Ordinanza 21398/2021
Clausola penale – Funzione – Risarcimento forfettario di danno presunto – Danni ulteriori
La clausola penale, svolgendo la funzione di risarcimento forfettario di un danno presunto, è intesa a rafforzare il vincolo contrattuale e a stabilire preventivamente la prestazione cui è tenuto uno dei contraenti qualora si renda inadempiente, con l’effetto di limitare a tale prestazione il risarcimento, indipendentemente dalla prova dell’esistenza e dell’entità del pregiudizio effettivamente sofferto, salvo che sia convenuta la risarcibilità del danno ulteriore, nel qual caso la clausola costituisce solo una liquidazione anticipata del danno, destinata a rimanere assorbita, ove sia provata la sussistenza di maggiori pregiudizi, nella liquidazione complessiva di questi, senza potersi con essi cumulare.
Cassazione Civile, Sezione 6-3, Ordinanza 26-7-2021, n. 21398 (CED Cassazione 2021)
Art. 1382 cc (Clausola penale) – Giurisprudenza
Ritenuto in fatto
– che Gi. Co. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 770/18, del 13 settembre 2018, della Corte di Appello di Messina, che — accogliendo parzialmente, e per l’esattezza solo in punto spese sostenute per la CTU espletata in primo grado, il gravame dallo stesso esperito contro la sentenza n. 419/15, del 18 febbraio 2015, del Tribunale di Messina — ha, per il resto, confermato la decisione del primo giudice di circoscrivere la condanna di (OMISSIS) S.p.a., per avere illegittimamente proceduto al distacco della linea telefonica del Co., alla somma di € 800,00 (oltre interessi dal momento della domanda giudiziale) a titolo di danno da “disagio psichico di lieve entità”;
– che, in punto di fatto, il ricorrente riferisce di aver ha agito in giudizio per la declaratoria di responsabilità della società (OMISSIS), per avere essa disposto la sospensione, per dodici giorni, dell’erogazione del servizio telefonico, pur in presenza di reclamo dell’utente (circostanza contrattualmente ostativa alla sospensione della prestazione);
– che accolta solo parzialmente dal primo giudice la domanda, avendo il Tribunale riconosciuto una somma di € 800,00 a titolo di risarcimento del danno “da temporaneo disagio psichico”, ma non pure l’indennizzo contrattualmente stabilito (e pari al 50% del canone mensile, moltiplicato per i giorni di sospensione, e dunque, nella specie, corrispondente ad un importo di C 582,12), l’attore esperiva gravame, rigettato, sul punto, dal giudice di appello, che compensava le spese di lite, pur accogliendo il mezzo quanto alla decisione del primo giudice di porre le spese di CTU a carico dell’attore vittorioso;
– che avverso la sentenza della Corte messinese il Co. ricorre per cassazione, sulla base — come detto — di due motivi;
– che il primo motivo denuncia — ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. — violazione e falsa applicazione dell’art. 27 delle condizioni generali di abbonamento Telecom, nonché degli artt. 1382, 1218, 1223, 1226 e 2059 cod. civ., e ciò sul presupposto che quello previsto dalla clausola penale presente nel contratto sarebbe un indennizzo da ritardo, cumulabile, pertanto, con il risarcimento del danno biologico subito da esso ricorrente;
– che il secondo motivo denuncia — sempre ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. — violazione dell’art. 92 cod. proc. civ., oltre ad omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, contestando la decisione della Corte territoriale di disporre la compensazione delle spese del giudizio per il solo fatto che il gravame allora esperito del ricorrente fosse stato accolto “limitatamente” al motivo relativo al mancato riconoscimento delle spese di CTU;
– che ha resistito all’impugnazione, con controricorso, la società (OMISSIS), chiedendo che lo stesso venga dichiarato inammissibile o rigettato;
– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio il 26 novembre 2020.
Considerato in diritto
– che il ricorso è manifestamente infondato;
– che in relazione al primo motivo deve rilevarsi, preliminarmente, come il precedente giurisprudenziale citato a sostegno dello stesso (Cass. Sez. 2, sent. 31 ottobre 2018, n. 27994), oltre a non essere conferente rispetto al caso che occupa, costituisce più una smentita, che non una conferma, dell’assunto del ricorrente;
– che, difatti, esso non è conferente, perché concerne il caso in cui, stipulata una penale per il semplice ritardo nell’erogazione della prestazione, si sia verificato anche l’inadempimento definitivo (ipotesi che non ricorre nel caso che occupa), stabilendo che, verificatasi tale seconda evenienza, la penale “non è operante nei confronti del secondo evento” (non precludendo, quindi, l’autonomo ristoro del danno da esso derivante);
– che, inoltre, il citato arresto è una smentita della tesi del ricorrente, laddove afferma che, “qualora la penale venga fissata per il solo ritardo” (a tale ipotesi può equipararsi quella presente, ovvero di temporaneo inadempimento della prestazione in un contrato di durata), il creditore, esigendola, “non perde il diritto di pretendere la prestazione pur dopo il verificarsi di tale ritardo (art. 1383 cod. civ.), né quindi il diritto, a fronte di un inadempimento definitivo, di essere risarcito del danno ulteriore e diverso rispetto a quello coperto dalla penale medesima”, facendo, però, specificamente “salva, nel caso di cumulo di penale per il ritardo e prestazione risarcitoria per l’inadempimento, la necessità di tener conto, nella liquidazione di quest’ultima, della entità del danno ascrivibile al ritardo che sia stato già autonomamente considerato nella determinazione della penale, al fine di evitare un ingiusto sacrificio del debitore” (così Cass. Sez. 2, sent. n. 27994 del 2018, cit.), così, dunque, confermando la necessità di “scorporare” dall’entità del risarcimento quanto già liquidato a titolo di penale;
– che, pertanto, nell’ipotesi che occupa, nella quale rilevano (sempre e solo) i danni da temporanea ritardata esecuzione della prestazione, il ristoro “effettivo” degli stessi non può cumularsi con quel risarcimento “forfettario” realizzato attraverso la pattuizione di cui all’art. 1382 cod. civ.;
– che, difatti, costante è l’affermazione di questa Corte secondo cui la “clausola penale è intesa a rafforzare il vincolo contrattuale e a stabilire preventivamente la prestazione cui è tenuto uno dei contraenti qualora si renda inadempiente, con l’effetto eli limitare a tale prestazione il risarcimento, indipendentemente dal danno effettivo”, salvo “la risarcibilità di un danno ulteriore qualora ciò sia convenuto” (Cass Sez. 3, sent. 25 giugno 1963, n. 1720, Rv. 262635-01), sicché la funzione della clausola è di permettere la monetizzazione di tale pregiudizio “indipendentemente dalla prova della concreta esistenza del danno effettivamente sofferto” (Cass. Sez. 2, sent. 17 dicembre 1976, n. 4664, Rv. 383408-01), restando, d’altra parte, inteso — e sempre in coerenza con la funzione di risarcimento forfettario di un danno presunto, propria della clausola penale — che la clausola “costituisce solo una liquidazione anticipata del danno destinata a rimanere assorbita, nel caso di prova di ulteriori e maggiori danni, nella liquidazione complessiva di questi” (da ultimo, Cass. Sez. 1, sent. 22 giugno 2016, n. 12956, Rv. 640130-01);
– che, per concludere sul punto, il Co. non poteva conseguire una somma maggiore di quella già liquidatagli a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, ed alla quale, per vero, neppure avrebbe avuto diritto (ma in difetto di ricorso incidentale, sul punto, da parte dell’odierna controricorrente, tale statuizione è divenuta incontrovertibile), visto che “l’inadempimento del gestore telefonico tale da impedire l’uso del telefono fisso, quale che ne sia la durata, non può legittimare alcuna pretesa al risarcimento di danni non patrimoniali in quanto il diritto a comunicare con un solo telefono non è un diritto fondamentale della persona, perché non necessario alla sopravvivenza, e l’impedimento dell’uso del telefono non menoma né la dignità, né la libertà dell’essere umano, né costituisce violazione di alcuna libertà costituzionalmente garantita, tanto meno quella di comunicare” (così Cass. Sez. 6-3, ord. 27 agosto 2020, n. 17894, Rv. 658758-01);
– che neppure il secondo motivo può essere accolto, e ciò perché all’esito del giudizio di merito ricorreva (a dispetto di quanto assume il ricorrente), l’evenienza della soccombenza reciproca delle parti, atteso che tale nozione, “che consente la compensazione parziale o totale delle spese processuali, sottende — anche in relazione al principio di causalità — una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate, che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero l’accoglimento parziale dell’unica domanda proposta” (che è l’ipotesi verificatasi nel caso che qui occupa), “allorché essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri, ovvero una parzialità dell’accoglimento anche meramente quantitativa, riguardante una domanda articolata in unico capo” (così, da ultimo, “ex multis”, Cass. Sez. 1, ord. 24 aprile 2018, n. 10113, Rv. 648893-01);
– che ciò esclude, dunque, esservi stata violazione dell’art. 92 cod. proc. civ., essendo invece addirittura inammissibile la censura di omesso esame di un fatto decisivo”, pure articolata con il presente motivo, e secondo cui la Corte territoriale avrebbe omesso di esaminare il fatto costituito dalla “necessità della proposizione dell’appello da parte del dr. Co. in relazione quantomeno alla pronuncia del primo giudice che non aveva posto a carico della convenuta Telecom le spese e i compensi di CTU”;
– che, difatti, il vizio di legittimità di cui all’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. richiede che l’omissione investa un “fatto vero e proprio” (non una “questione” o un “punto” della sentenza) e, quindi, “un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo” (così, in motivazione, Cass. Sez. 5, sent. 8 settembre 2016, n. 17761, Rv. 641174-01; nello stesso senso Cass. Sez. 6-5, ord. 4 ottobre 2017, n. 23238, Rv. 646308-01), vale a dire “un preciso accadimento, ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico” (Cass. Sez. 5, sent. 8 ottobre 2014, n. 21152, Rv. 632989-01; Cass. Sez. Un., sent. 23 marzo 2015, n. 5745, non massimata), “un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto” (cfr. Cass. Sez. 1, ord.5 marzo 2014, n. 5133, Rv. 629647-01), e “come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni” (Cass. Sez, 6-1, ord. 6 settembre 2019, n. 22397, Rv. 655413-01), e, dunque, meno che mai, l’ipotesi dell’omesso esame “di fatti rilevanti ai fini dell’applicazione delle norme regolatrici del processo”, qui costituite dagli art. 91 e 92 cod. proc. civ., evenienza, questa, che “non è riconducibile al vizio ex art. 360, n. 5), cod. proc. civ. quanto, piuttosto, a quello ex art. 360, n. 4), cod. proc. civ., ovvero a quelli di cui ai precedenti numeri 1) e 2), ove si tratti – in quest’ultimo caso – di fatti concernenti l’applicazione delle disposizioni in tema di giurisdizione o competenza” (Cass. Sez. 3, sent. 8 marzo 2017, n. 5785, Rv. 643398-01);
– che il ricorso va, dunque, rigettato;
– che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
– che in ragione del rigetto del ricorso, va dato atto — ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 — della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, se dovuto, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
PQM
La Corte rigetta il ricorso, condannando Gi. Co. a rifondere, alla società (OMISSIS) S.p.a., le spese del presente giudizio, che liquida in € 510,00, oltre € 200,00 per esborsi, nonché 15% per spese generali più accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del’ ricorrente, dell’ulteriore importo, se dovuto, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Sesta Civile, Terza sottosezione, della Corte di Cassazione, il 26 novembre 2020.