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Cassazione Civile 21704/2018 – Scadenza del termine perentorio per impugnare un atto di riscossione mediante ruolo – Effetto sostanziale della irretrattabilità del credito – Inapplicabilità dell’art. 2953 c.c.

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Ordinanza 21704/2018

Scadenza del termine perentorio per impugnare un atto di riscossione mediante ruolo – Effetto sostanziale della irretrattabilità del credito – Inapplicabilità dell’art. 2953 c.c.

Il principio, di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c., si applica con riguardo a tutti gli atti – in ogni modo denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali, nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Pertanto, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo.

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza 06-09-2018, n. 21704

 

 

RITENUTO CHE

la Corte d’appello di Salerno con la sentenza n.586/2012 rigettava l’appello proposto da Desiderio Vito avverso la sentenza che aveva respinto la sua opposizione ad intimazione di pagamento notificata il 5 luglio 2010 a seguito di cartelle esattoriali a suo tempo non opposte;

a fondamento della decisione la Corte sosteneva che la pretesa invalidità derivata dell’avviso di mora – per non essere stato questo preceduto dalla notifica delle relative cartelle esattoriali – era infondata poiché vi era prova in atti che le cartelle, alle quali si faceva espresso riferimento con l’intimazione di pagamento, erano state effettivamente notificate (in data 28 aprile 2006, 16 aprile 2004, 27 febbraio 2010, 28 giugno 2001, 20 aprile 2002); e che, invece, l’intimato non avesse proposto tempestiva opposizione avverso le medesime cartelle; pertanto era sostanzialmente corretta la motivazione del primo giudice in quanto l’opposizione doveva essere rigettata sul presupposto dell’intervenuta esecutività a monte delle cartelle esattoriali; d’altra parte, aggiungeva la Corte, una volta divenuta irrevocabile la cartella esattoriale il relativo diritto di credito, sicuramente intangibile nel merito, si sarebbe prescritto in 10 anni ai sensi dell’articolo 2953 c.c. che disciplina specificamente in via generale la cosiddetta actio iudicati;

contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione Desiderio Vito con tre motivi ai ai quali l’Inps ha resistito con controricorso; il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO CHE

il primo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 24 decreto legislativo n. 46/99, dell’articolo 50 d.p.r. 602/73 ed insufficiente contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ex articolo 360 nn. 3 e 5 c.p.c., in quanto la Corte d’Appello avrebbe qualificato le contestate intimazioni di pagamento come cartelle i riferendo alle prime la previsione dell’articolo 24 del decreto legislativo 46/99 che prevede il termine perentorio per l’impugnazione della cartella e non certamente dell’avviso di mora la cui impugnazione non soggiace a termine di decadenza ex articolo 615 c.p.c.

il motivo è privo di fondamento in quanto, come risulta dalla sentenza impugnata, la Corte territoriale ha qualificato l’opposizione successiva all’intimazione di pagamento come tempestiva opposizione; mentre ha correttamente riferito il termine di cui all’art. 24 del decreto legislativo 46/99 all’opposizione alla pretesa contributiva ossia a quella contenuta proprio nelle cartelle di pagamento, di cui la stessa Corte ha accertato la regolare notificazione non seguita da tempestiva opposizione;

il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2953 c.c. e della legge 335/95. Errata ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’articolo 360 nn. 3 e 5 c.p.c. avendo la Corte omesso di esaminare le eccezioni preliminari sollevate in ordine all’intervenuta decadenza e prescrizione del diritto azionato dall’INPS ritenendo che l’atto impugnato fosse assoggettato al termine di prescrizione decennale previsto dall’articolo 2953 c.c. che disciplina la cosiddetta actio iudicati;

il motivo è fondato alla stregua dei seguenti principi di diritto affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 23397 del 17/11/2016 secondo la quale: “Il principio, di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c., si applica con riguardo a tutti gli atti – in ogni modo denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali, nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Pertanto, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo. La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui all’art. 24, comma 5, del d.lgs. n. 46 del 1999, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della írretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo l’art. 3, commi 9 e 10, della I. n. 335 del 1995) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c. c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dal 1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (art. 30 del d.l. n. 78 del 2010, conv., con modif., dalla I n. 122 del 2010

il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c.; l’omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia perché la Corte d’Appello ha omesso di esaminare l’eccezione spiegata dall’appellante concernente la differenza tra l’importo posto a fondamento della pretesa creditoria e quanto risultante dagli estratti di ruolo prodotti solo in sede di tardiva costituzione in giudizio nel procedimento di primo grado;

il motivo è inammissibile atteso che la sentenza impugnata non affronta lo stesso argomento, mentre il ricorrente non riporta in ricorso dove avesse tempestivamente sollevato la medesima questione in grado di appello e nel ricorso di primo grado trascrivendo testualmente i relativi atti e producendo in allegato gli atti in questione; pertanto la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata al giudice indicato in dispositivo per un nuovo esame, e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità; il primo motivo va rigettato, mentre il terzo va dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo e dichiara inammissibile il terzo motivo. Accoglie il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 28 marzo 2018

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