Ordinanza 21506/2021
Caparra Confirmatoria – Sostituzione della consegna con l’obbligazione della prestazione della caparra
Il patto con cui si stabilisca la corresponsione di quantità determinata di cose fungibili, per il caso dell’inadempimento delle obbligazioni nascenti da un diverso negozio ad esso collegato (cd. contratto principale), allo scopo di rafforzarne il vincolo, ha natura reale e, come tale, è improduttivo di effetti giuridici, ove non si perfezioni con la consegna di tali cose; ciò, tuttavia, non esclude che le parti, nell’ambito della loro autonomia negoziale, possano differire la dazione della caparra, in tutto o in parte, ad un momento successivo alla conclusione del contratto, come previsto dall’art. 1385, comma 1 c.c., purché anteriore alla scadenza delle obbligazioni pattuite, mentre non è consentito escludere la natura reale del patto accessorio, attribuendo all’obbligazione della prestazione della caparra gli effetti che l’art. 1385, comma 2 c.c. ricollega, al contrario, alla sua consegna.
Cassazione Civile, Sezione 6-2, Ordinanza 27-7-2021, n. 21506 (CED Cassazione 2021)
Art. 1385 cc (Caparra confirmatoria) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Con atto di citazione notificato in data 21 settembre 2009, Sa. D.M. evocava, dinanzi al Tribunale di Napoli, la C.D. s.r.l. per sentire dichiarare risolto il contratto di fornitura e posa in opera di una veranda in pvc intercorso fra le parti per inadempimento della società convenuta, oltre alla condanna della stessa al risarcimento dei danni, domanda che — nel contraddittorio della C.D., la quale spiegava domanda riconvenzionale chiedendo la risoluzione per inadempimento dell’attore, oltre ai danni — che rigettata la domanda attorea, dichiarava la risoluzione del contratto per inadempimento del D.M. e quantificava i danni in favore della società in euro 15.000,00 pari alla caparra confirmatoria non versata dall’attore.
Adita dall’originario attore, la Corte d’appello di Napoli, nella resistenza dell’appellata società Placidi, dichiarava inammissibile l’impugnazione per non avere l’appellante colto il senso della pronuncia di primo grado. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il D.M., sulla base di due motivi.
E’ rimasta intimata la C.D. s.r.l.
Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., su proposta del relatore, regolarmente comunicata al difensore della parte ricorrente, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
Atteso che:
– con il primo motivo il D.M. lamenta la violazione degli artt. 2697, 1226, 1218, 1223, 1366, 1375, 2056 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte distrettuale ritenuto legittima la condanna inferta al ricorrente per il risarcimento del danno per l’ingiustificato recesso parametrandola all’importo concordato nell’art. 1 del contratto di vendita, che prevedeva il versamento della somma di euro 15.000,00 a titolo di caparra confirmatoria. Diversamente, ad avviso del D.M., i giudici del merito avrebbero dovuto esercitare il potere di liquidare il danno in via equitativa nel rispetto dell’accertamento della responsabilità del debitore e della individuazione della prova del danno nella sua esistenza, senza surrogare il mancato assolvimento dell’onere probatorio e non già a titolo di caparra confirmatoria non corrisposta. Precisa il ricorrente, inoltre, che resto l’assegno bancario era stato da lui consegnato al venditore non con finalità solutoria ma di garanzia.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza o del procedimento ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c. per non essere percepibile dalla motivazione il fondamento della decisione, dal momento che da un lato viene affermato che la dazione dell’importo di euro 15.000, 00 prevista dall’art. 1 del contratto di vendita costituisse un acconto del prezzo ‘`con funzione di caparra confirmatoria” da versarsi a mezzo di bonifico bancario, dall’altro, che la mancata effettuazione del bonifico aveva avuto “il duplice effetto di non perfezionare la caparra”, ma di concretizzare un recesso ingiustificato del compratore con conseguente maturazione in capo al venditore del diritto al risarcimento del danno.
Le due censure — da trattare unitariamente per la evidente connessione argomentativa che le avvince — sono inammissibili prima che infondate. Va precisato che il giudizio di Cassazione ha per sua natura la funzione di controllare la difformità della decisione del giudice di merito alle norme e ai principi di diritto, sicché sono precluse doglianze che postulino rivalutazioni delle indagini e degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito che, come tali, sono esorbitanti dal giudizio di legittimità (ex plurimis, Cass. n. 15196 del 2018).
Ciò posto, viene in rilievo come questa Corte ha già avuto modo di affermare – con risalente orientamento ma più volte ribadito – che allorché venga pattuita la corresponsione di quantità determinata di cose fungibili per il caso dell’inadempimento delle obbligazioni nascenti da un diverso negozio ad essa collegato (c.d. contratto principale), con lo scopo di rafforzare il vincolo contrattuale, il relativo patto contrattuale ha natura reale, e, come tale, è improduttivo di effetti giuridici ove non si perfezioni con la consegna della relativa somma (Cass. 7 giugno 1978 n. 2870), ma ciò tuttavia non esclude che le parti, nell’ambito della loro autonomia negoziale, possano differire la dazione della caparra in tutto o in parte ad un momento successivo alla conclusione del contratto, come previsto dall’art. 1385 c.c., comma 1, purché anteriore alla scadenza delle obbligazioni pattuite (Cass. 14 aprile 2002 n. 5424; Cass. 13 febbraio 2006 n. 3071; Cass. 9 agosto 2011 n. 17127); tale possibilità non comporta tuttavia anche quella di escludere la natura reale del patto accessorio e ad attribuire all’obbligazione della sua prestazione gli effetti che l’art. 1385 c.c., comma 2 ricollega alla sua consegna.
Così nel caso di specie avendo l’acquirente consegnato un assegno bancario, anche se a titolo di garanzia, l’effetto proprio della caparra si sarebbe perfezionato al momento della riscossione della somma recata dall’assegno, e quindi salvo buon fine, che però non vi è stato per effetto della condotta inadempiente dell’acquirente/ricorrente che ne aveva denunciato lo smarrimento del titolo onde impedirne l’incasso.
Ne consegue che il comportamento del traente del titolo che, dopo averne accettato di consegnarlo, ometta poi di porre il prenditore in condizione di incassarlo, è contrario a correttezza e buona fede e comporta a carico del traente l’insorgenza degli obblighi propri della caparra, nel senso che ove risulti inadempiente all’obbligazione cui si riferisce la caparra, egli sarà tenuto al pagamento di una somma pari a quella indicata nell’assegno (v. in termini anche se contrapposti Cass. n. 17127/2011 cit.: in questo caso, il comportamento ingiustificatamente omissivo del promittente venditore, che aveva omesso di provvedere all’incasso dell’assegno bancario ricevuto dal promissario acquirente, non impedisce all’assegno stesso, proprio in ragione della sua natura di strumento di pagamento, di assicurare comunque l’effettivo spostamento patrimoniale connesso al meccanismo della caparra, con conseguente produzione, in caso di inadempimento del prenditore – promittente venditore, dell’obbligazione di restituzione nel duplum).
Tale ragionamento seguito dalla Corte territoriale è in iure corretto e resiste alla critica del ricorrente.
In presenza di reciproche domande di risoluzione, fondate da ciascuna parte su determinati inadempimenti dell’altra, il giudice che accerta l’inesistenza dei singoli, specifici addebiti, non potendo pronunziare la risoluzione per colpa di taluna di esse, deve dare atto dell’impossibilità di esecuzione del contratto per effetto della scelta (ex art. 1453, 2° co., c.c.) di entrambi i contraenti e decidere di conseguenza quanto agli effetti risolutori di cui all’art. 1458 c.c. ( v. Cass. 18 maggio 2005 n. 10389; Cass. 16 febbraio 2001 n. 2304; Cass. 24 novembre 2000 n. 15167; Cass. 4 aprile 2000 n. 4089; Cass. 29 novembre 1994 n. 10217; Cass. 29 aprile 1993 n. 5065; Cass. 25 maggio 1992 n. 6230).
Il giudice deve in tale ipotesi far comunque luogo a declaratoria di risoluzione del contratto, in quanto le contrapposte manifestazioni di volontà, pur estranee ad un mutuo consenso negoziale risolutorio, attese le contrastanti premesse, sono tuttavia dirette all’identico scopo dello scioglimento del rapporto negoziale (v. Cass. 19 dicembre 2014 n. 26907, e, conformemente, Cass. 19 gennaio 2016 n. 767; cfr. con riferimento a contrapposte dichiarazioni di recesso, Cass. 26 luglio 2011 n. 16317 e Cass. 14 marzo 1988 n. 2435).
Quanto poi al vizio di motivazione, l’interpretazione di questa Corte ha chiarito come l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. Un. n. 8053 del 2014). Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017).
E d’altro canto, il principio desumibile dalle norme di cui agli artt. 132 n. 4 c.p.c. e 118, comma 1, disp. att. c.p.c., pur nelle formulazioni qui applicabili ratione temporis, secondo cui la motivazione della sentenza deve riassumere concisamente il contenuto sostanziale della controversia e gli elementi atti a giustificare le ragioni del decidere, induce ad escludere la nullità della pronuncia che rigetti le domande ritenendole non provate, facendo richiamo alle prove complessivamente acquisite, in quanto espressione del giudizio cui il giudice è pervenuto.
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Nessuna pronuncia sulle spese processuali in difetto di difese da parte della intimata.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P . Q . M .
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-qualer D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1 comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello
stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2^ Sezione Civile, il 13 gennaio 2021.