Ordinanza 2060/2003
Cittadino italiano con residenza estera convenuto in giudizio
Ove il cittadino italiano, convenuto in giudizio, abbia all’estero la propria residenza, deve ritenersi che ivi abbia anche il domicilio, potendo presumersi che la sede principale degli affari ed interessi sia fissata nel medesimo luogo in cui il soggetto abitualmente dimora; ai fini del superamento di detta presunzione, e quindi della prova dell’esistenza di un domicilio del detto convenuto in Italia – necessaria perché scatti il criterio generale di radicamento della competenza giurisdizionale del giudice italiano, ai sensi dell’art. 3 della legge 31 maggio 1995, n. 218 -, non basta la mera disponibilità di un immobile in Italia, né la ricezione, ivi, ad opera di un domestico, dell’atto di citazione in giudizio, trattandosi di circostanze non significative ai fini dell’individuazione di un luogo elevato a centro dei propri affari ed interessi.
Cassazione Civile, Sezioni Unite, Ordinanza 2060 del 11-2-2003 (CED Cassazione 2003)
Art. 43 cc (Domicilio e residenza) – Giurisprudenza
RITENUTO IN FATTO
Con atto notificato il 18.1.1999, Mario, Angela e Veronica Staltari esponevano che il congiunto (figlio dei primi due e fratello della terza) era deceduto il 7.7.1996 a causa di un incidente stradale avvenuto in Francia, presso Sainte Agnes, verificatosi per l’uscita di strada dell’autovettura sulla quale la vittima era trasportata, di proprietà di Giancarlo Menegatto e condotta da Marcello Menegatto;
che quest’ultimo era stato condannato dal Tribunale penale di Nizza per omicidio colposo, con sentenza gravata da appello; che Giancarlo e Marcello Menegatto erano cittadini italiani, effettivamente domiciliati in Bordighera.
Tanto premesso, convenivano davanti al Tribunale di Sanremo Marcello Menegatto e gli eredi di Giancarlo Menegatto, nel frattempo deceduto, per sentirli condannare in solido al risarcimento di tutti i danni, morali e patrimoniali, loro derivati dalla morte del congiunto.
I convenuti si costituivano ed eccepivano il difetto di giurisdizione del giudice italiano, sul rilievo che, pur essendo cittadini italiani, erano residenti in Montecarlo, nel Principato di Monaco. Eguale eccezione sollevava la Gan IA – Compagnie francaise d’assurance et de riassurance, con sede in Parigi, che i convenuti avevano chiamato in garanzia, unitamente al Fond de garantie. In pendenza del giudizio, gli attori Staltari hanno proposto regolamento preventivo di giurisdizione, per sentir affermare la giurisdizione del giudice italiano.
Hanno resistito, con distinti controricorsi, i convenuti Menegatto e la Gan IA, chiedendo dichiararsi il difetto di giurisdizione del giudice italiano.
Gli Staltari e la Gan IA hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano. 2. I ricorrenti affermano la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano in ragione della cittadinanza italiana dei convenuti, sul rilievo che, anche successivamente all’entrata in vigore della legge 31.5.1995 n. 218, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, qualora la causa verta tra soggetti che siano entrambi cittadini italiani la giurisdizione apparterrebbe per ciò solo al giudice italiano, senza necessità di ricercare la sussistenza di altri criteri di collegamento. 2.1. L’assunto è infondato.
La legge n. 218 del 1995, all’art. 3, comma 1, dispone che “La giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto è domiciliato o residente in Italia o vi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare il giudizio a norma dell’art. 75 c.p.c. e negli altri casi in cui è prevista dalla legge”.
Deve quindi ritenersi recepito il principio, enunciato dall’art. 2 della Convenzione di Bruxelles del 27.9.1968, ratificata in Italia con la legge 21.6.1971 n. 804, secondo cui “le persone aventi il domicilio nel territorio di uno Stato contraente sono convenute, a prescindere dalla loro nazionalità, davanti agli organi giurisdizionali di tale Stato”, ed abbandonato invece il criterio generale della cittadinanza, già desumibile dall’abrogato art. 4 c.p.c., la cui rubrica recitava “Giurisdizione rispetto allo
straniero”, e che soltanto in riferimento allo straniero, e non al cittadino italiano, individuava, nei numeri da 1 a 4, criteri atti a radicare la giurisdizione del giudice italiano (sent. n. 669/86; n. 8081/92; n. 5290/98). Essendo venuto meno, a seguito dell’abrogazione dell’art. 4 c.p.c., ogni riferimento allo “straniero” ai fini della determinazione – dell’ambito della giurisdizione del giudice italiano, nel vigente sistema italiano del diritto internazionale privato assume quindi rilevanza, quale criterio generale di radicamento della competenza giurisdizionale del giudice italiano, solo il dato obbiettivo del domicilio o della residenza del convenuto in Italia, senza che possa più farsi distinzione tra convenuto italiano o straniero. E con tale conclusione non confligge la recente sentenza di queste S.U. n. 46/01, che ha affermato la giurisdizione del giudice italiano in un caso di azione promossa in Italia da un cittadino straniero nei confronti di un cittadino italiano, sottolineando, dopo aver rilevato che anche allo straniero attore va riconosciuto il diritto di azione – circostanza oggetto di contestazione -, che il convenuto era cittadino italiano ed era domiciliato in Italia. 3. I ricorrenti sostengono che sussisterebbe la giurisdizione del giudice italiano in ragione della effettiva sussistenza del domicilio dei convenuti in Italia, ai sensi del criterio generale dettato dall’art. 3, comma 1, della legge 31.5.1995 n. 218, sul rilievo che i convenuti, seppur residenti in Montecarlo, nel Principato di Monaco, dispongono di una villa in Bordighera, dove un loro domestico ha ricevuto la notifica di atti di citazione in due occasioni.
3.1. La tesi non merita adesione.
È incontroverso che i convenuti sono residenti in Montecarlo, nel Principato di Monaco, ed ivi deve ritenersi ubicato anche il loro domicilio, atteso che può presumersi, in conformità a quanto di regola avviene, che il soggetto stabilisce la sede principale dei suoi affari ed interessi nel medesimo luogo in cui abitualmente dimora, mentre nessuna prova gli attori hanno fornito, onde superare detta presunzione, circa l’esistenza di un domicilio dei convenuti in Italia, a Bordighera, non rilevando a tal fine la mera disponibilità di una villa nella ridetta località e la circostanza che ivi un domestico avrebbe ricevuto atti di citazione, trattandosi di circostanze non significative ai fini dell’individuazione di un luogo elevato a centro dei propri affari ed interessi. 4. I ricorrenti, in via subordinata, affermano che correttamente i convenuti sono stati citati davanti al Tribunale di Sanremo, in applicazione dell’art. 18, comma 2, c.p.c., secondo cui, nell’ipotesi in cui il convenuto non ha residenza, ne’ domicilio, nè dimora nello Stato o se la dimora è sconosciuta, attribuisce rilevanza al foro della residenza dell’attore, sul rilievo che, essendo i convenuti domiciliati nel Principato di Monaco, Stato non contraente della Convenzione di Bruxelles del 27.9.1968, ratificata dall’Italia, con la legge 21.6.1971 n. 804, ai sensi dell’art. 4 della detta Convenzione la competenza è disciplinata, in ciascuno Stato contraente, dalla legge di tale Stato, salva l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 16.
4.1. La tesi è infondata.
La circostanza che i convenuti siano domiciliati nel Principato di Monaco, Stato non contraente della Convenzione di Bruxelles, non consente di invocare, facendo leva sull’art. 4, comma 1, della detta Convenzione, la regola dettata, in tema di competenza per territorio, dall’art. 18, comma 2, c.p.c.. L’art. 4, comma 1, citato dispone che: “Se il convenuto non è domiciliato nel territorio di uno Stato contraente, la competenza è disciplinata, in ciascuno Stato contraente, della legge di tale Stato, salva l’applicazione delle disposizioni di cui all’art.16”. La legge dello Stato sulla competenza alla quale la norma della Convenzione rinvia va tuttavia individuata, per quanto concerne l’Italia, nella legge n. 218 del 1995. La suddetta legge, dopo aver enunciato, nell’art. 3, comma 1, il criterio di collegamento costituito dal domicilio o dalla residenza del convenuto, detta, nel comma 2, due distinte disposizioni di rinvio ad altre norme regolatrici della competenza. Prevede, in primo luogo, che la giurisdizione sussiste inoltre in base ai criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del titolo 2^ della Convenzione di Bruxelles, “anche allorché il convenuto non sia domiciliato nel territorio di uno Stato contraente, quando si tratti di una delle materie comprese nel campo di applicazione della Convenzione”.
Stabilisce, in secondo luogo, che: “Rispetto alle altre materie, la giurisdizione sussiste anche in base ai criteri stabiliti per la competenza per territorio”.
La normativa alla quale la disposizione del comma 2 rinvia risulta quindi diversa, secondo che si verta in materie comprese nella Convenzione di Bruxelles o di materie non comprese nella ridetta Convenzione: per le prime, vigono anche le speciali regole di competenza della Convenzione; per le seconde anche le regole di competenza per territorio dettate dal codice di rito italiano negli artt. da 18 a 27.
Nella specie, non venendo in considerazione una delle materie escluse dall’ambito di applicazione della Convenzione di Bruxelles (materie che sono elencate dall’art. 1 della Convenzione, e riguardano: stato e capacità delle persone fisiche, regime patrimoniale fra coniugi, testamenti e successioni; fallimenti, concordati ed altre procedure affini; sicurezza sociale; arbitrato), deve tenersi conto del rinvio compiuto nell’art. 3, comma 2, prima parte, della legge n. 218 del 1995, con conseguente applicabilità,
in Italia, oltre la sfera dell’efficacia personale della Convenzione, delle regole di competenza dettate dagli artt. da 5 a 15, compresi nelle sezioni 2, 3 e 4 del titolo secondo della Convenzione, e non dei criteri di competenza per territorio stabiliti dal codice di rito italiano, i quali, ai sensi dell’art. 3, comma 2, seconda parte, sono utilizzabili per le sole materie escluse.
5. Sostengono ancora i ricorrenti che dovrebbe riconoscersi la giurisdizione del giudice italiano in ragione del criterio di collegamento costituito dal luogo dove si è verificato l’effetto dannoso in materia di illecito extracontrattuale, sul rilievo che l’effetto dannoso in capo agli attori, congiunti della vittima coinvolta nel sinistro accaduto in Francia, si è determinato nel luogo del loro domicilio, in Italia, a Bordighera.
5.1. La tesi non è fondata.
I ricorrenti invocano principi enunciati dal questa S.C. in riferimento all’art. 20 del c.p.c. non utilmente richiamabili, per le considerazioni già svolte nel precedente paragrafo, nel caso in esame, nel quale la verifica della giurisdizione va condotta alla stregua dei criteri dettati dalla Convenzione di Bruxelles. Al fine della corretta individuazione, tra quelli enunciati dagli artt. da 5 a 15 della Convenzione, del criterio di collegamento suscettivo di derogare al criterio generale del domicilio del convenuto, deve tenersi conto della domanda formulata dagli attori con la citazione introduttiva davanti al Tribunale di Sanremo. Con la ridetta citazione gli attori hanno dedotto che il proprio congiunto aveva perso la vita in un incidente stradale verificatosi Francia, determinato dalla condotta di guida. colposa del conducente dell’autovettura sulla quale si trovava, ed hanno chiesto la condanna del conducente e del proprietario del veicolo al risarcimento di tutti i danni da loro subiti quale conseguenza della morte del congiunto.
Risulta in tal modo proposta una domanda di risarcimento danni per responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, riconducibile nell’ambito della materia dei delitti o quasi delitti di cui all’art. 5, n. 3, della Convenzione, che consente all’attore di citare il convenuto davanti al giudice del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto.
Tale materia, secondo la autonoma nozione delineata dalla Corte di giustizia, è comprensiva di ogni domanda tendente all’accertamento di una responsabilità, del convenuto che non si ricollega ad un obbligo da questi liberamente assunto nei confronti dell’attore (Corte giust. CE 27.10.1998, C-51/9 7; id. 27.9.1988, C- 189/87). E siffatta natura presenta la domanda in esame, con la quale il risarcimento è richiesto dagli attori per danni propri nei confronti di soggetti (il conducente ed il proprietario dell’auto sulla quale era trasportato il congiunto, deceduto nel sinistro) che nessun obbligo avevano assunto nei loro confronti e con i quali non si era instaurata alcuna diretta relazione.
La regola di competenza dettata dall’art. 5, n. 3, della Convenzione non è utilmente invocabile.
Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, per luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto deve intendersi sia il luogo in cui è stata compiuta l’azione che ha provocato il danno, sia quello in cui il danno si è verificato (sent. 30.11.1976, C-21/76; id. 7.3.1995, C- 68/93), con la precisazione che questa nozione non può essere interpretata estensivamente fino a ricomprendere qualsiasi luogo in cui possano essere risentite le conseguenze dannose di un evento che abbia già provocato un danno effettivamente verificatosi in un altro luogo, dovendosi quindi avere riguardo al solo danno iniziale, e non ai danni conseguenti (sent. 19.9.1995, C-364/93). Di tal che può assumere rilevanza solo il luogo ove il fatto causale ha prodotto direttamente i suoi effetti nei confronti di colui che ne è la vittima immediata (sent. 11.1.1990, C- 220/88; id. 27.10.1998, C- 51/97). In applicazione dei richiamati principi, nel caso in esame il luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto si colloca quindi in Francia, dove si è svolta l’azione illecita e si è verificato l’evento dannoso posto a fondamento della domanda, consistente nella morte del congiunto, senza che possa attribuirsi rilevanza al luogo di residenza degli attori, sull’assunto che questi ultimo hanno ivi risentito i danni conseguenti.
6. Quale ulteriore criterio di collegamento, i ricorrenti indicano quello previsto dall’art. 5, n. 4, della Convenzione di Bruxelles, se ritenuto applicabile, che prevede la giurisdizione italiana, nel caso di azione di risarcimento di danni nascente da reato, qualora il giudice deputato a conoscere dell’azione penale sia italiano;
ipotesi che affermano essere ricorrente nella specie, ai sensi dell’art. 9, comma 2, c.p., venendo in considerazione quale fatto causale del danno il delitto di cui all’art. 589, comma 3, c.p., commesso all’estero da un cittadino italiano in danno di cittadino italiano.
6.1. La tesi è infondata.
Va ribadita l’applicabilità delle regole di competenza stabilite dalla Convenzione di Bruxelles (vedi paragrafo n. 4.1.), ma non può ritenersi applicabile il criterio di collegamento di cui all’art. 5, n. 4, secondo cui, qualora si tratti di un’azione di risarcimento di danni o di restituzione nascente da reato, il convenuto può essere citato davanti al giudice presso il quale l’azione penale è esercitata, sempreché secondo la propria legge questo possa conoscere dell’azione civile.
Tale criterio, determinante l’attrazione nel foro del giudizio penale della causa civile di risarcimento di danni nascenti dal reato per il quale è esercitata l’azione penale, è infatti operante nel caso in cui sia pendente, in uno Stato diverso da quello del domicilio del convenuto, un processo penale contro quest’ultimo, ed il soggetto danneggiato intenda avvalersi della facoltà di inserire l’azione civile in tale giudizio, ove le leggi dello Stato che esercita la potestà punitiva consentano tale cumulo, derogando il criterio generale di cui all’art. 2 della Convenzione.
Ma una ipotesi siffatta non ricorre nel caso in esame, in cui l’azione penale per omicidio colposo è stata iniziata in Francia, ed il relativo giudizio, a quanto riferito nel ricorso, è in fase di appello, senza che gli attuali ricorrenti abbiano ritenuto di avvalersi della suindicata facoltà (ove ciò fosse consentito dalla legge francese).
7. Sostengono inoltre i ricorrenti che sussiste la giurisdizione del giudice italiano in ragione della rilevanza da attribuire al luogo della stipula, avvenuta in Bordighera, del contratto di trasporto gratuito nell’ambito della cui esecuzione è deceduto il congiunto degli attori, sia ai sensi dell’art. 20 c.p.c., sia ai sensi dell’art. 5, n. 1, della Convenzione di Bruxelles, se ritenuto applicabile.
7.1. Anche tale assunto è infondato.
Ai fini della verifica della giurisdizione deve tenersi conto della domanda. Nella specie, come già rilevato (vedi paragrafo 5.1.), con la citazione davanti al Tribunale di Sanremo gli attori hanno proposto una domanda volta a conseguire iure proprio il risarcimento dei danni da responsabilità extracontrattuale da loro direttamente sofferti, in difetto di qualsiasi relazione diretta con il danneggiante, riconducibile in astratto nella sfera di applicazione dell’art. 5, n. 3, della Convenzione relativo alla materia dei delitti o quasi-delitti. Non può quindi applicarsi l’art. 5, n. 1, concernente la materia contrattuale, che postula la libera assunzione di un obbligo (eventualmente ipotizzabile solo nei confronti del soggetto trasportato).
9. Affermano, infine, i ricorrenti che sarebbe ravvisabile la giurisdizione italiana in conseguenza della chiamata in garanzia della compagnia di assicurazione da parte dei convenuti davanti al Tribunale di Sanremo, in quanto implicante la libera scelta della giurisdizione italiana quale foro dell’azione di garanzia, operando, a flusso invertito, la attrazione per connessione di cui all’art. 6, n. 2, della Convenzione di Bruxelles.
9.1. Anche tale affermazione è infondata.
L’assunto, ove lo si intenda incentrato sulla prospettazione della accettazione tacita della giurisdizione, ex art. 4, comma 1, della legge n. 218 del 1995, va disatteso, poiché i convenuti hanno
tempestivamente eccepito il difetto di giurisdizione e solo in via subordinata hanno svolto la chiamata in garanzia dell’assicuratore. Ma neppure sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 6, n. 2, della Convenzione, secondo cui il convenuto può essere inoltre citato, “qualora si tratti di un’azione di garanzia o di una chiamata di un terzo nel processo, davanti al giudice presso il quale è stata proposta la domanda principale, sempreché quest’ultima non sia stata proposta per distogliere il convenuto dal giudice naturale del medesimo”.
La norma in esame consente l’attrazione, per ragioni di connessione, presso il foro della domanda principale, della domanda di garanzia, e non viceversa, come ipotizzato dai ricorrenti. E, comunque, l’attrazione (nei riguardi del terzo chiamato in garanzia) non opera qualora la domanda principale, come è avvenuto nella specie, sia proposta davanti ad un foro diverso da quello del domicilio del convenuto, in assenza dei presupposti per l’applicabilità delle regole speciali di competenza, in tal modo distogliendo il convenuto dal suo giudice naturale.
10. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte dichiara il difetto di giurisdizione del giudice italiano. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio. Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2002.
Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2003