Ordinanza 20884/2018
Azione d’indebito arricchimento – Determinazione dell’indennità – Costi sostenuti per l’esecuzione dell’opera
In tema di azione d’indebito arricchimento, l’indennità spettante all’appaltatore di un contratto di appalto nullo va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale da lui subita, e corrisponde quindi, in concreto, ai costi effettivamente affrontati per la costruzione, non potendovi rientrare l’utile d’impresa né ogni altra posta volta a garantire quanto l’appaltatore stesso si riprometteva di ricavare dall’esecuzione di un valido contratto di appalto.
Le somme percepite a titolo di indennizzo sono imponibili a fini IVA
Le somme percepite a titolo di indennizzo a seguito di azione di arricchimento senza causa rappresentano un corrispettivo in senso economico e sono imponibili a fini IVA ai sensi dell’art. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 22-8-2018, n. 20884 (CED Cassazione 2018)
Art. 2041 cc (Azione generale di arricchimento) – Giurisprudenza
Rilevato che:
con atto di citazione del 29 novembre 2001, (OMISSIS) evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Lecce, (OMISSIS) e (OMISSIS) per ottenere la condanna degli stessi al pagamento dell’indennizzo di Euro 33.311,47 deducendo che, nell’anno 1998, aveva eseguito per conto dei convenuti lavori di edificazione di un immobile adibito a civile abitazione, su un suolo di proprietà degli stessi e di avere ricevuto solo una parte dell’importo complessivamente pattuito. Si costituiva (OMISSIS) chiedendo, in via preliminare, dichiararsi l’incompetenza per territorio del giudice adito e, nel merito, il rigetto della domanda in quanto gli importi dovuti da (OMISSIS) erano già stati versati. Si costituiva, altresì, (OMISSIS) formulando la medesima eccezione di incompetenza e chiedendo l’estromissione attesa l’estraneità al contratto intercorso tra (OMISSIS) ed il proprio coniuge (OMISSIS). La causa veniva istruita presso la Sezione Distaccata di Nardò e decisa con sentenza del 2 marzo 2011 con la quale i convenuti venivano condannati in solido al pagamento della minore somma di Euro 17.355,78, oltre accessori, con rifusione delle spese di lite;
secondo il Tribunale, attesa la nullità del contratto di appalto concernente un’opera abusiva, si configurava l’ipotesi di indebito arricchimento ai sensi dell’articolo 2041 c.c., in virtù del principio di non contestazione, doveva ritenersi che la somma versata all’appaltatore ammontava ad Euro 41.058, corrispondente a quanto i convenuti avevano dichiarato alla Guardia di Finanza di avere corrisposto a (OMISSIS), con assegni e cambiali. Risultava, secondo il Tribunale, soltanto provata l’emissione, ma non anche il pagamento di ulteriori effetti cambiari per cui, sulla base della consulenza tecnica aveva stabilito che il valore dei beni ammontava ad Euro 58.414, Iva compresa, e l’arricchimento conseguito era pari ad Euro 17.355,78. Quanto al pagamento dell’Iva, secondo il Tribunale, la stessa era dovuta indipendentemente dal tempo di emissione della fattura anche con riferimento alle somme da corrispondere a titolo di indennizzo ai sensi dell’articolo 2041 c.c.;
avverso tale sentenza (OMISSIS) e (OMISSIS) proponevano impugnazione con atto del 18 maggio 2011. Si costituiva (OMISSIS) e, disattesa l’istanza di inibitoria, la Corte d’Appello di Lecce, con sentenza del 23 settembre 2015, in accoglimento, per quanto di ragione dell’appello proposto da (OMISSIS) e (OMISSIS), in parziale riforma della sentenza impugnata, rideterminava in Euro 7.620,10 la somma oggetto di condanna, provvedendo sulle spese di lite;
avverso tale decisione propone ricorso per cassazione (OMISSIS) affidandosi a quattro motivi. (OMISSIS) e (OMISSIS) non svolgono attività difensiva nel presente giudizio.
Considerato che:
con il primo motivo (OMISSIS) lamenta la violazione dell’articolo 2041 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5. In particolare, con riferimento alla violazione di legge, la decisione impugnata risulta in contrasto con l’articolo 2041 c.c., poichè non prende in esame la finalità della disposizione che è quella di reintegrare il depauperamento subito da una parte, a fronte dell’arricchimento dell’altra e tra le voci relative alla diminuzione patrimoniale dell’imprenditore rientra ogni tipo di costo e di spesa, tra le quali le somme corrisposte a titolo di Iva a seguito dell’accertamento operato dalla Guardia di Finanza. La decisione della Corte territoriale, in sostanza, non reintegra il patrimonio del ricorrente della diminuzione effettivamente subita. Quanto al secondo profilo, la Corte omette di considerare il fatto oggettivo dell’accertamento sanzionatorio che ha comportato, a carico del ricorrente, un’ulteriore diminuzione patrimoniale corrispondente al versamento della somma per IVA a causa dell’accertamento compiuto dalla Guardia di Finanza;
con il secondo motivo deduce la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 1, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3. Non appare condivisibile l’assunto secondo cui l’Iva non andrebbe calcolata sul valore complessivo dei lavori eseguiti da (OMISSIS), ma solo sulla differenza tra il costo dei lavori, esclusa l’Iva e l’importo versato dai resistenti. Tale ricostruzione è in contrasto con la norma citata. In particolare non tiene conto che l’acconto versato da (OMISSIS) e (OMISSIS) non costituisce solo sorte capitale, ma per una parte è rappresentato dall’Iva, per cui l’importo ancora dovuto dai committenti è quello determinato dal Tribunale. In secondo luogo, la circostanza che l’azione si fondi su un indebito arricchimento e non sull’adempimento contrattuale non modifica l’obbligo di pagamento dell’Iva, che va conteggiata in aggiunta al valore dei costi sostenuti da (OMISSIS). Pertanto la decisione della Corte determinerebbe una riduzione del gettito in favore dello Stato;
con il terzo motivo lamenta la nullità della sentenza o del procedimento ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4, ricorrendo l’ipotesi di contraddittorietà e apparenza della motivazione. Infatti la Corte territoriale se da un lato afferma che l’Iva è dovuta anche nell’ipotesi di indennizzo per indebito arricchimento, dall’altro non la riconosce in favore di (OMISSIS). Sotto tale profilo l’argomentazione secondo cui quest’ultimo non avrebbe proposto appello incidentale per il riconoscimento delle somme a titolo di Iva è solo apparente, poichè non chiarisce la ragione per la quale (OMISSIS) avrebbe dovuto proporre appello incidentale condizionato, pur trattandosi di parte totalmente vittoriosa;
i primi motivi possono essere trattati congiuntamente perchè strettamente connessi;
la soluzione delle questioni sollevate dal ricorrente impone l’esame delle seguenti questioni giuridiche: natura giuridica dell’istituto dell’arricchimento senza causa e criteri di determinazione dell’indennizzo; rilievo della regola prevista all’articolo 2041 c.c., secondo cui indennizzo corrisponde alla minore somma tra lo speso ed il migliorato; determinazione di tale minore somma che, secondo la giurisprudenza in tema di opere eseguite sulla base di contratto nullo, corrisponde alla misura del depauperamento, esclusa ogni ipotesi di guadagno;
l’istituto dell’arricchimento ingiustificato è espressione del principio generale secondo cui l’ordinamento non consente spostamenti patrimoniali non sorretti da una giusta causa. Qualora ciò dovesse accadere, è dovuta o la ripetizione di quando corrisposto (articolo 2033 e ss c.c.), o il pagamento di un indennizzo (articolo 2041 c.c.). In quest’ultimo caso, un soggetto che si giova di un arricchimento non sorretto da causa giusta, in danno di altro soggetto che invece subisce un impoverimento, è obbligato a corrispondere un indennizzo pari alla relativa diminuzione patrimoniale. Come noto, per “arricchimento” ed “impoverimento” non deve intendersi uno spostamento di denaro liquido, poichè in questo caso la fattispecie sarebbe regolata dalle norme sul pagamento dell’indebito (articoli 2033 e ss. c.c.; Titolo VII del Libro Quarto), mentre l’istituto di cui all’articolo 2041 c.c.(previsto al Titolo VIII) sancisce un’azione generale di carattere residuale (articolo 2042 c.c.), applicabile solo quando qualsiasi altra azione non sia proponibile;
non costituisce profilo oggetto di contrasto la circostanza che Viva debba essere applicata anche sugli importi dovuti a titolo di arricchimento ingiustificato. Questa corte ha rilevato che “è dovuta l’IVA sull’indennità attribuita, con sentenza, a titolo di indennizzo ex articolo 2041 c.c., in favore dell’imprenditore che abbia venduto, in base a negozio nullo, beni alla P.A., che, utilizzandoli, li abbia irreversibilmente acquisiti” (Sez. 3, Sentenza n. 12493 del 10/12/1997, Rv. 510818 – 01): “le somme percepite a titolo di indennizzo a seguito di azione di arricchimento senza causa proposta da un imprenditore nei confronti della Regione in dipendenza della realizzazione di un’opera pubblica (nella specie, un impianto di depurazione) rappresentano un corrispettivo in senso economico e sono imponibili a fini IVA ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 1, senza che rilevi il carattere sussidiario dell’azione proposta, dovendosi ritenere, diversamente opinando, che le somme erogate dall’impresa a titolo di IVA passiva per le prestazioni richieste ad altre imprese e necessarie per l’esecuzione della prestazione in favore dell’ente pubblico non sarebbero bilanciate, parzialmente o meno, dall’IVA attiva sul corrispettivo percepito con l’azione di arricchimento, per cui darebbero luogo ad un credito IVA nei confronti dell’erario incompatibile con il sistema fiscale. (Sez. 1, Sentenza n. 7406 del 28/03/2014, Rv. 630317 – 01);
quanto al terzo profilo, va precisato che in tema di azione d’indebito arricchimento nell’ipotesi di nullità del contratto di appalto l’indennità prevista dall’articolo 2041 c.c., va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’appaltatore, corrispondente, in concreto, ai costi effettivamente affrontati per la sua costruzione, non potendovi rientrare l’utile d’impresa nè ogni altra posta volta a garantire quanto l’appaltatore stesso si riprometteva di ricavare dall’esecuzione di un valido contratto di appalto (Sez. 1 -, Sentenza n. 11446 del 10/05/2017, Rv. 644074 – 02);
in conclusione, la diminuzione patrimoniale subita dall’appaltatore è costituita anche dalla quota di onere rappresentata dall’Iva e questo indipendentemente se vi sia stato o meno l’accertamento da parte della Guardia di Finanza, poichè si tratta di un onere al quale per legge è tenuto (OMISSIS) (si tratta di imposta indiretta che grava sui consumi a seguito di cessione di beni o di prestazioni di servizi a titolo oneroso, come nel nostro caso) ed è irrilevante per i committenti la circostanza che (OMISSIS) abbia o meno corrisposto l’Iva;
pertanto, il giudice del rinvio dovrà considerare che nella determinazione della diminuzione patrimoniale dell’appaltatore rientra sia la voce relativa ai meri costi, esclusa ogni ipotesi di guadagno, sia la voce relativa alle spese per imposta indiretta quale voce di costo del depauperamento;
con il quarto motivo deduce la nullità della sentenza ai sensi delle medesime disposizioni per la violazione dell’articolo 345 c.p.c., e degli articoli 99 e 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale pronunziato oltre i limiti di quanto domandato dagli appellanti i quali si erano limitati a dedurre che l’Iva non era dovuta, mentre la Corte territoriale censura il criterio di calcolo dell’Iva, che ritiene comunque applicabile all’indennizzo per indebito arricchimento, escludendo il riconoscimento, in favore di (OMISSIS), della maggiorazione dell’Iva sulla base di questioni non proposte dagli appellanti;
attesa la fondatezza delle precedenti censure il quarto motivo, se è assorbito;
ne consegue che il ricorso deve essere accolto con riferimenti ai primi tre motivi, mentre il quarto è assorbito e la sentenza va cassata con rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, secondo e terzo motivo di ricorso; dichiara assorbito il quarto motivo;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Lecce, in diversa composizione.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte Suprema di Cassazione in data 12 gennaio 2018