Sentenza 21004/2012
Restituzione della cosa locata – Offerta non formale di restituzione – Illegittimo rifiuto del locatore
L’offerta non formale di restituzione, formulata ai sensi dell’art. 1220 cod. civ., se illegittimamente rifiutata dal locatore, esclude la mora del conduttore non solo agli effetti del risarcimento dei danni, ma anche quanto all’obbligo di pagare il corrispettivo convenuto, ai sensi dell’art. 1591 cod. civ. (danni per ritardata consegna).
Cassazione Civile, Sezione III, 27-11-2012, n. 21004
Art. 1220 cc (Offerta non formale)
Art. 1216 cc (Intimazione di ricevre la consegna di un immobile)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
M.C. ha convenuto in giudizio il Comune di Palermo – conduttore di un immobile di sua proprietà adibito a sede della scuola elementare – deducendo che il rapporto di locazione era cessato fin dal 1986, a seguito di ordinanza di convalida dello sfratto; che egli aveva acconsentito a lasciare il conduttore nel godimento dell’immobile in vista delle esigenze didattiche; che l’immobile era stato lasciato libero solo nell’aprile 1994, mentre le chiavi erano state restituite il 5 maggio 1995.
Ciò premesso, l’attore ha chiesto che il Comune venisse condannato a pagare gli interessi sui canoni versati in ritardo; la differenza fra le somme versate dal conduttore nel periodo dell’occupazione e quelle corrispondenti all’effettivo valore locativo di mercato; il rimborso delle spese effettuate per adeguare l’immobile alla normativa antincendio e di quelle occorrenti per rimuovere le suddette opere a seguito della cessazione dell’occupazione; il rimborso delle spese di ripristino dell’immobile stesso in normali condizioni di manutenzione.
Il Comune di Palermo ha resistito alla domanda, chiedendone l’integrale rigetto.
Esperita l’istruttoria anche tramite accertamento tecnico preventivo e CTU, il Tribunale di Palermo ha condannato il Comune a pagare all’attore la complessiva somma di L. 503.438.400, oltre interessi dal 7 ottobre 1995 al saldo, in rimborso delle spese di ripristino dell’immobile; ha rigettato le altre domande ed in particolare quella di adeguamento dell’indennità di occupazione ai valori di mercato.
Proposto appello principale dal C. e incidentale dal Comune, nel corso del giudizio è stata ammessa ed esperita altra CTU. All’attore in primo grado, deceduto, sono subentrati gli eredi, cioè la moglie, A.G., e i due figli, C.V. e A..
Con sentenza 26 settembre – 7 novembre 2008 n. 1445 la Corte di appello di Palermo ha ridotto ad Euro 133.519,40 oltre interessi la somma dovuta dal Comune.
Gli eredi C. propongono due motivi di ricorso per cassazione.
Resiste il Comune di Palermo con controricorso, proponendo un motivo di ricorso incidentale.
Replicano i ricorrenti con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione della L. 23 maggio 1950, n. 253, art. 41 “in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 5, lett. a), per omessa motivazione sul punto decisivo della controversia”, addebitando alla Corte di appello di avere omesso di motivare sulla riduzione della somma liquidata in rimborso spese, limitandosi a recepire acriticamente il contenuto della CTU.
2.- Il motivo è inammissibile sotto più di un profilo.
2.1.- In primo luogo per difetto di specificità, in quanto i ricorrenti prospettano la violazione di legge in relazione ad una norma inesistente: l’art. 360 cod. proc. civ., non contiene un quinto comma e men che mai una lett. a), sicchè non è specificato in relazione a quale norma sia stato proposto il ricorso.
La L. n. 253 del 1950, art. 41, regola i casi in cui il locatore non provveda ad eseguire le improrogabili opere di conservazione dell’immobile: questione che non ha nulla a che fare con la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha determinato l’importo spettante ai locatori in rimborso delle spese di ripristino dell’immobile; a seguito del deterioramento conseguente all’uso.
2.2.- In secondo luogo, come ha eccepito anche il resistente, il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in vigore all’epoca del deposito della sentenza impugnata poichè, quanto alle doglianze di vizio di motivazione, manca un momento di sintesi delle censure, da cui risulti la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione è da ritenere omessa, illogica o contraddittoria o comunque inidonea a giustificare la decisione, come richiesto a pena di inammissibilità dalla citata norma (Cass. civ. Sez. Un. 1 ottobre 2007 n. 20603 e 18 giugno 2008 n. 16258; Cass. Civ. Sez. 3, 4 febbraio 2008 n. 2652; Cass. Civ. Sez. 3, 7 aprile 2008 n. 8897, n. 4646/2008 e n. 4719/2008, fra le tante); quanto all’asserita violazione di legge, il quesito è inidoneo e non congruente con le ragioni della decisione: “Dica la Suprema Corte se, in materia di locazione in regime vincolistico, le opere di straordinaria manutenzione dell’immobile erano a carico del Comune di Palermo in applicazione dell’art. 41…”.
In primo luogo si chiede alla Corte di cassazione di risolvere un problema di merito; non di dettare il principio di diritto adeguato a risolverlo (in ipotesi diverso da quello enunciato dalla sentenza impugnata), in linea con la specifica funzione del ricorso per cassazione e del quesito di diritto.
In secondo luogo il quesito non è congruente nè con le ragioni della decisione, nè con le doglianze esposte nel motivo, poichè il problema in discussione non verte su chi debba provvedere alle spese di manutenzione straordinaria, ma sulla quantificazione delle spese dovute dal conduttore in funzione di ripristino dello stato dell’immobile, quantificazione che i ricorrenti ritengono inadeguata.
La risposta positiva al quesito non varrebbe pertanto a giustificare l’annullamento della sentenza impugnata.
2.3.- In terzo luogo le censure che attengono all’asserita, pedissequa recezione dei risultati della CTU sono apodittiche e non valgono a dimostrare che la Corte di appello sia incorsa in errori di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione.
3.- Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 1591 cod. civ., sempre in relazione all’art. 360, comma 5, lett. a), nel capo in cui la Corte di appello ha quantificato il compenso spettante ai proprietari per il tempo dell’occupazione dell’immobile, in misura corrispondente all’ammontare del canone di locazione, senza tenere conto del fatto che la stessa Commissione di valutazione del Comune aveva indicato somme superiori, nel determinare l’effettivo valore locativo.
3.1.- Il motivo è inammissibile per le stesse ragioni già esposte in relazione al primo motivo, oltre che manifestamente infondato.
Il quesito di diritto (Dica la Suprema Corte se è qualificabile come maggior danno ex art. 1591 c.c., l’ultima quantificazione di indennità di occupazione svolta dalla commissione di valutazione del Comune di Palermo, anzichè il canone di locazione originariamente convenuto nel contratto di locazione risolto”) chiede alla Corte di legittimità di risolvere la causa nel merito – questione che le è preclusa – anzichè richiamare il principio di diritto enunciato dalla sentenza impugnata in relazione alla fattispecie in esame, che si assume erroneo, ed indicare quello diverso di cui si chiede l’applicazione, sì da consentire alla Corte di formulare con la sua decisione un principio di diritto chiaro, specifico, idoneo a risolvere diversamente la controversia ed applicabile anche ai casi simili a quello dedotto in giudizio, conformemente alla funzione assegnata dalla legge al quesito di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. (cfr. fra le tante, Cass. Civ. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36 e 11 marzo 2008 n. 6420; Cass. Civ. Sez. 3, 30 settembre 2008 n. 24339 e 9 maggio 2008 n. 11535).
3.2.- In ogni caso la Corte di appello ha correttamente applicato l’art. 1591 cod. civ., secondo cui il danno conseguente al protrarsi dell’occupazione dell’immobile dopo la cessazione della locazione va determinato nell’ammontare del canone corrisposto durante l’esecuzione del contratto, cui può essere aggiunto il risarcimento del danno ulteriore, qualora il locatore ne faccia richiesta e ne dimostri l’esistenza.
Al fine di dimostrare il danno non è sufficiente che il proprietario provi che i canoni di mercato sono di importo superiore a quello effettivamente corrisposto dal conduttore; egli deve anche dimostrare che avrebbe potuto, di fatto e concretamente, percepire il maggior canone, dando in locazione ad altri l’immobile; che gli sono state presentate effettive occasioni in tal senso e che non ha potuto darvi corso a causa del protrarsi dell’occupazione.
La Corte di appello ha rilevato che nessuna prova del genere è stata fornita dai proprietari e questi non hanno dedotto nè dimostrato alcunchè in questa sede, per dimostrare l’erroneità della motivazione sul punto.
4.- Il ricorso principale deve essere quindi rigettato.
5.- Con l’unico motivo del ricorso incidentale il Comune, denunciando violazione degli artt. 1216 e 1591 cod. civ., lamenta che la Corte di appello – pur avendo dato atto che esso Comune ebbe a lasciare libero l’immobile locato e ad offrire ai proprietari la restituzione dei locali fin dal 6 maggio 1994 – lo abbia condannato a pagare l’indennità di occupazione fino al 15 maggio 1995, data in cui i proprietari si sono risolti ad accettare la restituzione delle chiavi, che avevano in precedenza immotivatamente rifiutato. Assume che la motivazione della Corte di appello, secondo cui il conduttore è liberato dall’onere del pagamento solo a seguito di offerta formale, compiuta secondo le modalità e con la procedura di cui agli artt. 1216 e 1209 cod. civ., è in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha più volte deciso che l’illegittimo rifiuto del locatore di ricevere in restituzione la cosa locata esclude la mora del conduttore, quindi l’obbligo di pagare il canone, pur se eseguita tramite offerta non formale (Cass. civ. 26 aprile 2002 n. 6090; Cass. civ. 3 settembre 2007 n. 18496 e precedenti conformi).
6.- Il quesito di diritto è ammissibile, perchè enuncia in termini sufficientemente specifici il principio di cui si chiede l’applicazione, sì da dimostrare quale sia la fattispecie e quale l’opposto principio affermato dalla sentenza impugnata (“Dica la Suprema Corte se l’offerta non formale di riconsegna dell’immobile illegittimamente rifiutata dal locatore escluda la mora del conduttore e faccia venire meno l’obbligo di quest’ultimo di pagare il corrispettivo convenuto ai sensi dell’art. 1591 cod. civ.”).
6.1.- Nel merito, il motivo è fondato. i La Corte di appello è incorsa sia in violazione di legge, sia in motivazione insufficiente e apodittica.
Quanto alla violazione di legge, va ricordato che l’offerta formale di cui all’art. 1216 cod. civ., è prescritta per la costituzione in mora del creditore, ai fini del prodursi dei peculiari effetti che la legge ricollega alla mora credendi (cfr. art. 1207 cod. civ.).
Non è invece richiesta al diverso fine di accertare in quale momento cessi la. mora del debitore (nella specie, quanto alla restituzione della cosa locata alla scadenza del contratto di locazione), che è il problema che la Corte di appello era chiamata a risolvere.
La norma appropriata allo scopo non è l’art. 1216, bensì l’art. 1220 cod. civ., secondo cui il debitore non può essere considerato in mora, se abbia fatto offerta della prestazione dovuta anche senza osservare le forme di cui all’art. 1208 cod. civ., a meno che il creditore avesse un motivo legittimo per rifiutare l’offerta.
La Corte di merito avrebbe dovuto pertanto accertare se, nel caso di specie, vi sia stata un’offerta seria ed affidabile, ancorchè non formale, di restituzione dell’immobile da parte del conduttore, e se i locatori avessero o meno un serio motivo per rifiutare l’offerta.
Solo in caso di risposta negativa sul primo quesito, o positiva sul secondo, il Comune avrebbe potuto essere condannato al pagamento dell’indennità di occupazione per il tempo successivo alla cessazione dell’uso dei locali con offerta di restituzione delle chiavi.
La Corte ha invece deciso il contrario, applicando erroneamente alla fattispecie l’art. 1216 cod. civ., ed omettendo ogni motivazione sulle circostanze sopra indicate. Essa si è limitata a richiamare alcune decisioni della Corte di cassazione che da un lato risultano superate dalla più recente e largamente prevalente giurisprudenza, secondo cui l’offerta non formale di restituzione, formulata ai sensi dell’art. 1220 cod. civ., se illegittimamente rifiutata dal locatore, esclude la mora del conduttore non solo agli effetti del risarcimento dei danni, ma anche quanto all’obbligo di pagare il corrispettivo convenuto, ai sensi dell’art. 1591 cod. civ. (Cass. civ. Sez. 3, 26 aprile 2002 n. 6090; Idem, 3 settembre 2007 n. 18496; Cass. civ. Sez. 6/3, Sez. Ord. 20 gennaio 2011 n. 1337). Dall’altro lato sono sostanzialmente conformi all’indirizzo ora citato, se esaminate nella motivazione e con riguardo alla natura della fattispecie oggetto di esame, al di là delle formali enunciazioni di cui alle massime.
E’ stata infatti negata efficacia all’offerta non formale quando ricorrevano, nella sostanza, peculiari ragioni idonee a giustificare il permanere dell’obbligo di pagamento del canone: per esempio per il fatto che il conduttore aveva continuato ad occupare i locali, nonostante l’offerta di restituzione, o perchè l’offerta è stata comunque considerata non seria (cfr. Cass. civ. Sez. 3, 26 novembre 2002 n. 16685; Idem, 7 giugno 2006 n. 13345); o perchè sussisteva un legittimo interesse del locatore a rifiutare l’offerta, in quanto il bene era deteriorato e se ne esigeva la restituzione in pristino a cura e spese del conduttore (Cass. n 16685/2002 cit.).
Al di fuori di tali esigenze, quando cioè l’offerta di restituzione sia seria e completa, l’immobile venga di fatto liberato, contestualmente all’offerta non formale, e l’accettazione dell’offerta non comporti per il locatore alcun sacrificio dei suoi diritti o dei suoi legittimi interessi, poichè le parti concordano sul fatto che i lavori di ripristino saranno eseguiti dallo stesso locatore, dietro rimborso delle spese (come nel caso in oggetto), non vi è ragione di negare efficacia all’offerta di restituzione, pur se non formale, anche per quanto concerne la cessazione dell’obbligo di corrispondere l’indennità di occupazione.
Tanto più quando si consideri che, ricorrendo le circostanze di cui sopra, il rifiuto del locatore di accettare l’offerta, protraendo senza motivo l’obbligo del conduttore di corrispondere l’indennità di occupazione, risulta difficilmente giustificabile con riferimento al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375 cod. civ.), che impegna ognuna delle parti a cooperare con la controparte, evitando di addossarle oneri ingiustificati, ed a prestarsi a soluzioni compatibili con la realizzazione degli interessi di entrambe, ove ciò non comporti un ingiustificato sacrificio dell’interesse proprio (principio richiamato anche da Cass. n. 13345/2006 cit.).
7.- In accoglimento del ricorso incidentale, la sentenza impugnata deve essere cassata, nella parte in cui ha condannato il Comune a pagare l’indennità di occupazione anche per i mesi successivi al rilascio dell’immobile, per il solo fatto che la restituzione del bene è stata offerta con modalità informali, ai sensi dell’art. 1220 cod. civ., senza previamente accertare, con adeguata motivazione, se il rifiuto del locatore di ricevere in restituzione le chiavi fosse giustificato e rispondesse ad un suo legittimo interesse.
La causa è rinviata alla Corte di appello di Palermo affinchè riesamini la questione e decida la controversia uniformandosi ai principi di diritto sopra enunciati (parte in rilievo) e con adeguata motivazione.
8.- Il giudice di rinvio deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso principale ed accoglie il ricorso incidentale.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2012.
Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2012