Ordinanza 21100/2021
Accesso nel fondo altrui per la costruzione o riparazione di un muro od altra opera – Opere concernenti la parte del muro posto al di sotto del piano di campagna
In tema di accesso nel fondo altrui per la costruzione o riparazione «di un muro od altra opera», non possono escludersi dall’ambito di applicazione dell’art. 843 c.c. le opere concernenti la parte del muro che è al di sotto del piano di campagna, ivi compresi gli scavi nel fondo del vicino, dovendosi consentire, sulla base del principio del minimo mezzo e della natura dell’opera, tutte quelle indispensabili alla costruzione o riparazione propriamente detta a partire dalle fondamenta, nonché la permanenza e l’occupazione del fondo altrui per il tempo necessario per l’esecuzione di lavori non istantanei, purchè, a necessità terminata, venga eliminata, a cura e spese del depositante – cui, sin dall’inizio, fa carico l’obbligo del ripristino – ogni conseguenza implicante una perdurante diminuzione del diritto del proprietario del fondo vicino, che deve riprendere la sua originaria ampiezza. In tali casi compito del giudice di merito è quello di un’attenta valutazione comparativa tra l’entità del danno (inevitabile) che viene cagionato al vicino e la natura dell’opera che si deve eseguire.
Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 5-11-2021, n. 32100 (CED Cassazione 2021)
Art. 843 cc (Accesso al fondo) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Il Tribunale di Bari, con ordinanza ex art. 702 bis c.p.c. e ss., del 19 ottobre 2015, in accoglimento della domanda proposta da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS), trasferiva all’attore la proprietà del terreno promessogli in vendita con contratto preliminare, accertato l’inadempimento della convenuta che oltre a non comparire dinnanzi al notaio per la stipula del definitivo, prestava a terzi il consenso all’iscrizione di ipoteca sul bene oggetto di promessa, nonostante il promissario acquirente avesse versato integralmente il prezzo pattuito, come da quietanza rilasciata dalla stessa prominente venditrice, sottoscrizione ritenuta autografa a seguito dell’espletamento di C.T.U. grafologica.
In virtù dell’impugnazione interposta dalla (OMISSIS), la Corte di appello di Bari, nella resistenza dell’appellato, con sentenza n. 1473/2019, in parziale riforma della sentenza impugnata, rideterminava le spese processuali, confermato nel resto il provvedimento impugnato.
Avverso la sentenza della Corte di appello, (OMISSIS) propone ricorso per cassazione fondato su due motivi, cui resiste (OMISSIS) con controricorso.
Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio.
In prossimità dell’adunanza camerale la sola parte ricorrente ha curato il deposito di memoria illustrativa.
ATTESO CHE:
– con il primo motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma, 1, nn. 4 e 3, la nullità della sentenza per errores in procedendo – consistenti nella violazione degli artt. 702 ter e 702 quater c.p.c. – in relazione alla mancata ammissione della prova testimoniale; oltre alla violazione dell’art. 2702 c.c..
La ricorrente deduce l’erroneità della mancata ammissione della prova testimoniale dalla stessa articolata al fine di dimostrare il riempimento contra pacta del documento in bianco da lei sottoscritto e consistente nella quietanza di pagamento. In particolare, la (OMISSIS) critica la decisione della Corte di merito per aver ritenuto applicabili le regole dell’abusivo riempimento absque pactis, dal momento che l’accordo per il riempimento era intervenuto non già con l’ (OMISSIS), ma con il proprio genitore da qualificare come terzo.
Con il secondo motivo, evidentemente proposto in via condizionata all’accoglimento del primo mezzo, la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per errores in procedendo – consistenti nella violazione degli artt. 112 e 702 bis c.p.c. – data la mancata ammissione della prova testimoniale.
Ad avviso della ricorrente il giudice del gravame non avrebbe provveduto sul motivo di appello concernente l’erroneità della ordinanza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto tardiva l’articolazione della prova testimoniale. Tale questione, ritiene la ricorrente, potrebbe assumere rilevanza se venisse accolto il precedente motivo di ricorso.
I motivi di ricorso, che si devono trattare congiuntamente data la loro stretta connessione argomentativa, sono manifestamente infondati.
Si evidenzia che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in caso di sottoscrizione di un documento in bianco, il riempimento absque pactis consiste in una falsità materiale che trasforma il documento in qualcosa di diverso rispetto a quello che era in precedenza e che esclude la sua provenienza dal sottoscrittore. Al contrario, il riempimento contra pacta consiste in un inadempimento derivante dalla violazione del mandatum ad scribendum, il quale può avere non solo un contenuto positivo, ma anche negativo, dando comunque luogo ad un abuso di bianco segno, la cui dimostrazione non richiede, a differenza del primo, la proposizione di querela di falso (Cfr. Cass. n. 21587 del 2019; Cass. n. 18989 del 2010).
In altri termini, la giurisprudenza di legittimità ribadisce che qualora si sostenga la mancata sussistenza di un accordo raggiunto tra le parti per il riempimento di un foglio firmato in bianco deve proporsi querela di falso, mentre deve fornirsi la prova dell’accordo dal contenuto diverso da quello del documento sottoscritto ove sia effettivamente intervenuto un patto tra le parti (Cfr. Cass. n. 25445 del 2010).
Nel caso di specie, per poter dimostrare il riempimento abusivo della quietanza sottoscritta dalla ricorrente senza dover procedere alla querela di falso, la (OMISSIS) avrebbe dovuto dimostrare, non già l’esistenza di un patto con il padre, bensì la sussistenza di un accordo con (OMISSIS), essendo quest’ultimo parte del giudizio e del contratto preliminare.
Per tale ragione, la Corte di merito ha ritenuto irrilevante ai fini della decisione la prova testimoniale articolata dalla ricorrente in quanto diretta a dimostrare il riempimento abusivo di un terzo estraneo al giudizio poichè per privare di efficacia una scrittura riconosciuta come autentica – nel caso di specie la quietanza di pagamento – avrebbe dovuto proporre querela di falso, trattandosi di atto il cui contenuto non è da attribuire nè alla (OMISSIS) nè all’ (OMISSIS) per stessa ammissione della ricorrente.
In conclusione il Collegio reputa che il ricorso sia inammissibile, in quanto il provvedimento impugnato ha deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi di ricorso non offre elementi per mutare l’orientamento della stessa, con conseguente inammissibilità ex art. 360 bis c.p.c., n. 1.
Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente che vengono liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori previsti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-qualer D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1 comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2^ Sezione Civile, il 13 gennaio 2021.