Fallimento – Concessione in locazione del bene a terzi – Indebito dei canoni una volta venuto meno il titolo che aveva giustificato l’acquisizione del bene alla massa
La curatela fallimentare che abbia concesso in locazione a terzi un immobile sulla base dell’accoglimento dell’azione revocatoria nei gradi di merito, è tenuta – una volta venuto meno il titolo che aveva giustificato l’acquisizione del bene alla massa, per effetto dell’estinzione del giudizio, dichiarata per mancata riassunzione a seguito di cassazione con rinvio – a restituire al proprietario il bene e i frutti dal medesimo prodotti, nella specie, i canoni percepiti per la durata della locazione, atteso che l’obbligo restitutorio in questione è regolato dagli artt. 2033 e 2037 c.c. in tema di ripetizione di indebito.
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 26-7-2021, n. 21371
Art. 2033 cc (Indebito oggettivo) – Giurisprudenza
Art. 2037 cc (Restituzione di cosa determinata) – Giurisprudenza
Art. 2041 cc (Azione generale di arricchimento) – Giurisprudenza
Ritenuto che:
1. (OMISSIS) ha proposto dinanzi il Tribunale fallimentare di Foggia insinuazione tardiva nello stato passivo del Fallimento della società di fatto – (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) – di un proprio credito in prededuzione di Euro 58.204,72, corrispondente ai canoni di locazione percepiti dal fallimento a seguito del contratto di locazione di un immobile. L’istante ha premesso di aver acquistato dai coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS) l’immobile locato con un atto dichiarato inefficace in prime cure dal Tribunale di Lucera con sentenza del 17 gennaio 1996 e in seconde cure dalla Corte d’Appello di Bari con sentenza n. 388 del 1998. In particolare, ha esposto che la revocatoria dell’atto di acquisto del (OMISSIS) dichiarata in appello – fu poi cassata da questa Corte con rinvio ad altra sezione della corte barese senza che nessuno provvedesse alla riassunzione del giudizio, sicchè il Tribunale di Lucera con sentenza del 2004, aveva dichiarato l’estinzione del giudizio, ordinato la restituzione del bene e rigettato la domanda risarcitoria da mancato godimento dell’immobile proposta dal (OMISSIS), in quanto il comportamento della curatela – che nelle more aveva concesso il bene in locazione ad un terzo – non poteva ritenersi illegittimo.
La Corte di Appello di Bari aveva poi confermato la sentenza, ma con diversa motivazione quanto alla domanda risarcitoria, in quanto aveva reputato che non potesse essere spiegate: in sede ordinaria, ma dovesse farsi valere nelle forme dell’insinuazione al passivo fallimentare.
2. Il (OMISSIS) aveva allora iniziato il giudizio per l’insinuazione tardiva nel passivo fallimentare per il credito corrispondente all’importo dei canoni locativi percepiti dal fallimento in forza della locazione.
Il Tribunale adito accolse la domanda affermando che dalla caducazione delle sentenze di revocatoria derivava, oltre all’effetto restitutorio, anche l’obbligo di riparazione del danno per mancato godimento della cosa, danno da ritenersi in re ipsa corrispondente alla mancata corresponsione dei canoni che il fallimento aveva percepito indebitamente una volta che era stato dichiarato estinto il giudizio sulla revocatoria dell’atto di trasferimento immobiliare.
Il Fallimento propose appello chiedendo, con un primo motivo, di accertare che il giudice aveva errato nel ritenere che l’azione ex art. 2041 c.c. avesse natura risarcitoria anzichè indennitaria e di affermare che il (OMISSIS) non aveva diritto ad alcun ristoro a titolo di lucro cessante (canoni non percepiti) in quanto la locazione era stata stipulata dopo l’acquisizione del bene alla massa; con un secondo motivo che il danno non era in re ipsa, dovendo il (OMISSIS) dimostrare di aver subito un pregiudizio patrimoniale dal mancato godimento dell’immobile, prova che non aveva mai fornito; che in ogni caso non vi era il requisito dello spostamento patrimoniale senza giusta causa in quanto il fallimento aveva legittimamente stipulato il contratto di locazione; e che l’ordinanza di restituzione dell’immobile aveva ritenuto la piena validità ed opponibilità del contratto di locazione nei confronti del (OMISSIS).
3. La Corte d’Appello di Bari, con sentenza n. 461 del 5/4/2018, dopo avere detto fondato il secondo motivo ma inidoneo a giustificare la riforma della decisione, ha espressamente rigettato il primo motivo – avente ad oggetto la domanda di restituzione basata sull’art. 2041 c.c. – ed ha qualificato la fattispecie come di restituzione di indebito, ritenendo che fosse indebita la percezione, da parte del fallimento, dei canoni per l’intero periodo della locazione, e cioè dal 1999 al 2013, non potendo svolgere alcuna influenza la legittimità della locazione prima della caducazione delle pronunce di revocatoria. Ha conseguentemente ritenuto infondati gli altri motivi ed ha, conclusivamente, rigettato l’appello condannando il fallimento alle spese del grado.
4. Avverso la sentenza il Fallimento della società di fatto – (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) – ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo. Nessuno ha resistito al ricorso.
5. La causa è stata fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c.
Considerato che:
1. Con l’unico motivo di ricorso — violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1 n. 3 c.p.c. – il ricorrente lamenta che la sentenza abbia violato l’art. 2041 c.c. perchè, pur condividendo in astratto il principio per cui l’indennità ex art. 2011 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita con esclusione di quanto il depauperato avrebbe percepito a titolo di lucro cessante per profitti non realizzati, non avrebbe poi dato seguito alle corrette premesse del ragionamento ed avrebbe riconosciuto al (OMISSIS) non solo la somma di cui si sarebbe teoricamente impoverito ma anche il mancato guadagno corrispondente all’intero importo dei canoni di locazione. Con tale statuizione la impugnata sentenza avrebbe del tutto disatteso l’insegnamento delle Sezioni Unite secondo il quale (Cass., U, n. 23385 de1111/9/2008) “In tema di azione d’indebito arricchimento nei confronti della P.A., conseguente all’assenza di un valido contratto di appalto di opere (nella specie perchè annullato dal Giudice Amministrativo), tra la P.A. (nella specie un Comune) ed in privato (nella specie un consorzio di cooperative), l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtu’ del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace; pertanto, ai fini della determinazione dell’indennizzo dovuto, non può farsi ricorso alla revisione prezzi, tendente ad assicurare al richiedente quanto si riprometteva di ricavare dall’esecuzione del contratto, la quale, non può costituire neppure un mero parametro di riferimento, trattandosi di meccanismo sottoposto dalla legge a precisi limiti e condizioni, pur sempre a fronte di un valido contratto di appalto (Principio enunciato dalle Sezioni Unite, in fattispecie antecedente alla legge 24 aprile 1989, n. 144, risolvendo un contrasto in riferimento ai criteri di calcolo dell’indennizzo ex art. 2041 c.c.).
1.1 Il motivo è infondato. Innanzitutto la deduzione della violazione dell’art. 2041 c.c. è priva di correlazione con la ratio decidendi della decisione impugnata; infatti, come emerge dalla motivazione espressa dalla seconda metà di pag. 6 a tutta la pagina 7, la Corte di merito ha rigettato il motivo basato sull’art. 2041 c.c. qualificando correttamene la fattispecie come di restituzione di indebito e con la opportuna precisazione che oggetto dell’indebito non è il lucro cessante conseguente al mancato godimento dell’immobile ma proprio la percezione, da parte della Curatela, di somme che a posteriori sono risultate a lei non dovute; nè rileva in tal senso che l’immobile non fosse locato al tempo in cui è stato acquisito dalla massa, rilevando al contrario il solo dato oggettivo che sia stato locato e che abbia prodotto frutti indebitamente percepiti da chi è risultato poi non avere titolo alla percezione. Conseguentemente la percezione dei canoni risulta indebita per l’intero periodo della locazione, e cioè dal 1993 al 2011, senza che possa avere alcuna influenza che vi sia stata e permanga una giusta causa di spostamento patrimoniale tra Curatela locatrice e terzo conduttore perchè indebita non è la percezione dei canoni dal conduttore ma la percezione dei canoni da parte della Curatela, invece che da parte del (OMISSIS).
La motivazione – che dunque non si muove sul piano dell’art. 2041 c.c. ma su quello diverso dell’indebito oggettivo – è corretta in quanto la situazione del Fallimento, una volta dichiarata, con l’utile esercizio dell’azione revocatoria, l’inefficacia dell’atto di vendita al (OMISSIS), appresa la disponibilità del bene ritornato nel patrimonio della società fallita, è stata quella di chi ha espletato a favore della massa il godimento del bene. Tale godimento, nelle more della vicenda giudiziale relativa al giudizio di revocatoria e fino all’estinzione di esso e, dunque, al venir meno del titolo che l’aveva giustificato, si è estrinsecato nella stipulazione del contratto locativo e, dunque, in via indiretta, cioè in quel modo di godere del titolare della disponibilità di un bene che si articola con il goderlo indirettamente attraverso il conferimento del godimento materiale ad un terzo iure locationis e la consecuzione del corrispettivo rappresentato dal canone. Una volta venuto meno il titolo che aveva giustificato, in forza della revocatoria, l’acquisizione del bene alla massa, tale venir meno dava luogo all’obbligo di restituire il (OMISSIS) nella situazione quo ante e, dunque, di titolare del bene e della possibilità di goderlo, con la conseguenza che l’obbligo restitutorio risultava regolato dagli artt. 2037 e 2033 c.c. La prima disposizione riguarda la restituzione di una cosa determinata ma la sua disciplina non esclude che, in sede di restituzione, la cosa rilevi anche agli effetti dell’art. 2033 c.c. e, dunque, comprenda anche la restituzione dei frutti che la cosa abbia prodotto.
Si veda in tal senso la giurisprudenza di questa corte in tema di indebito oggettivo. Ad esempio Cass., 3, n. 18185 del 25/8/2014: “In caso di risoluzione per inadempimento del vincolo contrattuale, il venir meno della “causa adquirendi” comporta l’obbligo di restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso, secondo le regole dell’indebito oggettivo, sicchè, ove si verta nel caso di restituzione di una cosa determinata della quale sia impossibile la riconsegna, l’obbligo dell’accipiens risulta disciplinato dall’art. 2037 c.c., sicchè, ove sia in malafede nel ricevere o trattenere il bene, è tenuto a corrispondere il controvalore, mentre ne l’opposta situazione di buona fede è obbligato nei soli limiti del suo arricchimento”; Cass., 3, n. 16757 del 23/7/2014: “In mancanza di una “causa adquirendi” per l’accertata incommerciabilità del bene promesso in vendita (nella specie, per la realizzazione del manufatto su terreno demaniale), la declaratoria di nullità del contratto preliminare per violazione di norme imperative, della quale entrambi i contraenti siano stati partecipi, comporta l’accoglimento delle richieste del venditore di restituzione del bene e di pagamento dell’indennizzo per la diminuzione di valore dell’immobile (nella specie, a causa di un incendio fortuitamente divampato) quando era nella disponibilità del promissario acquirente, mentre non spetta alcun compenso per l’uso che della cosa abbia fatto quest’ultimo nel medesimo arco di tempo”.
2. Conclusivamente il ricorso va rigettato. Non occorre provvedere sulle spese. Si dà, invece, atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, del cd. raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese. Si dà atto, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile del 3/2/2021.