Ordinanza 21198/2022
Contratto preliminare – Recesso unilaterale
Anche nell’ambito del contratto preliminare si applica la regola, stabilita dall’art. 1373, comma 1 c.c., secondo cui il recesso non può essere esercitato dalla parte quando, dopo la conclusione del contratto, questo abbia avuto un principio di esecuzione, quando cioè l’effetto reale del contratto si è in tutto o in parte realizzato o la prestazione obbligatoria, come la consegna del bene prima della stipulazione del contratto definitivo o il versamento di un acconto sul prezzo, è stata in tutto o in parte adempiuta.
Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 5-7-2022, n. 21198 (CED Cassazione 2022)
Art. 1373 cc (Recesso unilaterale dal contratto) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
1.- Co. Fi. conveniva, davanti al Tribunale di Taranto, D.S. Gi., D.S. Ma., D.S. Pa., D.S. A.M. e D.S. Ma.Ro., chiedendo che le convenute fossero condannate, in solido, al risarcimento dei danni conseguenti all’asserito inadempimento del preliminare del 3 maggio 2008, nella misura di euro 551.600,00.
All’uopo, l’attore esponeva: che le convenute gli avevano promesso in vendita, per il prezzo di euro 318.400,00, un fondo rustico in agro di San Giorgio ionico; che le stesse convenute non avevano mantenuto fede all’impegno assunto ai fini della stipula del definitivo; che, per l’effetto, ne erano derivati consistenti danni rispetto alla destinazione che il promissario acquirente intendeva dare al fondo.
Si costituivano D.S. Gi., D.S. Ma., D.S. Pa., D.S. A.M. e D.S. Ma.Ro., le quali resistevano alla domanda.
In specie, D.S. Gi. spiegava domanda riconvenzionale con cui chiedeva che fosse accertato il legittimo scioglimento del contratto preliminare, in forza del recesso esercitato ai sensi della lett. h) della scrittura.
Per contro, D.S. Ma., D.S. Pa., D.S. A.M. e D.S. Ma.Ro. disconoscevano le sottoscrizioni apposte sulla scrittura privata.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 2511/2014, rigettava la domanda principale proposta dall’attore e accoglieva la domanda riconvenzionale spiegata da D.S. Gi., dichiarando sciolto il preliminare di vendita immobiliare.
Nel merito, la pronuncia evidenziava: che, a fronte del disconoscimento delle sottoscrizioni apposte dalle convenute, fatta eccezione per D.S. Gi., l’attore non aveva formulato istanza di verificazione; che la scrittura non aveva, quindi, efficacia nei confronti delle convenute che avevano disconosciuto le loro sottoscrizioni; che D.S. Gi. aveva esercitato il recesso dal contratto conformemente alla previsione di cui alla lett. h) della scrittura, mediante comunicazione scritta inoltrata al promissario acquirente entro 180 giorni dalla stipula del preliminare; che la scrittura in data 1° settembre 2008, a conforto della dichiarazione di recesso, dimostrava che l'(OMISSIS) S.r.l. aveva offerto alla recedente un maggior prezzo, così legittimandola all’esercizio del recesso secondo la suindicata clausola negoziale; che non risultava che il Co. avesse dato inizio all’esecuzione del preliminare.
2.- Sul gravame interposto da Co. Fi., la Corte d’appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’appello e confermava la pronuncia impugnata.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte territoriale rilevava: a) che, sebbene l’offerta avanzata dalla (OMISSIS) S.r.l. risultasse da scrittura irritualmente allegata, tuttavia nell’atto introduttivo del giudizio, ai punti 14 e 15, l’attore non aveva posto in discussione l’effettiva esistenza dell’offerta, avendo meramente eccepito la nullità del recesso “perché fuori tempo”; b) che, in questa prospettiva, l’irregolarità formale della produzione era ininfluente, atteso che era incontroverso che la promittente venditrice avesse effettivamente ricevuto l’offerta di acquisto del fondo per un miglior prezzo, che la legittimava all’esercizio del recesso, giusta la previsione di cui alla lett. h) del contratto preliminare del 3 maggio 2008; c) che la comunicata disponibilità all’acquisto, l’inoltro di diffida ad adempiere, l’emanazione di delibera del Comune di San Giorgio Jonico di assenso all’installazione di impianto di energia alternativa sul fondo, non costituivano atti integranti esecuzione del preliminare, in relazione all’unica obbligazione contrattualmente assunta dal promissario acquirente, riguardante il pagamento del prezzo; d) che non vi era mai stata rinunzia all’azione risarcitoria, nei confronti delle convenute che avevano disconosciuto le relative sottoscrizioni, stante che la medesima azione era stata riproposta anche in sede di gravame, con la conseguenza che correttamente il Giudice di prime cure aveva addebitato all’attore le spese processuali, in ossequio al disposto dell’art. 91 c.p.c.; e) che non constava che l’appellante avesse agito con dolo o colpa grave e comunque che avesse arrecato danni agli appellati, cosicché non era applicabile l’art.96 c.p.c.
3.- Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, Co. Fi.. Sono rimasti intimati D.S. Gi., Sc. Ma. An., Sc. Ca. e Sc. Pa., quali eredi di D.S. Ma., D.S. Pa., D.S. A.M. e Ve. An., quale erede di D.S. Ma.Ro..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 2702 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto incontroverso che la promittente alienante avesse effettivamente ricevuto un miglior prezzo, idoneo a legittimarla all’esercizio del recesso, a fronte di un documento privo della sottoscrizione del promissario acquirente.
Secondo l’istante, tale documento non avrebbe avuto i requisiti minimi indispensabili di una scrittura privata, sicché sarebbe stato privo di qualsiasi valore probatorio ai fini di integrare il presupposto determinante della legittimità del recesso esercitato.
2.- Con il secondo motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione dell’art. 101, secondo comma, c.p.c. nonché degli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., per avere la Corte di merito accolto la domanda riconvenzionale proposta da D.S. Gi., in ordine alla verifica della legittimità del recesso esercitato, sul decisivo presupposto dell’efficacia del preliminare concluso con la società (OMISSIS) S.r.l., nonostante l’irritualità della sua produzione nel giudizio di primo grado.
Sul punto, l’istante deduce che il documento non avrebbe potuto essere utilizzato per la decisione, in quanto il suo deposito tardivo non aveva consentito di attuare il contraddittorio quanto alla contestazione del contenuto dell’atto.
3.- Con il terzo motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., della violazione degli artt. 342, primo comma, e 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che l’attore non avesse posto in discussione l’effettiva esistenza dell’offerta, a fronte di un documento che non aveva avuto ancora modo di conoscere. All’uopo, il ricorrente sostiene che aveva comunque confutato fermamente le modalità del recesso esercitato, e quindi implicitamente anche la dichiarazione circa l’esistenza di una maggiore offerta, senza che tale questione fosse stata riproposta dagli interessati in sede di appello.
4.- Il quarto motivo investe, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 1175, 1373 e 1376 c.c., per avere il Giudice del gravame escluso che, prima della comunicazione del recesso, il promissario acquirente avesse posto in essere attività che rappresentavano principio di esecuzione del contratto.
In proposito, l’istante espone che la richiesta volta a concordare la data del rogito, la specifica deliberazione del Comune di San Giorgio Jonico sull’autorizzazione per la realizzazione di un campo fotovoltaico, il preliminare stipulato con la società immobiliare di gestione dell’acquistando suolo, l’invito rivolto alla D.S. ad adempiere e la successiva diffida, avrebbero integrato atti di esecuzione del preliminare.
5.- Il quinto motivo attiene, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., alla violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere il Giudice dell’impugnazione disposto la condanna alle spese anche nei confronti delle convenute che avevano disconosciuto le sottoscrizioni apposte sul preliminare, nonostante l’attore-appellante si fosse associato alla richiesta di estromissione di tali parti dal giudizio, richiesta sulla quale il giudice non aveva provveduto.
Al riguardo, l’istante osserva che anche tali parti avrebbero concorso, con il comportamento da esse assunto, a giustificare la loro evocazione in giudizio, posto che, a seguito delle diffide inviate, non avevano comunicato che le firme apposte sul preliminare erano apocrife.
6.- Deve essere esaminato anzitutto il terzo motivo, stenta la sua priorità logica rispetto alle altre critiche proposte.
Il motivo è privo di pregio.
E ciò perché la sentenza impugnata ha evidenziato che nell’atto introduttivo del giudizio, ai punti 14 e 15, l’attore non ha posto in discussione l’effettiva esistenza dell’offerta avanzata da terzi sul fondo, avendo meramente eccepito la nullità del recesso “perché fuori tempo”. Dal che la Corte territoriale ha desunto che l’irregolarità formale della produzione sarebbe stata ininfluente, essendo rimasto incontroverso che la promittente venditrice avesse effettivamente ricevuto l’offerta di acquisto per un miglior prezzo, fatto che la legittimava all’esercizio del recesso, giusta la previsione di cui alla lett. h) del contratto preliminare del 3 maggio 2008.
Attraverso queste argomentazioni non si è imputato all’attore di non aver contestato il documento non ancora depositato, bensì di non aver contestato il fatto storico che quest’ultimo era destinato a provare.
In altri termini, il Giudice del gravame – esaminando il tenore della citazione introduttiva del giudizio di primo grado – ha verificato che l’attore aveva implicitamente riconosciuto che vi fosse stata un’offerta migliore, avendo contrastato l’esercizio del recesso, non già per la carenza del suo presupposto sostanziale, bensì per la sua tardività.
Questa circostanza processuale non è stata specificamente posta in discussione dall’odierno ricorrente.
Sicché deve ritenersi acquisito che la causale per la quale il promissario acquirente ha impugnato in giudizio la legittimità del recesso non è stata rappresentata dalla carenza di migliori offerte, bensì dalla tardiva comunicazione dei presupposti per il suo esercizio, a fronte dell’offerta migliore ricevuta, rispetto ai tempi pattuiti.
7.- Dal rigetto del terzo motivo discende, in via consequenziale, l’inammissibilità del primo e del secondo motivo.
E ciò perché, essendo la decisione fondata su due autonome e concorrenti rationes decidendi, la contestazione di una di esse, a fronte della reiezione dell’altra, non è comunque in grado di confutare il complessivo esito decisorio della pronuncia impugnata.
Segnatamente, la contestazione in ordine alla sussistenza dei requisiti minimi affinché il documento prodotto potesse considerarsi una valida scrittura privata e il rilievo processuale sul tardivo e irrituale deposito del documento nel giudizio di prime cure, non costituiscono ragioni idonee a porre in discussione la conclusione cui è pervenuta la sentenza della Corte territoriale sulla legittimità del recesso esercitato, posto che tale conclusione è stata basata anche sull’ulteriore ragione, in forza della quale è stato lo stesso promissario acquirente a riconoscere, seppure implicitamente, l’esistenza di un’offerta migliore, ragione non superata dalla critica specificamente mossa sul punto e disattesa.
Ed invero, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza (o inammissibilità) delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 18170 del 06/06/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 17131 del 26/05/2022; Sez. 1, Sentenza n. 39169 del 09/12/2021; Sez. 5, Ordinanza n. 11493 del 11/05/2018; Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012).
7.1.- A fortiori conviene comunque rilevare che, in ordine alla prima doglianza, non è stato trascritto nel corpo del ricorso il contenuto del documento rispetto al quale è stata contestata la carenza dei requisiti minimi indispensabili affinché potesse configurarsi una valida ed efficace scrittura privata ai sensi dell’art. 2702 c.c., non essendo all’uopo sufficiente che tale documento sia stato offerto in comunicazione.
Infatti, il ricorso per cassazione, per come articolato, non permette di valutare la fondatezza delle ragioni addotte, per difetto di trascrizione, quantomeno nei punti essenziali, del documento di cui è stata denunciata l’erronea valutazione a cura del Giudice del gravame.
Se, per un verso, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6), c.p.c., quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non può essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (Cass. Sez. U, Ordinanza n. 8950 del 18/03/2022), per altro verso, tale principio non può ritenersi rispettato qualora il motivo di ricorso faccia rinvio agli atti allegati e contenuti nel fascicolo di parte, senza riassumerne il contenuto, al fine di soddisfare il requisito ineludibile dell’autonomia del ricorso per cassazione, fondato sulla idoneità del contenuto delle censure a consentire la decisione (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 6769 del 01/03/2022).
7.2.- In secondo luogo, quanto alla deduzione dell’irritualità del deposito del documento posto a fondamento della decisione di primo grado, e utilizzato anche nel giudizio di gravame, si rileva che la violazione del contraddittorio conseguente all’utilizzazione a sorpresa della scrittura nella sentenza di prime cure è stata sanata dall’attuazione del pieno contraddittorio nel giudizio di gravame.
Atteso che le norme relative alla produzione di documenti sono finalizzate a garantire il diritto di difesa della parte contro cui la produzione ha luogo, tale finalità, peraltro, si deve ritenere conseguita e l’eventuale irritualità della produzione risulta sanata quando il giudice di primo grado abbia tenuto conto dei documenti irritualmente prodotti, fondando su di essi la decisione, e la parte che lamenta l’irritualità della produzione abbia censurato la decisione, dimostrando, in tal modo, di avere avuto conoscenza dei documenti (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 11515 del 15/06/2020; Sez. 1, Ordinanza n. 21219 del 09/08/2019; Sez. 3, Sentenza n. 9545 del 22/04/2010; Sez. 3, Sentenza n. 771 del 20/01/2004).
8.- Anche la quarta censura è infondata.
I menzionati comportamenti unilateralmente posti in essere dal promissario acquirente – peraltro estranei al contenuto precettivo dell’atto, ossia non costituenti attuazione di obbligazioni con esso assunte – in alcun modo possono considerarsi di per sé principio di esecuzione del contratto preliminare, ai sensi ed agli effetti dell’art. 1373 c.c.
Infatti, l’art. 1373 c.c. – il quale, nel disciplinare l’istituto del recesso unilaterale (diverso da quello per inadempimento previsto dall’art. 1385 c.c.), stabilisce che la parte cui è attribuita pattiziamente detta facoltà può esercitarla finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione – non prescinde, in virtù sia del suo testo letterale, sia della sua ratio (ravvisabile nell’incompatibilità concettuale tra proposito di sciogliere unilateralmente il rapporto e consenso precedentemente manifestato a darvi attuazione, sia pure parziale), da una connotazione volontaristica del principio di esecuzione, nel senso che questo, per poter precludere il recesso, o deve essere stato posto in essere dallo stesso recedente o, se posto in essere da altro contraente, non deve aver trovato opposizione e rifiuto da parte del primo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10300 del 01/12/1994).
Ora, il mero invito unilaterale del promissario acquirente a concludere il definitivo, la sua attivazione – estranea alle facoltà contemplate dalla scrittura – ai fini di ottenere le autorizzazioni amministrative per l’utilizzazione del fondo nel caso di perfezionamento dell’acquisto definitivo, la stipulazione, sempre da parte del promissario acquirente, di un preliminare di cessione del bene nel caso in cui si fosse perfezionato in suo favore l’acquisto del fondo, la diffida ad adempiere proveniente dal promissario acquirente, non costituiscono contegni indicativi della volontà del recedente di dare esecuzione al preliminare, appunto perché si tratta di condotte imputabili alla controparte, né costituiscono atti idonei a dare attuazione al preliminare, cui il recedente abbia aderito.
Nella fattispecie, come correttamente osservato dal Giudice di merito, il versamento di una parte del prezzo, accettato dal promittente alienante, costituendo principio di esecuzione del contratto, avrebbe potuto impedire l’esercizio del diritto di recesso ai sensi dell’art. 1373 c.c., in relazione alla funzione socio-giuridica del negozio (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1101 del 04/02/1988; Sez. 2, Sentenza n. 2625 del 26/04/1984; Sez. 3, Sentenza n. 727 del 30/01/1980).
Segnatamente, il principio in forza del quale il diritto della parte di recedere dal contratto, anche se collegato alla prestazione di una caparra penitenziale, non si sottrae alla regola generale, stabilita dall’art. 1373, primo comma c.c., secondo cui il recesso non può essere esercitato quando dopo la conclusione del contratto questo abbia avuto un principio di esecuzione, quando cioè l’effetto reale del contratto si è in tutto o in parte realizzato o la prestazione obbligatoria è stata in tutto o in parte adempiuta, trova applicazione anche in ordine al contratto preliminare, dal quale conseguono effetti anticipatori delle prestazioni corrispettive delle parti, come il versamento di un acconto sul prezzo e la consegna della cosa successivamente alla stipulazione del contratto preliminare e anteriormente alla stipulazione del contratto definitivo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6582 del 15/12/1984; Sez. 2, Sentenza n. 5641 del 28/10/1982; Sez. 2, Sentenza n. 6318 del 04/12/1980; Sez. 2, Sentenza n. 6507 del 13/12/1979).
Ma di tali condotte anticipatorie ascrivibili al recedente, per quanto detto, non vi è traccia.
9.- Anche la quinta censura è destituita di fondamento. Secondo la ricostruzione, esente da vizi logici e giuridici, della Corte di merito, il contegno processuale assunto dall’attore-appellante ha giustificato la disposizione della condanna alla refusione delle spese di lite a carico di quest’ultimo e in favore delle convenute-appellate che hanno disconosciuto le sottoscrizioni apposte sulla scrittura.
Al riguardo, il Giudice d’appello ha evidenziato che l’attore-appellante non ha mai rinunciato all’azione risarcitoria, nei confronti delle convenute che avevano disconosciuto le relative sottoscrizioni, stante che la medesima azione è stata riproposta anche in sede di gravame, pure nei confronti di tali convenute-appellate, con la conseguenza che correttamente il Giudice di prime cure ha addebitato all’attore le spese processuali, in ossequio al disposto dell’art. 91 c.p.c.
In applicazione dei principi di soccombenza e causalità, pertanto, la condanna alle spese è stata disposta a carico della parte soccombente che ha evocato in giudizio le parti vincitrici e che ha reiterato le domande verso tali parti anche nel giudizio di gravame.
Peraltro, anche l’invocata – e ipotetica – estromissione dal giudizio di dette convenute non avrebbe esonerato l’attore che le aveva evocate dalla refusione delle spese fino ad allora sostenute (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7625 del 26/03/2013).
10.- Alle considerazioni innanzi espresse consegue il rigetto del ricorso.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese di lite, in quanto le parti evocate nel giudizio di legittimità sono rimaste intimate.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso. Non vi è luogo a provvedere sulle spese di lite.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 1° giugno 2022.