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Cassazione Civile 21010/2018 – Compensi professionali – Contratto d’opera professionale stipulato da un Comune – Clausola che subordina il pagamento del compenso professionale all’erogazione di un finanziamento

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Ordinanza 21010/2018


Compensi professionali – Contratto d’opera professionale stipulato da un Comune – Clausola che subordina il pagamento del compenso professionale all’erogazione di un finanziamento

Il contratto d’opera professionale stipulato da un Comune, nel quale sia inserita una clausola (c.d. di copertura finanziaria) che subordina il pagamento del compenso al professionista al finanziamento dei lavori da progettare, non si sottrae alla normativa in materia di assunzione di impegni di spesa degli enti locali, attesa l’inderogabilità delle modalità procedimentali imposte dalla norma di cui all’art. 23 del d.l. n. 66 del 1989, desumibile sia dalla “ratio” (intesa alla consapevole assunzione da parte degli enti locali degli impegni di spesa) che dalla rilevanza di ordine pubblico di tale norma (diretta a garantire la correttezza nella gestione amministrativa, il contenimento della spesa pubblica e l’equilibrio economico- finanziario degli enti locali), sicchè, in mancanza, il rapporto obbligatorio non è riferibile all’ente ma intercorre, ai fini della controprestazione, tra il privato e l’amministratore o funzionario che abbia assunto l’impegno. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva escluso l’esperibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento nei confronti del Comune per l’attività professionale svolta in esecuzione di un contratto, con clausola di copertura finanziaria, stipulato senza l’osservanza del procedimento ex art. 23 del d.l. cit., in quanto tale contratto non era nullo, bensì valido ed efficace nei confronti degli amministratori che avevano assunto l’impegno).

Cassazione Civile, Sezione 3 , Ordinanza 23-8-2018, n. 21010   (CED Cassazione 2018)

 

 

RILEVATO CHE:

Nel 2008, l’ing. (OMISSIS) e l’arch. (OMISSIS) convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Taranto, il Comune di Lizzano al fine di sentir accertare il loro diritto al compenso per l’attività di progettazione di un approdo turistico nella marina di Lizzano e ottenere la condanna dell’ente convenuto al pagamento del predetto compenso.

Esposero che, con Delib. del 1996, il Comune di Lizzano aveva conferito loro l’incarico di progettazione di approdo turistico, con la determinazione che il corrispettivo sarebbe stato pagato solo ad avvenuto finanziamento da parte della Regione; che le parti avevano quindi sottoscritto un’apposita convenzione, con la quale i professionisti si impegnavano, tra l’altro, ad introdurre nel progetto preliminare esecutivo e definitivo, anche se già elaborato, tutte le modifiche ritenute necessarie dall’ente comunale; che, a seguito del Decreto del Presidente della Repubblica n. 509 del 1997, contenente nuove definizioni delle infrastrutture nautiche, l’intervento era stato qualificato “punto di ormeggio”; che, con Delib. del 1998, era stato conferito agli stessi professionisti l’incarico di progettazione dell’ampliamento del punto di ormeggio; che, arrestato il progetto a seguito di nota del Genio Civile, peraltro in contrasto con un proprio precedente parere favorevole, il Comune non aveva adottato tutte le iniziative necessarie a salvaguardare finanziamenti già ottenuti; che, di conseguenza, la mancata erogazione del finanziamento era imputabile unicamente al Comune convenuto.

Il Tribunale di Taranto, con sentenza n. 1219/2010, rigettò la domanda. Secondo il giudice di primo grado, con riferimento al secondo incarico, di redazione del progetto di ampliamento, non era configurabile il presupposto del valido conferimento scritto, in quanto: nella Delib. del 1998 si faceva riferimento ad uno schema di convenzione e non alla convenzione già sottoscritta; il nuovo affidamento di incarico era stato preceduto da una nuova discrezionale valutazione relativa all’individuazione del contraente ed alle ragioni di interesse pubbliche; le modifiche introdotte con la progettazione in ampliamento rivestivano carattere rilevante.

In relazione a tale incarico, peraltro, non era esperibile nei confronti del Comune nemmeno azione di arricchimento senza causa, poichè la Delib. del 1998 era stata adottata dalla Giunta, n violazione dell’art. 35 d.lgs. 77/1995, senza impegno contabile su capitolo di bilancio ed attestazione della copertura finanziaria e, di conseguenza, il rapporto relativo all’incarico di progettazione era intercorso tra il privato e l’amministratore che aveva consentito alla prestazione del servizio.

Infine, con riferimento all’incarico di progettazione conferito nel 1996, non poteva ritenersi che il mancato avveramento dell’evento dedotto in condizione (ovvero l’erogazione del finanziamento dell’opera da parte della Regione) fosse ascrivibile a colpevole violazione dell’obbligo di buona fede ex art. 1358 c.c., poichè, come risultava dalla documentazione in atti, il Comune aveva compiuto quanto possibile per l’ottenimento della concessione demaniale marittima necessaria al fine dell’erogazione del finanziamento, avendola richiesta nelle forme di legge agli organi competenti, ed avendo offerto la documentazione ed i chiarimenti utili. Il comportamento dell’obbligato non poteva invece spingersi fino a porre in essere attività straordinarie ed onerose. In particolare, il ricorso all’attività giurisdizionale avrebbe implicato un sacrificio che esulava dal contenuto dell’obbligo di buona fede.

  1. La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Lecce -Sezione distaccata di Taranto, con la sentenza n. 444/2014 del 24 novembre 2014.

La Corte territoriale ha ritenuto che il riferimento, nella Delib. del 1998, ad un “allegato schema di convenzione” non potesse richiamare la pregressa convenzione, sottoscritta tra le parti dopo la Delib. del 1996, ostandovi elemento logici e letterali: non aveva senso richiamare una precedente convenzione impiegando il termine “schema”, la precedente convenzione non costituiva allegato della nuova delibera.

Nè potevano trarsi elementi a sostegno della permanente vigenza della pregressa convenzione sulla base di una unicità dell’incarico o della possibilità, contenuta nella originaria convenzione, di introdurre nel progetto preliminare tutte le modifiche che il Comune avesse ritenute necessarie. Ciò in quanto il progetto di ampliamento del punto di ormeggio si configurava sostanzialmente diverso dalla progettazione di strutture per il turismo nautico di cui alla Delib. del 1996, tanto che la successiva Delib. del 1998 qualificava le opere del progetto di ampliamento come similari (e quindi non identiche). In ogni caso, anche ad ipotizzare che le opere fossero analoghe, le determinazioni amministrative sopravvenute imponevano l’instaurarsi di un nuovo formale vincolo contrattuale che però non era mai stato attuato.

Pertanto, in mancanza di un valido contratto con riferimento al progetto di ampliamento del punto di ormeggio, correttamente il Tribunale non aveva ritenuto invocabile sul punto nessuna responsabilità contrattuale.

Nè, secondo la Corte di appello, è invocabile un arricchimento senza causa, in quanto, per violazione del d.lgs. n. 77 del 1995, art. 35 il rapporto di fatto instaurato ha riguardato i funzionari comunali, in particolare i componenti della giunta, e non l’ente civico, venendo meno il rapporto di immedesimazione organica tra gli amministratori e la pubblica amministrazione.

Neppure rileva la circostanza che la delibera provenga da un organo di indirizzo politico, come la giunta comunale. Infatti, si tratta sempre di un organo amministrativo che non potrebbe sottrarsi a detta disciplina, a pena di concreta vanificazione della norma nei rapporti negoziali posti in essere dalle amministrazioni comunali.

Infine, in ordine alla invocata responsabilità contrattuale dell’amministrazione con riferimento alla convenzione del 1996, la Corte ha osservato che i documenti allegati agli atti, descritti nella sentenza di primo grado, inducono ad escludere che il committente sia rimasto colpevolmente inerte per l’ottenimento della concessione demaniale, così da infrangere gli obblighi di buona fede a suo carico. La diligenza e l’impegno della parte contrattualmente obbligata per ottemperare al criterio della buona fede, non potrebbero spingersi fino a richiedere di non tralasciare nessuna iniziativa, neanche di natura giudiziaria. Invero, la buona fede richiesta nell’esecuzione dei contratti investe solamente un criterio di regolarità amministrativa (nella specie, richiesta del finanziamento, trasmissione della documentazione necessaria per la concessione demaniale e dei richiesti chiarimenti) dell’azione, nella specie compiutamente osservato.

  1. Avverso tale sentenza propongono ricorso in Cassazione l’ing. (OMISSIS) e l’arch. (OMISSIS), sulla base di quattro motivi illustrati da memoria.

3.1. L’intimato Comune di Lizzano non ha svolto difese.

CONSIDERATO CHE:

4.1. Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., l’omesso esame di fatti decisivi emergenti dei documenti in atti”, nonché, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., la “violazione dei criteri di interpretazione della volontà contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.”.

La Corte di appello avrebbe errato nel ritenere che il secondo incarico, di progettazione in ampliamento, non fosse riconducibile nell’ambito della pregressa convenzione sottoscritta dalle parti, omettendo di tenere conto del tenore sia dell’originaria convenzione allegata alla Delib. del 1996, sia della Delib. del 1998 di conferimento dell’incarico di ampliamento.

Infatti, proprio la similarità degli incarichi avrebbe consentito di ritenere che non fosse necessario procedere alla creazione di un nuovo vincolo giuridico, essendo anzi legittimo rinviare alla precedente convenzione. L’assunto secondo cui il riferimento alla “allegata convenzione” contenuto nella premessa della delibera del 1998, e il riferimento allo “allegato schema di convenzione” di cui alla parte deliberativa del medesimo provvedimento, impedirebbe di ritenere che l’amministrazione intendesse estendere il pregresso vincolo contrattuale al nuovo incarico sarebbe smentito dalla originaria volontà delle parti espressa nella convenzione del 1996 la quale prevedeva la possibilità anche di modifiche comportanti cambiamenti nell’impostazione progettuale. Di conseguenza non è vero che ogni modifica progettuale, anche di particolare rilevanza avrebbe comportato necessariamente l’instaurazione di un vincolo contrattuale essendo invece previsto il ricorso alla procedura delle varianti in corso d’opera.

La Corte non avrebbe dovuto limitarsi a considerazioni di carattere formale-letterale – che comunque conducevano ad ammettere l’idoneità dell’originaria convenzione a regolamentare entrambi gli incarichi – ma valutare la comune intenzione delle parti, la quale invece conduceva a sancire la sostanziale unicità degli incarichi, riconducibili ad un’unica convenzione scritta e regolarmente sottoscritta dalle parti.

Si tratterebbe quindi di una violazione dell’art. 1362 c.c., che impone, quale principale e prevalente criterio di interpretazione del contratto, quello della ricostruzione della effettiva e comune intenzione delle parti, senza possibilità di limitarsi al senso letterale delle parole.

Inoltre, in virtù del principio di conservazione degli effetti utili del contratto o di una clausola di cui all’art. 1367 c.c., nel dubbio, il contratto e le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno.

Il motivo è inammissibile.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione sia contestata la mancata osservanza dei criteri ermeneutici di cui agli articoli 1362 c.c. e ss., il ricorso, per essere autosufficiente, deve contenere la trascrizione integrale delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti, al fine di consentire alla S.C. di verificare l’erronea applicazione della disciplina normativa (Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 15/11/2013, n. 25728; Cass. civ. Sez. 3, 28/07/2005, n. 15798).

I (OMISSIS) invece, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, hanno omesso di trascrivere le clausole della convenzione sottoscritta tra i professionisti ed il Comune ed allegata alla Delib. del 1996, da cui emergerebbe la comune volontà delle parti di estendere il vincolo contrattuale anche alla successiva progettazione di strutture similari a quelle originarie. Non risulta trascritto integralmente neppure l’art. 8, più volte citato dai ricorrenti, come risulta dalla discrepanza tra il testo di tale art. riportato alle pp. 2, 7 e 14 del ricorso e quello riportato a p. 28 del medesimo ricorso. Di conseguenza, a questa Corte è preclusa la possibilità di verifica della fondatezza del vizi lamentati.

Inoltre il motivo nella parte in cui invoca la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 è fuori dai limiti posti da Cass. S.U. nn. 8053-8054/2014.

4.2. Con il secondo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., l’omesso esame di fatti decisivi emergenti dai documenti prodotti”, nonché, in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., l’omesso esame di fatti decisivi emergenti dal comportamento colpevole dell’A.C. e violazione dell’art. 1358 c.c.”.

La Corte d’appello, nell’escludere l’imputabilità al Comune di Lizzano della decadenza dal finanziamento, avrebbe omesso di indicare dettagliatamente le circostanze di fatto e i documenti da cui è tratto il proprio convincimento, optando per un mero rinvio alla sentenza di primo grado, nonostante questa fosse stata puntualmente censurata dai ricorrenti.

Dagli atti del giudizio e dalla documentazione prodotta, sarebbe invece emersa la possibilità per il Comune di Lizzano di impedire la pronuncia di decadenza dal finanziamento.

In particolare, l’amministrazione comunale avrebbe violato l’invito della Regione di presentare, entro il 24 ottobre 1999, la documentazione necessaria ai fini dell’erogazione del finanziamento (all. 7 all’atto di citazione), documentazione che in quel momento sarebbe stata nell’assoluta disponibilità del Comune. Infatti, poichè la Capitaneria di Porto di Taranto aveva già acquisito il parere favorevole del Genio Civile (adottato nel giugno del 1999, all. 5 all’atto di citazione), il Comune avrebbe quantomeno potuto attestare che, nonostante l’inerzia dell’Ufficio Marittimo, nessun ostacolo impediva il rilascio del titolo demaniale.

Inoltre, che il Comune di Lizzano fosse nella giuridica possibilità di attivare per tempo l’intervento sostitutivo regionale, sarebbe provato anche dalla sopravvenuta adozione della delibera della Giunta Regionale del 19.11.1999 (che non sarebbe nella disponibilità dei ricorrenti), con cui si autorizzava la Capitaneria di Porto di Taranto alla redazione della proposta concessoria.

Pertanto, il Comune di Lizzano, piuttosto che avallare l’illegittimo comportamento delle amministrazioni coinvolte nel procedimento, avrebbe dovuto diffidare la Capitaneria di Porto a dare esecuzione della delibera regionale; impugnare il parere negativo del Genio Civile del 2000 (all. 8 alla comparsa costituzione e risposta) emesso in palese contrasto con le proprie precedenti determinazioni; ovvero sollecitare ad ottenere, come seppur tardivamente ottenuto, l’intervento sostitutivo regionale che consentisse il rilascio anche in deroga del titolo demaniale.

Il Comune, in ossequio agli obblighi di buona fede contrattuale, sarebbe stato tenuto non solo ad adottare tutte le iniziative strumentali ed acquisire finanziamenti regionali, ma anche ad informare i professionisti di ogni evoluzione della vicenda, eventualmente rimuovendo gli effetti pregiudizievoli della convenzione mediante il ricorso agli strumenti di diritto comune quali la risoluzione del contratto per impossibilità delle originarie condizioni contrattuali o per l’eccessiva onerosità sopravvenuta.

Inoltre, laddove l’amministrazione comunale avesse comunicato gli esiti istruttori ai ricorrenti, questi avrebbero potuto contestare le determinazioni pregiudizievoli e porre in essere quanto necessario a rimuovere gli effetti negativi di ogni inerzia amministrativa.

Pertanto, solo la colpevole inerzia del Comune avrebbe determinato il venir meno della condizione cui era subordinata la corresponsione dei compensi nei confronti dei professionisti, con consequenziale diritto gli stessi al pagamento dell’attività prestata, quantomeno con riferimento al primo incarico.

Il motivo è infondato.

Contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti, infatti, la sentenza impugnata non contiene un mero rinvio alla sentenza di primo grado, tale da risolversi nell’acritica approvazione della decisione soggetta a controllo, ma formula una propria autonoma motivazione.

Infatti, la Corte territoriale ha ritenuto che non rientri nella diligenza e nell’impegno richiesti alla parte contrattualmente obbligata, in virtù del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, il compimento di attività per definizione aleatorie o comunque gravose, come la proposizione di iniziative giudiziarie.

Tale convincimento, conforme ad un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ. Sez. 3, 31/07/2002, n. 11364) non appare superato neppure alla luce dei documenti posti in evidenza dai ricorrenti, dai quali emerge anzi che l’amministrazione comunale ha compiuto tutte le attività dalla stessa dipendenti per l’ottenimento della concessione demaniale marittima richiesta per l’erogazione del finanziamento.

Peraltro, in assenza della trascrizione della Delib. Giunta Regionale 19 novembre 1999, non è dato verificare se, come affermano i ricorrenti, il Comune si era attivato solo tardivamente per ottenere l’intervento sostitutivo regionale per il rilascio della suddetta concessione, o se invece tale intervento era stato tempestivamente sollecitato prima della scadenza del termine per la presentazione della medesima concessione demaniale.

4.3. Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., la “falsa applicazione dell’art. 35 digs. 77/1995 e la violazione dell’art. 2041 c.c.“.

I giudici del merito sarebbero incorsi in contraddizione escludendo l’accesso all’azione di ingiustificato arricchimento sulla base della nullità dell’incarico per violazione del d.lgs. n. 77 del 1995, art. 35 solo con riferimento al secondo incarico, e non anche al primo, ritenuto valido ed efficace nonostante la relativa delibera di conferimento contenesse, sul versante contabile, le medesime previsioni di quella del 1998.

In ogni caso, dovrebbe escludersi che gli incarichi fossero stati conferiti in assenza di un regolare impegno di spesa. Infatti, anche per l’ipotesi di intervenuta erogazione del finanziamento, le delibere, mediante richiamo alla convenzione, precisavano i criteri e i limiti entro i quali il compenso sarebbe stato liquidato (incarico unitario, parcella redatta secondo la legge, con le decurtazioni obbligatorie calcolate sull’importo dei lavori al lordo del ribasso d’asta) e rinviavano, conformemente a quanto previsto dalla legge (d.lgs. n. 77 del 1995, art. 27, comma 1), ad una successiva determinazione dirigenziale la quantificazione dell’impegno di spesa.

In una fattispecie come quella in esame, infatti, la somma da pagare, da determinarsi alla stregua dei criteri fissati nella delibera nella convenzione, non potrebbe che determinarsi al momento della presentazione del progetto e del relativo quadro economico, nel quale dovevano essere indicate le spese generali. Andrebbe quindi ripensato l’orientamento affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 26657 del 18.12.2014, la quale, in contrasto con l’orientamento prevalente delle Sezioni semplici, ha ritenuto che l’inserimento, nel contratto d’opera professionale, della clausola di copertura finanziaria, non consentirebbe di derogare alle procedure di spesa previste dal Decreto Legge n. 66 del 1989, art. 23, commi 3 e 4 (in base a cui l’effettuazione di ogni spesa è subordinata alla sussistenza di una Delib. autorizzativa ed alla registrazione del relativo impegno contabile sul competente capitolo del bilancio di previsione, da comunicare ai terzi interessati). Infatti, incarichi come quello in questione trova una giustificazione e copertura finanziaria nella previsione contrattuale che condiziona il pagamento del compenso di progettazione all’erogazione del finanziamento e sono quindi necessariamente caratterizzati dall’assenza di un concreto ed immediato impegno di spesa da parte dell’ente.

Il motivo è infondato.

Contrariamente a quanto sostengono i (OMISSIS), non sussistono ragioni per discostarsi dai principi affermati nel recente arresto delle Sezioni Unite richiamato dagli stessi ricorrenti (sent n. 26657 del 18.12.2014).

Secondo tale pronuncia, anche nel caso di contratto d’opera professionale nel quale il pagamento del compenso al professionista sia stato condizionato con apposita clausola al finanziamento dei lavori da progettare, dal contratto sorge, comunque, un’obbligazione di pagamento, ancorchè condizionata, a carico dei Comune. Tale obbligazione non può restare sottratta alla normativa in materia di assunzione di impegni di spese degli enti locali, attesa l’inderogabilità delle modalità procedimentali imposte dalla norma di cui all’art. 23 cit., che non contempla eccezioni.

Secondo le S.U., infatti, la ratio della previsione normativa di cui all’art. 23, commi 3 e 4, D.L. n. 66 del 1989, intesa alla consapevole assunzione da parte degli enti locali degli impegni di spesa, unitamente alla rilevanza, di ordine pubblico, delle esigenze perseguite dalla norma cit. in primis quelle dirette a garantire la correttezza nella gestione amministrativa, il contenimento della spesa pubblica e l’equilibrio economico – finanziario degli enti locali – non consentono deroghe alla medesima disposizione per effetto di una clausola convenzionale, come quella in oggetto, che sottopone il pagamento del compenso professionale alla condizione dell’erogazione del finanziamento.

Pertanto, nel caso di specie, la convenzione non poteva derogare alla rigorosa procedura diretta a regolare l’impegno di spesa e il pagamento dei servizi da parte dell’amministrazioni locali. Più esattamente la presenza della clausola c.d. di copertura finanziaria non poteva consentire di rinviare il momento in cui il Comune doveva indicare l’ammontare della spesa e i mezzi per farvi fronte, nonchè provvedere alla registrazione del relativo impegno contabile sul competente capitolo del bilancio di previsione, giusta l’inderogabile disposto dell’art. 23 cit.

Correttamente, pertanto, la Corte di appello ha ritenuto che il contratto non fosse riferibile all’ente, intercorrendo invece il rapporto obbligatorio, ai fini della controprestazione, tra il privato e gli amministratori che avevano assunto l’impegno, ed ha quindi escluso l’esperibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento nei confronti del Comune.

4.4. Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., la “violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.”.

La Corte d’appello avrebbe comunque errato nel disporre la condanna alle spese di lite.

Alla luce della complessità delle questioni trattate, delle emergenze probatorie favorevoli alle doglianze di professionisti, dell’attività espletata dagli stessi e dell’atteggiamento collaborativo che ha sempre caratterizzato il loro operato, nonchè del fatto che, nelle more dei giudizi di primo e di secondo grado, la Corte di Cassazione si era pronunciata in senso negativo sull’applicabilità del d.lgs. n. 77 del 1995, art. 35 in relazione ai contratti tra P.A. e professionista condizionati all’erogazione del finanziamento, la Corte avrebbe dovuto invece compensare totalmente le spese processuali.

Il motivo è infondato.

Giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, in tema di spese processuali il sindacato della Corte Suprema di Cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (v. Cass. 19/6/2013 n. 15317; Cass., 5/4/2003 n. 5386; Cass., 3/7/2000 n. 8889; Cass., 25/9/1979 n. 4944).

  1. Nulla va disposto per le spese del presente giudizio di legittimità non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della 1. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione in data 11 maggio 2018.

 

 

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