Ordinanza 21402/2022
Rapporti tra il giudizio penale e quello civile per il risarcimento del danno – Concorso di colpa della vittima di un incidente stradale
In materia di rapporti tra il giudizio penale e quello civile per il risarcimento del danno, la decisione con cui il giudice civile ravvisi un concorso del soggetto danneggiato nella causazione del pregiudizio dallo stesso lamentato non viola l’art. 651 c.p.p., a norma del quale, nel processo civile, ha efficacia di giudicato l’accertamento, contenuto nella sentenza penale di condanna, in ordine alla sussistenza del fatto, alla sua illiceità penale e alla commissione dello stesso da parte dell’imputato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato il concorso di colpa della vittima di un incidente stradale e del conducente dell’ambulanza che l’aveva investita mentre attraversava la strada sulle strisce pedonali, il quale era stato precedentemente condannato, per il reato di cui all’art. 589 c.p., nel processo penale in cui i congiunti del pedone si erano costituiti parte civile).
Danno patrimoniale conseguente alla morte di un congiunto per fatto illecito
In tema di danno patrimoniale conseguente alla morte di un congiunto per fatto illecito addebitabile ad un terzo, è risarcibile il pregiudizio subito per effetto del venir meno di prestazioni aggiuntive, in denaro o in altre forme comportanti un’utilità economica, erogate in vita dal congiunto deceduto, spontaneamente e in assenza di obbligo giuridico, ai figli o ai nipoti, a condizione che preesistesse una situazione di convivenza (ovvero una concreta pratica di vita, in cui rientri l’erogazione di provvidenze all’interno della famiglia allargata), in mancanza della quale, non essendo altrimenti prevedibile con elevato grado di certezza un beneficio durevole nel tempo, non può sussistere perdita che si risolva in un danno patrimoniale.
Investimento di persone da parte di conducente di autoveicoli della polizia, dei vigili del fuoco o di ambulanze in circolazione per servizio urgente e con le ‘sirenè
Il conducente di autoveicoli della polizia, dei vigili del fuoco o di ambulanze, il quale circoli per servizio urgente e con le sirene in funzione, è esonerato dall’osservanza di obblighi e divieti inerenti alla circolazione stradale, ma non dal generale dovere di rispettare le norme di comune prudenza. Ne consegue che, in caso di sinistro, resta onere del conducente, ai sensi dell’art. 2054, comma 1, c.c., fornire la prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile per evitare il sinistro, pur se la inevitabilità altrimenti dell’evento va valutata tenendo conto della effettiva situazione di emergenza. (Nella specie la S.C. ha cassato, sul punto, la sentenza impugnata che, in un caso di investimento di una donna intenta ad attraversare la strada sulle strisce pedonali da parte di un’autoambulanza in servizio urgente, aveva ritenuto che l’atteggiamento di incertezza mostrato dalla vittima nell’attraversamento fosse di per sé idoneo a elidere la presunzione di responsabilità esclusiva a carico del conducente, omettendo di considerare se non integrasse una condotta comunque ragionevolmente prevedibile da parte di quest’ultimo).
Spese sostenute per la consulenza tecnica di parte
In tema di spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, non è possibile disporre la condanna del soccombente al pagamento delle stesse in mancanza di prova dell’esborso sopportato dalla parte vittoriosa, dovendosi escludere che l’assunzione dell’obbligazione sia sufficiente a dimostrare il pagamento.
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 6-7-2022, n. 21402 (CED Cassazione 2022)
Art. 1227 cc (Concorso del fatto colposo del creditore) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), gli ultimi due anche in qualità di eredi di (OMISSIS), deceduto nelle more del giudizio, ricorrono, sulla base di nove motivi, per la cassazione della sentenza n. 170/19, del 25 gennaio 2019, della Corte di Appello di Firenze, che – riformando parzialmente la sentenza n. 890/15, del 26 maggio 2015, del Tribunale di Livorno, in parziale accoglimento tanto del gravame principale della società (OMISSIS) e della Confraternita (OMISSIS) (d’ora in poi, “(OMISSIS)” e “Confraternita”), quanto di quello incidentale esperito dalla (OMISSIS), allora anche come esercente la potestà genitoriale sul figlio (OMISSIS), e dai (OMISSIS) – provvedeva come segue.
Nell’impugnata decisione la Corte di merito, in particolare, riconosceva la corresponsabilità di (OMISSIS) in misura pari al 60% – nella causazione del sinistro automobilistico in cui perse la vita il (OMISSIS), in (OMISSIS), condannando, in solido, (OMISSIS) (ovvero, il conducente l’autoambulanza, di proprietà della Confraternita, che ebbe a travolgere la donna mentre era intenta a compiere, sulle strisce pedonali, un attraversamento stradale), la predetta Confraternita e l'(OMISSIS), quest’ultima quale assicuratrice del veicolo per la “RCA”, a risarcire alla figlia e al nipote della (OMISSIS), i summenzionati (OMISSIS) e (OMISSIS), il danno conseguente alla morte della propria congiunta, quantificato, per la (OMISSIS) in 17.836,95, e per il (OMISSIS) in 11.376,36, oltre interessi in misura legale, su entrambe le somme, dal 27 giugno 2015 fino al saldo. Il giudice di appello confermava, invece, il rigetto della pretesa risarcitoria fatta valere dai (OMISSIS) nella loro qualità di eredi di (OMISSIS), sorella della defunta (OMISSIS), ponendo a loro carico le spese di entrambi i gradi di giudizio.
2. Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti di aver adito il Tribunale livornese – all’esito del giudizio penale che, con sentenza passata in giudicato, aveva riconosciuto la responsabilità del (OMISSIS) per il reato di cui all’art. 589 c.p., commi 1 e 2, in relazione all’art. 177 C.d.S., comma 2 e art. 191 C.d.S., comma 3, condannando l’imputato, nonchè la Confraternita quale responsabile civile, al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile (OMISSIS) – per conseguire l’integrale ristoro dei pregiudizi derivati dal decesso della propria congiunta.
Costituitisi in giudizio, i convenuti formulavano offerta reale delle somme di 55.000,00, in favore della (OMISSIS), nonchè di 5.000,00 per il (OMISSIS) e per ciascuno degli eredi di (OMISSIS), e cioè i predetti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), somme che, sebbene riscosse dai destinatari, venivano dagli stessi ritenute non satisfattive del pregiudizio patito.
Istruita, pertanto, la causa – nella contumacia del (OMISSIS) – anche attraverso prove orali e lo svolgimento di CTU medico-legale, il giudice di prime cure, riconosciuta l’esclusiva responsabilità del conducente dell’autombulanza nella causazione del sinistro mortale, accoglieva la sola domanda risarcitoria formulata, in proprio, dalla (OMISSIS) (limitando, peraltro, il danno patrimoniale risarcibile alle sole spese funerarie dalla stessa sostenute). L’adito Tribunale riteneva, infatti, non esservi prova del danno non patrimoniale subito sia dal (OMISSIS), per la morte della propria nonna, sia dalla sorella dell’uccisa, in relazione al quale avevano agito in giudizio i suoi successori “iure hereditario”, (OMISSIS) – poi deceduto in corso di causa – e (OMISSIS) e (OMISSIS).
Esperito gravame tanto da (OMISSIS) e dalla Confraternita, quanto, in via incidentale, dai già attori, il giudice di appello – oltre a riconoscere, in parziale accoglimento del mezzo principale, la corresponsabilità della vittima, in misura del 60%, nella causazione del sinistro mortale – riformava la decisione del primo giudice anche in relazione al diniego del risarcimento del danno non patrimoniale patito dal (OMISSIS) a causa del decesso della nonna, riconoscendo altresì alla (OMISSIS) la voce di danno patrimoniale costituita dalle spese sostenute per l’assunzione di una baby-sitter. Per il resto, veniva confermata la sentenza del Tribunale, e così il mancato riconoscimento sia dell’Ulteriore voce di danno patrimoniale fatta valere dalla (OMISSIS) (e costituita dal venir meno di elargizioni in denaro che la defunta sarebbe stata solita compiere), sia della pretesa risarcitoria azionata dagli eredi della sorella dell’uccisa, in difetto di prova di una frequentazione a tal punto assidua, tra (OMISSIS) e (OMISSIS), da giustificare il riconoscimento del danno parentale.
3. Hanno resistito all’avversaria impugnazione, con il medesimo controricorso, (OMISSIS) e la Confraternita, chiedendone la declaratoria di inammissibilità ovvero, in subordine, il rigetto.
4. Il (OMISSIS) è rimasto, invece, intimato.
5. I ricorrenti hanno presentato memoria insistendo nelle proprie censure.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6. Il ricorso è fondato, nei termini e nei limiti di seguito meglio precisati.
6.1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – “violazione e falsa applicazione di norme di diritto”, e ciò “in relazione all’art. 651 c.p.p.”.
Il motivo è articolato sotto tre diversi profili.
Si censura, in primo luogo, la sentenza impugnata nella parte in cui, in accoglimento di uno specifico motivo dell’appello principale, ha ravvisato violazione dell’art. 651 c.p.p., da parte del giudice di prime cure, allorchè lo stesso – sul presupposto della vincolatività della sentenza penale di condanna – aveva negato la ricorrenza del concorso di responsabilità della vittima del sinistro, in quanto esclu.so in sede penale.
Secondo i ricorrenti, la Corte territoriale – nel riformare, sul punto, la decisione del Tribunale – non avrebbe “tenuto conto della peculiarità del caso di specie”, giacchè “il giudice penale era tenuto a una specificazione percentualista del grado di colpa” della vittima, “dovendosi pronunciare, stante la costituzione di parte civile, sulle statuizioni civilistiche”, e ciò in applicazione del combinato disposto degli artt. 1227 e 2056 c.c..
“Ad ogni buon conto”, proseguono i ricorrenti nell’illustrare un secondo profilo di doglianza, “anche volendo considerare non verificatasi, nel caso di specie, la vincolatività del giudicato penale in merito all’esclusiva responsabilità in capo all’imputato (OMISSIS)”, il giudice civile di prime cure “ha operato una propria ed autonoma valutazione del materiale penale e sulla base della ricostruzione del fatto – quella sicuramente vincolante – operata dal giudice penale è addivenuto alla medesima conclusione di escludere una concorrente responsabilità della (OMISSIS)”.
In particolare, il Tribunale di Livorno aveva concluso in tal senso sul rilievo che il (OMISSIS), “pur avendone avuto il tempo materiale e dovendo tenere conto dell’andatura incerta ed incoerente del pedone” – atteso che la (OMISSIS), come risulta dalla sentenza oggi impugnata, fermatasi “sul ciglio della strada della corsia opposta rispetto a quella in cui stava sopraggiungendo l’autoambulanza, facendo qualche passo avanti e poi indietro”, compiva, infine, “l’attraversamento della prima corsia per poi fermarsi sulla linea di mezzeria, guardando nelle opposte direzioni per correre in avanti sulla corsia percorsa dal mezzo di soccorso, che la investiva” – “non rallentò tempestivamente, con ciò causando da solo l’evento”. In altri termini, il primo giudice – evidenziano i ricorrenti – “ha ritenuto di addivenire alla affermazione di esclusiva responsabilità del (OMISSIS)” sul presupposto che la sua condotta “non fu improntata a quel generale dovere di prudenza” che, secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, “deve caratterizzare anche il conducente di mezzi impegnati in servizi urgenti di istituto”; dovere, nella specie, vieppiù cogente, in presenza di un comportamento quale quello tenuto dalla (OMISSIS), consistito “nell’attraversamento della strada, in corrispondenza delle strisce pedonali”. Infatti, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte fiorentina, “l’incertezza mostrata dalla (OMISSIS) nell’attraversamento della sede stradale non vale a fondare una sua colpa concorrente ma, al contrario, a radicare l’esclusiva responsabilità del conducente”, visto che il medesimo “aveva avvistato il pedone ed era ben consapevole delle incertezze mostrate” e che, soprattutto, “aveva tutto il tempo di operare anche un minimo rallentamento, sufficiente ad evitare l’investimento”. E ciò essendosi accertato in sede penale – sulla scorta della relazione predisposta dal consulente tecnico del Pubblico Ministero – che l’avvistamento del pedone avvenne almeno sei secondi prima dell’impatto, con possibilità per il conducente “quantomeno di decelerare”, evitando l’investimento.
Infine, i ricorrenti formulano un terzo profilo di doglianza, denunciando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 651 c.p.p., anche in relazione al fatto che la Corte territoriale “sembrerebbe” non aver “dato contezza e rilievo alla circostanza per cui la (OMISSIS) stesse attraversando la carreggiata avvalendosi delle necessarie strisce pedonali”, circostanza “pacifica in atti, fin dalla sede penale”.
6.1.1. Il motivo è, per un verso, non fondato, per altro verso, invece, inammissibile.
6.1.1.1. Esso, come detto, risulta articolato in tre censure, la prima delle quali – l’avere la Corte territoriale violato l’art. 651 c.p.p., disattendendo l’accertamento “vincolante”, che si assume essere stato operato dal giudice penale in ordine all’assenza di contributo della vittima nella causazione del sinistro, dal momento che esso era stato chiamato a pronunciarsi pure su una richiesta di risarcimento danni dalla parte civile costituita – non è fondata.
Questa Corte, infatti, ha affermato il principio secondo cui, nella materia dei “rapporti tra il giudizio penale e quello civile per il risarcimento del danno, la decisione con cui il giudice civile ravvisi un concorso del soggetto danneggiato nella causazione del pregiudizio dallo stesso lamentato non viola l’art. 651 c.p.p., a norma del quale ha efficacia di giudicato nel processo civile l’accertamento, contenuto nella sentenza penale di condanna in ordine alla sussistenza del fatto, alla sua illiceità penale e alla commissione dello stesso da parte dell’imputato” (cfr. Cass. sez. 3, sent. 28 maggio 2015, n. 11117, Rv. 635613-01, in senso conforme Cass. Sez. 3, sent. 28 marzo 2001, n. 4504, Rv. 545254-01; si veda anche, soprattutto in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 16 dicembre 2005, n. 27723, Rv. 587248-01). Si è, invero, precisato che “l’obbligo del giudice penale di determinare percentualmente l’efficienza causale delle singole condotte colpose sussiste solo allorchè vi sia stato un concorso di colpa tra coimputati; laddove, invece, sia ravvisabile un concorso di colpa del danneggiato, spetta al giudice civile determinare l’incidenza causale dell’imprudenza di quest’ultimo”; difatti, “dall’assunto che sull’imputato grava la responsabilità penale non consegue come corollario che questi sia anche integralmente responsabile del danno, posto che una concausa antecedente, concomitante o successiva, per quanto inidonea a mandare assolto l’imputato che abbia con la propria condotta concorso a determinare l’evento, può cionondimeno venire in rilevo ai fini dell’abbattimento della responsabilità civile o della chiamata in corresponsabilità di soggetti rimasti estranei al giudizio penale” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 11117 del 2015, cit.).
Nè, in senso contrario, potrebbe valorizzarsi la circostanza che -in relazione alla vicenda oggi in esame – risulta esservi stata, nel processo penale, la costituzione di parte civile della figlia della vittima, dal momento che anche nei “rapporti tra giudizio penale e civile, l’efficacia di giudicato della condanna penale di una delle parti che partecipano al giudizio civile, risarcitorio e restitutorio, investe, ex art. 651 c.p.p., solo la condotta del condannato, e non il fatto commesso dalla persona offesa, pur costituita parte civile, anche se l’accertamento della responsabilità abbia richiesto la valutazione della correlata condotta della vittima” (Cass. Sez. 3, sent. 29 gennaio 2016, n. 1665, Rv. 638322-01).
Ne consegue, quindi, la necessità di ribadire che il “giudicato di condanna generica del debitore” – che è quello esistente nella vicenda che occupa – “non preclude nel successivo giudizio di liquidazione l’eccezione di concorso di colpa del creditore ed il relativo accertamento”, ciò che “costituisce, peraltro, applicazione del più generale principio” secondo cui “la condanna generica al risarcimento del danno, anche se contenuta in una sentenza penale, consiste in una mera declaratoria iuris e richiede il semplice accertamento della potenziale idoneità del fatto illecito a produrre conseguenze dannose o pregiudizievoli, indipendentemente dall’esistenza e dalla misura del danno, il cui accertamento è riservato al giudice della liquidazione, sicchè ogni affermazione della sentenza penale che non sia funzionale alla condanna generica (siccome è avvenuto nel caso in esame) è insuscettibile di acquistare autorità di giudicato” (Cass. Sez. 3, sent. n. 27723 del 2005, cit., conforme Cass. Sez. 1, sent. 19 aprile 2010, n. 9295, Rv. 612779-01; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 27 agosto 2014, n. 18352, Rv. 632612-01; Cass. Sez. 3, sent. 9 marzo 2018, n. 5660, Rv. 648292- 01).
6.1.1.2. Quanto, invece, alla seconda e alla terza censura, sempre oggetto del primo motivo di ricorso, esse risultano inammissibili.
Invero, la doglianza – oggetto, in particolare, della seconda censura – per cui l’accertamento di fatto compiuto dal giudice di prime cure, giacchè fondato sulle risultanze del processo penale, sarebbe stato “incontestabile”, e dunque vincolante per qùello di appello (così come, del resto, l’assunto, veicolato con la terza censura, secondo cui la Corte territoriale avrebbe ignorato la circostanza dell’attraversamento sulla strisce pedonali da parte della vittima del sinistro), non tiene in debito conto che nella sentenza impugnata la Corte di merito dichiara espressamente essere “ferma” la “ricostruzione fattuale del giudice penale e le ragioni di responsabilità” del conducente del veicolo investitore.
D’altra parte, e più in generale, deve ribadirsi che “il giudice civile, investito della domanda di risarcimento del danno da reato, ben può utilizzare, senza peraltro averne l’obbligo, come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale definito con sentenza passata in giudicato e fondare la propria decisione su elementi e circostanze già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede, essendo in tal caso peraltro tenuto a procedere alla relativa valutazione con pienezza di cognizione al fine di accertare i fatti materiali all’esito del proprio vaglio critico” (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 7 maggio 2021, n. 12164, Rv. 661325-01).
6.2. Con il secondo motivo i ricorrenti denuncia sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), – “violazione e falsa applicazione di norme di diritto”, questa volta “in relazione all’art. 177 C.d.S., comma 2 e art. 191 C.d.S., comma 3”, oltre che degli “artt. 2054 e 2697 c.c.”.
Censurano la sentenza impugnata per avere “erratamente ritenuto che il giudizio sull’adeguatezza della condotta assunta dal conducente dell’autoambulanza dovesse essere formulato senza tenere conto dell’esigenza di evitare situazioni di rischio e di prevenire gli incidenti”, come invece previsto dall’art. 177 C.d.S., comma 2, giungendo così “a ritenere superata la presunzione di responsabilità di cui all’art. 2054 c.c.”, prendendo “in considerazione solo la necessità di assicurare il tempestivo servizio pubblico di emergenza” (l’autoambulanza, invero, procedeva con la luce blu lampeggiante e a sirene spiegate, trasportando un degente in “codice rosso”, in quanto colpito da ictus) e “ritenendola prevalente rispetto all’esigenza di evitare di creare situazioni di rischio e di prevenire gli incidenti”.
In questo modo, pertanto, sarebbe stata disattesa la corretta interpretazione che la giurisprudenza di legittimità ha dato dell’art. 177 C.d.S., comma 2, secondo cui “il conducente di autoveicoli della polizia, dei vigili del fuoco o di ambulanze, il quale circoli per servizio urgente di intervento o di pronto soccorso e con l’azionamento delle “sirene”, non deve anteporre il proprio diritto di urgenza o di precedenza alla sicurezza e alla vita degli utenti della strada, sicchè è tenuto a contemperarlo con l’esigenza di non nuocere gravemente agli altri, attentandone l’integrità fisica”, precisandosi che “una responsabilità del suddetto conducente può, peraltro, ricorrere per la violazione di questo dovere solo nel caso in cui essa sia concretamente riconducibile ad una condotta omissiva o fattiva del medesimo, tale da configurare concausa o fattore determinante dell’incidente” (così, in particolare, Cass. Sez. 3, sent. 16 novembre 2005, n. 23218, ma sono citate, tra le altre, anche Cass. Sez. 3, sent. 23 febbraio 2016, n. 3503; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2011, n. 8407).
D’altra parte, l’affermazione dell’esclusiva responsabilità del (OMISSIS) – ritenuta dal giudice di prime cure e, invece, disattesa da quello di appello – costituirebbe pure esito “del tutto conforme all’interpretazione rigorosa data dalla giurisprudenza” (sono citate Cass. Sez. 3, sent. 4 aprile 2017, n. 8663, Cass. Sez. 3, sent. 20 aprile 2009, n. 20949; Cass. Sez. 3, sent. 9 marzo 2011, n. 5540) “al disposto di cui all’art. 191 C.d.S.”, che “fa sempre obbligo al conducente di veicoli di dare precedenza ai pedoni che transitano sulla segnaletica loro dedicata”, ovvero (al comma 3) “di fermarsi in vista di un anziano che attraversi o si accinga ad attraversare la sede stradale” (è citata Cass. Sez. 4 Pen., sent. dep. 19 ottobre 2016, n. 44325).
6.3. Con il terzo motivo denunciano – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – “nullità della sentenza e del procedimento”, e ciò tanto in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), quanto agli artt. 2054 e 1227 c.c. e all’art. 177 C.d.S., comma 2 e art. 191 C.d.S., comma 3.
Censurano la sentenza impugnata poichè la motivazione sarebbe irriducibilmente contraddittoria, nella parte in cui risulta affermato (pag. 11) che il (OMISSIS) fu “preso alla sprovvista” dalla decisione della (OMISSIS) di attraversare la strada, salvo, poi, aggiungersi (sempre a pag. 11) che “la prudenza avrebbe imposto una maggiore decelerazione una volta avvistato il pedone”, ovvero una manovra che, come rilevato in sede penale, “avrebbe consentito l’arresto tempestivo del mezzo”.
6.4. Con il quarto motivo denuncia “nuovamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – “nullità della sentenza e del procedimento”, e ciò sia in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), che agli “artt. 2054 e 1227 c.c.”.
Censurano la sentenza impugnata in quanto, con motivazione al di sotto del “minimo costituzionale”, la Corte di merito avrebbe ripartito la responsabilità, tra il (OMISSIS) e la (OMISSIS), nella causazione del sinistro, senza chiarire le ragioni del riparto percentuale.
6.5. Con il quinto motivo denunciano – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5) – “nullità della sentenza e del procedimento”, e “violazione e falsa applicazione di norme di diritto”, e ciò “in relazione all’art. 115 c.p.c., all’art. 2054 c.c. e all’art. 191 C.d.S., comma 3”.
Lamenta che la Corte fiorentina sarebbe incorsa in errore “nella percezione delle prove, con particolare riferimento all’attraversamento della carreggiata su strisce pedonali”, dal momento che dalla “lettura della sentenza si evince che in nessuna parte la Corte di Appello ha dato contezza e rilievo che la (OMISSIS) stesse attraversando la carreggiata avvalendosi delle necessarie strisce pedonali”, circostanza del tutto pacifica in sede penale.
Se il giudice di appello “avesse rilevato tale circostanza” non sarebbe incorso nell’errore di diritto, del pari censurato con il presente motivo, consistito nella violazione dell’art. 191 C.d.S., comma 3, norma che fa obbligo a qualsiasi conducente – compreso quello di mezzi di soccorso – di fermarsi alla vista di un anziano che attraversi o si accinga ad attraversare la strada.
6.6. I motivi secondo, terzo, quarto e quinto – da scrutinare congiuntamente, data la loro connessione – sono fondati, per quanto di ragione.
6.6.1. Nella relativa disamina occorre muovere dalla constatazione che la Corte fiorentina, nel valutare il contegno dei due soggetti coinvolti nel sinistro – la vittima dell’investimento (OMISSIS) e il conducente dell’autoambulanza (OMISSIS), che ebbe a travolgerla mentre la stessa stava attraversando sulle strisce pedonali – ha preso le mosse proprio dalla valutazione della condotta della prima.
Si legge, invero, a pagina 10 della sentenza impugnata che, esaminando “le testimonianze rese nel procedimento penale e la consulenza tecnica ivi esperita”, emerge “che la vittima dell’investimento ha colposamente concorso alla causazione del sinistro, attraversando una strada a grande scorrimento senza rispettare il disposto dell’art. 177 C.d.S., comma 3”, norma secondo cui chiunque “si trovi sulla strada percorsa dai veicoli di cui al comma 1, o sulle strade adiacenti in prossimità degli sbocchi sulla prima, appena udito il segnale acustico supplementare di allarme, ha l’obbligo di lasciare libero il passo e, se necessario, di fermarsi”. Nella specie, poichè l’autoambulanza “viaggiava in un tratto di strada di piena visibilità con le luci lampeggianti blu accese e con là segnalazione acustica di allarme attiva essendo impegnata, circostanza incontestata, in un intervento in codice rosso, dovendo soccorrere una persona colpita da ictus”, il giudice di appello – anche sul rilievo che la donna, benchè affetta da sordità, avesse percepito il suono della sirena, giacchè “portava un apparecchio acustico” che “le garantiva un perfetto udito” – ha ritenuto, come detto, che la condotta della (OMISSIS) abbia contribuito alla causazione del sinistro.
Difatti, il “comportamento tenuto da (OMISSIS), il fermarsi sul ciglio della strada della corsia opposta rispetto a quella in cui stava sopraggiungendo l’autoambulanza, facendo qualche passo avanti e poi indietro”, nonchè “l’attraversamento della prima corsia per poi fermarsi sulla linea di mezzeria, guardando nelle opposte direzioni per correre in avanti sulla corsia percorsa dal mezzo di soccorso, che la investiva”, costituiscono – secondo la Corte fiorentina (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata) – altrettante circostanze che evidenziano come la donna avesse “avvistato l’autoambulanza e ciononostante continuava l’attraversamento, in una situazione tale da far esclamare all’automobilista che sopraggiungeva nella corsia opposta a quella dell’autoambulanza: “Ma cosa sta facendo”, nella percezione che in quella situazione l’investimento appariva inevitabile”.
Immediatamente nel prosieguo, nella sentenza qui in esame viene sottolineato come dovesse “essere anche valutato il comportamento del (OMISSIS)”, il quale, “sebbene procedesse con diritto di precedenza e non fosse tenuto ad osservare gli obblighi, i divieti e le limitazioni relativi alla circolazione, le prescrizioni della segnaletica stradale e le norme di comportamento in genere” (e “benchè” fosse stato “preso alla sprovvista dall’avere la (OMISSIS) deciso di attraversare, nonostante si fosse fermata sulla linea di mezzeria”), risultava “comunque tenuto”, a norma del comma 2 dell’art. 177 C.d.S., “al rispetto delle regole di comune prudenza e diligenza”, soggiungendo, infine, che nel caso di specie “la prudenza avrebbe imposto una maggiore decelerazione una volta avvistato il pedone”, ciò che, “come rilevato dal consulente tecnico sentito in sede penale avrebbe consentito l’arresto tempestivo del mezzo”, evitando l’investimento.
Sulla base, dunque, di tale iter argomentativo la Corte toscana ha concluso nel senso che la responsabilità del sinistro dovesse essere ascritta per il 60% a carico della (OMISSIS) e per i0 restante 40% a carico del (OMISSIS).
6.6.2. Senonchè, nel vagliare la dinamica del sinistro – la cui ricostruzione in sè stessa non è sindacabile da questa Corte, in quanto la “valutazione di adeguatezza della velocità di marcia del mezzo di soccorso” risulta “censurabile in sede di legittimità per violazione di legge” ma “non anche per il giudizio di fatto sulla dinamica del sinistro e l’esistenza o l’esclusione del rapporto causale tra l’evento e le rispettive condotte” dei soggetti coinvolti nel sinistro (Cass. Sez. 3, sent. 23 febbraio 2016, n. 3503, Rv. 638917-01) – la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione nè dell’art. 2054 c.c., comma 1, nè dell’art. 177 C.d.S..
6.6.2.1. Sul punto, peraltro, va disattesa l’eccezione preliminare dei controricorrenti, secondo cui quello sollecitato dai ricorrenti – in particolare, con il secondo motivo del proprio atto di impugnazione – sarebbe un tentativo di rimettere in discussione l’apprezzamento delle risultanze istruttorie, e con esso del giudizio di fatto operato dalla Corte fiorentina.
Al riguardo va ribadito che il vizio di violazione di legge “consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (cfr., “ex multis”, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03; Cass. Sez. 1, ord. 14 gennaio 2019, n. 640, Rv. 652398-01; Cass. Sez. 1, ord. 5 febbraio 2019, n. 3340, Rv. 652549-02), e ciò in quanto il vizio di sussunzione “postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicchè è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito” (Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01).
Nella specie, tuttavia, la ricostruzione del fatto materiale, ovvero della dinamica dell’incidente, non è posta in discussione, ciò che lascia permanere le censure formulate, in particolare con il secondo motivo di ricorso, entro il paradigma delineato dall’art. 360 c.p.c., comma, n. 3), se è vero che il “discrimine tra l’ipotesi di violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa e l’ipotesi della erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (così, in motivazione, Cass. Sez., Un., sent. 26 febbraio 2021, n. 5442).
Allorchè, dunque, la ricostruzione dei fatti di causa non sia messa in discussione, si permane entro uno spazio decisorio nel quale questa Corte è abilitata a intervenire, se è vero che “di controllo di legittimità non si esaurisce in una verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, ma è esteso alla sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nell’ipotesi normativa” (così, Cass. Sez. Un., sent. 18 gennaio 2001, n. 5, Rv. 543247-01; in senso conforme Cass. Sez. Lav., sent. 16 agosto 2004, n. 15968, Rv. 575757-01; Cass. Sez. Lav., sent. 12 maggio 2006, n. 11037, Rv. 589059-01; Cass. Sez. 3, sent. 28 novembre 2007, n. 24756, Rv. 600470-01, Cass. Sez. 3, ord. 29 agosto 2019, n. 21772, Rv. 655084-01).
6.6.2.2. Ciò detto, il denunciato vizio di violazione dell’art. 2054 c.c., comma 1, e art. 177 C.d.S., ricorre nel caso di specie.
Infatti, deve premettersi che proprio la seconda di tali norme (come già l’art. 126 previgente C.d.S.), “laddove prevede che i conducenti di autoveicoli di polizia e antincendio e di autoambulanze in servizio urgente di istituto e con dispositivo di allarme in funzione non sono tenuti ad osservare gli obblighi, i divieti, le prescrizioni e le norme di comportamento connessi con la circolazione stradale e le limitazioni relative alla circolazione sulle strade”, non esime, tuttavia, gli stessi “dal generale dovere di attenersi comunque al rispetto delle regole di comune prudenza e diligenza e di adottare le cautele idoneee a prevenire pericoli alla pubblica incolumità” (già così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 18 dicembre 1996, n. 11323, Rv. 501397-01, nonchè, più di recente, Cass. Sez. 3, n. 3503 del 2016, cit.; nella giurisprudenza penale di legittimità si vedano Cass. Sez. 4 Pen., sent. dep. 13 gennaio 2014, n. 976, Rv. 257875 – 01; Cass. Sez. 4 Pen., sent. 25 maggio 2005, n. 19797, Rv. 231543-01; Cass. Sez. 4 Pen., 7 novembre 2002, n. 37263, Rv. 222613-01 e Cass. Sez. 4 Pen., sent. l’dicembre 2000, n. 1248, Rv. 219233-01). Si è, tuttavia, pure precisato che nel “caso di investimento di un pedone nella situazione sopra descritta è onere del conducente offrire la prova liberatoria di cui all’art. 2054 c.c., comma 1, pur dovendosi l’impossibilità di evitare la produzione dell’evento apprezzare con riguardo alla effettiva situazione di emergenza nella quale egli versava” (così, nuovamente in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 11323 del 1996, cit.), giacchè il conducente dei mezzi di soccorso “non deve anteporre il proprio diritto di urgenza o di precedenza alla sicurezza e alla vita degli utenti della strada”, essendo, invece, “tenuto a contemperarlo con l’esigenza di non nuocere gravemente agli altri, attentandone l’integrità fisica” (Cass. Sez. 3, sent. 16 novembre 2005, n. 23218, Rv. 584917-01).
Da quanto precede emerge, pertanto, che anche l’investimento del pedone realizzato dall’autista di mezzi di soccorso, pur in presenza delle condizioni – uso congiunto del dispositivo acustico supplementare di allarme e di quello di segnalazione visiva a luce lampeggiante blu – che lo legittimano alla non osservanza di obblighi e divieti inerenti alla circolazione stradale, resta, comunque, disciplinato dalla previsione di cui all’art. 2054 c.c., comma 1.
Nè deriva, quindi, che la suddetta fattispecie rimane assoggettata al principio secondo cui, “stante la presunzione del 100% di colpa in capo al conducente del veicolo di cui all’art. 2054 c.c., comma 1, ai fini della valutazione e quantificazione di un concorso del pedone investito occorre accertare, in concreto, la sua percentuale di colpa e ridurre progressivamente quella presunta a carico del conducente” (così, da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 28 gennaio 2019, n. 2241, Rv. 652291-01), dovendo, però, l’investitore, per vincere tale presunzione, dimostrare “di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno”, tenendo conto che, a tal fine, neanche rileva “l’anomalia della condotta” del soggetto investito, visto che “occorre la prova che la stessa non fosse ragionevolmente prevedibile e che il conducente avesse adottato tutte le cautele esigibili in relazione alle circostanze del caso concreto, anche sotto il profilo della velocità di guida mantenuta”. (Cass. Sez. 3, sent. 4 aprile 2017, n. 8663, Rv. 64383801).
6.6.2.3. Orbene, i suindicati principi sono stati dalla Corte di merito disattesi nella sentenza in esame.
Pur correttamente ritenendo che la (OMISSIS) fosse comunque assoggettata al rispetto dell’art. 177 C.d.S., comma 3 (norma secondo cui “chiunque si trovi” – neppure escluso, pertanto, un pedone – “sulla strada percorsa dai veicoli di cui al comma 1, o siile strade adiacenti in prossimità degli sbocchi sulla prima, appena udito il segnale acustico supplementare di allarme, ha l’obbligo di lasciare libero il passo e, se necessario, di fermarsi”, per consentire il transito dei mezzi di soccorso), non ha fatto applicazione del suindicato principio in base al quale, in caso di investimento del pedone, la responsabilità del conducente del veicolo investitore si presume al 100%, non potendo rilevare, ai fini della prova liberatoria da tale presunzione, la semplice condotta imprudente dell’investito, qui ravvisata nel fatto che la (OMISSIS) avesse “preso alla sprovvista” il (OMISSIS) con il proprio comportamento esitante, giacchè ella, dopo essersi fermata “sul ciglio della strada della corsia opposta rispetto a quella in cui stava sopraggiungendo l’autoambulanza, facendo qualche passo avanti e poi indietro”, aveva compiuto “l’attraversamento della prima corsia per poi fermarsi sulla linea di mezzeria, guardando nelle opposte direzioni per correre in avanti sulla corsia percorsa dal mezzo di soccorso, che la investiva”.
Senonchè, ai fini del superamento, anche parziale, della presunzione che pone a carico di qualunque conducente – si insiste nel sottolinearlo – il 100% di responsabilità dell’investimento di un pedone, occorre non solo dimostrare che l’investitore “si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di avvistarlo e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti” (da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 22 febbraio 2017, n. 4551, Rv. 643134-01; nello stesso, tra le altre, Cass. Sez. 3, sent. 29 settembre 2006, n. 21249, Rv. 593596-01; Cass. Sez. 3, sent. 16 giugno 2003, n. 9620, Rv. 564285-01), ma pure che la condotta tenuta dal soggetto investito – come detto – non fosse “ragionevolmente prevedibile”.
Sotto questo profilo, tuttavia, questa Corte ha da tempo ritenuto – con affermazione che, sebbene risalente nel tempo, merita di essere ribadita – che, “qualora un pedone si accinga ad attraversare la strada e ne abbia iniziato l’attraversamento, il conducente del veicolo ha l’obbligo di prospettarsi l’eventualità di una qualche esitazione, incertezza o pentimento” del passante, il quale “si accorga di aver errato sulla possibilità di sollecito transito”, tanto da essere “preso dal panico” e persino da manifestare “l’intenzione di tornare indietro”, dovendo il conducente, pure in tali casi, “trovarsi in grado di adottare immediatamente le misure di emergenza, compresa quella di arrestarsi prima di giungere sull’estrema linea tangenziale”, mantenendo “il pieno controllo della guida del veicolo, riducendo l’andatura sin dal momento in cui avvisi il pedone in fase di attraversamento” (Cass. Sez. 3, sent. 17 febbraio 1966, n. 504, Rv. 321010-01).
Coglie, dunque, nel segno il rilievo dei ricorrenti secondo cui, proprio l’incertezza manifestata dalla (OMISSIS), lungi dall’integrare quel comportamento “imprevedibile ed anomalo”, suscettibile di essere apprezzato ai fini del superamento della presunzione di responsabilità – nella misura del 100% – del conducente del veicolo investitore, avrebbe dovuto essere apprezzata, invece, in senso diametralmente opposto, con riferimento alla mancata adozione, da parte dei (OMISSIS), delle cautele esigibili in relazione alle circostanze del caso concreto, anche sotto il profilo della velocità di guida mantenuta, specie ove si consideri che, nella specie, è incontestato dandosene atto nella stessa sentenza impugnata – che l’avvistamento del pedone avvenne almeno sei secondi prima dell’impatto, con possibilità pertanto per il conducente dell’autoambulanza “quantomeno di decelerare”, evitando così l’investimento della (OMISSIS).
6.6.3. L’accoglimento, per quanto di ragione, dei motivi di ricorso dal secondo al quinto, e la cassazione, in relazione, della sentenza impugnata, non esime questa Corte dal dover scrutinare gli altri motivi di ricorso. Essi, infatti, attengono alla quantificazione del danno, nonchè alla condanna alle spese di lite a carico di soggetti gli eredi di (OMISSIS), sorella della vittima del sinistro stradale – in relazione ai quali l’eventuale conferma del rigetto di ogni. loro pretesa risarcitoria renderebbe in ipotesi definitiva, nei loro confronti, tale statuizione.
6.7. In particolare, con il sesto motivo i ricorrenti denunciano – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – “violazione e falsa applicazione di norme di diritto”, e ciò “in relazione all’art. 2056 c.c.”.
Censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la risarcibilità del danno da lucro cessante lamentato da (OMISSIS), sotto forma di “perdita di collaborazione domestica e delle elargizioni in denaro da parte della (OMISSIS)”, essendosi ritenuto lo stesso “un danno meramente eventuale”.
Per contro, la giurisprudenza di legittimità – secondo i ricorrenti – dà rilievo a tale danno ove venga raggiunta la prova dell’attualità e stabilità delle contribuzioni assicurate dalla persona deceduta, prova, nella specie, fornita “sia a mezzo documenti che a mezzo prove testimoniali”.
6.7.1. Il motivo non è fondato.
Sono, invero, gli stessi ricorrenti ad affermare che il danno conseguente al venir meno di contribuzioni in favore dei propri congiunti, da parte del defunto, presuppone che le stesse abbiano carattere di “attualità e stabilità”, ciò che la Corte fiorentina ha inteso escludere, richiamando espressamente la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, “in tema di danno patrimoniale conseguente alla morte di un congiunto per fatto illecito addebitabile ad un terzo, è risarcibile il pregiudizio subito per effetto del venir meno di prestazioni aggiuntive, in denaro o in altre forme comportanti un’utilità economica, erogate in vita dal congiunto deceduto, spontaneamente e in assenza di obbligo giuridico, ai figli o ai nipoti, a condizione che preesistesse una situazione di convivenza (ovvero una concreta pratica di vita, in cui rientri l’erogazione di provvidenze all’interno della famiglia allargata), in mancanza della quale, non essendo altrimenti prevedibile con elevato grado di certezza un beneficio durevole nel tempo, non può sussistere perdita che si risolva in un danno patrimoniale” (Cass. Sez. 3, sent. 16 marzo 2012, n. 4253, Rv. 621636-01).
A fronte di tali affermazioni, la censura si risolve nel rilievo che la prova dell’attualità e stabilità delle contribuzioni, assicurate dalla (OMISSIS) alla figlia, sarebbe stata fornita “sia a mezzo documenti che a mezzo prove testimoniali”.
In questo modo, tuttavia, viene proposta una censura che fuoriesce dal paradigma del vizio di violazione di legge (che i pure i ricorrenti affermano di voler proporre), visto che esso – come già rilevato – “consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (cfr. la giurisprudenza già riportata al p. 6.6.2.1., e in particolare, da ultimo, Cass. Sez. Un., sent. n. 5442 del 2021, cit.).
Il tutto, infine, senza tacere che la censura – almeno nella parte in cui fa riferimento a “documenti” che offrirebbero la prova della stabilità delle contribuzioni – si palesa invero inammissibile, in ragione della loro mancata riproduzione nel testo del ricorso, essendo “inammissibili le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità” (Cass. Sez. Un., sent. 27 dicembre 2019, n. 34469, Rv. 656488-01).
6.8. Con il settimo motivo i ricorrenti denunciano – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4) – “violazione e falsa applicazione di norme di diritto”, e ciò “in relazione all’art. 91 c.p.c., all’art. 2697 c.c. e al Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, art. 6”, oltre che “nullità della sentenza e del procedimento”.
Lamentano il mancato riconoscimento delle spese per la consulenza tecnica di parte, sul presupposto indicato dai ricorrenti come erroneo – che la “notula” del professionista non costituisse documento di spesa, come tale idoneo a provare il relativo esborso, mentre ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, art. 6, i professionisti (tale certamente essendo il medico-legale) sono soggetti al principio contabile c.d. “di cassa”, secondo il quale quando i ricavi siano incassati viene emessa la relativa “notula”.
In ogni caso, fanno richiama al principio secondo cui “la condanna del soccombente alle spese di consulenza tecnica di parte sopportate dalla controparte non presuppone la prova dell’avvenuto pagamento, ma presuppone, comunque, la prova della effettività delle stesse, ossia che la parte vittoriosa abbia quantomeno assunto la relativa obbligazione” (è citata Cass. Sez. 1, sent. 25 marzo 2003, n. 4357).
6.8.1. Il motivo non è fondato.
Atteso che le “spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, la quale ha natura di allegazione difensiva tecnica, rientrano tra quelle che la parte vittoriosa ha diritto di vedersi rimborsate, a meno che il giudice non si avvalga, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 1, della facoltà di escluderle dalla ripetizione, ritenendole eccessive o superflue” (Cass. Sez. 2, sent. 3 gennaio 2013, n. 84, Rv. 624396-01; conforme Cass. Sez. 3, sent. 22 febbraio 2015, n. 3380, Rv. 63447501), si è da questa Corte precisato che “mentre la mancata determinazione nella sentenza del compenso spettante al consulente tecnico d’ufficio integra un mero errore materiale per omissione, suscettibile di correzione da parte del giudice d’appello con riferimento all’importo della liquidazione effettuata in favore del consulente, non è possibile disporre la condanna del soccombente al pagamento delle spese relative ad una consulenza di parte, in mancanza di prova dell’esborso sopportato dalla parte vittoriosa” (Cass. Sez. 1, sent. 7 febbraio 2006, n. 2605, Rv. 586818-01).
è da escludere, dunque, che l’assunzione dell’obbligazione – come sostenuto dai ricorrenti – possa ritenersi sufficiente a dimostrare l’avvenuto pagamento, occorrendo viceversa prova “dell’esborso sopportato”, sicchè la questione si riduce nello stabilire se la “notula” emessa dal professionista possa ritenersi idonea a provarlo, come non può affermarsi, ancora una volta a dispetto di quanto sostenuto dai ricorrenti, semplicemente in base al disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, art. 6, norma destinata ad operare solo in ambito tributario.
6.9. Con l’ottavo motivo denunciano – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – “violazione e falsa applicazione di norme di diritto”, e ciò “in relazione agli artt. 2056 e 2729 c.c.”.
Contestano il rigetto della domanda risarcitoria proposta dagli eredi di (OMISSIS) (i predetti (OMISSIS) e (OMISSIS)), ovvero la sorella della defunta (OMISSIS), in assenza di prova di una “frequentazione al tal punto assidua” tra le sorelle tale da giustificare il riconoscimento del danno parentale.
Secondo i ricorrenti non sarebbe “affatto chiaro, nè altrimenti esplicitato, il parametro a cui si è ispirata la Corte per escludere l’esistenza del danno parentale”, dal momento che si lascia intendere che la frequentazione tra le due sorelle vi fosse, ma che essa non sia stata “sufficiente per integrare il danno richiesto”. Essi. assumono, inoltre, di aver “dato ampia prova dell’intensità del legame affettivo e dell’assidua frequentazione” tra le sorelle (secondo quanto emergerebbe dalle dichiarazioni dei testi escussi), ciò che avrebbe permesso di “desumere, anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 2729 c.c., le sofferenze derivate al congiunto per la morte oggetto di causa”.
D’altra parte, sempre ai fini della prova del danno, rilevante sarebbe pure la circostanza che la compagnia assicuratrice ha ritenuto di formulare offerta reale di 5.000,00 per ciascuno dei tre eredi di (OMISSIS).
6.9.1. Il motivo non è fondato.
Sul punto, occorre muovere dalla constatazione – che costituisce un dato ormai acquisito nella giurisprudenza di questa Corte – che il danno da lesione o perdita del rapporto parentale “non postula necessariamente un rapporto di convivenza tra i soggetti suddetti” (si vedano Cass. Sez. 3, sent. 14 giugno 2016, n. 12146, Rv. 640287-01, nonchè, più di recente, Cass. Sez. 3, ord. 8 aprile 2020, n. 7743, Rv. 657503-01), ferma restando, però, la necessita che il congiunto alleghi e dimostri, in concreto, ancorchè mediante il ricorso alla prova presuntiva, l’esistenza di effettivi rapporti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto (o gravemente menomato), la cui perdita (o compromissione) evidenzi il danno non patrimoniale e ne consenta la liquidazione, in via equitativa, in relazione all’intensità di detti rapporti e alle ragionevoli ricadute della loro lesione (cfr. Cass. Sez. 3, sent. n. 21230 del 2016, cit.; in senso conforme Cass. Sez. 3, sent. 7 dicembre 2017, n. 29332, Rv. 646716-01; Cass. Sez. 3, sent. 31 gennaio 2019, n. 2788, Rv. 652664-02; Cass. Sez. 3, ord. 24 aprile 2019, n. 11212, Rv. 653591-01; Cass. Sez. 30 agosto 2019, ord. n. 21837, Rv. 655085-01).
Più in particolare, è stato affermato che In caso di risarcimento del danno da perdita, o da lesione, del rapporto parentale, ferma la possibilità per la parte interessata di fornire la prova di tale danno con ricorso alla prova presuntiva, e in riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza e alla gravità delle ricadute della condotta”, spetta in ogni caso “al giudice il compito di procedere alla verifica, sulla base delle evidenze probatorie complessivamente acquisite, dell’eventuale sussistenza di uno solo, o di entrambi, i profili di danno non patrimoniale” astrattamente ipotizzabili nella specie, ovvero quelli “della sofferenza eventualmente patita, sul piano morale soggettivo, nel momento in cui la perdita del congiunto è percepita nel proprio vissuto interiore, e quella, viceversa, che eventualmente si sia riflessa, in termini dinamico-relazionali, sui percorsi della vita quotidiana attiva del soggetto che l’ha subita” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 11 novembre 2019, n. 28989, Rv. 656223-01).
Orbene, è proprio “in tale quadro che emergerà, con intuitiva evidenza, il significato e il valore dimostrativo dei meccanismi presuntivi che, al fine di apprezzare la gravità o l’entità effettiva del danno, richiamano il dato della maggiore o minore prossimità formale del legame parentale (coniuge, convivente, figlio, genitore, sorella, fratello, nipote, ascendente, zio, cugino) secondo una progressione che, se da un lato, trova un limite ragionevole (sul piano presuntivo e salva la prova contraria) nell’ambito delle tradizionali figure parentali nominate, dall’altro non può che rimanere aperta alla libera dimostrazione della qualità di rapporti e legami parentali che, benchè di più lontana configurazione formale (o financo di assente configurazione formale: si pensi, a mero titolo di esempio, all’eventuale intenso rapporto affettivo che abbia a consolidarsi nel tempo con i figli del coniuge o del convivente), si qualifichino (ove rigorosamente dimostrati) per la loro consistente e apprezzabile dimensione affettiva e/o esistenziale” (Cass. Sez. 3, sent. n. 28989 del 2019, cit.). Analogamente, “ragionevole apparirà la considerazione, in via presuntiva della gravità del danno in rapporio alla sopravvivenza di altri congiunti o, al contrario, al venir meno dell’intero nucleo familiare del danneggiato; ovvero, ancora, dell’effettiva convivenza o meno del congiunto colpito con il danneggiato”, o, infine, “di ogni altra evenienza o circostanza della vita” (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. n. 28989 del 2019, cit.).
Si tratta di principi ancora di recente ribaditi da questa Corte, che ha confermato vieppiù come “il pregiudizio risarcibile conseguente alla perdita del rapporto parentale che spetta “iure proprio” ai prossimi congiunti riguarda la lesione della relazione che legava i parenti al defunto e, ove sia provata l’effettività e la consistenza di tale relazione, la mancanza del rapporto di convivenza non è rilevante, non costituendo il connotato minimo ed indispensabile per il riconoscimento del danno” (Cass. Sez. 3, ord. 25 giugno 2021, n. 18284, Rv. 661702-01).
Orbene, la sentenza impugnata non ha contraddetto tali principi, avendo solo ritenuto – con giudizio di fatto non sindacabile in questa sede – il difetto di prova di una “frequentazione a tal punto assidua” tra le sorelle “da giustificare il riconoscimento di un danno parentale”, ovvero escludendo essere stata provata quella “effettività e consistenza” della relazione occorrente ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria (peraltro, si badi, proposta dagli eredi di (OMISSIS), e non dalla stessa).
Nè, d’altra parte, potrebbe trovare qui ingresso la doglianza – che finirebbe con il risolversi in un giudizio di fatto, precluso a questa Corte – circa l’esistenza di riscontri a tale ipotesi, come ricavabili dalle prove testimoniali, la valutazione delle quali spetta solo al giudice di merito.
Neppure, infine, potrebbe rilevare l’offerta “pro boro pacis” effettuata dalla compagnia assicurativa, che non implica certo ammissione dell’esistenza del danno.
6.10. Con il nono motivo i ricorrenti denunciano – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4) – “nullità della sentenza e del procedimento” e “violazione e falsa applicazione di norme di diritto”, e ciò “in relazione agli artt. 91 e 92 c.p.c. e al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014”.
Premesso che l’eventuale cassazione della sentenza impugnata, in relazione al rigetto della pretesa risarcitoria dei (OMISSIS), comporterebbe la necessità di rinnovare la statuizione sullle spese adottata a loro carico, i ricorrenti comunque richiedono che, anche in caso contrario, “si addivenga ad una compensazione” delle spese di ambo le fasi di merito del presente giudizio, pure alla luce della pacificità del danno parentale, stante la già ricordata offerta reale della compagnia di assicurazione e l’assenza di domanda di ripetizione delle somme oggetto della stessa.
In subordine, rilevano come la Corte toscana sia, comunque, incorsa in errore nella liquidazione delle spese, dal momento che, in presenza di una domanda risarcitoria di 45.000,00 (ovvero, 15.000,00 per ciascuno dei tre eredi di (OMISSIS)), lo scaglione di riferimento era quello compreso tra 26.000,00 ed 52.000,00 e non, come invece ritenuto dal giudice di appello, quello successivo compreso tra 52.000,00 ed 62.000,00.
6.10.1. Il motivo è fondato solo in relazione alla seconda censura.
In relazione alla prima censura va, infatti, ribadito il principio secondo cui, in materia di compensazione delle spese, “il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa” (da ultimo, Cass. Sez. 5, ord. 17 aprile 2019, n. 10685, Rv. 653541-01), “per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi” (da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 17 ottobre 2017, n. 24502, Rv. 646335-01; nello stesso senso anche Cass. Sez. 1, ord. 4 agosto 2017, n. 19613, Rv. 645187-01), giusti motivi “la cui insussistenza il giudice del merito non è tenuto a motivare” (Cass. Sez. 6-3, ord. 26 novembre 2020, n. 26912, Rv. 659925-01).
La seconda censura è, invece, fondata, dal momento che – in applicazione del principio per cui, in caso di rigetto della domanda, le spese di lite vanno liquidate secondo il criterio del “disputatum” (da ultimo, Cass. Sez. 2, sent. 7 novembre 2018, n. 28417, Rv. 65104502) – lo scaglione di riferimento era quello, minore, indicato dagli odierni ricorrenti, non potendo assumere rilievo (come sostenuto, invece, dalle controricorrenti) la richiesta del riconoscimento di rivalutazione ed interessi, alla stregua del principio per cui “il valore della causa, ai fini della liquidazione degli onorari spettanti all’avvocato nei confronti del cliente, si determina, in base alle norme del codice di procedura civile, avendo riguardo all’oggetto della domanda considerato nel momento iniziale della lite, senza che assumano rilievo, al riguardo, gli interessi e la rivalutazione maturati sulla somma capitale nelle more della controversia” (Cass. Sez. 3, sent. 19 aprile 2006, n. 9082, Rv. 589325-01).
7. In conclusione, il ricorso va accolto in relazione ai motivi secondo, terzo, quarto e quinto, per quanto di ragione, nonchè in relazione alla seconda censura del nono motivo, sicchè la sentenza va cassata in relazione, con rinvio alla Corte di Appello di Firenze in diversa composizione, per la decisione nel merito, alla luce del seguente principio di diritto:
“in caso di investimento di un pedone avvenuto sulle strisce pedonali, da parte di un veicolo adibito a taluno dei servizi di cui all’art. 177 C.d.S. e in presenza delle condizioni per l’esonero dell’osservanza degli obblighi, dei difieti e delle limitazioni relativi alla circolazione stradale, trova applicazione la presunzione di piena responsabilità dell’investitore ex art. 2054 c.c., comma 1, ancorchè il pedone sia tenuto all’osservanza dell’obbligo di cui al comma 3 del summenzionato art. 177, dovendo la prova esonerativa, anche solo in parte, di tale responsabilità sostanziarsi nella dimostrazione, da parte del conducente, di aver fatto tutto il possibile per evitare l’investimento, avuto riguardo alla effettiva situazione di emergenza nella quale egli versava e alla imprevedibilità del comportamento del pedone, senza che però rilevi la sua incertezza o esitazione nel compiere l’attraversamento”.
Il giudice del rinvio provvederà altresì alla liquidazione delle spese di lite (ivi comprese quelle del presente giudizio), pure in relazione al rapporto giuridico processuale – ormai definito – intercorrente tra (OMISSIS) e Confraternità (OMISSIS), da un lato, e (OMISSIS) e (OMISSIS), dall’altro, tenuto conto della circostanza che la domanda risarcitoria complessivamente formulata ammontava a 45.000,00.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie, per quanto di ragione, il secondo terzo, quarto e quinto, dichiara inammissibile il sesto e l’ottavo, rigetta il settimo e accoglie il nono, nei termini precisati in motivazione.
Cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Firenze in diversa composizione per la decisione nel merito e sulle spese anche del giudizio di cassazione.
Cos’ deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 6 dicembre 2021.