erede della sorella (OMISSIS), spettando piuttosto a quest’ultima di provare in primo grado il suo asserito status di chiamata all’eredità e non di erede. I tre motivi di ricorso, il cui esame congiunto appare opportuno per la loro stretta connessione logica, sono infondati. Quanto, in specie, al primo motivo, laddove la ricorrente (OMISSIS) deduce che, trattandosi di sentenza emessa dal Giudice di pace di Tricase secondo equità, il tribunale, adito quale giudice d’appello, avrebbe dovuto rilevare l’inammissibilità del gravame, giacchè proposto per motivi esorbitanti quelli deducibili ai sensi dell’art. 339 codice procedura civile, comma 3, (come sostituito dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, art. 1), va premesso come lo stesso ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello dovrebbe necessariamente dedurre l’inosservanza delle norme sul procedimento, ovvero delle norme costituzionali o comunitarie, o dei principi regolatori della materia, pena la sua ulteriore inammissibilità ex art. 339 codice procedura civile, comma 3, e art. 360 codice procedura civile, comma 1, n. 3, (Cass. 24 febbraio 2015, n. 3715).

Essendo in ogni caso denunciata la mancanza di specificità dei motivi d’appello, per non essere stati esplicitati, come imposto pure dall’art. 342 codice procedura civile, “i principi regolatori della materia” asseritamente violati nella sentenza di primo grado del Giudice di pace di Tricase, pronunciata secondo equità, sarebbe stato ulteriore onere della ricorrente riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi di impugnazione formulati dall’appellante (OMISSIS).

Opera, infatti, pure in relazione ai limitati motivi di appello, ex art. 339 codice procedura civile, comma 3, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in quanto l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque che la parte riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti idonei ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale.

D’altro canto, dalla lettura della sentenza resa dal Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Tricase, in sede di appello avverso la sentenza del Giudice di pace, non appare affatto travalicato l’ambito cognitivo posto dall’art. 339 codice procedura civile, comma 3, come sostituito dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, art. 1. Se infatti deve escludersi la rilevanza, in un giudizio di equità, della violazione dell’art. 2697 codice procedura civile attribuita al giudice di pace (trattandosi di regola di diritto sostanziale che da luogo ad un “error in iudicando”: Cass. sez. un. 14 gennaio 2009, n. 564; Cass. 3 aprile 2012, n. 5287), rimane salvo 11 riscontro fatto dal Tribunale quanto alla violazione delle norme sul procedimento nonchè dei principi regolatori della materia, dovendo la regola equitativa applicabile al caso concreto comunque non contrastare con i criteri, preesistenti alle norme in concreto oggettivamente dettate, ai quali il legislatore si è ispirato nella previsione della specifica disciplina.

A tal fine, deve concordarsi col Tribunale che la soluzione equitativa prescelta dal Giudice di pace contrastasse con la disciplina processuale della contumacia ex art. 290 codice procedura civile e ss., la quale non attribuisce a questo istituto alcun significato sul piano probatorio, salva previsione espressa, con la conseguenza che si deve escludere non solo che essa sollevi la controparte dall’onere della prova, ma anche che rappresenti un comportamento valutabile, ai sensi dell’art. 116 codice procedura civile, comma 1, per trarne argomenti di prova in danno del contumace (Cass. 13 giugno 2013, n. 14860; Cass. 4 agosto 1997, n. 7183). Come chiaramente esplicitato da Corte cost. 12 ottobre 2007, n. 340, a proposito delle regole del processo contumaciale, secondo “la tradizione del diritto processuale italiano… alla mancata o tardiva costituzione mai è stato attribuito il valore di confessione implicita”. Nè l’art. 232 codice procedura civile ricollega alla mancata risposta all’interrogatorio formale, per quanto ingiustificata, l’effetto automatico della “ficta confessio”, ma soltanto attribuisce al giudice la facoltà di ritenere come ammessi i fatti dedotti con tale mezzo istruttorio, imponendogli, però, nel contempo, di valutare tutti gli altri elementi di prova.

è poi principio generale della disciplina delle successioni “mortis causa” che la delazione, che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sè sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, essendo a tale effetto necessaria anche, da parte del chiamato, l’accettazione, mediante “aditio” oppure per effetto di “pro herede gestio” oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 485 codice civile.

Nella specie, si trattava di giudizio instaurato da (OMISSIS) nei confronti della pretesa coerede (OMISSIS) per il rimborso di pesi ereditari relativi alle spese funerarie della “de cuius” (OMISSIS). Le spese funerarie, per giurisprudenza costante di questa Corte, sono, invero, da comprendere tra i pesi ereditari, cioè tra quegli oneri che sorgono in conseguenza dell’apertura della successione e che, pur dovendo essere distinti dai debiti ereditari – ossia dai debiti esistenti in capo al de cuius e che si trasmettono, con il patrimonio del medesimo, a coloro che gli succedono per legge o per testamento -, gravano sugli eredi per effetto dell’acquisto dell’eredità, concorrendo a costituire il passivo ereditario, che è composto sia dai debiti del defunto sia dai debiti dell’eredità. Ne consegue che colui che ha anticipato tali spese ha diritto di ottenerne il rimborso dagli eredi, sempre che non si tratti di spese eccessive sostenute contro la volontà espressa dai medesimi (Cass. 3 gennaio 2002, n. 28; Cass. 4 agosto 1977, n. 3489; Cass. 23 luglio 1966, n. 2023). In un siffatto giudizio, incombe comunque su chi agisce, in applicazione del principio generale di cui all’art. 2697 codice civile, l’onere di provare l’assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, la quale non può desumersi dalla mera chiamata all’eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, conseguendo la stessa solo all’accettazione dell’eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta, quindi, un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella predetta qualità (Cass. 30 aprile 2010, n. 10525; Cass. 12 marzo 2003, n. 3696; Cass. 6 maggio 2002, n. 6479; Cass. 7 gennaio 1983, n. 125).

L’errore in cui era incorso il Giudice di Pace, e sul quale insiste l’odierna ricorrente, consiste nel ritenere che incombesse sulla pretesa erede (OMISSIS), convenuta in giudizio, fornire la prova di avere rinunciato all’eredità di (OMISSIS), e non già proprio all’attrice dimostrare che la convenuta avesse acquistato, secondo i modi previsti dall’ordinamento, la qualifica di erede, in quanto fatto costitutivo del credito dedotto in lite. Di per sè, il certificato di stato di famiglia, prodotto da (OMISSIS), valeva unicamente a dimostrare la delazione dell’eredità, in quanto comprovante quel rapporto di parentela con la “de cuius” che legittimava alla successione ai sensi dell’art. 565 codice civile e ss.

Incombendo, quindi, sull’attrice (OMISSIS) la prova del fatto costitutivo del proprio credito, consistente nella qualità di erede di (OMISSIS), rimasta contumace in primo grado, non è affatto invocabile il superamento del divieto dei nova in appello ex art. 345 codice procedura civile per il fatto che quest’ultima abbia poi contestato la fondatezza della domanda soltanto in sede di gravame, in quanto la contumacia del convenuto, di per sè condotta processualmente neutrale, e quindi priva dell’effetto dell’incontestazione, non esonerava il primo giudice dal verificare anche d’ufficio la fondatezza della domanda (Cass. 21 novembre 2014, n. 24885; Cass. 19 luglio 2011, n. 15832).

Nè può sostenersi (a differenza di quanto affermato in Cass. 8 giugno 2007, n. 13384) che la chiamata all’eredità (OMISSIS) avesse assunto la qualità di erede per il sol fatto di aver ricevuto la notificazione della citazione, ove la si indicava come soggetto tenuto al pagamento del peso ereditario per le spese funerarie, e di essere poi rimasta contumace in primo grado, essendo la contumacia, anche per quanto detto in precedenza, al pari del silenzio nel campo negoziale, comportamento processuale che di per sè non implica alcuna manifestazione di volontà idonea a lasciar intendere necessariamente l’intento di accettare l’eredità (intento, peraltro, qui pure smentito sia da una preventiva informale comunicazione di disinteresse alla successione inviata nel luglio 2007, sia dalla successiva formale rinuncia del 2 gennaio 2009).

Consegue, in definitiva, il rigetto del ricorso.

Non occorre procedere a statuizione sulle spese del giudizio di legittimità, in quanto l’intimata non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 gennaio 2016.