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Cassazione Civile 20711/2013 – Facoltà di rinunziare al legato – Preclusione della rinunzia all’acquisto – Fattispecie relativa al legato di usufrutto

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Sentenza 20711/2013

Facoltà di rinunziare al legato – Preclusione della rinunzia all’acquisto – Fattispecie relativa al legato di usufrutto

La facoltà di rinunziare al legato, ai sensi dell’art. 649 cod. civ., è preclusa quando il legatario abbia compiuto atti di esercizio del diritto oggetto del legato, manifestando una volontà incompatibile con la volontà dismissiva, come nel caso in cui il legatario di usufrutto, godendo del bene e consumandone i frutti, abbia esercitato le facoltà spettanti all’usufruttuario a norma dell’art. 981 cod. civ.

Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 10 settembre 2013, n. 20711  (CED Cassazione 2013)

Art. 981 cc (Contenuto del diritto di usufrutto)

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(OMISSIS) ed (OMISSIS) deducevano che con testamento olografo del 17.5.93, pubblicato il 9.7.96, (OMISSIS), deceduto il 5.2.96, aveva lasciato al coniuge (OMISSIS), con legato in sostituzione di legittima, l’usufrutto vitalizio su tutti i suoi beni, (comprendenti al momento del decesso terreni in Pozzuoli, un appartamento in Pozzuoli, un fabbricato rurale in Quarto e una quota di s.n.c), nominando eredi universali i nipoti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ledendo la legittima spettante ad essa (OMISSIS); ad essi nipoti il “de cuius” aveva donato in vita la somma di L. 200.000.000. Premesso che la (OMISSIS) il 18-4-1997 aveva rinunciato al legato per ottenere la legittima e che era deceduta il 20-10-1997, lasciando quali unici eredi i nipoti (OMISSIS) ed (OMISSIS), in rappresentazione di (OMISSIS) unico germano premorto della (OMISSIS), gli attori chiedevano al Tribunale di Napoli:
dichiararsi lesa la quota di legittima spettante ad (OMISSIS) per effetto delle donazioni e delle disposizioni testamentarie, con conseguente riduzione delle attribuzioni ai germani (OMISSIS) e con condanna alla restituzione dei beni formanti la quota, al pagamento degli interessi e dei frutti, nonché dei successivi interessi anatocistici; pronunziando condanna alla restituzione, dividersi il compendio ereditario con frazionamento o vendita.

Si costituivano i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda sul rilievo che la (OMISSIS), dando esecuzione alle disposizioni testamentarie, aveva perduto la facoltà di rinunciare al legato e di chiedere la legittima.

Il Tribunale dichiarava aperta la successione del (OMISSIS), determinando le quote spettanti al coniuge ex art. 540 cod. civ., a seguito del diritto di scelta della legittima in luogo dell’usufrutto compiuto dalla (OMISSIS); riteneva che le attività che – secondo quanto dedotto dai convenuti, sarebbero state compiute dalla (OMISSIS) – erano conservative e di gestione del patrimonio ereditario e, come tali, non avevano comportato la perdita del diritto di rinunciare al legato.
Con sentenza dep. il 21 luglio 2006 la Corte di appello di Napoli, in riforma della decisione impugnata dai convenuti, rigettava la domanda proposta dagli attori.
Dopo avere premesso che, a differenza di quanto è previsto per l’eredità, il legato si acquista automaticamente al momento dell’apertura della successione senza necessità dell’accettazione, che eventualmente potrebbe avere effetto confermativo e che la rinuncia al legato presuppone un diritto già acquisito al patrimonio del legatario, i Giudici escludevano la validità di quella effettuata dalla (OMISSIS) con l’atto del 18-4-1997 sul rilievo che – a stregua delle affermazioni degli appellanti e delle acquisizioni documentali – era emerso un comportamento che esprimeva da parte del legatario una volontà incompatibile con la successiva dichiarazione di rinuncia avvenuta dopo che la predetta per un periodo di 14 mesi aveva consumato i frutti civili e naturali relativi ai beni oggetto dell’usufrutto senza rendiconto ne’ offerta di restituzione: era escluso che la (OMISSIS) – la quale si era incamerata gli utili della società in nome collettivo, i quali in particolare spettano all’usufruttuario, e aveva riscosso fitti e pigioni – avesse compiuto atti di mera gestione conservativa del patrimonio ereditario.

2.- Avverso tale decisione propongono e ricorso per cassazione (OMISSIS) ed (OMISSIS) sulla base di quattro motivi. Resistono con controricorso gli intimati.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente sono destituite di fondamento le eccezioni di inammissibilità e improcedibilità del ricorso, formulate dai resistenti, atteso che: a) la procura, essendo apposta a margine del ricorso deve considerarsi conferita per il giudizio di cassazione e soddisfa perciò il requisito della specialità previsto dall’art.365 cod. proc. civ., anche se non è menzionata la sentenza da impugnare, non essendo in essa menzionate espressioni incompatibili con la volontà di conferire il mandato per il ricorso per cassazione, mentre la mancanza di data non produce nullità della procura, atteso che la posteriorità del rilascio della procura rispetto alla sentenza impugnata si desume dall’intima connessione con il ricorso cui accede e nel quale la sentenza è menzionata, mentre l’anteriorità rispetto alla notifica risulta dal contenuto della copia notificata del ricorso; b) nel ricorso sono stati indicati i documenti su cui esso si fonda, di guisa che deve ritenersi assolto l’ onere imposto dall’art. 366 cod. proc. civ., n.6). 1.- Il primo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 115 cod. proc. civ. e art. 2697 cod. civ., denuncia che la decisione gravata aveva fondato la decisione sulla scorta delle mere argomentazioni difensive degli appellanti e sulla sufficienza delle acquisizioni documentali.

Gli elementi che la sentenza aveva posto a fondamento della decisione non erano forniti di prova; addirittura il tempo di 14 mesi che, secondo i Giudici, sarebbe stato impiegato dalla (OMISSIS) prima di rinunciare al legato era smentito dalla data di pubblicazione del testamento, mentre i Giudici non avevano indicato le fonti di prova e i criteri della scelta operata, non essendovi alcun riferimento ai documenti in questione.

Il secondo motivo, lamentando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, denuncia sotto il profilo del vizio deducibile ex art.360 cod. proc. civ., n. 5, che la sentenza aveva ritenuto provati i
fatti posti a base della decisione dando rilevanza al lasso di tempo trascorso fra la morte del de cuius e la rinuncia al testamento, senza tenere conto della pubblicazione, avvenuta solo il 9 luglio 1996 e di quella di trascrizione, del successivo 17 luglio, avvenuta su richiesta dei (OMISSIS) e in assenza della (OMISSIS).

Le altre circostanze sulle quali i Giudici avevano fondato la decisione (consumazione dei frutti civili e mancata rendicontazione;
incameramento degli utili societari, riscossione dei crediti e utilizzo di somme nel proprio interesse) non erano state dimostrate, atteso che non era stata ammessa la prova che i convenuti avevano al riguardo articolato e in relazione alla quale gli attori avevano chiesto prova contraria. Non risultava la mancanza di rendicontazione, fra l’altro mai chiesta da alcuno. La stessa difesa avversaria aveva fatto riferimento al commercialista che curava gli adempimenti gestionali – fiscali, per cui la (OMISSIS) non manifestò alcuna volontà di abbandono del diritto di rinunciare al legato. 3.- Il terzo motivo, lamentando error in iudicando nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 550, 551, 649, 650, 1362 e 2697 cod. civ., censura la sentenza impugnata laddove, nell’escludere la
volontà della legataria di rinunciare al legato, non aveva compiuto alcuna indagine sull’animus. Al riguardo, deduce che in materia di accettazione tacita del legato, che non è espressamente disciplinata dal codice, vanno richiamanti i principi in tema di accettazione dell’eredità che devono essere applicati in via analogica. Tenuto conto della posizione del legittimario legatario – che, già prima della morte del de cuius, si trovi nel possesso dei beni ereditari ovvero abbia poteri di gestione e di conservazione – e che l’efficacia della rinuncia è considerata sotto il profilo della tutela dei terzi, a favore dei quali è prevista l’actio interrogatoria di cui all’art. 650 cod. civ., la volontà di rinuncia deve desumersi – come per la rinuncia all’eredità – da un atto che presuppone la volontà di rinunciare attraverso una indagine che tenga conto della situazione concreta. Per stabilire se vi sia stata rinuncia al legato ovvero l’incompatibilità della condotta del legatario con la volontà di rinunciare occorre verificare se il legatario abbia inteso accettare il legato. Nella specie, la (OMISSIS) non aveva mai inteso accettare il legato ne’ di abdicare al diritto di rinunciarvi, tenuto conto che gli atti ai quali aveva fatto riferimento la sentenza impugnata erano stato posti in essere quali atti di amministrazione compiuti per evitare il depauperamento su indicazione dei professionisti che la guidavano, atteso il modesto grado di istruzione della predetta e con la tolleranza degli eredi che con il loro comportamento avevano consentito il perdurare di tale situazione.

4.- Il quarto motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e art. 2697 cod. civ., per omesso esame di un fatto
decisivo per omessa considerazione di una prova, insufficiente motivazione) denuncia che i Giudici non avevano esaminato il verbale di deposito del testamento ovvero la data di pubblicazione, così erroneamente ritenendo che fosse trascorso un periodo di 14 mesi prima del rinuncia al legato, quando in effetti Flora (OMISSIS) nulla sapeva del testamento e della sua pubblicazione: il che avrebbe dovuto portare i Giudici a una diversa convinzione sull’animus di accettare la disposizione testamentaria. La Corte non aveva ammesso le prove articolate per dimostrare il modesto grado di istruzione della (OMISSIS) che aveva ritenuto di essere unica erede del marito e ignorava la distinzione fra usufruttuario ed erede o fra eredità e legato: trattavasi di circostanze decisive per stabilire l’animus della legataria.

5.- I motivi – che vanno esaminati congiuntamente, stante la loro stretta connessione – sono infondati.
Preliminarmente va rilevata ammissibilità dei motivi che sono conformi alle prescrizioni dettate dall’art. 366 bis cod. proc. civ., anche con riferimento al quarto motivo che, deducendo in sostanza vizi di motivazione, contiene la indicazione dei fatti controversi e l’errore che sarebbe stato compiuto dai Giudici di appello. a) Per quel che concerne la censura formulata dai ricorrenti in ordine alla prova dei fatti posti a base della decisione e alla mancata indicazione delle relative fonti, va qui rilevato che la sentenza impugnata ha indicato i fatti in base ai quali ha tratto il convincimento circa la preclusione del diritto di rinunciare al legato da parte della (OMISSIS) – escludendone la natura di atti conservativi o di gestione del patrimonio – e ha ritenuto che tali fatti erano risultati provati in base alle acquisizioni documentali, per cui ha considerato superflue le istanze istruttorie al riguardo articolate. In proposito, va condiviso l’orientamento di Cass. 11058 del 2004 secondo cui la motivazione della sentenza di merito che si limiti ad affermare genericamente, cioè senza indicare specificamente le fonti probatorie da cui origina il convincimento, che l’istruzione, esperita attraverso produzioni documentali e prove testimoniali, ha fornito la dimostrazione di una serie di fatti, specificamente indicati, sui quali il giudicante fonda il suo convincimento, rappresenta una dichiarazione formale ed intrinsecamente solenne, con la quale il giudice attesta in maniera semplificata che effettivamente sussistono elementi probatori ritenuti idonei a giustificare l’esplicitato convincimento in fatto, a fronte della quale la parte che impugna la sentenza con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 5, non può limitarsi a lamentare il vizio di omessa motivazione, giacché altrimenti la censura postulerebbe la caducazione della decisione non per una concreta lesione sofferta dalla parte stessa, bensì solo per ragioni formali, ma ha l’onere di denunciare in maniera specifica che, contrariamente a quanto asserito dal giudice, nell’ambito degli elementi probatori non ne esistono di idonei a giustificare il convincimento.

Pertanto, nella specie i ricorrenti avrebbero dovuto dimostrare, con specifico riferimento al contenuto della documentazione prodotta in atti, che la stessa non avrebbe potuto integrare la prova delle circostanze di fatto ritenute dai Giudici di appello dimostrate. b) In tema di legato, a differenza di quanto è previsto per l’eredità che si acquista a seguito di accettazione (espressa o tacita), il bene oggetto dell’attribuzione è acquisito automaticamente – al momento della morte del de cuius – al patrimonio del legatario senza che sia necessario alcun atto di accettazione, operando anche nel caso in cui il medesimo non sia a conoscenza della designazione, di guisa che appare del tutto fuori luogo fare riferimento ai principi in tema di accettazione tacita dell’eredità. L’art. 649 cod. civ., prevede, peraltro, che il legatario rinunzi al legato, compiendo un atto meramente dismissivo di un diritto, già esistente nel suo patrimonio dal momento dell’apertura della successione: la rinunzia al legato ha effetti risolutori e retroattivi, comportando che il bene venga a fare parte dell’asse ereditario. Pertanto, tale facoltà è preclusa quando il legatario abbia manifestato con il suo comportamento una volontà incompatibile con quella di rinunciare ovvero con una condotta che, estrinsecandosi nelle facoltà inerenti al diritto acquisito, manifesti l’intenzione di compiere atti di esercizio del relativo diritto, che è evidentemente contraria a una volontà dismissiva dello stesso: in tal caso, non si tratta di verificare la volontà di compiere un negozio giuridico ovvero di accettare o meno la disposizione testamentaria quanto piuttosto occorre accertare la sussistenza di comportamenti che siano manifestazione non equivoca della intenzione di esercitare il diritto oggetto del legato, quali possono essere gli atti di utilizzazione o di godimento pertinenti alla titolarità dello stesso che evidentemente assumono rilevanza a prescindere dalla consapevolezza degli effetti giuridici che ad essi la legge ricollega.

Ciò posto, la sentenza ha correttamente proceduto a una valutazione globale e non atomistica di una serie di elementi convergenti indicativi della condotta tenuta dalla (OMISSIS), che ha ritenuto provata sulla base delle acquisizioni documentali. Ed invero, seppure la sentenza abbia fatto riferimento anche al lasso temporale durante il quale la legataria aveva esercitato i diritti derivanti dall’usufrutto prima di rinunciarvi, quel che appare decisivo non era evidentemente stabilire la durata (nove o quattordici mesi di tale arco temporale) quanto piuttosto l’effettivo esercizio del diritto oggetto del legato e se, come tale, esso fosse espressivo della volontà di fare proprie le utilità ad esso inerenti, dando così il legatario esecuzione alle disposizioni testamentarie. In sostanza, i Giudici hanno ritenuto che, in considerazione del possesso e del godimento dei beni, la (OMISSIS) aveva compiuto la scelta prevista dall’art. 551 cod. civ., a favore del legittimario: hanno verificato, con accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non per vizio di motivazione, da cui la sentenza è immune, che la (OMISSIS) non si era limitata a compiere atti di gestione e di conservazione dei beni o di effettuare adempimenti contabili o fiscali ma, consumando i frutti, aveva in sostanza esercitato quelle che erano le facoltà spettanti all’usufruttuario ai sensi dell’art.981 cod. civ., senza fornire alcun rendiconto ne’ offrire la
restituzione dei frutti percepiti dei quali si era così appropriata. In particolare, i Giudici hanno fra l’altro evidenziato l’esercizio – con riferimento agli utili della società in nome collettivo – dei poteri spettanti precipuamente all’usufruttuario, essendo invece del nudo proprietario, che riveste la qualità di socio, i poteri di gestione della società e il diritto di voto.

Ciò posto, va ricordato che il vizio deducibile ai sensi dell’art.360 cod. proc. civ., n. 5, deve consistere in un errore intrinseco al
ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art. 360, n. 5 citato, la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione.

Il ricorso va rigettato. Le spese della presente fase vanno poste in solido a carico dei ricorrenti, risultati soccombenti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore dei resistenti delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 5.400,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed 5.200,00 Euro per onorari di avvocato oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 giugno 2013.